lunedì 28 marzo 2011

Per sentito dire


Per sentito dire, Nicla Vassallo, 2011, Feltrinelli, Milano.

domenica 27 marzo 2011

Nuclear flowers

Cristoph Niemann's nuclear flowers, The New Yorker, march 28, 2011.

venerdì 25 marzo 2011

Una via d’uscita

E’ possibile intravedere una via d’uscita tra il sesso o il non sesso di Berlusconi con Ruby e l’arroganza dei potenti, tra gli inviti alla delazione del sindaco leghista di San Martino dall’Argine e l’auto esaltazione di Giancarlo Gentilini che si vanta di avere bruciato due campi nomadi, tra la “cattiveria” invocata da Maroni contro i clandestini e il massacro operato dal governo alla Cultura, tra il Comune di Coccaglio che ha inneggiato a un Natale senza extracomunitari e le panchine anti-barbone di Verona, tra gli slogan: “Sì alla polenta, no al cous-cous” e gli insulti ai calciatori con la pelle nera, tra i calci dati da “civili italiani” ad una ragazza rom incinta e i centralini anticlandestini di Cantù, tra i rifiuti del barista romano a servire un senegalese e il raddoppio del costo del caffè per clienti rom, tra gli striscioni che negano la Shoa e la nascita su Facebook del gruppo denominato: “Immigrati clandestini: torturarli! E’ legittima difesa”?
Continua, Pino Petruzzelli, Il Fatto Quotidiano.

lunedì 21 marzo 2011

Mumble

Le grandi catastrofi sono una voce terribile ma paterna della bontà di Dio.

Le catastrofi [...] sono talora esigenza della giustizia di Dio, della quale sono giusti castighi.

Il terremoto è stato un battesimo di sofferenza che ha purificato la loro anima da tutte le macchie anche le più lievi e grazie a questa morte tragica la loro anima è volata al cielo prima del tempo perché Dio le ha voluto risparmiare un triste avvenire.
Alcune tra le (meno assurde) dichiarazioni di Roberto De Mattei, vicepresidente del CNR, su Radio Maria. No comment.

sabato 19 marzo 2011

La sentenza sul crocifisso

È disponibile sul sito della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo la sentenza della Camera Grande sul caso Lautsi e altri contro Italia. Com’è ormai noto, la Corte ha ribaltato la sentenza di primo grado, assolvendo lo Stato italiano dall’accusa di violare con l’esposizione del crocifisso nelle scuole la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

È importante notare che con la sentenza la Corte non accoglie necessariamente tutti gli argomenti addotti dal Governo italiano nella sua difesa, invero a tratti assai farraginosa. Così, per esempio, al § 66 della sentenza, si legge che il crocifisso è prima di ogni altra cosa un simbolo religioso:

The Court […] considers that the crucifix is above all a religious symbol. The domestic courts came to the same conclusion and in any event the Government have not contested this. The question whether the crucifix is charged with any other meaning beyond its religious symbolism is not decisive at this stage of the Court’s reasoning.
Al § 68, ancora, la Corte chiarisce che invocare il carattere tradizionale della pratica di esporre il crocifisso non basta di per sé a sottrarre dal rispetto della Convenzione:
The Court takes the view that the decision whether or not to perpetuate a tradition falls in principle within the margin of appreciation of the respondent State. The Court must moreover take into account the fact that Europe is marked by a great diversity between the States of which it is composed, particularly in the sphere of cultural and historical development. It emphasises, however, that the reference to a tradition cannot relieve a Contracting State of its obligation to respect the rights and freedoms enshrined in the Convention and its Protocols.
La Corte, in effetti, ha motivato la propria sentenza esclusivamente sul fatto che, a suo giudizio, l’esposizione del crocifisso non costituirebbe un indottrinamento degli allievi (§§ 71-77):
a crucifix on a wall is an essentially passive symbol […]. It cannot be deemed to have an influence on pupils comparable to that of didactic speech or participation in religious activities […] the presence of crucifixes is not associated with compulsory teaching about Christianity […] according to the indications provided by the Government, Italy opens up the school environment in parallel to other religions. The Government indicated in this connection that it was not forbidden for pupils to wear Islamic headscarves or other symbols or apparel having a religious connotation; alternative arrangements were possible to help schooling fit in with non-majority religious practices; the beginning and end of Ramadan were “often celebrated” in schools; and optional religious education could be organised in schools for “all recognised religious creeds” […]. Moreover, there was nothing to suggest that the authorities were intolerant of pupils who believed in other religions, were non-believers or who held non-religious philosophical convictions.
In addition, the applicants did not assert that the presence of the crucifix in classrooms had encouraged the development of teaching practices with a proselytising tendency […].
Lastly, the Court notes that the first applicant retained in full her right as a parent to enlighten and advise her children, to exercise in their regard her natural functions as educator and to guide them on a path in line with her own philosophical convictions
Quello che non si comprende, però, è come ciò possa assolvere lo Stato italiano dalla violazione del dovere di «neutralità e imparzialità», che la stessa Corte riconosce (§ 60) essere imposto dall’art. 9 della Convenzione agli Stati contraenti. Come riconosce in una postilla il giudice Rozakis (e si tratta di un’opinione concordante con la sentenza!),
It is, I think, indisputable that the display of crucifixes in Italian State schools has a religious symbolism that has an impact on the obligation of neutrality and impartiality of the State […]. The question which therefore arises at this juncture is whether the display of the crucifix not only affects neutrality and impartiality, which it clearly does, but whether the extent of the transgression justifies a finding of a violation of the Convention in the circumstances of the present case [corsivo mio].
Sembra di capire che la violazione della neutralità sia condonata per il suo essere poco efficace; ma probabilmente servirà una lettura più attenta della sentenza.

Al di là del caso presente, rimane il fatto della violazione indubitabile dell’uguaglianza dei cittadini compiuta da uno Stato che esponga negli spazi istituzionali simboli di una data religione. Ai cittadini che non condividano le credenze di quella religione lo Stato sembra dire «Io non sono con voi; io preferisco altri»; e questa è una violazione del diritto a un uguale trattamento, anche se ad essa non faccia seguito una più concreta discriminazione. Noi, per fare un paragone, giustamente diffidiamo di magistrati che si impegnino in una attività politica, perché pensiamo che questo faccia venire meno la fiducia nella loro neutralità; e non importa che le loro sentenze dimostrino eventualmente una vera imparzialità (ammesso che sia possibile dimostrarla): la serenità di chi viene sottoposto a giudizio viene prima di tutto. Allo stesso modo e per le stesse ragioni dovremmo impedire che lo Stato si schieri attivamente al fianco di una parte religiosa.
È un peccato che la Corte non abbia riconosciuto questi principi di civiltà. Ma forse la sconfitta di oggi non chiude la partita: al § 57 la Corte osserva che nel caso in esame non si occupa della compatibilità dei crocifissi con i principi della laicità espressi dalle leggi italiane:
the Court observes that the only question before it concerns the compatibility, in the light of the circumstances of the case, of the presence of crucifixes in Italian State-school classrooms with the requirements of Article 2 of Protocol No. 1 and Article 9 of the Convention.
Thus it is not required in this case to examine the question of the presence of crucifixes in places other than State schools. Nor is it for the Court to rule on the compatibility of the presence of crucifixes in State-school classrooms with the principle of secularism as enshrined in Italian law.
C’è allora forse spazio per continuare la battaglia giuridica, anche se probabilmente essa si dovrà combattere su un fronte tutto italiano, portando la Corte Costituzionale a pronunciarsi – cosa che finora non ha voluto fare – su questa ferita ancora aperta alla laicità dello Stato.

domenica 13 marzo 2011

“[T]he boy was, among his classmates, the sort of marginal social figure who was so marginal he was not even teased”.

Backbone, David Foster Wallace, New Yorker.

Pensieri

When I started writing about science, it was extremely commonplace to meet people, in journalism and in television, who would proudly tell you that they know nothing about science, and then explain that this meant they were in a better position to communicate science to a lay audience, because they could better identify with the mindset people who didn’t understand it. “If I can understand my article, then the public can too”.
Ben Goldacre, Do specialist journalists need to know anything about their subject? after @timharford.

giovedì 10 marzo 2011

Omofobia in Africa

È in edicola il numero 42 del bimestrale Darwin. Alle pp. 64-65 si trova un mio breve articolo sull’ondata di violenza omofobica che imperversa attualmente in Africa, e in particolare in Uganda. Una delle cause principali, come spiego nel pezzo, è da ricercarsi nel frenetico impegno missionario di fondamentalisti americani legati agli ambienti delle cosiddette «terapie riparative» dell’omosessualità.

Il 26 gennaio 2011 l’attivista ugandese per i diritti degli omosessuali David Kato veniva trovato in fin di vita nella sua casa di Mukono, dopo essere stato aggredito con un martello da uno o più individui. A causa della gravità delle ferite riportate, Kato moriva durante il tragitto verso l’ospedale. L’aggressione è stata subito ricollegata alla campagna d’odio omofobico intrapresa dal settimanale ugandese Rolling Stone (nessun rapporto con l’omonima testata americana), che nell’ottobre dell’anno scorso aveva pubblicato nomi, indirizzi e foto di 100 persone – fra cui Kato – identificate come omosessuali, accusandole di voler «reclutare un milione di bambini innocenti entro il 2012» e di diffondere germi mortali; «impiccateli!», incitava il titolo del servizio. Ben presto molte delle persone elencate dal tabloid hanno cominciato a ricevere molestie e minacce; una donna, la cui casa era stata fatta oggetto di una sassaiola da parte dei vicini, è stata costretta a cambiare domicilio. Il 3 gennaio Kato e altri due attivisti, membri come lui dell’organizzazione Sexual Minorities Uganda (di cui Kato era uno dei cofondatori), erano riusciti a far sì che un tribunale emettesse un’ingiunzione contro Rolling Stone a non proseguire ulteriormente nella campagna d’odio, ottenendo però anche l’effetto di intensificare le minacce rivolte a Kato, fino alla sua morte.
Le autorità ugandesi sembrano voler negare la motivazione omofobica dell’aggressione a Kato: l’omicida sarebbe stato arrestato, ma secondo la polizia non avrebbe agito perché mosso da sentimenti anti-omosessuali. In ogni caso il problema rimane, visto che l’episodio si inserisce in un contesto – quello ugandese – in cui l’omofobia tradizionale della popolazione viene sempre più rinfocolata dai media e dalle stesse autorità politiche. […]

mercoledì 9 marzo 2011

Pagare le madri surrogate?

Per Susan B. Apel offrire compensi in denaro alle madri surrogate è la cosa giusta da fare («Why Compensating Surrogate Mothers is the Right Thing to Do», Bioethics Forum, 8 marzo 2011). Un esempio dei suoi argomenti:

Another argument against compensation is that it exploits women, particularly poor women. Women who have few or no marketable skills and maybe fewer choices will be seduced into giving their bodies over to be used by others.
[…] But the exploitation argument is paternalistic, often ignoring the voices of the gestational carriers themselves, many of whom claim that the opportunity to obtain such work is a valuable and valued one.
These women have used their compensation to do things like purchase a home, or send their children to school, that would otherwise have been impossible. In addition, the let’s-not-allow-women-to-be-exploited-in-this-way argument never seems actually to improve women’s lives. Unless the exploitation argument is followed by real efforts to give women more education or other opportunities for remunerative work, the argument leaves the arguers feeling morally right with themselves, but it leaves poor women in their same deplorable plight.
La questione è controversa, ma comunque la si pensi, l’articolo della Apel è da leggere tutto.

martedì 8 marzo 2011

Dopo di che, onorevole Roccella?

Eugenia Roccella torna per l’ennesima volta sulla legge in discussione alla Camera e in particolare sul consenso informato («Non spetta a un tribunale decidere dove finisce la vita», Il Giornale, 7 marzo 2011, p. 12):

un consenso informato, per essere tale, deve rispondere a due condizioni: ci deve essere il consenso, dunque una firma, e l’informazione, dunque un colloquio con un medico. Se il paziente a cui, alla vigilia di un’operazione chirurgica, fosse sottoposta l’informativa da firmare, si rifiutasse, sostenendo di averne già parlato con i genitori, il medico non lo giudicherebbe sufficiente. Non può bastare un’informazione casuale, approssimativa, non aggiornata, priva di basi scientifiche.
D’accordo, supponiamo che il medico non lo giudichi sufficiente; dopo di che, caro sottosegretario, cosa potrebbe succedere, secondo Lei? Ci sono varie possibilità:
  • il medico chiama due infermieri nerboruti, che legano il paziente con le cinghie di contenzione a una sedia e lo obbligano ad ascoltare l’intera informativa;
  • il medico chiama i suddetti infermieri, che sedano il paziente per poter procedere all’operazione in assenza del prescritto dissenso informato;
  • il medico denuncia il paziente alla magistratura (sperando di non incappare in giudici comunisti), perché gli sia irrogata una pena esemplare e gli scappi la voglia di reiterare il suo crimine orrendo.
Oppure, ipotesi forse più realistica,
  • il medico si tiene per sé la propria frustrazione e lascia andare il paziente, visto che – si regga forte, onorevole – il consenso informato è necessario per procedere a un trattamento sanitario ma non per rifiutarlo.
Forse Lei, onorevole, riterrà questa idea frutto dell’odierno relativismo e dell’imperante cultura-di-morte; però, strano a dirsi, essa sembra essere presente persino nella legge sulle DAT da Lei così caldamente sostenuta, che all’art. 2 comma 4 recita:
È fatto salvo il diritto del paziente di rifiutare in tutto o in parte le informazioni che gli competono. Il rifiuto può intervenire in qualunque momento e deve essere esplicitato in un documento sottoscritto dal soggetto interessato che diventa parte integrante della cartella clinica.
La vita è piena di sorprese, vero onorevole?

Bentornato paternalismo!


Nia è l’acronimo per nutrizione e idratazioni artificiali. È qualcosa di cui puoi avere bisogno quando non puoi alimentarti per via fisiologica. Per una patologia o per una condizione di incoscienza. Può essere un ricorso temporaneo o permanente.
Hai bisogno di firmare un consenso informato, che è quel foglio che bisogna firmare ogni volta che ti sottoponi a un intervento chirurgico o medico.
In quel foglio si dovrebbe sintetizzare la seguente idea: che tu come paziente sei stato informato correttamente ed esaustivamente dei rischi della tua condizione, della prognosi, delle alternative terapeutiche e assistenziali (se esistono alternative, se non esistono sarai informato che la tua scelta è tra la proposta per cui si richiede il consenso informato e l’astenerti dal fare alcunché). In quel foglio dichiari che sei stato informato e che accetti il determinato trattamento. Ogni consenso, ovviamente, può essere tale solo se è espresso in modo consapevole. La condizione necessaria per la consapevolezza è l’informazione. Non possiamo entrare qui nel merito delle difficoltà intrinseche e di tutti i possibili modi in cui l’accertamento della corretta informazione e della consapevolezza del paziente presenti ostacoli e faglie.
Ciò che ci interessa è ricordare il principio e il meccanismo che caratterizza ogni intervento medico. L’importante è ricordare che puoi scegliere. Puoi anche rifiutare. Nessuno può obbligarti: questo è il cuore dell’autodeterminazione, questo è quanto affermato nella carta costituzionale. Questo è quanto avrebbe dovuto decretare la fine del paternalismo, secondo cui il medico è colui che decide della vita del paziente e prende per lui le decisioni. Invece il paternalismo è un’abitudine ancora radicata e una tentazione spesso irresistibile. A volte per buone ragioni: perché si pensa davvero che stai facendo la scelta sbagliata, proprio com’è difficile non cercare di imporre il nostro punto di vista all’amico che ha scelta l’ennesima fidanzata sbagliata. Soprattutto se siamo convinti che il nostro amico non sia davvero consapevole. A volte per ragioni meschine e presuntuose. Qualsiasi siano queste ragioni il paternalismo è moralmente condannabile e legalmente messo da parte, perché la decisione è affidata al paziente, a parte eccezioni in cui vi sia l’impossibilità di esprimere un consenso per l’urgenza o quando si delinea la necessità di un trattamento sanitario obbligatorio. In tutti gli altri casi un adulto ha il diritto di scegliere se e come curarsi.
Le direttive anticipate possono essere considerate una estensione temporale del consenso informato.
In fondo già accade: firmo oggi per un intervento che si farà più tardi o domani, per esempio. Le direttive anticipate mi darebbero la possibilità di decidere oggi per un futuro possibile in cui non posso più farlo perché sarò incosciente: per una patologia o per un incidente. Oggi io potrei decidere senza delegare nessuno a farlo in una condizione in cui la mia volontà non può essere espressa.
Ed eccoci alla Nia e alla discussione del disegno di legge sulle direttive anticipate di trattamento che esclude che si possa decidere al riguardo. La Nia è un obbligo, una imposizione, nonostante le si indichi con espressioni come “diritto imprescindibile”. Secondo i difensori di questo legge ripugnante non siamo in grado di decidere se vogliamo essere nutriti e idratati artificialmente, siamo fantocci nelle mani dei vari burocrati: da Eugenia Roccella a Maurizio Sacconi, tutti preoccupati di imporci un bel tubo nello stomaco.
I punti dolenti sono molti.
A cominciare dal negare statuto medico alla Nia, contro il parere delle associazioni di categoria. E contro ogni ragionevolezza. Basterebbe infatti sapere di cosa si parla per evitare di rendersi ridicoli. La sostanza nutritiva è un preparato farmaceutico che viene somministrato per via enterale o parenterale, cioè attraverso una sonda nasogastrica o ipercutanea nel primo caso, oppure tramite un catetere venoso nel secondo caso. Infilare un catetere in una vena comporta rischi settici e metabolici.
Se questa legge verrà approvata, i suoi fautori dovranno sbrigarsi a eliminare la necessità del consenso informato al riguardo.
Ma poi c’è il punto più bizzarro e più inutile: se anche non fossero trattamenti medici, ma forme assistenziali, il passaggio dallo statuto non medico all’obbligo è assolutamente illegittimo. Posso rifiutare anche trattamenti assistenziali! Posso rifiutare la compagnia di persone a me non gradite. Perché non potrei scegliere liberamente sulla nutrizione e idratazione artificiali?
Nessuno osa ancora imporle alle persone coscienti - considerando che serve un intervento chirurgico per inserirti la valvola e considerando quanto sia invasivo il sondino nasogastrico. Entrambe pratiche su cui il consenso è necessario. Nessuno può impormi un tubo nel naso o una PEG.
E allora ecco lo scenario che questa legge delinea: se siamo coscienti possiamo rifiutare, se non lo siamo no. E letteralmente è vero, perché se sono incosciente non posso esprimere alcuna preferenze né rifiutare (nemmeno consentire, ovviamente). Ma è per questo che servono le direttive anticipate. Perché io possa oggi anticipatamente dire cosa voglio per domani in cui mi troverò in condizione di incoscienza.
O le direttive sono anticipate o non lo sono. Se non lo sono non serve alcuna legge. In caso contrario come si può minare l’anticipazione segnando questa discriminazione tra una persona cosciente e una che non lo è?
È vero che questa anticipazione solleva un problema filosofico complesso che riguarda l’identità personale e la possibilità di esprimere oggi una preferenza su una condizione che non sto vivendo e posso solo immaginare.
Ma è vero anche che questo problema filosofico ci si pone in molte altre circostanze e non si rivela una condizione sufficiente per minare quell’anticipazione. Ogni forma contrattuale, ogni appuntamento, ogni richiesta per l’indomani mattina presente un problema di anticipazione. Ti dico oggi che domani vorrei essere svegliata da te alle 7. E come possiamo sapere che nel sonno io non cambi idea? Che io non voglia più essere svegliata alle 7 ma alle 10? Che fareste voi, mi svegliereste o mi lascereste dormire?
Per fare un’analogia più vicina alla Nia: durante l’anestesia necessaria per un intervento chirurgico, perdo forse il diritto che ho espresso prima della sedazione? Oppure dovrei essere continuamente essere risvegliata per accertare che il consenso sia ancora attuale?
La strategia dello statuto non medico, insomma, non è solo evidentemente costruita su fondamenti marci, ma è anche fallimentare allo scopo prefissato. Le direttive anticipate disegnate dal disegno di legge in discussione sono intrise del più bieco e sciocco paternalismo. Mantengono solo il nome e l’apparenza di uno strumento per dichiarare anticipatamente le nostre volontà. Sono un corpo imbalsamato presentato come l’ospite d’onore.

iMille, 8 marzo 2011.

venerdì 4 marzo 2011

mercoledì 2 marzo 2011

Se il farmacista diventa obiettore

In attesa di leggere il parere del Comitato Nazionale per la Bioetica sulla possibilità per i farmacisti di fare obiezione di coscienza, è senz’altro possibile esprimere alcune preoccupazioni sulla notizia riportata dalla stampa e sintetizzata da un comunicato stampa della presidenza del consiglio del 25 febbraio scorso.
Il parere del CNB è stato sollecitato da un quesito di Luisa Capitanio Santolini riguardo alla liceità della “clausola di coscienza invocata dal farmacista per non vendere quei prodotti farmaceutici di contraccezione d’emergenza anche indicati come “pillola del giorno dopo”, per i quali nel foglio illustrativo non si esclude la possibilità di un meccanismo d’azione che porti all’eliminazione di un embrione umano”.
Ricordiamo che oggi in Italia sono tre le leggi che prevedono l’obiezione di coscienza: la legge 194/1978 sull’interruzione volontaria di gravidanza; la legge 413/1993 sulla sperimentazione animale; la legge 40/2004 sulla tecniche di riproduzione artificiale.
Nel discutere di contraccezione d’emergenza il riferimento normativo e morale è l’interruzione volontaria di gravidanza. Ma questo riferimento è scorretto e rischia di alimentare la confusione: la cosiddetta pillola del giorno dopo, infatti, agisce come contraccettivo e non come abortivo. Pertanto l’analogia si indebolisce fino a diventare inutile, anzi sbagliata. Lo stesso CNB deve rendersene in parte conto, perché rimanda al foglio illustrativo che non esclude “una azione abortiva”.
I problemi sono numerosi e gravi. Riguardano la definizione stessa di obiezione di coscienza e, soprattutto, l’effettivo funzionamento di un servizio pubblico e sottoposto a monopolio. Non posso acquistare la contraccezione d’emergenza che in farmacia e il farmacista è l’unico che può soddisfare la mia prescrizione. Eppure il CNB accetta di aprire una faglia nella garanzia di un simile servizio richiamando la clausola di coscienza.
Non basta che il comunicato ricordi che “l’obiezione di coscienza, che ha un fondamento costituzionale nel diritto generale alla libertà religiosa e alla libertà di coscienza, deve pur sempre essere realizzato nel rispetto degli altri diritti fondamentali previsti dalla nostra Carta costituzionale e fra questi l’irrinunciabile diritto del cittadino a vedere garantita la propria salute e a ricevere quella assistenza sanitaria riconosciuta per legge”. Non basta perché non viene indicato nessun meccanismo di bilanciamento per garantire i diritti di chi chiede, preoccupandosi di proteggere soltanto chi non vuole esaudire la richiesta perché crede - senza alcun supporto scientifico - che la contraccezione d’emergenza possa eliminare un embrione.
Per il CNB è sufficiente sottolineare che “la consegna del prodotto contribuisce ad un eventuale esito abortivo in una catena di causa ed effetti senza soluzione di continuità” per considerare il farmacista alla pari di un medico che non vuole eseguire una interruzione di gravidanza.
Ci si chiede dove questa catena causale può fermarsi: quanti sono a contribuire all’eventuale esito abortivo? Anche chi guida il taxi fino alla farmacia? O l’impiegato che fa lo scontrino? L’obiezione può essere estesa anche agli altri tipi di contraccezione (si pensi soprattutto allo IUD che agisce in modo simile alla cosiddetta pillola del giorno dopo)?
Sebbene alcuni membri del Comitato abbiano ricordato che consentire di fare obiezione ai farmacisti significherebbe permettere loro di scavalcare il medico e di intromettersi nelle vite private dei richiedenti, ciò non è bastato a fermare i rappresentanti del moralismo più aggressivo.
Se questo parere dovesse diventare una legge (non dimentichiamoci che nella primavera 2010 è stato presentato un disegno di legge avente come oggetto proprio la possibilità per i farmacisti di fare obiezione) i diritti dei singoli verrebbero ulteriormente minacciati.
Una simile concessione non sarebbe affatto la garanzia di una libertà, ma un vero e proprio sopruso. Gli unici interessi che verrebbero garantiti sono dei nostalgici del paternalismo e di quanti vogliono decidere per gli altri, sicuri di avere in tasca una verità che merita di essere affermata.
È bene non dimenticare che si sceglie di fare il farmacista e che ogni professione implica dei doveri e non solo dei privilegi. Uno di questi doveri dovrebbe essere quello di vendere i farmaci prescritti senza intromettersi in questioni morali o spirituali. Anche perché sono molti i farmaci che potrebbero avere come effetto l’eliminazione di un embrione umano, anche farmaci prescritti per altre ragioni. Come dovrebbe comportarsi il farmacista al riguardo? Dovrebbe forse rifiutarsi di vendere il Cytotec, farmaco gastroprotettore ma i cui effetti sono abortivi? Perché magari hai l’ulcera, ma chi può dire che le tue recondite intenzioni non siano di eliminare un embrione umano?

Galileo, 2 marzo 2011.

Female stalkers

The typical female stalker was a single, separated, or divorced woman in her mid-30s with a psychiatric diagnosis, most often a mood disorder. She was more likely to pursue a male acquaintance, stranger, or celebrity, rather than a prior sexual intimate. When compared with male stalkers, the female stalkers had significantly less frequent criminal histories, and were significantly less threatening and violent. Their pursuit behavior was less proximity based, and their communications were more benign than those of the males. The average duration of stalking was 17 months, but the modal duration was two months. Stalking recidivism was 50%, with modal time between intervention and re-contacting the victim of one day. Any prior actual relationship (sexual intimate or acquaintance) significantly increased the frequency of threats and violence with large effect sizes for the entire female sample. The most dangerous subgroup was the prior sexually intimate stalkers, of whom the majority both threatened and were physically violent. The least dangerous were the female stalkers of Hollywood celebrities.
What are female stalkers like?

Eterologa fai da te

Voleva fare un gesto di generosità, ma è stato incastrato e probabilmente nei prossimi anni dovrà sborsare tanto denaro. Klaus Schröder, un professore tedesco che vive nella regione del Palatinato, dovrà pagare un assegno di mantenimento a una donna lesbica alla quale cinque anni fa donò il proprio seme per aiutarla ad avere un figlio.
(Donò seme a coppia lesbica. Ora dovrà pagare il mantenimento del bambino, Il Corriere della Sera, 1 marzo 2011)

Se la versione di Schröder è quella vera è una gran fregatura. Qui in Italia potrebbe succedere la stessa cosa, anche perché la fecondazione eterologa è pure illegale (anche quella casalinga?).

La delega alla Roccella

Intervistata da Francesco Ognibene a proposito della legge sul testamento biologico, così risponde a un certo punto Eugenia Roccella («“Questa legge sulle Dat scioglie ogni dubbio”», Avvenire, 1 marzo 2011, p. 12):

Finché so­no cosciente posso compiere autonoma­mente gesti che portano alla morte, come non mangiare, ma se non sono più cosciente e se il rifiuto di alimentazione e idratazione è in­serito nelle Dat finisco con il delegare ad altri la decisione sul lasciarmi morire, magari affi­dandola al Servizio sanitario nazionale: sia­mo ai confini dell’eutanasia passiva e del sui­cidio assistito, vietati dalla nostra legge.
Se le Dat fossero quello che dovrebbero essere, cioè Direttive Anticipate di Trattamento, non ci sarebbe nessuna delega ad altri della decisione di lasciarsi morire: la decisione sarebbe presa dal paziente, e il Servizio sanitario nazionale sarebbe solo chiamato a rispettarla. Il testamento biologico dovrebbe servire proprio a questo, a non delegare decisioni vitali. La delega si ha con la parodia che ne stanno facendo la Roccella e i suoi amici: sono loro a decidere per noi. La Roccella – la Roccella! – decide per me e per te e per tutti.

martedì 1 marzo 2011