“Ho sempre fatto. Lavorato. Prodotto. Realizzato. Ora devo solo vivere e aspettare. Con il rischio che non succeda nulla”. È l’attesa di Carla, la protagonista di Le difettose, primo romanzo di Eleonora Mazzoni (Einaudi, 2012). È l’attesa di tutte le persone che desiderano un figlio e che ricorrono alle tecniche di riproduzione.
Un’attesa che può diventare straziante e insopportabile, che galleggia nelle sale d’attesa che somigliano a manicomi, che deve essere domata quando si inizia un percorso di stimolazione ormonale, prelievo degli ovociti, tentativo di impianto, analisi del sangue, monitoraggio delle Beta. E che puoi moltiplicare indefinitivamente. Un desiderio che può diventare come una “vera ossessione amorosa”. La legge 40 e i dibattiti al riguardo sono spesso confusi e freddi, non si immagina il vissuto delle tante donne come Carla, la loro angoscia e le difficoltà che devono affrontare, alcune delle quali evitabili e imposte da una legge che per fortuna sta crollando sotto la scure di sentenze e tribunali. Angoscia e difficoltà reali: la legge 40 limita ancora l’accesso alle tecniche alle coppie sposate o conviventi e impone il requisito della sterilità, vieta il ricorso alla donazione dei gameti (la cosiddetta fecondazione eterologa), vieta la maternità surrogata e la sperimentazione embrionale. “Se la medicina ti offre una opportunità - mi dice Mazzoni - per quale motivo dovrebbe essere vietato farvi ricorso? Non posso pensare alle reazioni clericali che il nobel a Robert Edwards (pioniere delle tecniche, NdA) ha scatenato: la riproduzione artificiale banalizzerebbe la maternità e paternità? È il contrario, perché fai un percorso che altrimenti non avresti fatto”.
Le condanne hanno alcuni punti fermi, come la cantilena del figlio a tutti i costi, cioè un desiderio che diventerebbe cieca ostinazione, un desiderio sbagliato. Eppure solo in questo caso “a tutti i costi” ha un’accezione negativa: “ti sei laureata a tutti i costi” è positivo. C’entra la hýbris? “Credo di sì. Si ha paura che l’uomo voglia diventare Dio. Non ti fa essere come Dio - continua Mazzoni - ma molto umile nei confronti della vita, perché i risultati non sono garantiti, provi ma può andarti male. E poi la convinzione che la natura sia buona e la scienza cattiva è davvero ingenua. La natura può essere spietata, la natura è indifferente. D’altra parte se ti rompi una gamba te l’aggiusti, non subisci passivamente il tuo destino. E poi c’è uno scollamento tra le regole e la vita reale, anche tra gli adepti più intransigenti. Ho conosciuto molte persone che fanno parte di movimenti ultracattolici che hanno fatto ricorso all’eterologa - per loro abominevole - senza però dire nulla”.
In Le difettose molti dei luoghi comuni più feroci sono pronunciati dalle madri delle donne che stanno provando ad avere un figlio: è contro natura, i figli vanno fatti sotto le lenzuola e altri simili. “In parte è un fatto generazionale, chi non è preparato alla tecnica e alla scienza ha un sacco di false paure. Mi piaceva - prosegue Mazzoni - anche creare un conflitto tra Carla e una madre, assente e anaffettiva, che verso la fine si scopre avere avuto a sua volta una madre distante, chiusa in una depressione dopo la morte di un figlio. Volevo raccontare come la maternità fosse culturale, come si diventa madre e non lo si è perché si partorisce. È una categoria dell’anima che si trasmette di madre in figlia, sia in positivo che in negativo. Si cercano anche le madri, non solo i figli. Gli schemi della famiglia sono ancora così rigidi! La sacra famiglia può essere soffocante, violenta, brutale. Pensiamo alla violenza domestica. Sacralizzare è sempre rischioso”.
Su Il Mucchio di maggio.