Una donna cubana sarebbe morta in seguito a un aborto farmacologico, a causa di un’infezione da Clostridium (un genere di batterio che si trova normalmente nella vagina di molte donne, e che in casi rarissimi – dopo un parto, un aborto spontaneo o, appunto, un aborto farmacologico – può provocare uno choc settico fatale). La notizia, che è stata riportata ieri da Assuntina Morresi su Avvenire («Aborto farmacologico. Si continua a morire», 17 ottobre 2006, p. 19), sarebbe stata data pochi giorni fa durante il convegno romano della Fiapac, la Federazione internazionale degli operatori dell’aborto e della contraccezione (uso il condizionale perché il resoconto della Morresi è contraddittorio: «Di quest’ultima morte si è saputo al meeting della Fiapac … ma dall’incontro non è trapelato niente»; «Per chi … ha indetto il convegno … la morte di una donna non fa notizia, o forse è una notizia che non deve essere divulgata»; «Solo chi ha partecipato al convegno ha saputo della donna cubana morta»).
Questo caso si aggiungerebbe ai sette già noti in cui a un aborto medico (cioè non chirurgico) è seguita un’infezione fatale da Clostridium: cinque casi (uno in Canada e quattro in California) in cui sono stati usati la RU486 e il misoprostol, e in cui l’infezione è stata causata da Clostridium sordellii; un caso (nell’ovest degli Stati Uniti) in cui sono stati usati sempre la RU486 e il misoprostol, e in cui l’infezione è stata causata da Clostridium perfringens; un caso (nel Midwest americano) in cui è stato usato il misoprostol senza la RU486, e in cui l’infezione è stata causata di nuovo da Clostridium perfringens. Anche nel caso della donna cubana, di cui si sa ancora pochissimo, sarebbe stato usato soltanto il misoprostol, mentre la specie esatta del batterio non è nota.
Questo decesso sembra confermare quanto già si cominciava a sospettare qualche mese fa, all’annuncio della morte della donna americana cui era stato somministrato solo misoprostol, e cioè che la causa di queste morti va ricercata verosimilmente non nella RU486 (la pillola abortiva vera e propria), ma nel misoprostol, la prostaglandina che in genere la accompagna per facilitare l’espulsione dell’embrione (e che può essere usata anche da sola in certe condizioni). Appare quindi sempre più screditata la teoria del fanatico antiabortista Ralph P. Miech, che attribuiva tutta la colpa dei casi mortali a una ipotetica azione immunodepressiva della RU486. Rimane invece aperta la domanda su un ruolo causale della modalità di somministrazione del misoprostol (vaginale vs orale), e sull’importanza da attribuire all’espansione recente delle infezioni da Clostridium, anche al di fuori dei casi di interesse ginecologico ed ostetrico.
È prevedibile che, se sarà confermato, il caso della sfortunata donna cubana verrà sfruttato dagli oppositori dell’aborto medico per documentare la pericolosità della pillola abortiva. Ma con quale fondamento?
Qui non si tratta di elencare semplicemente una serie di decessi: ogni atto medico comporta un rischio, e l’aborto farmacologico rimane nonostante tutto una pratica notevolmente sicura. Ciò non toglie però che essa vada comparata con le alternative disponibili, e in particolare con l’aborto chirurgico. Fino a qualche tempo fa, ci si accontentava di citare delle statistiche cumulative, che mostravano una sostanziale equivalenza dei tassi di mortalità. Ma nel dicembre del 2005 un editoriale apparso su una prestigiosa rivista metteva le cose in una prospettiva più corretta (Michael F. Greene, «Fatal Infections Associated with Mifepristone-Induced Abortion», New England Journal of Medicine 353, pp. 2317-18). L’aborto farmacologico con mifepristone (cioè con la RU486) e misoprostol, notava Greene, si pratica fino alla 7ª settimana di gravidanza (o, per essere più precisi, di amenorrea); la mortalità, che negli Stati Uniti risulta all’incirca di un decesso ogni 100000 casi, va quindi comparata con la mortalità dell’aborto chirurgico effettuato intorno alla medesima età gestazionale, che le statistiche americane fissano a un decesso in media ogni milione di interventi praticati entro l’8ª settimana (il rischio aumenta con il progredire della gravidanza).
Come si vede, il confronto è ben delimitato (e vale soltanto per gli Stati Uniti, anche che se chi usa l’articolo di Greene a scopi propagandistici si dimentica quasi sempre di notarlo); non avrebbe altrimenti avuto senso. Torniamo un attimo all’elenco delle vittime: il lettore ricorderà che nel caso della donna del Midwest americano era stato usato il misoprostol senza la RU486. Ora, questo decesso non può venire computato assieme agli altri: la fonte che ne riferisce (testimonianza di Janet Woodcock di fronte al Congresso Usa, 17 maggio 2006) dice anche che l’aborto, che non contemplava l’uso del mifepristone, era stato praticato nel secondo trimestre di gravidanza, secondo una pratica relativamente diffusa negli Usa (cfr. Kelly Blanchard et al., «Misoprostol for women’s health: A review», Obstetrics & Gynecology 99, 2002, pp. 316-32, alle pp. 321-22). Per fare un paragone sensato con l’aborto chirurgico bisognerebbe allora cambiare il numero dei casi totali (tutti quelli in cui si è usato misoprostol) e quello del tasso di mortalità con cui effettuare il confronto (aborto chirurgico entro il secondo trimestre, appunto). Ciò non toglie ovviamente che il caso meriti considerazione, in quanto conferma la relativa pericolosità del misoprostol.
Per quel poco che se ne sa, la morte della donna cubana potrebbe essere assimilabile in tutto e per tutto a questo caso. Nel paese il misoprostol è usato per l’interruzione di gravidanza (Agnès Guillaume e Susana Lerner, El aborto en América Latina y El Caribe: una revisión de la literatura de 1990 a 2005, CD-Rom, Paris, IRD-CEPED, 2005, cap. 6):
En algunos países donde el aborto es legal, como Cuba o Puerto Rico, el Cytotec [nome commerciale del misoprostol] se utiliza en los sitios habilitados para practicar abortos. Se prescribe de acuerdo con protocolos muy precisos: se le utiliza por vía oral o vaginal, en determinado momento del embarazo, solo o combinado con otros medicamentos, como el metotrexate.
Non è chiaro però quali siano le procedure seguite; nel recente passato a Cuba sono state condotte sperimentazioni per l’uso del solo misoprostol sia nel primo sia nel secondo trimestre (Antonio Rodríguez Cárdenas e Alejandro Velazco Boza, «
Uso de 800 μg de Misoprostol para inducir el aborto temprano»,
Revista Cubana de Obstetricia y Ginecología 29, 2003; Josep Lluis Carbonell
et al., «
Misoprostol vaginal para el aborto del segundo trimestre temprano»,
Revista Cubana de Obstetricia y Ginecología 26, 2000). La disponibilità della RU486 a Cuba fa comunque pensare che l’uso del misoprostol da solo sia confinato all’aborto più tardivo (nelle prime settimane di gravidanza l’uso combinato col mifepristone è più efficace).
Un’ultima considerazione: che da uno stato autoritario come Cuba, che oltretutto ha sempre menato gran vanto del proprio sistema sanitario, sia potuta trapelare una notizia come questa, dovrebbe far riflettere – ma ci spero poco – quelli che sognano di vaste congiure del silenzio, persino nei paesi occidentali, ordite per coprire chissà quale strage di donne ad opera dell’odiata
kill pill.
Aggiornamento: Avvenire torna oggi sul caso, con un articolo di Renzo Puccetti («
Aborto farmacologico, la 14ª vittima ancora per infezione da Clostridium», 19 ottobre 2006, p. 21), che dà qualche particolare in più, ma senza chiarire a che punto della gravidanza si trovasse la donna.