Com’è andato complessivamente il Popolo della Famiglia – il partito fondato da Mario Adinolfi – alle elezioni amministrative del 5 giugno 2016? In un post scritto a scrutinio ancora in corso Adinolfi sosteneva che il «dato nazionale ponderato del Popolo della Famiglia alle elezioni amministrative è dell’1.04%»; ma non si comprende in base a quale criterio sia stata calcolata questa cifra. Dal testo del post e dalla risposta a un commento sembra di capire che Adinolfi stia contando come voti del PdF tutti i voti andati a candidati sindaco sostenuti dal PdF e da altri partiti:
Qual è dunque l’entità vera del sostegno complessivo al PdF? Per prima cosa dobbiamo stabilire se contare i voti ai candidati sindaco o i voti alla lista. I due numeri non coincidono: molte persone che hanno messo un segno sul nome del candidato non hanno poi aggiunto il segno anche sul simbolo della lista (e dunque, secondo le regole elettorali, il loro voto non è stato accreditato alla lista), oppure, col voto disgiunto, hanno scelto una lista che sosteneva un altro candidato (i voti espressi indicando solo la lista, invece, come è noto, valgono anche come voti al candidato sostenuto da quella lista). Dato che qui ci interessa il risultato del partito, la scelta è obbligata: dobbiamo considerare i voti alla lista; chi ha votato solo per il candidato potrebbe aver inteso non votare anche la lista, oppure potrebbe aver esercitato il voto disgiunto. Inoltre, come abbiamo visto, in cinque comuni (quelli citati da Adinolfi più Salerno) il PdF sosteneva candidati sindaco sostenuti anche da altre liste, e non possiamo attribuire – checché ne pensi Adinolfi – tutti questi voti al solo PdF. Il denominatore sarà costituito, com’è la prassi in questi casi, dal totale dei voti validi andati alle varie liste (quindi senza contare le schede bianche o nulle), considerando ovviamente solo i comuni in cui il PdF ha presentato una propria lista. La scelta di considerare i voti di lista non penalizza in ogni caso il partito di Adinolfi: in quasi tutti i comuni in cui il PdF si è presentato da solo, la percentuale andata alla lista è stata superiore a quella andata al candidato sindaco (le eccezioni sono Rimini, Cagliari e Assisi).
Dobbiamo purtroppo escludere i risultati di Milano e Novara. In questi due casi il PdF si è presentato all’interno di una lista unitaria assieme ad altri soggetti politici: a Milano con la lista NoiXMilano di Nicolò Mardegan (sostenuta dai fascisti di Casa Pound), che ha ottenuto 5804 voti di lista su 503.721, pari all'1,15%, e a Novara con la lista civica Civitas Novara di Gian Carlo Paracchini, che ha ottenuto 951 voti di lista su 43.922, pari al 2,17%. È importante notare che in nessuno dei due casi il candidato sindaco apparteneva al PdF, né il simbolo del PdF spiccava particolarmente all'interno del contrassegno di lista (nel caso di Milano, a sentire alcuni commenti apparsi sulla pagina Facebook di Adinolfi, alcuni elettori non sarebbero riusciti a individuare la lista del PdF sulla scheda elettorale). In entrambi i casi è dunque oggettivamente impossibile identificare la percentuale di voti propria del PdF. Lo stesso discorso vale, a maggior ragione, per Bolzano, in cui si era votato per il Comune l’8 maggio scorso, e in cui il Popolo della Famiglia era presente all’interno della lista Alleanza per Bolzano con Holzmann, che comprendeva oltre al PdF altri quattro partiti, tra cui il Nuovo PSI e Fratelli d’Italia, e che ha ottenuto 1878 voti di lista su 37.859, pari al 4,96%. Prenderemo invece in considerazione i voti ricevuti a Salerno, malgrado la presenza (non del tutto chiara) di una lista civica a nome del candidato sindaco Raffaele Adinolfi (ex Forza Italia) e l’appoggio del movimento Società e Famiglia.
Ecco dunque i voti andati al Popolo della Famiglia nei 13 comuni in cui si è presentato con una lista sua. Le cifre sono ufficiose. Non c’è comunque ragione di pensare che i dati ufficiali si discosteranno in modo significativo da questi. La prima cifra è il numero dei voti di lista ricevuti dal PdF, la seconda il numero complessivo dei voti di lista:
Cordenons:
272 ...... 8.198 ...... 3,32%
Varese:
634 ...... 32.744 ...... 1,94%
Villorba:
142 ...... 7.904 ...... 1,80%
Rimini:
970 ...... 61.116 ...... 1,59%
Assisi:
219 ...... 14.656 ...... 1,49%
Salerno:
999 ...... 72.594 ...... 1,38%
Bologna:
2087 ...... 169.409 ...... 1,23%
Cagliari:
821 ...... 71.360 ...... 1,15%
San Benedetto del Tronto:
192 ...... 22.616 ...... 0,85%
Roma:
7480 ...... 1.190.130 ...... 0,63%
Torino:
1996 ...... 358.805 ...... 0,56%
Napoli:
1416 ...... 376.263 ...... 0,38%
Crotone:
74 ...... 33.624 ...... 0,22%
totale:
17.302 ...... 2.419.419 ...... 0,72%
Ecco dunque la percentuale dei voti andati complessivamente al Popolo della Famiglia, in una prova elettorale limitata ma significativa: un magro 0,72%. Anche se per assurdo accreditassimo tutti i voti di Milano e Novara al PdF, la percentuale salirebbe solo allo 0,81%. L’1,04% di cui parla Adinolfi sembra più il frutto della difficoltà ad ammettere l’umiliante percentuale da classico «prefisso telefonico» che di un vero calcolo matematico.
Eppure non si può certo dire che sia mancata ad Adinolfi l’esposizione mediatica: sulla sua pagina Facebook si può ricostruire la sua lunghissima serie di apparizioni radiotelevisive, per non parlare della pubblicità derivata dai due Family Day. Le analogie con il caso della lista anti-aborto di Giuliano Ferrara sembrano indicare che il bacino elettorale dell’integralismo cattolico è fondamentalmente assai limitato.
Certo, si può sostenere che molto abbia giocato in questa occasione il fatto che il PdF si presentasse per lo più da solo, e che molti elettori di destra non abbiano voluto pertanto sprecare un voto per sostenere un partito che non aveva nessuna reale possibilità di arrivare al ballottaggio. Forse non è una coincidenza che in due dei tre casi in cui il PdF si è presentato invece all’interno di una coalizione che aveva delle chance concrete di arrivare al ballottaggio (e che di fatto ci è poi arrivata), a Varese e a Cordenons, il partito di Adinolfi abbia fatto registrare le percentuali migliori dell’elezione: 1,94% e 3,32%. Ma a San Benedetto del Tronto, in condizioni del tutto analoghe, il PdF non è andato oltre lo 0,85% (per quello che vale, il totale relativo a questi tre comuni è di 1098 voti su 63.558, pari all’1,73%; ovviamente si tratta di un campione assai poco rappresentativo). Inoltre, entrare in una coalizione implica un prezzo potenzialmente assai elevato in termini di compromessi per un partito iper-ideologizzato come il PdF, che comunque potrebbe far valere sul tavolo delle trattative coi partner solo l’apporto netto all’alleanza; apporto netto che non è dello 0,72% (poiché bisogna sottrarre dal totale i tre casi appena visti in cui il PdF correva già entro una coalizione), ma bensì dello 0,69%: 16.204 voti su 2.355.861 – ammesso che tutti coloro che hanno votato il PdF da solo lo votassero anche in compagnia di altri. Un po’ poco per condizionare in modo decisivo i partner di coalizione.
Dopo la falsa alba dell’era Ruini, la via della politica appare sempre meno percorribile per l’integralismo cattolico. Piuttosto che assecondare i narcisismi e i sentimenti di rivalsa di qualche aspirante capopopolo, i cattolici farebbero meglio a considerare la ritirata nella fede privata: una versione più quietista dell’Opzione Benedetto di Rod Dreher, per intenderci. Altro non rimane loro da fare, se non collezionare sconfitte sempre più umilianti.
Aggiornamento 8 giugno:
Mario Adinolfi propone ora questa spiegazione del suo calcolo:
La risposta non può che essere questa:
La matematica surreale di Adinolfi potrà indurre molti a una ilarità senza freni. A me, per qualche motivo, mette invece solo una gran tristezza.
Aggiornamento 9 giugno: Sempre per la serie «matematica creativa», Mirko De Carli (candidato sindaco del Popolo della Famiglia a Bologna) rivendica per il PdF «l’1,1% nazionale» dei voti. Interrogato sulla fonte di questo dato, risponde in questo modo: