Luca Simonetti (noto nella blogosfera come Karl Kraus) ha scritto una critica devastante dell’ideologia di Slow Food, il movimento fondato da Carlo Petrini per la riscoperta dei sapori «tradizionali». In 31 pagine ricchissime di citazioni, Simonetti mette in luce il carattere essenzialmente reazionario di un pensiero che serve da copertura a una sinistra affluente, desiderosa di consumi di lusso ma anche ansiosa di dar loro una giustificazione ideologica, e al tempo stesso ignara (e forse disinteressata) dei destini e dei bisogni reali delle masse contadine del mondo.
[I]l ritratto della vita dell’uomo-slow è quella di un signore benestante e fornito in abbondanza di tempo libero. Il modo in cui questo signore è divenuto quel che è, a S[low ]F[ood] non interessa, lo riceve come già dato, lo presuppone. Il fatto che i mezzi che consentono all’uomo-slow di esercitare il suo gusto, i suoi sensi, il suo amore per la ‘lentezza’ possano provenirgli, come di fatto spesso accade, proprio dall’esercizio delle attività ‘diaboliche’ della velocità, dell’industrializzazione, dell’omologazione, insomma del capitalismo, è qualcosa che a SF non viene neppure in mente. Così come non immagina affatto che un simile modo di vita non sia proponibile al di sotto di un determinato livello di reddito, e come tale quindi non possa costituire il fondamento di un ‘nuovo modello di sviluppo’, presupponendo, al contrario, lo sviluppo proprio come di fatto già avvenuto. Questo mettere fra parentesi i processi reali, concreti, questo completo oblio o travisamento dello sviluppo storico reale, è tipico dell’operazione ideologica così come vien definita fin dai tempi di Marx […] attribuire alle società preindustriali, ‘arretrate’ o peggio primitive, la lentezza e il tempo necessario per pensare ecc., è una pura mistificazione. Sono proprio le società ‘sviluppate’ quelle che possono permettersi di ‘perdere tempo’, in quanto gli aumenti di produttività (altra parolaccia, su cui il manifesto di SF, come si è visto, scagliava anatemi) consentono ad esse di produrre maggior reddito in tempi minori. Sono in realtà proprio le società tradizionali, pre-industriali, ‘sottosviluppate’ quelle che dedicano la maggiore quantità di tempo alla produzione del reddito, quelle più ossessionate dalla produzione, nonché quelle che sfruttano più spietatamente le risorse naturali mettendo più a repentaglio l’ambiente. Ma anche questo punto, che pure non è del tutto ignoto a SF, viene sistematicamente taciuto nei suoi tentativi di elaborazione teorica.Da leggere tutto: anche per portare alla luce, fra tante scorie, le cose buone – qualcuna c’è – che Slow Food ha prodotto.
Il risultato allora è fatalmente la denigrazione o anzi negazione del progresso, che in SF si coniuga con l’elogio delle ‘piccole’ comunità locali e la rivalutazione delle tradizioni ataviche e secolari. Neanche questa è una novità: il pensiero reazionario, da Herder in poi, ha sempre insistito sull’imprescindibilità del legame coi luoghi, perché è solo nella dimensione locale che le ‘tradizioni’ possono sopravvivere, e perché solo l’ancoraggio al concreto, al particolare garantisce dagli attacchi che il razionalismo illuminista muove alle istituzioni della società tradizionale. Ma il paradosso è che le “tradizioni” a cui si richiama SF, cioè quelle locali, sono, nella quasi totalità, fenomeni quanto mai recenti, frutto della irrimediabile scomparsa della civiltà contadina preindustriale e, nello stesso tempo, tentativi ideologici di ovviare alla loro scomparsa mettendo al loro posto una “civiltà contadina” e una “campagna” idillico-pastorali del tutto artificiose. La finalità di questa operazione è, storicamente, quella di quietare le ansie della nuova classe egemone trasportando in un passato remoto gli ideali di pace, tranquillità, armonia che essa faticava a trovare nel presente. È difficile negare che il passato idillico a cui SF si richiama (e che non è mai esistito) fosse un passato nel quale le differenze di classe e di sesso erano soverchianti, in cui la mobilità sociale era sostanzialmente inesistente, in cui la quasi totalità della popolazione mancava del cibo in quantità sufficiente, e che la fine di questo sistema – profondamente iniquo ed oppressivo – è dovuta proprio alla vittoria di quel progresso tecnico e a quella crescita economica che SF ritiene responsabile di ogni male.
In questo lavoro ho quindi cercato di enucleare i principali “miti” costitutivi dell’ideologia di SF: le idee di natura, di tradizione, di limite, la critica del progresso e la diffidenza per la scienza, l’elogio del ruolo tradizionale della donna, il legame con la terra e con i luoghi – il semplice elenco sembra piuttosto eloquente. Lo stratagemma che consente a SF, così come ad altre ideologie politiche contemporanee, di presentare questa posizione come “progressista” consiste nel collegare la critica dello sviluppo economico, del progresso scientifico e tecnico e dell’industrializzazione – critica che di per sé è antichissima, avendo accompagnato la Rivoluzione Industriale fin dal suo sorgere – alla critica dell’imperialismo e dell’etnocentrismo da un lato, e dall’altro alla critica del consumismo e della cultura di massa (una posizione quest’ultima del resto assai vicina alla cultura cattolica contemporanea più conservatrice).