martedì 30 agosto 2011

Il giornalista (mica il primo che capita)

Segue il testo dellannuncio per intero. Chi vuole rispondere allinserzionista?

Cerchiamo giornalista esperto nel settore per collaborazione seria e duratura.

Non cerchiamo persone interessate alla cifra di 200 euro al mese che offriamo inizialmente nei primi 6 mesi.

Cerchiamo persone motivate a far crescere un magazine e dare qualità e prestigio alla propria carriera.

l'offerta mensile aumenterà nei mesi successivi.

Abbiamo bisogno di un giornalista esperto nella selezione degli articolo e disposto a registrare la nostra testata presso un tribunale diventando direttore e giornalista del magazine. CI sarà a disposizione un altra giornalista per fare un lavoro di squadra e il direttore dovrà collaborare con il nostro staff per rendere la rivista migliore.

Aspettiamo una richiesta di informazioni seria e non monotona senza senso facendo capire di essere interessati solo al denaro.

In questo lavoro ci vuole passione per stimolare la creatività e avere risultati, oppure non si puo trovare un accordo con noi.

Astenersi perdi tempo in cerca di uno stipendio che aiuti la loro vità ad essere migliore, perche la vita non sarà migliore se non c è qualità e passione nel fare le cose

HIV +


All’inizio stava solo perdendo peso, si sentiva solo un po’ acciaccato, Max disse a Ellen, e non chiamò il suo medico per prendere un appuntamento, secondo Greg, perché stava cercando di continuare a lavorare più o meno allo stesso ritmo di sempre, ma smise di fumare, Tanya sottolineò, cosa che suggerisce che fosse spaventato, ma anche che volesse, anche più di quanto potesse rendersi conto, essere in salute, o più in salute, o forse solo recuperare qualche chilo, disse Orson”. Quella paura che non basta a spaventarti, perché “ammalarsi gravemente era qualcosa che accadeva agli altri, una allucinazione normale, fece notare a Paolo, se uno ha 38 anni e non s’è mai preso una malattia grave”. E poi non è detto che quel malessere sia qualcosa di grave. In fondo “le persone ancora si beccano malattie banali, di quelle brutte, perché ipotizzare che debba essere proprio quella”.
Iniziava così un articolo di Susan Sontag sul “New Yorker”. Era il 24 novembre del 1986. Da pochi anni si era diffusa una malattia spaventosa e carica di condanne moraliste. Una malattia che avrebbe cambiato il nostro modo di guardare il mondo.
Nel giugno 1981 il Morbidity And Mortality Weekly Report (“al contempo il migliore e peggiore nome mai inventato per una pubblicazione”, commenta Amy Davidson molti anni dopo sempre sul “New Yorker”) annuncia che cinque uomini si sono ammalati in modo inconsueto. Quel giugno di trent’anni fa il report descriveva la polmonite da pneumocystis carinii in cinque uomini omosessuali a Los Angeles, in California, documentando per la prima volta quella che sarebbe divenuta nota come sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS). L’editoriale che lo accompagnava suggeriva che la malattia potesse essere collegata alle abitudine sessuali degli omosessuali.
Un mese dopo il MMWR rilevò nuovi casi di polmonite da pneumocystis carinii, altre infezioni e il sarcoma di Kaposi nei gay dalla California a New York. Questi articoli furono i primi accenni a
quella che diventerà una delle peggiori pandemie della storia con oltre 60 milioni di malati, 30 milioni di morti e nessuna soluzione in vista. Era il debutto dell’Aids. Come viviamo oggi, a molti anni di distanza dal report e dalla descrizione di Sontag?

Su Il Mucchio Selvaggio di settembre.

mercoledì 24 agosto 2011

La Casa Famiglia “Sisto Riario Sforza” di Napoli rischia di chiudere


Da un anno e mezzo le ASL non pagano. Il Don Guanella, il 14 agosto, intima di saldare il debito entro il 31 agosto, altrimenti la Casa chiuderà. Nessuno interviene.

Nel 2003 nasce la Casa Famiglia Cardinale Sisto Riario Sforza dal progetto Caritas “Aids e vita”. È una delle due case alloggio Hiv/AIDS operanti nel vasto territorio campano (l’altra è la Casa Alloggio Masseria Raucci).
La Casa Famiglia accoglie persone affette dal virus HIV e in AIDS conclamata, fino a un massimo di dieci, ed è gestita da 3 organismi religiosi. L’Opera Don Guanella segue gli aspetti amministrativi e giuridici; la Caritas diocesana di Napoli si dedica alla formazione del personale; le Figlie della Carità gestiscono la Casa e coabitano con gli ospiti. Lo stabile è di proprietà delle suore carmelitane dato in comodato d’uso al Don Guanella.
Dalla nascita della Casa Famiglia sono stati effettuati 85 ingressi, con vissuti e profili personali complessi e dolorosi: disturbi psichiatrici, dipendenze, violenze familiari.

LA VITA NELLA CASA FAMIGLIA - I 5 operatori e la suora responsabile si trovano a gestire quotidianamente la diffidenza e la paura derivanti da una esistenza di deprivazione e malattia; problemi sociali e relazionali; isolamento culturale e patologie incurabili. Sono stati elaborati percorsi educativi individuali - che includono anche la formazione professionale in vista di un reinserimento nel tessuto sociale - e sono state avviate collaborazioni con i servizi territoriali per evitare che quell’isolamento diventi assoluto e irrimediabile una volta varcata la soglia della Casa Famiglia. Nelle situazioni di malattia conclamata e terminale, gli operatori hanno anche il doloroso compito di assistere gli ospiti fino alla morte. Tra gli ospiti della Casa c’è una madre con una figlia di poco più di due anni: in questo caso gli operatori hanno seguito anche i difficoltosi passaggi per l’affido e l’adozione.

MEDIATORI DEL TEMPO - L’Hiv, che è la ragione emergente dell’accoglienza, si aggiunge insomma a un quadro clinico e sociale già estremamente travagliato. È ben immaginabile quanto sia difficile accettare una situazione di patologia cronica e quanto questo aspetto vada a pesare su uno scenario già deprivato di un futuro, a volte anche del presente. “Ci ritroviamo a essere mediatori del tempo, tra quello cronologico e quello vissuto, tra il tempo burocratico - penso ai tempi di una pensione di invalidità - e l’urgenza di vivere un presente abbozzando un futuro che è reso labile non soltanto dalla malattia ma anche dalle incognite delle politiche sociali e dei vari dispotismi di potere come quello che la nostra Casa ha subito nell’ultimo anno e mezzo”, raccontano gli operatori della Casa Famiglia. In equilibrio precario in questo tempo sospeso ci sono anche due signore, che cucinano e si prendono cura della Casa, e una suora volontaria.

IL FANTASMA DELLA CHIUSURA - Già, perché da un anno e mezzo la Casa vive una situazione di assoluta precarietà. Nell’aprile del 2010 il Don Guanella, a causa di gravi ritardi nel pagamento da parte delle ASL, ha manifestato l’intenzione di cedere il servizio: l’onere economico è troppo forte e serve un cambio amministrativo. Da allora parte una trattativa tra gli ordini religiosi. La chiusura è un fantasma spaventoso che la Casa cerca di allontanare in tutti i modi (ricordiamo che la struttura è una delle due uniche Case di accoglienza a Napoli per persone affette da Hiv o AIDS).
Nel giro di qualche giorno lo scenario peggiora: nessuna soluzione sembra essere realizzabile e da Don Nino Minetti, guanelliano Superiore della provincia di Roma, arriva il divieto alla Casa di accogliere nuovi ospiti. La Casa è in stallo e le nuove richieste di ingresso devono essere respinte: dall’aprile 2010 ad oggi sono arrivate circa 15 domande di accoglienza scritte - e rimandate al mittente - e quasi altrettante telefonicamente.

Continua su Giornalettismo, L’Asl non paga: chiude la Casa famiglia.

martedì 23 agosto 2011

Il codice etico universitario serve?

«Distruggono l’Ateneo per trovare un posto ai loro figli» titolava la Repubblica di Bari il 5 marzo 2005. E nell’articolo si leggeva: «È diventata poco più di un liceo. Negli ultimi cinque anni l’Università di Bari è stata distrutta da una gestione protezionistica e inadatta ad affrontare il mercato dell’alta formazione». Sotto accusa la Facoltà di Economia per lo scandalo della parentopoli barese. Ci fu un grande dibattito anche all’esterno dell’Università, con il Comune di Bari che impose l’adozione di un Codice etico, per continuare a erogare il finanziamento ad alcune ricerche. E così, nel dicembre 2007 fu approvato “Il codice dei comportamenti”, uno dei primi in Italia. Qualche traccia di quel clima è rimasta nell’articolo qui riproposto di Bartolo Anglani (Corriere del Mezzogiorno, 23 dicembre 2005), la cui lettura ci riporta all’università di Siena, dove il Codice etico è stato adottato con quattro anni di ritardo e perché imposto dalla legge Gelmini. Ma un codice etico serve o no? «È una foglia di fico per i mali dell’università» come dice Anglani oppure è «uno strumento per redimere intrallazzatori e nepotisti», come scriveva Lucia Lazzerini, e per rifarsi la verginità? Utile, a questo proposito, la lettura del testo licenziato dalla Commissione sul Codice etico dell’ateneo senese, che, nella versione approvata dagli organi di governo, ha ricevuto corpose integrazioni, a seguito di aspre critiche della comunità accademica ed extra.

Il codice etico non serve. È una foglia di fico per i mali dell’università

Bartolo Anglani. A cosa serve un codice etico? Se rispecchia e amplifica le leggi vigenti, è pleonastico; se va oltre le leggi o le mette in mora, è illegittimo. Tertium non datur. Un codice etico può essere solo individuale, come quando un docente rinuncia a far parte di una commissione perché teme di essere sottoposto a pressioni di colleghi. Altro è quando i contenuti “etici” diventano norme erga omnes. Quale valore costrittivo possono avere per chi non ne riconosce la legittimità? Quando le leggi sono sbagliate, ci si batte perché esse vengano modificate o abrogate, ma bisogna rispettarle finché esse sono in vigore: anche obtorto collo. Così, mi pare, dovrebbe accadere in una società democratico-liberale.
Il codice etico serve oppure è uno strumento per redimere intrallazzatori e nepotisti?, Giovanni Grasso, in Il Senso della misura, 22 agosto 2011.

lunedì 22 agosto 2011

Homeopathic pill overdose!

"We're risking our lives for science," wrote Fuglesang in an opinion piece for newspaper Svenska Dagbladet, signed by the organisation Vetenskap och Folkbildning (VoF), a non-profit organisation working towards promoting popular science education, and discrediting false science.

This act is an effort to get the inefficiency of homeopathic medicine, commonly used in Sweden today, on the agenda.

Fuglesang and nine others took ten times the recommended dose of homeopathic sleeping pill Coffea Alfaplex.

"Either we die, and for the first time the effect of homeopathy will be proven. Or we survive, in which case we expect Swedish politicians to rethink their stand on alternative medicine's use in healthcare," they wrote in Svenska Dagbladet.
Fuglesang survives homeopathic pill overdose.

sabato 20 agosto 2011

Capitane coraggiose

Ed eccoli qua. Il 13 agosto, il sabato del weekend lungo di ferragosto, nonché il giorno in cui il governo annuncia i dettagli del decreto anti crisi, ecco che sul sito del MIUR appare il comunicato con i nomi dei nuovi presidenti degli enti di ricerca. Già immagino il fermento nelle redazioni, le rotative bloccate, le prime pagine rimontate al volo per dare la notizia al mondo. A caratteri cubitali, vaddasé.
Claudia Di Giorgio su Storie spaziali.

venerdì 19 agosto 2011

CNTRL + F

Per non sprecare intere giornate e mesi in cerca di qualcosa... (a Google a day).

Doppio cieco faidate

Avevamo accennato ai due post di Blog(0) e alla reazione indispettita di Boiron qualche giorno fa.
La discussione si è allargata e un commento di ieri merita davvero attenzione (Guglielmo Pepe, Facile accusare lomeopatia). Le argomentazioni sono esilaranti e trascendono la questione omeopatica: qualunque fosse l’argomento della discussione, gli argomenti avanzati da Pepe sono fantastici!
Cominciamo da un passaggio nel post:

Dico questo da difensore dell’omeopatia e dell’Oscillococcinum, il prodotto messo all’indice dal blogger, avendone verificato l’efficacia, non su di me che pratico la medicina integrata (scelgo, in base ai consigli medici, tra farmaci allopatici e MNC) bensì sui miei familiari. E da anni l’Oscillococcinum è nell’armadietto delle medicine di casa.
Vale la pena leggere anche i commenti. Qui ci basti riportare il commento del 18 agosto, 22.13:
3) Gli effetti dell’omeopatia ci sono, anche limitati, su diverse patologie. Non c’entra la aneddotica, la testimonianza personale e familiare, anche se i numeri contano: quando milioni di italiani si curano con le MNC vorrà dire qualcosa. Quando migliaia e migliaia di medici, riconosciuti dagli ordini professionali, le praticano, significherà qualcosa. Siamo tutti fessi, credenti (con tutto il rispetto di chi ha fede religiosa), “bocconi”, stupidi, cretini e altro come, amabilmente, hanno scritto alcuni lettori che preferiscono usare il paraocchi, senza guardarsi intorno per vedere come cambia il mondo medico-scientifico. A parte che di recente, e se non sbaglio su Lancet, sono stati pubblicati gli effetti positivi della meditazione e della preghiera, considero questa critica risibile: la stragrande maggioranza delle persone che seguono le MNC, è laica, atea, insomma non crede per nulla nei miracoli. E poi, perché tanto astio da parte degli oppositori alle MNC? Cos’è questa mancanza di rispetto verso gli altri che si affidano ad altre terapie? Perché si sbeffeggiano migliaia di professionisti che fanno il loro lavoro in modo serio, etico, responsabile? Perché tanto livore? Sinceramente non riesco a trovare risposte.
Un esercizio interessante: sostituire “omeopatia” con “creazionismo”. Capito!, sciocchi evoluzionisti? (Funziona quasi alla perfezione...).

mercoledì 10 agosto 2011

La nave dei disperati

È un vascello fantasma, un relitto che continua a restare a galla nonostante cada a pezzi. A bordo, un popolo di spettri disperati che convivono con topi, rottami, sporcizia: esseri umani a cui è stata negata ogni dignità. Nell’Italia incapace di fare i conti con l’immigrazione la storia della nave-lager di Crotone supera ogni classifica di vergogna. Il mercantile arrivò sulle coste calabresi quattro anni fa con un carico di “clandestini”. Sulla fiancata il nome turco che incuoteva terrore alla cristianità: Genzihan ossia Gengis Khan, il flagello di Dio. Era una nave-madre dei trafficanti di uomini, che trasbordava i nuovi schiavi gettandoli in mare a bordo di gommoni.

Sessanta alla volta, su un pezzo di plastica lanciato verso il litorale ionico. Grazie a un aereo spia, la Guardia di finanza riuscì a individuarla e a far scattare l’abbordaggio: un’operazione da manuale, con gli scafisti turchi in manette e i loro passeggeri-vittime trasferiti nel vicino Centro di identificazione crotonese. Il mercantile catturato dalle Fiamme gialle venne condotto in porto e dimenticato dalle autorità: è diventato uno scheletro galleggiante. Poco alla volta, è caduto in rovina, saccheggiato, in parte incendiato: la torretta - completamente bruciata, come gli interni - sembra la metafora dell’impossibilità di guardare oltre.
Ennesimo racconto di un orrore evitabile (di Eduardo Meligrana, su l’Espresso del 29 luglio scorso).

Boiron e omeopatia e Blog(0)


La francese Boiron se la prende con Blog(0). La colpa di Blog(0) è quella di avere scritto di omeopatia (post 1 e post 2).
E pensare che Blog(0) è anche stato piuttosto gentile nel commentare l’inganno omeopatico. Se l’omeopatia è una bolla di sapone non è mica colpa di Blog(0)!
I due post sono da leggere, diffida o non diffida (questa sarebbe quasi da ridere).

sabato 6 agosto 2011

Samhini yamma. Chissà se la madre di Amir capirà

Stazione di Torino Porta Nuova. Il treno regionale per Bologna delle 18:20 è in partenza al binario 10. Dietro il finestrino, Mahmud si infila gli auricolari dell’iPhone e schiaccia play. Samhini yamma di Ashref. Forse ha sbagliato canzone. O forse è proprio quella giusta per questo momento. Samhini yamma, perdonami mamma. Perdonami se me ne sono andato, perdonami l’esilio, perdonami l’assenza. A salutarlo dal marciapiede del binario c’è un ragazzo con gli occhi arrossati dalle lacrime. È il suo migliore amico. Singhiozza. Sono cresciuti insieme per le strade di Sfax, in Tunisia. Insieme hanno lavorato per anni sui pescherecci di Kerkennah e insieme hanno fatto la traversata per Lampedusa. Era il 24 gennaio. Sono passati sei mesi da allora. E adesso è arrivato il momento più difficile del viaggio. Il momento di dirsi addio. Mahmud va a Parma, Hasan a Parigi. Raggiungono i parenti. In tasca hanno un foglio di via. Li hanno appena rilasciati dal centro di identificazione e espulsione di Torino, insieme a un altro amico della comitiva di Sfax, Amir, che ha fatto la traversata sulla loro stessa fluca (barca) insieme a altri sei passeggeri. Per loro il viaggio ricomincia da qui. Dopo sei mesi di detenzione. Con la stessa determinazione di riuscire, ma con molta più amarezza nel cuore. Perché l’Europa che hanno sognato per anni, ha cessato di esistere nel loro immaginario.

Per Mahmud l’immagine dell’Europa è sfocata pian piano, al crescere delle dosi di psicofarmaci che prendeva dentro il Cie di Torino. Trenta gocce di Rivotril al mattino, trenta al pomeriggio e trenta alla sera. Per spegnere la mente. E dormire più a lungo possibile. Ancora non ha recuperato la vivacità dello sguardo dei suoi 26 anni. Ma va già meglio di ieri, quando appena uscito dal Cie metteva le sigarette in bocca intontito e poi si dimenticava di accenderle.


Gabriele Del Grande, Fortress Europe del 4 agosto 2011.

lunedì 1 agosto 2011

The new breast-, buttock-, and scrotum-free cartoon image

Fully Digital Penetration, William Saletan, Slate, july 21, 2011.

La recensione della recensione

Non si fa, non ha senso, ma leggendo il commento di Alessandro Piperno a Open non si può resistere (Agassi, Il Corriere della Sera, 31 agosto 2011). Bastano le prime righe.

Ho letto Open, l'autobiografia di Andre Agassi, su consiglio di un amico (Einaudi Stile libero). Mi sono bastati un paio di capoversi per capire che mi ero imbattuto in un libro importante. Ora, che Agassi avesse un mondo - variegato, seducente, croccante, inimitabile - non mi ha colto impreparato. Il dato sconcertante è che un atleta il cui stile tennistico ho sempre detestato scriva in un modo così incantevole. E così incisivo. «Gioco a tennis per vivere, anche se odio il tennis, lo odio di una passione oscura e segreta, l'ho sempre odiato. Quando quest' ultimo tassello della mia identità va al suo posto, scivolo sulle ginocchia e in un sussulto dico: fa' che finisca presto». Non è che un assaggio dello «stile Agassi»: cocktail di ironia, consapevolezza, umiltà, melanconia, chiaroveggenza, savoir vivre. Alla fine del libro Agassi ringrazia J.R. Moehringer, un premio Pulitzer, un virtuoso. Tra le righe si evince che Moehringer gli abbia fatto da ghostwriter. Il che spiega una tale spavalderia stilistica. Eppure, nonostante si senta (e come) la mano di Moehringer, leggendo, non dimentica mai che il punto di vista è di Agassi.
Piperno è stupefatto per la bellezza del libro (ed il libro è bello assai), ed è colpito soprattutto dallo stile narrativo di Agassi. Eppure siccome nomina Moheringer deve aver letto anche le ultime e preziose 2 pagine di Open, in cui Andre Agassi spiega come è nato questo libro.
Non si evince tra le righe che Moehringer gli ha fatto da ghost, è raccontato da Agassi in modo chiarissimo.
Che poi quelle 2 pagine valgono tutto il libro per quel racconto. Per come Agassi ti fa annusare le lunghe giornate passate a raccontare e a ricordare. Per come Agassi descrive un modo di lavorare da fare invidia.
Le cose vanno così: nel 2006 Agassi legge il libro di Moehringer, Il bar delle grandi speranze (la storia di Moehringer e del suo libro meritano qualche minuto; qui un bel pezzo: How Andre Agassi and J. R. Moehringer collaborated, The New York Times, november 11, 2009). Gli telefona e lo invita a cena. I due legano e Agassi chiede a Moehringer di aiutarlo a "affrontare le mie memorie e a dargli forma. Gli ho chiesto di mostrarmi la mia vita attraverso gli occhi di un premio Pulitzer".
Poche righe dopo Agassi descrive i mesi passati a registrare e poi tutto il lavoro di trascrizione e di controllo delle date, dei nomi, di ogni dettaglio.
Insomma, stupirsi perché Agassi sappia scrivere fa davvero sorridere - lo si sottolinea anche nel sottotitolo Che romanziere questo tennista - come stupirsi che si senta la mano di Moehringer e che tuttavia il punto di vista sia di Agassi!
E poi: mondo croccante che diavolo significa?