Gli integralisti sembrano avere qualche problema con le soluzioni di compromesso. Non che le rifiutino del tutto: basta considerare per esempio la legge 40 sulla procreazione assistita. Si tratta di un compromesso iniquo, pesantemente spostato da una parte, certo, ma pur sempre di un compromesso, visto che per il magistero ecclesiastico praticamente tutte le tecniche di fecondazione artificiale sono moralmente inammissibili, e non solo la fecondazione eterologa o la diagnosi preimpianto. Eppure nella percezione comune – è qui il problema di cui parlavo all’inizio – la legge 40 è espressione fedele di quel magistero, sì che probabilmente nell’opinione di molti la fecondazione in vitro, a certe condizioni, è del tutto coerente con gli insegnamenti della Chiesa cattolica.
I motivi di questa credenza diffusa non sono chiarissimi. È probabile che in parte vadano addebitati all’esito referendario, che ha rappresentato (ed è stato rappresentato come) una vittoria netta dei clericali; da questo a ritenere che anche i contenuti della legge oggetto del referendum fossero del tutto in linea con i dettami della Chiesa il passo è abbastanza naturale. Ovviamente non sono mancate le precisazioni sull’autentica dottrina cattolica in materia; ma spesso sono apparse un po’ troppo sommesse, quasi non si volesse rovinare la vittoria ottenuta mostrando di aver concesso qualcosa. E questa è forse un’altra causa dell’equivoco: chi pensa di possedere una verità assoluta ha spesso più difficoltà ad ammettere di essere sceso in qualche modo a patti con il nemico ideologico.
Qualcosa di relativamente simile sta avvenendo con la pillola abortiva. La posizione integralista coerente sarebbe naturalmente quella di rifiutare in toto ogni tecnica abortiva; ma questo non è politicamente possibile nel presente momento storico, e così l’opzione che è stata scelta è stata quella di insistere sull’incompatibilità della RU-486 con la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, e sulla presunta maggiore pericolosità dell’aborto farmacologico rispetto a quello chirurgico.
Ovviamente nessuno potrà mai pensare che le gerarchie ecclesiastiche siano a favore della legge 194 o che raccomandino l’aborto per aspirazione; in questo la situazione è diversa rispetto a quella della procreazione assistita. Ma non c’è dubbio che l’artiglieria retorica messa in campo a favore dell’adesione strettissima alla lettera della legge sull’aborto sia talvolta così possente da far apparire la 194 come una luminosa conquista di civiltà, sì da causare alla fine le smarrite rimostranze dei duri e puri.
Anche certe comparazioni fra l’aborto farmacologico e quello chirurgico (in particolare realizzato con l’aspirazione, il cosiddetto metodo Karman) sembrano a volte uscite dalla penna di qualche propagandista pro-choice degli anni ’70. Penso ad alcune pagine del libro di Assuntina Morresi ed Eugenia Roccella dedicato alle presunte nefandezze della RU-486; ma sono posizioni che tendono a diffondersi. Qualche giorno fa un commentatore antiabortista sosteneva qui su Bioetica che «l’aborto chirurgico […] non è affatto “invasivo e doloroso” come si vuol far credere perché avviene in anestesia totale», dimenticando che esiste anche il dolore post-operatorio.
Un esempio un po’ estremo si trova sul Foglio di due giorni fa («La Ru486 non offre vantaggi. Anzi sì, aumenta gli aborti facili», 1 dicembre 2009, p. 2), dove Roberto Volpi sostiene che, al contrario della pillola abortiva, «il metodo Karman non ha mai ucciso alcuna donna». Che l’aborto per aspirazione sia uno dei trattamenti sanitari più sicuri al mondo è vero, ma un’affermazione così recisa mostra subito di essere poco fondata: non esistono purtroppo metodi chirurgici esenti da rischio. Sarebbero bastati a Volpi cinque minuti su MedLine per trovare ad esempio l’articolo di P.C. Jeppson et al., «Multivalvular Bacterial Endocarditis After Suction Curettage Abortion» (Obstetrics & Gynecology 112, 2008, pp. 452-55), in cui si descrive un caso fatale (e rarissimo, è bene precisare) di endocardite batterica insorta in seguito a un aborto chirurgico per aspirazione.
Non si tratta purtroppo dell’unico decesso: negli Stati Uniti, per esempio, il tasso di mortalità per aborto legale fino ad 8 settimane di gestazione è stato nel periodo 1988-1997 di 1 su 1.000.000 (L.A. Bartlett et al., «Risk Factors for Legal Induced Abortion-Related Mortality in the United States», Obstetrics & Gynecology 103, 2004, pp. 729-37), e la maggioranza di questi aborti viene effettuata per aspirazione; non ho dati analitici, ma è estremamente improbabile che tutte le morti siano da addebitare ad altri metodi chirurgici (all’epoca negli Usa l’aborto farmacologico ancora non era stato approvato dagli organismi competenti).
Per fare un paragone, in Francia dal 1993 ad oggi la RU-486 è stata usata, in associazione con il misoprostolo e seguendo le indicazioni raccomandate dalla casa produttrice (cosa che purtroppo non è accaduta altrove), su circa 1.000.000 di pazienti, in massima parte entro la 7ª settimana di gestazione, con un unico decesso, di cui peraltro non si sa nulla (del dossier inviato qualche mese fa dalla casa produttrice alla nostra Agenzia del Farmaco si è rivelato – contravvenendo all’impegno di riservatezza – solo quel poco che poteva servire alla propaganda integralista).
L’aborto chirurgico per aspirazione e quello farmacologico, se effettuati correttamente, hanno una pericolosità (bassissima) molto probabilmente comparabile. Entrambi possono comportare effetti collaterali e complicanze, anche se in generale l’aborto chirurgico è più ‘comodo’ da gestire, per il tempo minore della sua durata e perché l’anestesia generale è più efficace nel sopprimere i dolori dell’intervento di quanto non lo siano gli analgesici che può essere necessario assumere nell’aborto farmacologico. La RU-486, oltre ad essere il metodo ideale per chi non può o non vuole affrontare un intervento chirurgico, ha un vantaggio fondamentale: potenzialmente è in grado di sottrarre l’aborto legale all’arbitrio degli obiettori di coscienza, che stanno rendendo sempre più difficile ottenerlo in questo paese. Ed è questo che gli integralisti di ogni risma vogliono impedire con ogni mezzo; se serve, persino con la propaganda unilaterale a favore di altri metodi abortivi.
giovedì 3 dicembre 2009
Quando l’antiabortista fa propaganda pro-aborto
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1 commento:
"Gli integralisti sembrano avere qualche problema con le soluzioni di compromesso".
Non sono gli unici, anch'io. O forse questo mi mette automaticamente nel campo "integralista"-qualcosa, anche se ovviamnente non integralista-cattolico. Beh, pazienza... :-)
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