martedì 29 ottobre 2013

A year of magical thinking leads to… unintended pregnancy

Qualitative Study Explores Women's Perceptions of Pregnancy Risk

In-depth interviews with 49 women obtaining abortions in the United States found that most of the study participants perceived themselves to be at low risk of becoming pregnant at the time that it happened. According to "Perceptions of Susceptibility to Pregnancy Among U.S. Women Obtaining Abortions," by Lori Frohwirth of the Guttmacher Institute et al., the most common reasons women gave for thinking they were at low risk of pregnancy included a perception of invulnerability, a belief that they were infertile, self-described inattention to the possibility of pregnancy and a belief that they were protected by their (often incorrect) use of a contraceptive method. Most participants gave more than one response.
The most common reason women gave for their perceived low risk of pregnancy was perceived invulnerability to pregnancy. Study participants understood that pregnancy could happen, but for reasons they couldn't explain, thought they were immune or safe from pregnancy at the time they engaged in unprotected sex. One reported that she "always had good luck," while another said, "…It's like you believe something so much, like 'I just really don't want children,' [and] for some reason, I thought that would prevent me from getting pregnant." This type of magical thinking—that pregnancy somehow would not happen despite acknowledged exposure—suggests a disconnect between the actual risk of pregnancy incurred by an average couple who does not use contraceptives (85% risk of pregnancy over the course of a year) and a woman's efforts to protect herself from unintended pregnancy.
Equal proportions (one-third) of respondents thought they or their partners were sterile, said the possibility of pregnancy "never crossed my mind" and reported that (often incorrect) contraceptive use was the reason they thought they were at low risk. Perceptions of infertility were not based on medical advice, but rather on past experiences (e.g., the respondent had unprotected sex and didn't get pregnant) or family history. Among those who thought they were protected by their contraceptive method, most women reported inconsistent or incorrect method use. For example, one woman felt a few missed pills did not put her at risk: "I just thought…they were like magic. If I missed it one day, it wouldn't really matter."
Guttmacher Institute.

Rebecca Gomperts: Abortion pills safer than penicillin

The Dutch physician Rebecca Gomperts says abortion pills are safe and recognised by the World Health Organization as life-saving medicines.
Dr Gomperts is a women's rights activist from the Netherlands. In 1999 she founded Women on Waves, allowing women living in countries with strict abortion laws to have a termination by boarding a clinic ship which would sail into neutral waters where Dutch laws would apply.
But she has encountered strong opposition from pro-life groups and governments - including facing down warships when her yacht approached Portugal.
More recently her organisation has been sending abortion pills directly to women wishing to terminate a pregnancy.
BBCNews.

giovedì 17 ottobre 2013

Legge contro l’omofobia: una galleria degli orrori /4

Basta la parola
Dopo aver esaminato nella prima parte di questa serie il modo in cui la lettera della proposta di legge contro l’omofobia è stata in qualche caso alterata, e nella seconda e terza alcune delle interpretazioni aberranti che ne sono state date, è tempo di passare agli errori più generali che sono alla base della violenta reazione integralista alla proposta di legge Scalfarotto.
Iniziamo dal blog Orarel, in cui poche settimane fa Massimo Zambelli così commentava, in occasione delle note dichiarazioni di Guido Barilla («Omofobia», 27 settembre 2013):

Omo-fobia. Stanno facendo una legge basata su un errore linguistico e concettuale, tipico di chi confonde la realtà delle cose inventandosi il terzo sesso, o eliminando padre e madre, o imponendo uguaglianze nel matrimonio (da “mater”) che non esistono... Omofobia non vuol dire “odio per l’omosessuale” ma semmai “paura dell’omosessualità”. E da quando in qua una paura diventa reato? Stanno imponendo un regime liberticida e questo episodio di Barilla ne è l’ennesimo antipasto.
Si tratta, come si vede, dell’ennesima riproposizione della fallacia etimologica, cioè dell’argomento erroneo secondo cui il «vero» significato di una parola, quello in cui dovrebbe essere sempre usata, coinciderebbe con il suo significato «originale» o con il significato «originale» delle parole che la compongono. Così, la parola matrimonio si deve usare solo se a sposarsi c’è una mater, cioè una donna; il termine laico deve indicare solo una persona battezzata che non appartiene alla gerarchia ecclesiastica; etc. Spesso – come in questo caso – la fallacia si spinge addirittura oltre: non solo si afferma che le parole devono essere usate secondo il loro significato originario, ma anche che gli oggetti che esse designano possiedono in realtà tutte e sole le caratteristiche indicate dall’etimologia. Per esempio, sembra dire Zambelli, gli omofobi non odiano gli omosessuali, ma ne hanno soltanto timore; ed è rimasto celebre il caso del tizio che voleva dimostrare che la logica non è altro che un gioco di parole, perché la parola logica viene dal greco logos, che significa appunto (tra le altre cose) «parola».
Tutto ciò è naturalmente in contrasto assoluto con quello che la più banale ragionevolezza prescrive: non confondere le cose con le parole che le designano, e usare il linguaggio in accordo con le finalità che ci poniamo. Così, se ci vogliamo far capire dal prossimo – la funzione di gran lunga più comune della lingua – dovremo usare le parole nel loro significato corrente; se teniamo alle forme tenderemo a privilegiare un uso più puristico (e quindi finché sarà possibile, per esempio, non impiegheremo «piuttosto che» come congiunzione, anche contro l’uso sempre più diffuso che se ne fa); se abbiamo una finalità estetica scriveremo poesie in cui le parole sono usate magari più per il loro suono che per il loro significato corrente; se vogliamo farci capire solo da qualcuno e non da altri useremo un codice in cui le parole hanno un significato segreto che non coincide con quello solito; infine, se vogliamo indagare le origini delle parole, ne studieremo l’etimologia. Come si vede, non si nega né si «confonde» in questo modo nessuna realtà; semplicemente, invece di farci dettare del tutto arbitrariamente da un aspetto particolare (o anche generale) della realtà un fine contrario ai nostri bisogni, traiamo da essa i mezzi per soddisfare dei fini che rimangono però umani ed autonomi. Che è poi quello che fanno anche coloro che ricorrono alla fallacia etimologica: non li vedrete mai parlare usando esclusivamente i significati originali delle parole (finirebbero diritti in un reparto psichiatrico); questa gente usa l’etimologia solo quando conferma le sue ideologie preferite. Non si sente nessuno, tranne forse qualche misogino estremo, dire che il patrimonio (da pater) deve essere esclusivo appannaggio dei maschi, o che laico è chi appartiene al popolo (secondo l’etimologia greca, che precede quella latina; e chissà cosa significava la relativa radice nel proto-indoeuropeo).

Tutto ciò è in fondo abbastanza scontato, e non valeva forse la pena di scriverci sopra un post, se non fosse per il fatto che troviamo qui esemplificato un passaggio estremamente diffuso nel pensiero cattolico: quello che va da una natura delle cose ritenuta per vari motivi più «profonda» ed «essenziale» (come l’etimologia, o la finalità procreativa degli atti sessuali) a una prescrizione immotivata e assurda («si devono usare le parole nel significato originale!»; «non si devono compiere atti sessuali tra persone dello stesso sesso!»), che tuttavia l’integralista spesso difende accusando bizzarramente chi non la pensa allo stesso modo di «negare» o «confondere» la realtà delle cose («avete commesso un errore linguistico»; «volete negare che i bambini nascano da un uomo e da una donna»). I difensori della cosiddetta «legge naturale» usano questa logica pervertita – anche se in genere non sono tanto ingenui da farsi cogliere a usare fallacie troppo evidenti, come quella di cui abbiamo parlato qui: la fallacia naturalistica imperversa, quella etimologica è riservata a chi è di bocca particolarmente buona.

(4 - continua)

martedì 8 ottobre 2013

Nobel


Non riuscirò mai a capire l’importanza spropositata che si concede alle preferenze di un pugno di distinti ma semi-sconosciuti e con ogni probabilità non tutti supremamente brillanti soci di accademie scandinave, che una volta all’anno sembrano quasi diventare nell’opinione generale il canale attraverso cui passa un giudizio divino. Anche quando li si rimprovera di aver sbagliato (e succede spesso), è come se si separasse l’importanza del premio dalle persone di coloro che lo assegnano: che errore, si lamentano i critici, aver dato un premio tanto importante a Tizio, che non lo meritava! Ma come fa un premio a essere più importante della sua giuria? Cosa può mai rappresentare questo premio, al di là dell’approvazione solennemente certificata dell’esimio Professor Sven Svensson e colleghi? In ballo ci sono anche un bel po’ di soldi, d’accordo, ma non credo che la spiegazione sia così cinica. Non riesco proprio a capire.

lunedì 7 ottobre 2013

Legge contro l’omofobia: una galleria degli orrori /3

Pietra batte Carta
Proseguendo, dopo la seconda parte, nell’esame delle interpretazioni errate della proposta di legge contro l’omofobia, ci imbattiamo in quello che rappresenta il cuore delle obiezioni integraliste alla futura norma: il timore che, una volta approvata la legge, possa divenire un reato anche il semplice obiettare al matrimonio tra omosessuali; l’estensione della legge Mancino sarebbe insomma maliziosamente propedeutica – una volta imbavagliata l’opposizione – a una futura legge sulle nozze gay.
C’è anche chi si spinge più in là, come Paola Binetti, che sulla Nuova Bussola QuotidianaSi rischia di creare un reato di opinione», 18 luglio 2013) così argomenta:

Potrebbe ad esempio apparire come reato, in quanto giudicato segno e sintomo di omofobia, l’opporsi al matrimonio gay o alla adozione da parte delle coppie gay, cosa particolarmente rilevante se si tiene conto che proprio in questo momento al Senato si stanno discutendo questi disegni di legge. L’approvazione della legge in materia di “Discriminazioni motivate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere” limiterebbe la possibilità di discussione, perché il rischio di una potenziale incriminazione potrebbe essere tutt’altro che remoto, in potenziale contraddizione con l’art. 68 della stessa Costituzione, che afferma: “I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”.
La citazione dell’articolo 68 non lascia adito a dubbi: per la Binetti, a essere intimiditi sarebbero potenzialmente i membri stessi delle Camere; basterebbero un’opinione espressa durante i lavori parlamentari o un voto palese contro il matrimonio gay per ritrovarsi con il collo esposto alla mannaia della neomodificata Legge Mancino.
C’è però un piccolo problema: come osserva la stessa Binetti, un’interpretazione siffatta delle disposizioni di legge sarebbe incostituzionale. L’art. 68 della Costituzione può avere qualche punto dibattuto (lo vedremo tra poco), ma su una cosa è chiarissimo: opinioni e voti espresse e dati dai membri delle Camere nelle aule parlamentari sono insindacabili, come lo è ogni altra attività «di divulgazione, di critica e di denuncia politica, connessa alla funzione di parlamentare, espletata anche fuori del Parlamento» (legge 20 giugno 2003, n. 140, art. 3 c. 1), e in ogni caso l’azione dei magistrati è limitata da precise salvaguardie per il parlamentare. Per quanto creative possano essere le interpretazioni della legge date dal perfido magistrato laicista-massone-comunista di turno, ben difficilmente questi potrà avere l’improntitudine di leggere «nero» là dove c’è scritto «bianco»; e se per assurdo l’avesse, non avrebbe comunque bisogno della giustificazione di una semplice legge ordinaria. Si può poi facilmente immaginare l’esito di una simile iniziativa, e forse anche il destino personale di chi la prendesse.
Sembra quasi che per la Binetti la proposta di legge sull’omofobia possa divenire, una volta approvata, misteriosamente superiore alla Costituzione, che rimarrebbe per qualche motivo sospesa e priva di efficacia. Credo proprio che questo sia concedere un po’ troppo alle capacità di legislatore dell’onorevole Scalfarotto...

Di queste considerazioni di diritto spicciolo sembra consapevole un altro critico della proposta di legge, Mauro Ronco – il che non sorprende, visto che è professore ordinario di Diritto Penale all’Università di Padova. Scrive infatti Ronco, sempre sulla Nuova Bussola QuotidianaLegge contro l’omofobia è una violazione della libertà», 9 luglio):
La portata della norma è difficilmente percepibile da chi non sia esperto di cose giuridiche. Per esemplificarne il senso va detto che, alla stregua di tale proposta, potrebbero essere sottoposti a processo, in quanto incitanti a commettere atti di discriminazione per motivi di identità sessuale, tutti coloro che sollecitassero i parlamentari della Repubblica a non introdurre nella legislazione il “matrimonio” gay e, ancor più, tutti coloro che proponessero di escludere la facoltà di adottare un bambino a coppie omosessuali. […] Una campagna di opinione organizzata affinché i parlamentari si opponessero al “matrimonio” gay, costituirebbe, pertanto, incitamento a commettere atti di discriminazione penalmente punibili.
Come si vede, a differenza della Binetti, per Ronco a essere in pericolo non sarebbero i parlamentari (coperti dall’art. 68), ma chiunque li «incitasse» a non approvare il matrimonio tra omosessuali. A prima vista questo sembrerebbe un po’ paradossale: se il voto di un parlamentare non costituisce mai reato, come è possibile incriminare qualcuno per avere incitato lo stesso parlamentare a votare in un certo modo? In realtà il paradosso potrebbe essere solo apparente: nella giurisprudenza recente c’è una chiara tendenza a interpretare l’art. 68 come una causa di esclusione della punibilità del parlamentare, e non come una qualificazione di liceità del fatto; quest’ultimo rimane un reato, e anche se il membro del Parlamento non può essere punito per averlo commesso, chiunque altro vi concorra può subirne le conseguenze in sede penale o civile (cfr. Ugo Adamo, «La prerogativa dell’insindacabilità parlamentare ex art. 68 Cost. come causa soggettiva di esclusione della punibilità», Rivista dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, 2 luglio 2010).
Proseguendo, è importante capire cosa Mauro Ronco non sta dicendo. Anche se la proposta di legge sull’omofobia venisse approvata, non per questo diverrebbe un reato negare il matrimonio a una coppia di omosessuali. Gli articoli del Codice Civile che specificano che il matrimonio può avvenire solo tra un uomo e una donna non verrebbero abrogati dalla nuova versione della Legge Mancino: questa non parla per nulla di nozze, e l’idea che possa incidere sul Codice Civile è chiaramente estranea all’intenzione del legislatore. Se capisco bene, ciò che Ronco teme piuttosto è che qualcuno possa interpretare le nuove disposizioni di legge come se costituissero una metanorma, una norma cioè che disciplina altre norme. Più in particolare, in base alla nuova legge gli articoli in questione del Codice Civile potrebbero essere considerati come una norma discriminatrice, che sarebbe dovere del legislatore eliminare; venire meno a questo supposto obbligo di fare – sempre se capisco bene – potrebbe configurare insomma per qualche magistrato un reato omissivo.
Ci sono qui alcuni punti che mi lasciano perplesso; ma io sono un giurista della domenica, mentre Ronco insegna Diritto Penale all’università. Non mi avventurerò dunque in tentativi di confutazione, che lascio semmai ai più esperti di me. Non posso fare a meno di notare, tuttavia, che la futura legge sull’omofobia, se verrà approvata, sarà come tutte le leggi modificabile o abrogabile da una norma di pari grado (è vero che la Legge Mancino – o meglio la legge 13 ottobre 1975, n. 654, che la Mancino ha modificato e integrato – attua un trattato internazionale, ma solo per le parti riguardanti la discriminazione razziale ed etnica). Dato e non concesso che sollecitare «i parlamentari della Repubblica a non introdurre nella legislazione il “matrimonio” gay» possa essere considerato da qualcuno un reato, sarebbe per contro impossibile incriminare i fautori di una campagna di opinione che sollecitasse le Camere ad escludere per esempio l’applicabilità delle norme contro l’omofobia a questioni matrimoniali tramite una apposita legge di interpretazione autentica, come condizione dichiarata per non essere «costrette» a introdurre il matrimonio gay. La distinzione può apparire pedantesca, ma è la stessa distinzione che passa fra l’incitare il Parlamento ad approvare una legge incostituzionale (anche se questo – significativamente – non mi pare che costituisca un reato) e l’incitarlo a modificare la Costituzione allo scopo di approvare poi quella stessa identica legge. Per ripetere una massima lapidaria di Gustavo Zagrebelsky (Il sistema delle fonti del diritto, Torino 1991, p. 40), «la legge anteriore non può sottrarsi alla forza abrogativa delle leggi successive»; opporsi alle nozze gay non sarà mai illegale, ma solo sempre incivile.
È vero che qualche tempo fa qualcuno ha preteso che si perseguisse penalmente chi chiedeva solo di modificare una certa legge; ma la minaccia è stata accolta con indifferenza o, al massimo, un po’ di scherno. No, non si trattava di laicisti desiderosi di imbavagliare i poveri cattolici, ma di qualche integralista e clericale che aveva tentato di intimidire gli animatori di una campagna a favore dell’eutanasia (cfr. il mio «Se parlare di eutanasia è reato», Bioetica, 11 novembre 2010, e il post pressoché contemporaneo di Alessandro Gilioli, «Semplicemente fascisti», Piovono rane, 11 novembre 2010). Scommetto che adesso sono lì a torcersi le mani per la «gravissima minaccia» alla loro libertà di parola...

(3 - continua)

mercoledì 2 ottobre 2013

Assalto al Mulino Bianco


“Sacrale”, “tradizionale”, “classica”: sono questi i tre aggettivi usati da Guido Barilla per descrivere la sua famiglia ideale, ovvero una famiglia vuota di contenuti.
Quei tre aggettivi, infatti, non hanno alcun significato se non in un contesto temporale e storico e, in virtù della loro dipendenza, non sono intrinsecamente né buoni né cattivi.
La tradizione è un’abitudine che nel tempo è durata, è stata tramandata, ma non è detto che sia qualcosa da rivendicare e di cui andare fieri. Il tempo di per sé non è garanzia di nulla. Ci sono molti esempi di tradizioni odiose e moralmente ripugnanti: la schiavitù, il razzismo, l’esposizione del lenzuolo dopo la prima notte di nozze a testimonianza dell’illibatezza della sposa, la castità come condizione necessaria di un quanto mai vago “rispetto”. Se vogliamo rimanere nel dominio della famiglia non bisogna nemmeno andare molto indietro nel tempo per trovare tradizioni disgustose: il matrimonio riparatore, cioè la possibilità di estinguere l’abuso sessuale con le nozze, la dote, il reato di adulterio per la moglie e di abbandono del tetto coniugale, l’attenuante dell’onore nei delitti cosiddetti passionali.
Tradizioni tutte indigene, incardinate in un codice penale aggrappato a una società fortemente ingiusta e patriarcale, con la benedizione del fascismo e della sua idea di nucleo familiare e sacralità dei doveri domestici, i cui principi andati sono ancora oggetto di rimpianto per qualcuno.
Considerazioni simili si potrebbero fare per “sacrale” e “classica”.
Ma il più bello deve ancora arrivare. Barilla infatti, incalzato dai conduttori de La Zanzara, dice massì facessero quello che vogliono [gli omosessuali], però «senza disturbare gli altri». Che è un concetto o superfluo o bizzarro. Buttato lì somiglia terribilmente a quei discorsi delle zie beghine rivolti a qualsiasi gruppo “estraneo” al proprio angusto panorama (per etnia, nascita, o per appartenenza a una città diversa da quella del proprio nipote che è tanto un caro ragazzo): «Che vengano pure in casa mia, basta che si lavino».
Mi viene in mente un giudice di pace statunitense che, rifiutandosi di celebrare un matrimonio tra una donna e un uomo di etnie diverse, si giustificò scivolando ancora più in basso: «Mica sono razzista io, ho tanti amici [ricorda qualcosa?] neri e vengono a casa mia e usano il mio bagno». Il tipo si chiamava Keith Bardwell. Era il 2009, mica il 1950. Ma il matrimonio no, fossi matto, chissà poi cosa succede ai bambini – stesso “argomento” di Barilla e di molti contro le adozioni gay e la genitorialità senza discriminazione.
Che Barilla pensi quello che vuole – ovviamente – ma ciò che è sorprendente è l’aver candidamente elencato abbastanza aggettivi da far innervosire moltissime persone. E far innervosire moltissime persone non è una geniale scelta di marketing. Nel giro di poche ore si sono moltiplicate le iniziative di boicottaggio, il cui effetto è per ora difficile da valutare anche se è verosimile pensare che nessun presidente aziendale consiglierebbe una strada del genere. Ingenuità? Un calcolo sbagliato? Ci vorrebbe un mago per capirlo, così come ci vorrebbe un allenato interprete di auspici per capire perché ha accettato di essere intervistato in quel contesto in cui – ormai lo sanno tutti – il minimo che può capitarti è di dire idiozie. Se non sei abbastanza sfortunato o di malumore per avere voglia di spaccare una sedia in testa al tuo interlocutore.
Soprattutto in un momento come questo, in cui ancora non si è sopito il clamore sollevato dalla discussione sulla legge sull’omofobia, sull’emendamento e sul subemendamento. Quel clamore in cui tutti hanno sentito l’urgenza improrogabile di intervenire, anche prima di leggere il testo, anche prima di capire, anche senza avere intrinsecamente la capacità di capire.
La parola d’ordine è: riempire un silenzio necessario. E allora, forse, anche Barilla è caduto in questa trappola – da lui stesso costruita eh, mica è una povera vittima di un complotto ordito alle sue spalle. Comunque Barilla è a favore del matrimonio, magari non entusiasta («facessero quello che vogliono»), tuttavia più avanzato di tanti altri. L’adozione no, non esageriamo, che poi lui è padre e conosce le complessità già da padre etero. Non aggiungiamo ulteriori complicazioni. Quali sarebbero le complessità da padre non etero rimane un mistero.
Peggio degli insensati aggettivi di Guido Barilla? Le sue scuse tardive – «sono stato malinteso», «volevo semplicemente sottolineare la centralità del ruolo della donna all’interno della famiglia» (come?!) – e chi lo difende, come il Moige – che è a favore della famiglia “naturale”, altro nonsense galattico – e Eugenia Roccella, secondo la quale Barilla è addirittura coraggioso nel difendere la famiglia “formata da un uomo e una donna”, come se qualcuno la stia minacciando. Come se l’uguaglianza fosse rischiosa. Il punto dolente, infatti, non è avere «un’idea del matrimonio diversa da quella dei militanti gay» ma ricordarsi che il matrimonio in Italia è discriminatorio. Se tutti potessero sposarsi, sarebbe quasi divertente ascoltare queste farneticazioni da finti tonti. Circondati come siamo da disparità e ingiustizia, è un po’ più facile prenderli sul serio. Ma è comunque un errore gravissimo, come quando rispondiamo a uno che parla nel sonno.

Il Secolo XIX, 27 settembre 2013.

venerdì 27 settembre 2013

Legge contro l’omofobia: una galleria degli orrori /2

Quei privilegiati dei perseguitati
Abbiamo visto nella prima parte un esempio di come la lettera stessa della proposta di legge contro l’omofobia possa venire stravolta. Ma naturalmente sono gli errori di interpretazione delle disposizioni della legge a essere più frequenti. Uno in particolare sembra estremamente frequente, anche se è difficile capire come una incomprensione così grossolana abbia potuto diffondersi in questo modo. Ne troviamo un primo esempio nel blog di Assuntina Morresi («Papa Francesco, legge omofobia», Stranocristiano, 20 settembre 2013):

L’aggravante accettata [dai deputati], all’interno della legge Mancino, […] è un’aggravante legata a qualsiasi reato penale contro un omosessuale, non solo quelli di violenza (il pugno o l’insulto). Per esempio: io truffo un omosessuale? Si applica un’aggravante. Io scippo un omosessuale? Si applica un’aggravante. E così via.
L’aggravante di cui si parla è quella in forza della quale – se fosse approvata la proposta di legge di cui ci stiamo occupando – verrebbe aumentata fino alla metà la pena per i reati «fondati sull’omofobia o transfobia». Pare di capire che per la Morresi l’aggravante scatterebbe ogni qual volta la vittima è un omosessuale («qualsiasi reato penale contro un omosessuale»). Un’interpretazione identica a questa sembra anche quella espressa da Piero Ostellino («Gli errori della legge anti omofobia», Corriere della Sera, 3 agosto, p. 49):
non riesco a capire perché picchiare un omosessuale sarebbe un’aggravante, mentre picchiare me – che sono «solo» un essere umano senza particolari, selettive e distintive, qualificazioni sessuali – sarebbe meno grave.
Ancora, questo sembra essere il pensiero di una vecchia conoscenza dei lettori di Bioetica (Berlicche, commento a id., «Facciamolo!», Berlicche, 20 settembre, 10:19):
l’aggravante che la sinistra ha introdotto […] vuol dire che i giudici potranno perseguire autonomamente, senza denuncia, qualsiasi comportamento ritenuto omofobo, cosa di cui manca perlatro la definizione. Inoltre vuol dire anche che l’omofobia è una aggravante generica che può essere usata su ogni reato. Rubi ad un omosessuale? Hai l’aggravante. Litighi con un omosessuale? Hai l’aggravante. Di fatto gli omosessuali diventano cittadini di serie A, gli altri di serie B.
(In questo caso l’interpretazione della legge è particolarmente farraginosa: l’aggravante non si applicherebbe affatto a «qualsiasi comportamento ritenuto omofobo» ma solo ai reati già oggi previsti dal codice.)
Infine, già in passato, durante la scorsa legislatura, in occasione della discussione di una proposta di legge simile a quella odierna, avevano dato questa interpretazione dell’aggravante sia Carlo Lottieri sia Marcello Veneziani (cfr. su questo blog il mio «Carlo Lottieri e l’omofobia», 21 maggio 2011).

Inutile dire che la legge in discussione propone tutt’altro: a ricevere una pena aumentata non sarebbero affatto tutti i reati commessi a danno di omosessuali e transessuali, ma solo quelli motivati dall’odio contro gli omosessuali e i transessuali (per cui l’aggravante potrebbe benissimo venire inflitta a un omofobo che avesse commesso un reato contro un eterosessuale in quanto lo riteneva erroneamente omosessuale). È assolutamente ovvio che non c’è dunque nessun «privilegio» a favore degli omosessuali: chi truffa un omosessuale o lo scippa solo per ottenerne un illecito guadagno, chi lo picchia per una questione di precedenza stradale è trattato allo stesso modo di chi commette gli identici crimini contro un eterosessuale. E va notato che gli omosessuali, in media, sono vittime di reati non motivati dall’odio omofobico nella stessa misura degli eterosessuali; i reati omofobici si aggiungono a questi. Altro che «cittadini di serie A»!

Per concludere, è bene chiarire – anche se non ce ne dovrebbe essere bisogno – che i motivi di chi commette un reato hanno rilevanza penale solo in quanto e nella misura in cui si traducono in comportamenti osservabili e in seguito dimostrabili in base a concreti elementi di prova di fronte a un giudice. Non c’è dunque nessuno spazio per l’obiezione contenuta in un «manifesto» di Alleanza Cattolica («Unioni di fatto e omofobia: cinque punti fermi», Roma, 17 giugno 2013):
La previsione di nuovi reati o aggravanti di questo tipo è rischiosa per la libertà dei cittadini, poiché impone uno scandaglio dei moventi intimi, talora inconsci, che stanno alla base delle azioni umane.
Ben difficilmente si potrebbe parlare di «moventi intimi» o «inconsci» per chi, ad esempio, prendesse a sprangate una coppia di ragazze omosessuali gridando «Morte alle lesbiche!»; tali saranno i casi che cadranno nel raggio d’azione della legge, se sarà approvata. Ciò che risulta particolarmente incomprensibile è che poche righe più sopra, in questo pensoso manifesto, si sostenga che una legge è comunque inutile, dato che «il nostro ordinamento punisce già, senza distinzioni, ogni aggressione all’integrità della persona e alla sua sfera morale, e in più contiene le aggravanti dei “motivi abietti” e del profittare delle condizioni di debolezza della vittima». A quanto pare ai motivi abietti non si applica l’obiezione dell’intimità, a differenza dei motivi fondati sull’omofobia; viene quasi da chiedersi se è proprio vero che per gli estensori del manifesto i secondi siano interamente compresi nei primi, come proclamano. A volte i «motivi inconsci» fanno strani scherzi...

(2 - continua)

sabato 21 settembre 2013

Le leggi modificate dalla proposta di legge Scalfarotto

È forse utile riportare per esteso i testi delle leggi modificate dalla proposta di legge n. 245, così come apparirebbero se il Senato approvasse la norma senza ulteriori modifiche. (Il punto di partenza è il testo della proposta di legge uscito dalla Commissione, seguito dagli emendamenti approvati dall’Assemblea; il testo vigente delle leggi modificate si trova sul sito del Governo. In corsivo le parti aggiunte.)


Modifiche alla legge 13 ottobre 1975, n. 654, e successive modificazioni

Art. 3

1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, anche ai fini dell’attuazione della disposizione dell’articolo 4 della convenzione, è punito:
a) con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o fondati sull’omofobia o transfobia;
b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o fondati sull’omofobia o transfobia.

2. …

3. È vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o fondati sull’omofobia o transfobia. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell’assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da uno a sei anni.

4. Ai sensi della presente legge, non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, la libera espressione e manifestazione di convincimenti od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, purché non istighino all’odio o alla violenza, né le condotte conformi al diritto vigente ovvero anche se assunte all’interno di organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione ovvero di religione o di culto, relative all’attuazione dei principi e dei valori di rilevanza costituzionale che connotano tali organizzazioni.


Modifiche al decreto legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito dalla legge 25 giugno 1993, n. 205 (cd. «Legge Mancino»), e successive modificazioni

Art. 3

1. Per i reati punibili con pena diversa da quella dell’ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale, religioso o fondati sull’omofobia o transfobia, ovvero al fine di agevolare l’attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità, la pena è aumentata fino alla metà.

venerdì 20 settembre 2013

Legge contro l’omofobia: una galleria degli orrori /1

Fin dal giorno in cui è stata presentata alla Camera, il 15 marzo 2013, la proposta di legge n. 245 di Scalfarotto ed altri sul «contrasto dell’omofobia e della transfobia» ha suscitato nel mondo integralista reazioni violentissime. Si è imputato alla futura norma di essere liberticida, in particolare perché – a detta dei critici – avrebbe trasformato in reato l’espressione dei tradizionali giudizi cattolici sull’innaturalità delle relazioni omosessuali e l’opposizione della Chiesa al matrimonio tra persone omosessuali. Si sono prospettate conseguenze apocalittiche; si sono promosse petizioni angosciate; si sono scritti articoli infuocati. Tanta virulenza non è nuova; ciò che in parte è nuovo è la sbalorditiva inconsistenza degli argomenti addotti a sostegno di accuse tanto spropositate – nelle rare occasioni in cui ci si preoccupati di addurre argomenti, e non di enunciare tesi apodittiche. Parzialmente inedita è stata anche l’intensità del sentimento vittimistico e della sindrome di accerchiamento che si sono percepiti in molti integralisti. Come definire questo atteggiamento? Isteria di massa? Paranoia religiosa? Moral panic? Complottismo? Quali sono le sue cause? Abbozzare ipotesi non è facile; per il momento, accontentiamoci di esaminare alcuni casi rappresentativi di questa peculiare reazione.

La norma che non c’è
L’autore del blog De libero arbitrio, Claudio LXXXI, ha dedicato tre degli ultimi otto post alle proposta di legge Scalfarotto («Parallele convergenti dentro una sfera troppo laica», 4 agosto; «Psicoreato», 16 agosto; «Omo-Matrix», 11 settembre); in coda a un altro post (che meriterebbe un commento a parte) c’è un ulteriore riferimento alla legge («Pari e dispari», 24 agosto). Un post su due, in media, dunque. Segno palese di un interesse profondo. Che implicherebbe una conoscenza adeguata del progetto di legge di cui si parla; tanto più che Claudio è – uso parole sue – un «giurist[a]», un «tecnic[o] della materia». Ecco però qual è per il blogger il testo della proposta di legge Scalfarotto («Omo-Matrix», cit.):

La proposta di legge cd. Scalfarotto-Leone intende inserire […] nell’art. 1 del decreto legge 26 aprile 1993, n. 122 la seguente norma:
«è punito con la reclusione sino a 3 anni chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate sull’omofobia o transfobia».
Queste parole, a quanto sembra, non sono di Claudio, che le trae da un video di Youtube di autore ignoto; ma Claudio le fa palesemente sue, senza aggiungervi o correggervi nulla.

Peccato però che la proposta di legge Scafarotto non contenga affatto la norma citata. Nella forma in cui è approdata nell’aula della Camera (e che aveva nel momento in cui Claudio scriveva), propone tra le altre cose di modificare l’art. 3, comma 1, lettera a) della legge 13 ottobre 1975, n. 654 e successive modificazioni con il seguente testo:
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, anche ai fini dell’attuazione della disposizione dell’articolo 4 della convenzione, è punito con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi o fondati sull’omofobia o transfobia.
La proposta di legge originaria era in questo punto quasi identica:
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, anche ai fini dell’attuazione dell’articolo 4 della convenzione, è punito con la reclusione fino a un anno e sei mesi chiunque, in qualsiasi modo, diffonde idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o motivati dall’identità sessuale della vittima.
La proposta di legge distingue quindi nettamente in questo comma due fattispecie di reato: la prima è la propaganda di idee, ma solo di quelle «fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico»; le idee fondate sulla superiorità (o persino sull’odio) nazionale o religiosa o sull’omofobia o la transfobia non costituiscono reato (almeno, non per la Legge Mancino). I motivi nazionali o religiosi o fondati sull’omofobia o la transfobia entrano in gioco solo nella seconda fattispecie, cioè l’istigazione a commettere o la commissione di atti di discriminazione. In pratica: se Giovanni va in giro a propagandare (non semplicemente a esprimere!) l’idea che i bianchi sono superiori per intelligenza ai neri, o che agli Ebrei sono da addebitare tutti i mali del mondo, commette un reato; ma se diffonde alacremente scritti in cui argomenta la superiorità della nazione italica su tutte le altre, o in cui ripete il tradizionale insegnamento cattolico extra ecclesiam nulla salus, o in cui sostiene che le famiglie eterosessuali sono incomparabilmente più felici di quelle omosessuali, nessun reato gli potrà essere imputato in base alla Legge Mancino, neppure se sarà approvata la proposta di legge Scalfarotto. Sarà invece punibile se, per esempio, rifiuta di servire un cliente del suo bar solo perché non è italiano o perché è protestante o perché omosessuale, o se istiga qualcun altro a commettere analoghi atti di discriminazione, o peggio (lettera successiva dello stesso comma) atti di violenza. È importante notare come si possa benissimo essere convinti della superiorità della propria nazione, fede od orientamento sessuale senza che questo spinga necessariamente a commettere atti discriminatori nei confronti degli altri.

Come si vede, la norma protegge con estrema chiarezza la mera espressione di idee, in accordo con l’esplicita intenzione del legislatore; uno dei relatori, Antonio Leone, infatti così argomentava nel suo intervento durante la seduta in Assemblea del 5 agosto:
Volutamente non si è voluto toccare la fattispecie alla propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico. Si è ritenuto che incidere anche su questa fattispecie avrebbe potuto comportare il rischio di formulare un reato di opinione.
Di tutto ciò Claudio sembra essere rimasto all’oscuro, o – interpretazione più benevola – sembra essersi presto dimenticato; il che è un po’ strano: da uno che considera una norma come un «pretesto per introdurre lo psicoreato» ci si aspetterebbe un’attenzione leggermente meno erratica. La cosa divertente è che nel corso della discussione seguita all’ultimo post il nostro blogger argomenta così:
È lecito esprimere qualunque opinione sul colore della pelle? Finché rimane un’opinione (cioè finché non è propedeutica ad atti concreti di discriminazione razziale), dovrebbe esserlo.
Ora, se sostituiamo opportunamente alcuni termini con altri, otteniamo la seguente riflessione:
È lecito esprimere qualunque opinione sull’orientamento sessuale? Finché rimane un’opinione (cioè finché non è propedeutica ad atti concreti di discriminazione fondata sull’omofobia), dovrebbe esserlo.
Il che è esattamente quello che implica la proposta di legge Scalfarotto.

Non dubito che Claudio saprà trovare altri motivi di critica alla proposta di legge contro l’omofobia (che è lungi dall’essere soddisfacente anche per molti che la pensano in modo opposto al suo); ma si spera che siano fondati, la prossima volta, su una conoscenza meno affrettata della legge e delle sue implicazioni.

(1 - continua)

domenica 15 settembre 2013

Legge 194: gli aborti diminuiscono mentre gli obiettori aumentano


Il 13 settembre 2013 il Ministero della Salute ha trasmesso al Parlamento la Relazione annuale sull’applicazione della Legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza. I dati preliminari riguardano il 2012, quelli definitivi il 2011. Dalla Relazione emerge una fotografia che è ormai familiare: da un lato diminuiscono le interruzioni di gravidanza, dall’altro aumentano gli operatori sanitari obiettori di coscienza.

La diminuzione appare più netta se il termine di paragone è il 1982, anno in cui è stato registrato il numero più alto di IVG: 234.801, con un decremento del 54,9%. Il tasso di abortività, cioè il numero di IVG per 1.000 donne tra i 15 e i 49 anni, nel 2012 è di 7,8 per 1.000, un decremento dell’1,8% rispetto al 2011 e del 54,7% rispetto al 1982. È uno dei valori più bassi dei paesi industrializzati. Dal 1983 la diminuzione del ricorso alla IVG è stata continua e relativa a tutti i gruppi di età, minorenni comprese. Diminuiscono anche le interruzioni ripetute e quelle dopo i primi 90 giorni (quante donne vanno all’estero, soprattutto per gli aborti tardivi, e non compaiono in questi numeri?). Le donne straniere costituiscono un terzo delle IVG totali, ma la diminuzione si comincia a osservare anche in questo dominio. Volgendo l’attenzione all’obiezione di coscienza, regolata dall’articolo 9 della legge 194, si osserva, invece, il fenomeno opposto: i numeri aumentano.

La 27esima Ora, 15 settembre 2013.

giovedì 29 agosto 2013

Stefano Cucchi e gli altri



L’aula bunker di Rebibbia è uno stanzone rettangolare. Ci sono le panche di legno al centro, le sedie ai lati - due file a destra, due file a sinistra -, le gabbie sulle pareti lunghe, le porte verdi.
Un lato corto è occupato da un banco con su la scritta “La legge è uguale per tutti” e dietro una decina di sedie nere. A sinistra c’è la porta da cui usciranno la presidente della terza sezione della Corte d’Assise e i suoi collaboratori. L’altro lato corto, in fondo, ospita un piano rialzato riservato al pubblico, di solito parenti e amici - come le gallerie nei vecchi cinema.
È pomeriggio, fa caldo, aspettiamo. Sembra che la sentenza sia attesa in tempo per i tg della sera. Nell’attesa non c’è niente da fare. Ci sono diversi giornalisti, gli avvocati, gli imputati e la famiglia Cucchi. Dopo l’impatto iniziale, non si riesce a rimanere seri e contriti troppo a lungo; il clima, per chi attende senza essere troppo coinvolto emotivamente, è più quello da ricreazione. Si scherza, si ride, si passeggia su e giù. È normale, è la tensione, è l’attesa. Fa caldo e non c’è niente da fare. Vado al bar che pare essere sopravvissuto agli anni settanta. I tavolini tondi con una tovaglia di plastica verde e quattro sedie di plastica bianca ciascuno, come quelle in un giardinetto di periferia. Il bancone è di alluminio e di legno, mentre accanto c’è un tavolo con piatti e tazze e dei bigliettini con il prezzo. Sembra un mercatino o una vendita improvvisata da ragazzini in un torrido pomeriggio estivo. Le luci al neon. Non c’è nessuno, o almeno all’inizio non vedo nessuno ma decido di chiedere - come nei film dell’orrore - “c’è qualcuno?”. Sbuca una signora, compro una bottiglietta d’acqua. Torno nell’aula dopo essere passata per una stanza con la targa “Testimoni” e un’altra con “Corte di Assise. Aula B”. Ogni parete, ogni sedia, tavolo o armadio è di uno squallore da stiva di traghetto.
Aspettiamo.
Un paio di volte sembra che stia per succedere qualcosa, ma l’eccitazione si spegne subito. Poi finalmente la Corte entra. Subito dopo la lettura della condanna, i giudici tornano nella stanza da dove sono venuti, molte persone gridano, alcune battono le mani, si alzano, si baciano, si abbracciano. I giornalisti si muovono verso la famiglia di Stefano Cucchi. Intanto dal fondo cresce un brusio e si mischia al rumore disordinato di passi. Gli imputati non condannati escono dall’aula, circondati - soffocati - da familiari e amici. Si sente gridare. “Assassini!”.
Mi avvicino alla balaustra oltre la quale si agitano una trentina di persone. Per qualche secondo le guardie fanno fatica a mantenere l’ordine, la sorella di Giuseppe Uva si sbraccia e grida. Continuerà a gridare fino alla fine. Fuori dall’aula, al telefono, alle persone che la circondano. Torno indietro e al centro c’è un capannello fatto di teste, microfoni, telecamere, luci. Alcuni cominciano a uscire. Sento dire a una voce sprezzante “Uvetta”, mi giro e vedo una toga nera - deve essere l’avvocato di qualcuno, non so di chi.
La madre di Stefano Cucchi è circondata da microfoni e videocamere. “Mio figlio è stato recluso per sei giorni, è uscito massacrato. Non è stato nessuno? Fino a poco fa avevo fiducia nella giustizia che invece non è stata capace di fare ammenda a se stessa. Mio figlio è morto di giustizia. Me l’hanno ucciso due volte”.

Il Mucchio Selvaggio, luglio 2013.

giovedì 27 giugno 2013

Dimmi come reagisci e ti dirò chi sei

Nella giornata storica in cui la Corte Suprema degli Stati Uniti ha giudicato incostituzionale il Defense of Marriage Act (DOMA), stabilendo che i matrimoni gay contratti negli stati americani in cui sono permessi devono avere valore per il governo federale anche negli stati in cui non sono previsti dalle leggi (e con una seconda decisione ha reso di nuovo legali i matrimoni omosessuali in California), può essere istruttivo andare a vedere cosa scrive un tipico sito integralista italiano. Andiamo quindi sul sito dell’UCCR, l’Unione Cristiani Cattolici Razionali, un vero e proprio focolaio di pregiudizio e ignoranza. L’UCCR non commenta direttamente l’avvenimento, ma sceglie invece di dedicare un post («Olanda: dopo le nozze gay legalizzata anche al poligamia», 26 giugno 2013) a una notizia vecchia di quasi 8 anni, che in una prima versione del post veniva presentata come risalente al mese scorso (vedi i primi commenti al post, che è stato successivamente corretto).

In Olanda, il primo Paese a legalizzare i matrimoni gay e tra i luoghi più gay-friendly al mondo, non potendo più frenare l’ipocrisia, si è dovuta legalizzare la poligamia come previsto, riconoscendo ufficialmente il primo caso di poligamia “legale” in Europa nel settembre del 2005. Victor de Brujin (46 anni) ha “sposato” sia Bianca (31 ani) che Mirjan (35 anni) in una cerimonia davanti a un notaio che ha registrato la loro unione civile.
Quella che l’UCCR chiama «unione civile» (in olandese Geregistreerd partnerschap), cioè un’unione fra due persone che prevede diritti e doveri simili a quelli del matrimonio, è stata in realtà un Samenlevingscontract, un «contratto di convivenza», che stabilisce obblighi reciproci normalmente non opponibili a terzi, una forma di regolamentazione leggera delle unioni di fatto che nei Paesi Bassi predata di diversi anni l’unione civile (per maggiori dettagli si può consultare il sito del governo olandese). Parlare di «legalizzazione della poligamia» è quindi largamente esagerato, mancando qui sia la legalizzazione (nessun potere dello Stato è intervenuto a modificare o reinterpretare la legge esistente) sia la poligamia – il matrimonio fra più di due persone – in senso stretto. Quello che rimane è ciò che dovrebbe già essere legale in qualsiasi paese autenticamente liberale: una relazione sessuale fra adulti consenzienti e la regolazione privata di rapporti patrimoniali (in Italia, per la verità, un contratto di questo genere potrebbe probabilmente essere considerato contrario al buon costume, cfr. gli artt. 1343 e 1354 del codice civile).
Al di là di queste imprecisioni, che in fondo denotano solo una certa sciatteria (benché alquanto tendenziosa), il post costituisce un classico esempio della notissima fallacia del piano inclinato. Siamo di fronte a un vero e proprio gioco delle tre carte intellettuale: si fa occhieggiare qualcosa di atroce – la poligamia, l’incesto, la pedofilia legalizzati! (o il matrimonio con il Muro di Berlino, come paventa oggi con raro sprezzo del ridicolo La nuova bussola quotidiana) – poi, con un’abile torsione delle mani, si proclama: «Ecco, signore e signori, questa sarebbe la conseguenza inevitabile e automatica della tale innovazione normativa!». Ma c’è qualcosa che non si trova più, che non sta nel posto in cui credevamo dovesse stare: se bestialità, poligamia e oggettofilia sono davvero così spaventose, perché mai questa loro inaccettabilità non dovrebbe essere presa in considerazione e valutata, e in ultima analisi, se confermata, costituire un ostacolo fatale alla legalizzazione di questi rapporti? Prendiamo il caso in questione, la poligamia: in che cosa sarebbe inaccettabile? La risposta più comune mette l’indice sulla disuguaglianza fra i coniugi che così si introdurrebbe – anche se a dire il vero questo sembra riguardare solo la forma islamica dell’istituto. Potremmo aggiungere una presumibile maggiore litigiosità nei rapporti; o forse, all’opposto, un rafforzamento di strutture claniche che non gioverebbero al nostro assetto sociale. Tutto ciò è discutibile, naturalmente; ma non si vede perché non dovrebbe essere debitamente discusso prima di consentire questa innovazione. A meno che non si sostenga che è tutto un complotto laicista-massonico per distruggere la famiglia tradizionale, e che non ci si fermerà di fronte a nessuna conseguenza; ma così si abbandona la discussione razionale per il delirio paranoide – e non è una mossa molto astuta.

Ma proseguiamo nella lettura del post dell’UCCR:
Come ha spiegato il criminologo Alessandro Benedetti, il Consiglio d’Europa attraverso l’Unar (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, istituito all’interno del Dipartimento per le Pari Opportunità), nell’intento di combattere la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale o l’identità di genere ha invitato gli Stati membri ad abrogare «qualsiasi legislazione discriminatoria ai sensi della quale sia considerato reato penale il rapporto sessuale tra adulti consenzienti dello stesso sesso, ivi comprese le disposizioni che stabiliscono una distinzione tra l’età del consenso per gli atti sessuali tra persone dello stesso sesso e tra eterosessuali» (art. 18). Ecco dunque che anche la pedofilia (o comunque il rapporto sessuale con un minore consenziente) comincia a fare sempre più capolino nelle società gay-friendly, poiché – ha spiegato l’avvocato – «se il criterio per considerare lecito e normale – e pertanto generatore di diritti – qualsiasi tipo di unione sessuale ed affettiva è la libertà ed il libero consenso delle parti, dopo aver sdoganato penalmente e quindi culturalmente i rapporti tra maggiorenni e minori anche di anni 14, si passerà a sdoganare l’incesto (che già oggi è reato solo in caso di pubblico scandalo: art. 564 cod.pen.) e la poligamia ed a richiedere per entrambi il riconoscimento giuridico con relativi diritti».
Per capire bene cosa vuole dire l’avvocato Benedetti andiamo a leggere direttamente il suo articolo («Il “trucco” dell’Europa per legalizzare pedofilia e incesto», Il sussidiario.net, 19 maggio 2013):
Un altro aspetto che lascia sgomenti è il fatto che nella Raccomandazione del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa si trova l’invito agli Stati membri ad abrogare “qualsiasi legislazione discriminatoria ai sensi della quale sia considerato reato penale il rapporto sessuale tra adulti consenzienti dello stesso sesso, ivi comprese le disposizioni che stabiliscono una distinzione tra l’età del consenso per gli atti sessuali tra persone dello stesso sesso e tra eterosessuali” (art. 18). Ora, secondo il nostro ordinamento (art. 606 quater codice penale), l’età del consenso (fissato in Italia a 14 anni) è la determinazione dell’età minima per disporre validamente della propria libertà sessuale e vi sono alcune condotte per le quali è dirimente il suo raggiungimento al fine di configurare o meno una condotta penalmente rilevante:
  • minore di 13 anni: il consenso non viene considerato valido, indipendentemente dall’età dell’autore dei fatti;
  • tra i 13 e i 14 anni: il consenso non è ancora considerato pienamente valido, ma esiste una causa di non punibilità nel caso in cui gli atti sessuali vengono compiuti consenzientemente con un minore di 18 anni, purché la differenza di età tra i due soggetti non sia superiore a tre anni;
  • tra i 14 e i 16 anni: viene considerato validamente espresso il consenso, salvo che l’autore dei fatti sia l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore ovvero conviva con il minore, o che il minore gli sia stato affidato per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza o custodia;
  • tra i 16 e i 18 anni: viene considerato validamente espresso il consenso, salvo che il fatto venga compiuto con abuso di potere relativo alla propria posizione da una delle figure citate nel punto precedente.
La ratio della legge e di tutta la relativa giurisprudenza è pertanto quella secondo cui al di sotto di una certa soglia d’età minima (14 anni) “la violenza (da parte del maggiorenne) è presunta in quanto la persona offesa è considerata immatura ed incapace di disporre consapevolmente del proprio corpo a fini sessuali”.
Ora la Raccomandazione auspica l’azzeramento di ogni distinzione d’età – in Italia come negli altri Paesi – col grave rischio di considerare domani lecite condotte oggi costituenti reato in un progressivo scivolamento culturale e giuridico verso il basso.
Per l’avvocato Benedetti, dunque (e per l’UCCR, che ne tracanna con voluttà ogni parola), il Consiglio d’Europa ci starebbe chiedendo di abrogare tutte quelle fini distinzioni di età che regolano il consenso dei minori agli atti sessuali. Ma quale sarebbe l’esito finale di questa abrogazione? E con quale criterio dovremmo uniformare, esattamente, la materia? Qui l’avvocato, mi pare, deve aver percepito che qualcosa non tornava, perché sembra di cogliere una certa esitazione nelle sue parole: se davvero l’Europa ci chiedesse di sdoganare in pieno «penalmente e quindi culturalmente i rapporti tra maggiorenni e minori anche di anni 14», ci si aspetterebbe da parte dell’autore una reazione assai più veeemente del semplice «sgomento». Se l’avvocato Benedetti avesse riflettuto un minuto in più sull’evidente assurdità della sua interpretazione, sarebbe stato magari indotto a rileggere con più attenzione il testo della Raccomandazione. Facciamolo noi per lui: l’Europa ci chiede di abrogare ogni «distinzione tra l’età del consenso per gli atti sessuali tra persone dello stesso sesso e tra eterosessuali». Benedetti ha letto come se il testo avesse di mira ogni distinzione tra l’età del consenso per gli atti sessuali tra persone dello stesso sesso e in più ogni distinzione tra l’età del consenso per gli atti sessuali tra eterosessuali. Ma la lettera e il buon senso ci dicono che l’obiettivo è invece ogni norma che differenzi l’età del consenso tra omosessuali dall’età del consenso richiesta per gli eterosessuali; distinzione che rimane ormai solo in poche giurisdizioni, e che è assente in Italia. (L’UCCR sembra credere, in più, che attualmente in Italia sia vietato in ogni caso «il rapporto sessuale con un minore consenziente», o che faccia solo ora «capolino» nelle «società gay-friendly»: è un’idea molto diffusa tra le persone meno informate.)

Mi pare che una tendenza cominci a delinearsi chiaramente. Sfidando la pazienza del lettore, vorrei proporre un ultimo esempio, questa volta da un altro sito, Orarel, anch’esso integralista, anche se distante dalla tenebra ottusa dell’UCCR. Ecco come l’autore in parte commentava la notizia di ieri («Love is Love», 26 giugno):
Se l’amore è amore […] perché dire no all’incesto? Il film Esterno sera ci prova, anche se la prende alla larga, tra cugini. La regista Barbara Rossi Prudente afferma: “Nel film racconto un amore tra cugini in maniera molto casta. Ma è considerato un rapporto incestuoso e in Italia fa ancora paura parlare di queste cose… È una storia sconveniente, ma un amore così può nascere”.
L’autore (e a quanto pare anche la regista) sembra ignorare che in Italia le nozze tra cugini sono perfettamente legittime per il Codice Civile; non lo sono invece per il diritto canonico, che comunque prevede la possibilità di una particolare dispensa. Ma attribuire la cosa a una recentissima tendenza culturale, piuttosto che a un codice vecchio di decenni, è certo più funzionale alla costruzione di un immaginario pericolo incombente.

Gli integralisti, in conclusione, sono come quei disgraziati che si aggirano nelle discariche del Terzo Mondo, e che riempiono le loro sporte con quello che capita: un frutto mezzo marcio, il carillon che suona ormai una sola nota, una bambola spelacchiata; una vecchia fallacia, un fatto di incerta consistenza, l’articolo apparso su una rivista di dubbia reputazione, la conclusione affrettata del primo che passa; tutto viene afferrato con mani avide e rimesso in circolazione in qualche miserabile mercatino. Sono poveri – poveri culturalmente e intellettualmente, dopo che la loro cultura è rimasta asfaltata dalla modernità, dopo che i più brillanti sono da tempo passati all’altra parte; non riescono quasi più ad articolare le complesse distinzioni di una volta, a colpi di cause finali e sostanza e accidente. Da qui le grottesche semplificazioni odierne, con l’embrione persona fin dal concepimento o il matrimonio destinato esclusivamente alla procreazione. Da qui l’attaccarsi a ogni assurdità che sembri lì per lì tornare utile alla causa. Possono farci paura per un minuto, come la teppaglia di petainisti e vandeani che ha imbrattato per un po’ le strade di Parigi; ma mi chiedo se non ci strapperanno, alla fine della giornata, quando avranno perso tutto per sempre, un moto furtivo di compassione.

venerdì 21 giugno 2013

Ospedali fuorilegge


L’applicazione della legge 194 non è garantita e in moltissimi ospedali non si eseguono interruzioni volontarie di gravidanza, nonostante non esista la possibilità dell’obiezione di struttura.

L’articolo 9 della legge sull’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) specifica chiaramente che il servizio debba essere garantito e che ogni struttura sia obbligata a offrirlo. Nonostante questo, moltissime strutture ignorano tale obbligo e a nessuno sembra interessare.
LAIGA – La Laiga è la Libera associazione italiana ginecologi per l’applicazione della legge 194/1978. Il suo intento è di garantire i diritti delle donne e quelli degli operatori della 194. I dati che hanno raccolto sul numero di obiettori di coscienza sono diversi dai numeri ufficiali, presentati dal Ministero della Salute nella relazione annuale sull’applicazione della 194. Sono numeri impressionanti, raccolti tra mille difficoltà e che ci rimandano una fotografia drammatica del fenomeno. Mi faccio raccontare da Anna Pompili, ginecologa della Laiga, quali ostacoli hanno incontrato e che cosa implicano numeri tanto alti.
NON CI SONO I REPARTI IVG – “I dati ufficiali del Ministero sono già drammatici: 7 ginecologi su 10 sono obiettori di coscienza e quindi non garantiscono il servizio IVG. Ma il quadro è ancora più drammatico di così, i numeri sono più alti e in molte strutture manca proprio il reparto di IVG”. Non solo: il primo ostacolo è stato il reperimento. La Laiga ha incontrato mille difficoltà nell’avere una risposta sui numeri degli obiettori in ciascuna struttura, dato ben più utile della generica percentuale regionale se vuoi decidere a quale struttura rivolgerti e calcolare dove il servizio dovrebbe essere garantito meglio. “I dati presentati dalla relazione ministeriale – continua Pompili – non corrispondevano alla nostra sensazione di operatori. Abbiamo allora cercato di capire. Rintracciare i numeri per struttura è stato impossibile. La scusa è stata: si tratta di dati sensibili. Naturalmente non volevamo sapere i nomi degli operatori sanitari, ma soltanto il numero di obiettori in modo da valutare il funzionamento del servizio IVG”. Si tratta di dati sensibili è stata la risposta dell’Istat e quella delle direzioni sanitarie. “Abbiamo chiamato ospedale per ospedale, ma è stato altrettanto inutile”.
LA FORMAZIONE – La Laiga allora ha raccolto i dati con uno sforzo capillare e “ufficioso”. “Chiedendo ai nostri colleghi, uno per uno – mi racconta Pompili. Ecco il risultato. Primo: c’è un dato non considerato dalla relazione parlamentare, ovvero che un gran numero di ospedali sembra ignorare l’esistenza della legge. Nel Lazio, in 10 ospedali su 31 non esiste il servizio IVG. In Lombardia, in 37 su 64. La cosa più grave è che il Sant’Andrea di Roma, per esempio, è un ospedale universitario. Disattende il dettato della legge non solo per l’articolo 9 – e pretendendo l’obiezione di struttura – ma anche l’articolo 15, cioè quello sulla formazione dei giovani medici”. Il Sant’Andrea non insegna cioè ai futuri ginecologi né la legge né la pratica medica. Questo significa che gli specializzandi e i futuri medici non sapranno come ci si comporta di fronte a un aborto, nemmeno agli aborti spontanei. “Si usa una tecnica vecchia invece che l’isterosuzione. Siccome è identificata come tecnica per l’IVG non viene usata, è stigmatizzata anche la procedura medica. E allora si ricorre al raschiamento, che è una modalità più invasiva e aggressiva, e gravata da complicazioni”.

venerdì 7 giugno 2013

“Questo matrimonio non s’ha da sciogliere. Anche se lui adesso è una lei”

Il signor A e la signora B si sposano. Poi il signor A decide di cambiare sesso e diventa la signora A. Per legge il loro matrimonio deve finire, anche contro la loro volontà. Parliamo in esclusiva con uno dei loro avvocati difensori.

INCOSTITUZIONALE SCIOGLIERE UN MATRIMONIO? – La prima sezione civile della Cassazione, con l’ordinanza n. 14329/2013, ha sollevato ieri il dubbio di costituzionalità riguardo allo scioglimento automatico e obbligato di un’unione in seguito al cambiamento di sesso. Nell’ordinanza gli atti vengono rinviati alla Corte Costituzionale, con la richiesta di controllare la legittimità di alcuni articoli della legge sulla rettificazione di attribuzione di sesso (164/1982). Non è forse ingiusto imporre un divorzio? Non è forse il consenso il fondamento matrimoniale? La legge sembra essere brutale e pornografica, intromettendosi in questo modo nell’intimità familiare.
I CONIUGI – Il signor A e la signora B si sposano alcuni anni fa. Qualche tempo dopo il signor A fa domanda per la riattribuzione di sesso. Alla conclusione del lungo percorso, il tribunale di Bologna nel 2009 dispone la rettifica e annota a margine dell’atto di matrimonio: “là dove è scritto “maschile” ad indicare il sesso del nato debba leggersi ed intendersi “femminile” e là dove è scritto “Signor A” ad indicare il nome debba leggersi “Signora A”, pertanto il Signor A […] ha assunto il nuovo prenome di Signora A”.
EFFETTO COLLATERALE – La sentenza del tribunale produce però anche, ai sensi dell’articolo 4 della legge 164 del 1982 (“La sentenza di rettificazione […] provoca lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito religioso”), la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Impone, in altre parole, la fine del vincolo matrimoniale anche se i coniugi, come in questo caso, non hanno alcuna intenzione di scioglierlo. Inizia così la loro battaglia per difendere il loro matrimonio che le ha portate fin qui.

giovedì 30 maggio 2013

La minaccia OGM


Nell’intervento di Adriano Zaccagnini alla Camera dei Deputati “Contro gli OGM”, si agitano i soliti fantasmi contro gli organismi geneticamente modificati (OGM). Questi fantasmi si radicano un po’ in un pigro tradizionalismo, un po’ nell’ignoranza, un po’ in un’ostinata e generica nostalgia per il bel tempo che fu. Quando parlo di ignoranza penso sempre ai “pomodori senza geni”: in una delle rilevazioni sulla conoscenza delle biotecnologie, condotte qualche anno fa da Observa, il 28% degli intervistati rispose che è vero che “i comuni pomodori non contengono geni mentre quelli geneticamente modificati sì” (cui va aggiunto il 19,5% che non sapeva). E i geni, si sa, sono molto pericolosi. Quasi il 45% ha risposto poi che “gli animali geneticamente modificati sono sempre più grandi di quelli comuni” – e un animale più grande in genere fa più paura, è più minaccioso. Questo è più o meno il contesto in cui nasce e viene nutrito il sospetto verso gli OGM, cullato da allucinazioni “biologiche” a chilometro zero.

Giornalettismo.

mercoledì 29 maggio 2013

Famiglie SMA


Da stamattina, mercoledì 29 maggio, alle 10 in punto, per 10 giorni parte un tamtam nella rete firmato Famiglie SMA. Nel portale dell'associazione dei genitori di bambini e degli adulti con atrofia muscolare spinale, ogni mattina verrà caricato un video diverso. Pochi secondi o pochi minuti per raccontare i sentimenti e il Valore della Vita, mettendo per immagini il titolo del convegno associativo che si svolgerà a Roma dal 21 al 23 giugno, una tre giorni con un programma incalzante che comprende nel suo primo giorno un corso di aggiornamento sulla ricerca scientifica per il personale sanitario, accreditato ECM per operatori del settore medico-chirurgo. Alcuni dei maggiori esperti nazionali e internazionali di Atrofia Muscolare Spinale interverranno sui temi della presa in carico del paziente SMA e della corretta comunicazione della diagnosiA lanciare l'evento, da un'idea di Simona Spinoglio, counselor e delegata per il gruppo piemontese di Famiglie SMA, e per la regia di Ariel Palmer, un esperimento visivo per trasmettere, anche a chi non ha un'esperienza diretta di vicinanza a un bambino affetto da atrofia muscolare spinale, la ricchezza umana di un vissuto unico, difficile ed emozionante come questo. Per dire che mentre la ricerca scientifica continua il percorso verso una cura, in molte famiglie si snoda di minuto in minuto la ricerca quotidiana di gioia nelle piccole cose e nei grandi legami d'amore con i bambini. Che giocano, vanno a scuola, hanno voglia di vivere come e più di tutti gli altri.Dieci piccoli video - cinque mini spot e cinque mini interviste - che mostrano la vita come un albero dove ogni parte è un aspetto fondamentale e unico. Il tronco, le radici, le foglie, i fiori e i frutti. Per ognuna ci sono uno spot e un'intervista.Aiutateci a rimbalzare questi video nella rete, mostriamo a tutti la Vita che c'è nella SMA!In anteprima il primo video: L'ALBERO DELLA VITA: IL PROFUMO DEI FIORI.
Famiglie SMA.

venerdì 17 maggio 2013

Il Minnesota approva la legge sui matrimoni per persone dello stesso sesso, l’Italia resta immobile


Photo by Justin Sullivan/Getty Images

Mentre il Minnesota sta per approvare una legge sui matrimoni senza discriminazioni, Maurizio Sacconi ci mette in guardia sul rischio di sposare il gatto di casa. O quello randagio?

Il Minnesota è vicino all’approvazione di una legge sui matrimoni per persone dello stesso sesso. Sarà il dodicesimo stato degli USA e la parola definitiva sarà detta il prossimo lunedì.
La cosa non dovrebbe nemmeno essere giustificata, piuttosto il contrario.
È una questione di giustizia e di uguaglianza, che non toglierebbe nulla a nessuno. Il divieto, invece, esclude alcune persone dall’accesso ad alcuni diritti in base alle preferenze sessuali: posso sposare Francesco, ma non posso sposare Francesca. A meno che – come di recente è stato stabilito – io non sia un parlamentare e allora ancora non posso sposarmi ma posso usufruire dell’assistenza sanitaria (e quello che non va bene non è che vi siano più diritti, ma che non siano validi per tutti. Cioè che il more uxorio valga solo in un certo luogo e non in un altro).
L’analogia più potente è quella con il divieto di matrimoni interrazziali d’un tempo e con i presunti argomenti di chi vi si opponeva in nome di qualche sacralità da rispettare. Argomenti che oggi si ripetono meccanicamente contro l’uguaglianza e che sono ridicoli. Dalla famiglia “tradizionale” a quella “naturale” il campionario di invocazioni è abbastanza vario, ma sostanzialmente animato dallo stesso scheletro: la discriminazione. Superfluo sottolineare che se io potessi sposare Francesca non minaccerei il tuo matrimonio, né il tuo celibato, né la tua indecisione.

Mentre in Minnesota legiferano sull’uguaglianza, qui in Italia si svolge la “Giornata internazionale della famiglia 2013” (Roma, Palazzo Rospigliosi). Dal sito si può leggere che “La giornata, organizzata dal Forum delle Associazioni Familiari in collaborazione con la Fondazione Roma Terzo Settore, sarà approfondita attraverso l’intervento di numerose personalità provenienti da istituzioni, parti sociali e imprenditoriali sviluppandosi attraverso due momenti di confronto” (il programma completo lo si può scaricare alla fine della pagina).
A leggere chi sono gli organizzatori si ripensa immediatamente al Family Day – quella celebrazione un po’ buffa un po’ surreale della Famiglia con la F, che potrebbe avere come slogan “di Famiglia ce n’è una, tutte le altre son nessuno”, e la Famiglia è quella che dicono loro: moglie geneticamente femmina (XX), marito geneticamente maschio (XY), prole possibilmente numerosa e concepita senza diavolerie tecniche.
E basterebbe guardarsi intorno per rendersi conto della varietà dei modelli familiari e della vacuità del modello unico, manco fosse un odioso balzello.
Più di tanti ricordi e discorsi, a essere sintomatico della palude in cui ci troviamo sono le parole di Maurizio Sacconi, già indimenticabile per le sue dichiarazioni su Eluana Englaro quando era ministro del Welfare, firmatario di un atto che rendeva illegale sospendere la nutrizione artificiale, nonostante la decisione del giudice, e che ha avviato un’indagine per violenza privata.
Sacconi fa anche riferimento all’assicurazione sanitaria tra le mura della Camera dei deputati – “non mi straccio le vesti perché rispetto le relazioni affettive”, ci rassicura. Però – c’è sempre un però – invoca le conseguenze di una decisione del genere al di fuori, ovvero se dovessimo replicare quel modello di uguaglianza anche tra i non deputati, pensione di reversibilità compresa (e tasto dolente sul piano della spesa pubblica).
“La difesa dell’unicità dell’istituto matrimoniale è la difesa del nostro modello sociale”, chiarisce. E questa è l’unica obiezione comprensibile (non giusta, perché sarebbe la giustificazione del mantenimento di una discriminazione, ma almeno si capisce che se apriamo i confini servono più soldi e già di soldi non ce ne sarebbe abbastanza). Ma Sacconi si spinge oltre, affermando che è giusto riconoscere “come dice la carta costituzionale solo la famiglia naturale, la società naturale”.
E questo è davvero semplicistico e forzato, perché presuppone l’interpretazione della famiglia “naturale” come quella che dice lui, l’automatica esclusione delle altre e l’impossibilità di un cambiamento sociale (dell’articolo 29 della Costituzione, che parla di “coniugi” senza nominarne il sesso, si può leggere qui).
Poi ribadisce la necessità che nella dimensione pubblica vi sia una “promozione dei principi etici della tradizione” – e mi piacerebbe sapere a quale tradizione fa riferimento, perché di per sé la tradizione non è né buona né cattiva, ma solo ciò che è accaduto per un certo periodo di tempo. La tradizione a lungo è stato il matrimonio riparatore o l’istituto della dote – di cui non c’è da andare fieri.
In conclusione, dopo un accenno alla famiglia come scheletro del welfare e delle imprese (“modello di capitalismo familiare, che affronta le fatiche dello startup come nessuno mai“), ecco un’amara constatazione di Sacconi, o meglio un avvertimento: “del resto il catalogo (le fattispecie di famiglie possibili, nda) è completo, mancano solo gli animali”.

Fanpage, 16 maggio 2013.