giovedì 29 maggio 2014
mercoledì 28 maggio 2014
Matrimonio e famiglie
Postato da Chiara Lalli alle 09:14 0 commenti
Etichette: Diritti civili, Diritto di famiglia, Famiglie, Matrimonio, Uguaglianza
mercoledì 21 maggio 2014
lunedì 19 maggio 2014
La logica oscura di Gianfranco Amato
Gianfranco Amato, presidente dell’associazione «Giuristi per la Vita» (è lui uno dei due autori della denuncia presentata contro gli insegnanti del Liceo Giulio Cesare di Roma), commenta sulla Nuova Bussola Quotidiana («Anita non può (per natura) avere due mamme», 19 maggio 2014) la lettera aperta che il consigliere comunale di Milano Rosaria Iardino ha indirizzato a Matteo Renzi, esortandolo a risolvere i problemi delle famiglie omogenitoriali. Sembra che ad avere colpito Amato sia stata soprattutto questa frase: «la mia compagna Chiara e la piccola Anita, nostra figlia, concepita attraverso la procreazione medicalmente assistita, sono il mio universo», nonché un’altra dichiarazione rilasciata dalla Iardino al Corriere della Sera («Unioni civili e adozioni. La pd Iardino a Renzi: “Riforme, ora di svegliarsi”», 16 maggio 2014, p. 7):
Loro sono tutto il mio universo, ma agli occhi dell’attuale sistema legislativo, io per la mia piccina non sono nulla […] fortunatamente, le persone sono migliori delle leggi e quindi alla materna, con gli altri genitori, dal medico, io sono trattata come mamma di Anita a tutti gli effetti.Commenta Amato:
l’aspetto che maggiormente emerge da quelle parole è come l’ideologia riesca a prevalere sulla biologia. Come si fa a negare l’evidenza che la piccola Anita sia nata da un gamete maschile ed un gamete femminile? Affermare che i suoi genitori (ossia i soggetti che l’hanno concepita) sono due donne, è un falso scientifico, prima che una follia sotto il profilo razionale. Anita non potrà mai avere due mamme, come sa bene l’ingegnosa burocrazia politicamente corrette che, infatti, ha dovuto coniare i neologismi “genitore 1” e “genitore 2”.Qui, per usare un’espressione un po’ abusata ma efficace, la mente del lettore vacilla. Dove mai avrebbe affermato la Iardino – o anche soltanto sottinteso – che la piccola Anita ha due madri biologiche? Leggendo e rileggendo i due scritti, tutto quello che si riesce a trovare sono l’espressione «nostra figlia» e il desiderio di essere «trattata come mamma di Anita a tutti gli effetti»; ma dare a queste parole il senso iper-letterale che sembra dar loro Amato è un’impresa paragonabile solo a quella di Giufà, che esortato dalla madre a tirarsi «dietro la porta» quando esce, la scardina e se la trascina per il paese. Di fronte a casa mia abita una coppia di coniugi che ha avuto anni fa in affidamento un bambino nato da poco; come capita in questi casi, col tempo il piccolo ha preso a chiamare «mamma» la madre affidataria. La madre naturale si è poi fatta viva, instaurando un rapporto col ragazzino, che si è trovato dunque di fatto ad avere due mamme; mi chiedo cosa avrebbe detto in proposito Gianfranco Amato.
[…] E no, cara Iardino, come recita il titolo della celebre commedia teatrale di Vincenzo Salemme, “Di mamma ce n’è una sola”. È la natura a dirlo non la fede religiosa, e contra factum non valet argumentum.
La cosa più straordinaria è che Amato sta nei fatti implicando che la Iardino sia preda di una chiara ideazione delirante – come definire altrimenti la convinzione che un bambino possa avere due madri biologiche? – oppure che il consigliere comunale abbia tentato la frode del millennio, cercando di far passare l’idea che la figlia abbia due madri biologiche. Eppure sembra che Amato non sia consapevole di queste ovvie implicazioni; non c’è urgenza né una particolare drammaticità nelle sue parole. Uno si aspetterebbe come minimo un’altra denuncia all’autorità giudiziaria: ehi, c’è una bambina affidata a una pazza o a una truffatrice! E invece niente.
Da segnalare, nel seguito dell’articolo, anche quest’altra affermazione:
A proposito, ora pare abbastanza evidente quale sia stato il vero obiettivo che ha indotto la Corte Costituzionale ad eliminare il divieto di fecondazione eterologa: dare figli a coppie come quella di Rosaria e Chiara.Anche qui si rimane perplessi: qual è il nesso tra la decisione della Consulta e le dichiarazioni della Iardino? Al di là della assai relativa coincidenza temporale, non se ne vede nessuno (e comunque rivendicazioni come quelle della Iardino sono state avanzate di frequente negli ultimi anni: la coincidenza non è certo straordinaria). Da notare poi che anche con l’eliminazione del divieto di fecondazione eterologa, le tecniche di procreazione assistita non diventeranno accessibili in Italia alle coppie omosessuali: resta infatti in piedi l’art. 5 della legge 40/2004, che ne limita l’applicazione alle «coppie di maggiorenni di sesso diverso». La successione logica dei pensieri di Gianfranco Amato rimane insomma anche in questo caso tenacemente oscura.
Postato da Giuseppe Regalzi alle 11:23 3 commenti
Etichette: Gianfranco Amato, La Bussola Quotidiana, Omogenitorialità, Rosaria Iardino
sabato 17 maggio 2014
Giuliano Guzzo e l’omofobia
Come celebrare degnamente la Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia, che ricorre oggi, 17 maggio? Giuliano Guzzo – «sociologo, appassionato di bioetica, politica, religione», come si definisce sul suo profilo Twitter – non deve aver avuto dubbi: cercando di svalutare il concetto e di minimizzare il fenomeno dell’omofobia, è ovvio! E si è messo di conseguenza di buona lena all’opera, regalandoci un apposito post («Omofobia, una parola diventata facile accusa», Giuliano Guzzo, 17 maggio 2014).
Dopo il fervorino iniziale sulla tolleranza da dimostrare comunque agli omosessuali, Guzzo entra in argomento:
Detto questo, non si può fare a meno di esprimere riserve sulla scelta politica di isolare le violenze a danno delle persone non eterosessuali, quasi le altre fossero meno gravi, racchiudendole sotto l’ombrello dell’omofobiaOltre all’assurdità dell’insinuazione che assegnando una giornata particolare alla condanna di un fenomeno si vogliano o possano minimizzare altri fenomeni analoghi (come se questi non avessero a loro volta giornate loro dedicate, come la Giornata contro il razzismo, la Giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne o il Giorno della Memoria), è un fatto che la violenza mossa dall’odio verso un gruppo discriminato è effettivamente più grave di una violenza analoga ma generica, in quanto colpisce sproporzionatamente i membri di quel gruppo: le percosse date a un omosessuale in quanto omosessuale non fanno più male delle percosse date per una lite sul parcheggio, ma le prime colpiscono solo gli omosessuali, le seconde chiunque, indifferentemente dall’orientamento sessuale (sulla questione persiste un equivoco duro a morire). Curiosamente, Guzzo sembra invece non avere problemi a impiegare il concetto di «cristianofobia»...
Proseguendo:
chiunque osi non già porre in essere effettivi oltraggi a danno di persone non eterosessuali […] bensì solamente criticare le rivendicazioni politiche di alcune associazioni di omosessuali – dal matrimonio gay alle adozioni per le cosiddette “famiglie omogenitoriali” – viene additato ora come istigatore alla violenza ora come nemico del benessere dei cittadini omosessuali. In entrambi casi, però, si tratta di un inganno: è un inganno apostrofare come omofobi coloro che si oppongono al matrimonio omosessuale dal momento che – da Jean-Pierre Delaume-Myard a Philippe Ariño – sono molti anche gli attivisti omosessuali che la pensano così, ed è un inganno dire che il riconoscimento delle unioni gay determinerebbe felicità per tutti come dimostra il più alto numero di suicidi che si continua a registrare nella popolazione omosessuale in Paesi estremamente gay friendly come l’Olanda o la Danimarca, che pure è stato il primo Paese al mondo ad aver riconosciuto alle coppie omosessuali «tutti i diritti ed i doveri in merito ad eredità, donazioni, pensioni, tasse, obbligo di assistenza reciproca».Per prima cosa, non si vede bene cosa ci sia di sbagliato nell’additare come «nemico del benessere dei cittadini omosessuali» chi si opponga al matrimonio gay: è un fatto ben noto che le persone sposate godono in media di un maggiore benessere fisico e psicologico rispetto a quelle non sposate; un gruppo piccolo ma crescente di studi mostra che simili benefici sono propri anche delle coppie omosessuali sposate (per una rassegna si veda H. Lau e C.Q. Strohm, «The Effects of Legally Recognizing Same-Sex Unions on Health and Well-Being», Law and Inequality: A Journal of Theory and Practice 29, 2011, pp. 107-48; tra gli studi più recenti mi limito a segnalare J.K. Ducharme e M.M. Kollar, «Does the “Marriage Benefit” Extend to Same-Sex Union? Evidence From a Sample of Married Lesbian Couples in Massachusetts», Journal of Homosexuality 59, 2012, pp. 580-91; per la situazione in Danimarca, che sembrava inizialmente indicare un’alta mortalità fra le coppie di omosessuali impegnati in un’unione civile, si veda M. Frisch e J. Simonsen, «Marriage, cohabitation and mortality in Denmark: national cohort study of 6.5 million persons followed for up to three decades (1982–2011)», International Journal of Epidemiology 42, 2013, pp. 559-78, che mostra ora una situazione radicalmente diversa, soprattutto per gli omosessuali maschi).
Guzzo sembra ritenere che ci sia un’incompatibilità fra essere omosessuale ed essere omofobo; evidentemente non ha mai sentito parlare dell’omofobia interiorizzata. Il lettore può valutare da solo quanto questo fenomeno entri in gioco in certe prese di posizione leggendo l’intervista a Philippe Ariño, che per combinazione il settimanale Tempi pubblica proprio oggi (Benedetta Frigerio, «“Io, omosessuale ed ex attivista gay, che vivo secondo quel che insegna la Chiesa. E sono felice”»).
Ancora, Guzzo non ci dice da dove proviene l’affermazione che «il riconoscimento delle unioni gay determinerebbe felicità per tutti»; e neppure potrebbe. Si tratta in realtà di un tipico argomento dell’uomo di paglia. Il riconoscimento delle unioni gay può migliorare la situazione degli omosessuali – e molto probabilmente lo fa, come abbiamo visto più sopra; ma non equivale alla fine di ogni discriminazione, neppure nei paesi più civili. La prova ce la offrono, ironicamente, gli studi che lo stesso Guzzo segnala a supporto di ciò che dice su Olanda e Danimarca. Ron de Graaf e colleghi («Suicidality and Sexual Orientation: Differences Between Men and Women in a General Population-Based Sample From The Netherlands», Archives of Sexual Behavior 35, 2006, pp. 253-62, alle pp. 257-58) hanno trovato che tra gli omosessuali maschi dei Paesi Bassi la discriminazione percepita è associata in modo significativo con tre dei sintomi più gravi precursori del suicidio e con la misura complessiva dell’inclinazione al suicidio (si noti comunque che i dati su cui si basa lo studio sono stati ottenuti nel 1996). Dal canto loro, Robin M. Mathy e colleghi («The association between relationship markers of sexual orientation and suicide: Denmark, 1990–2001», Social Psychiatry and Psychiatric Epidemiology 46, 2011, pp. 111-17, a p. 114) scrivono riguardo alla situazione danese:
Sia lesbiche che gay sperimentano inoltre frequentemente nella loro vita quotidiana il pregiudizio anti-omosessuale e l’avversione che esso comporta, che è il meccanismo presumibile che porta al rischio piuttosto elevato di morbidità psicologica osservato in questa popolazione.(Gli autori segnalano anche correttamente un ulteriore fattore attivo nel periodo considerato, e cioè l’incidenza dell’epidemia di AIDS.)
(Both lesbians and gay men also frequently experience anti-gay stigma and consequent adversity in their daily lives, the presumed mechanism that leads to the somewhat elevated risk for psychological morbidity that has been observed in this population.)
Più avanti Guzzo, riferendosi di nuovo a questi due studi, afferma che «le nozze gay – lo abbiamo visto – non producono alcun apprezzabile aumento di benessere nella popolazione omosessuale». L’affermazione qui è più misurata di quella precedente – ma ugualmente falsa, visto che le due ricerche fotografano la situazione nei rispettivi periodi di tempo (il 1996 e il 1990-2001) senza proporre un’analisi diacronica, che cioè compari un «prima» e un «poi».
(Mi sia permesso di aggiungere una postilla: Guzzo cita articoli e altri riferimenti nelle note in calce, senza aggiungere link, anche quando i materiali sono disponibili in rete; questo dà al post un’apparenza superficiale di serietà accademica, ma costituisce anche un evidente intralcio a controllarne le affermazioni, soprattutto da chi non ha accesso alla letteratura scientifica citata o non ha tempo a sufficienza. In effetti l’intero post non possiede neppure un link esterno; non c’è modo neanche di saltare dal testo alle note e viceversa.)
Andiamo avanti:
secondo quanto emerso da un lavoro comparativo internazionale a cura del prestigioso Pew Research Center, [l’Italia] è addirittura l’ottavo Paese al mondo quanto ad accettazione sociale dell’omosessualità. Posto che anche un solo caso di discriminazione ai danni di qualcuno non è ammissibile, francamente dispiace che i giornali che contano non abbiano riportato questo dato così positivo. E non finisce qui: se osserviamo, sempre con riferimento a questo accurato studio, l’andamento di siffatta tolleranza per gli ultimi anni scopriamo come, mentre in Germania ed in Spagna – Paesi nei quali, in aggiunta alle legali unioni civili e nozze gay, la lotta all’omofobia risulta presente rispettivamente nella Costituzione e nel Codice penale – fra il 2007 ed il 2013 l’apertura verso l’omosessualità è aumentata dal 6%, da noi il fenomeno sia stato ancora maggiore: più 9%Se «i giornali che contano» non hanno riportato il dato «così positivo» dell’Italia ottavo paese al mondo per accettazione al mondo dell’omosessualità, è forse perché questo dato non esiste (anche se così si rischia di dare troppo credito ai giornali italiani...). Se si va infatti a vedere il rapporto del Pew Center (The Global Divide on Homosexuality, 4 giugno 2013), ci si rende subito conto che esso è stato condotto solo su 39 nazioni; ottavi su 39 non è la stessa cosa di ottavi su circa 200 (facendo una rozza proporzione l’Italia sarebbe 40ª al mondo, che suona decisamente meno bene). Inoltre, fra i paesi dell’Europa Occidentale esaminati dal Pew (Spagna, Germania, Francia, Gran Bretagna e appunto Italia) siamo sconsolatamente ultimi. Si noti come l’ambito del rapporto sia specificato nella prima pagina, al secondo paragrafo; è impossibile non accorgersene.
L’aumento del 9% dell’apertura all’omosessualità (misurata in base alle risposte affermative alla domanda «L’omosessualità dovrebbe essere accettata dalla società?», passate in Italia dal 65% al 74% del totale, con i «no» passati dal 23% al 18%, p. 21) tra il 2007 e il 2013 è invece un dato presente nel rapporto; disgraziatamente, esso era stato preceduto, nel periodo 2002-2007, da una diminuzione dal 72% al 65% (con i «no» saliti dal 20% al 23%); in 11 anni siamo tornati grosso modo al punto di prima: un progresso trionfale, non c’è che dire...
Per chi volesse un quadro meno rozzo della condizione omosessuale in Italia, consiglio la lettura del rapporto Istat La popolazione omosessuale nella società italiana, relativo al 2011, da cui apprendiamo (p. 7) che
la maggioranza dei rispondenti (59,1%) ritiene accettabile che un uomo abbia una relazione affettiva e sessuale con un altro uomo (“molto” 27%, “abbastanza” 32,1%) o che una donna abbia una relazione affettiva e sessuale con un’altra donna (59,5%, di cui “molto” 27,4%, “abbastanza” 32,1%). Resta tuttavia un cospicuo 40% di intervistati che la pensa diversamente: in particolare, il 23,5% dei rispondenti considera del tutto inaccettabile una relazione affettiva e sessuale tra due uomini e il 22,1% esprime medesimo parere su una eventuale relazione tra due donne.A p. 4 scopriamo invece che alla domanda «è accettabile che un medico sia omosessuale?» risponde «molto» il 45,7%, «abbastanza» il 26,2%, «poco» il 13,7%, «per niente» il 14,4%. Chissà come risponderebbe Giuliano Guzzo...
Guzzo conclude citando il libro di Tommaso Giartosio, Perché non possiamo non dirci: letteratura, omosessualità, mondo (Milano, Feltrinelli, 2004, p. 82): «le “-fobie” sono solo patologie: e se sei malato non è colpa tua. In questo senso “omofobia” è un eufemismo assolutorio». Ma si tratta dell’ennesima citazione parziale; prosegue Giartosio (il libro ha la forma di una intervista a se stesso):
Allora perché lo usi?L’omofobia è ancora pervasiva, sì; chissà ancora per quanto saremo costretti a usare questa parola, a usare un’accusa che è «facile» solo perché gli omofobi sono ancora tanti, troppi, e tanti – troppi – sono ancora quelli che li giustificano e li difendono.
Perché non dispongo di un termine migliore; e soprattutto perché in molti casi, purtroppo, è una parola adeguata al mondo in cui viviamo. Riflette una realtà in cui spesso il razzismo antigay non è considerato una scelta lucida (e sbagliata), ma una reazione psichica quasi inevitabile entro un dato contesto socioculturale. La scelta della parola, insomma, è in sé una prova di quanto l’omofobia sia ancora pervasiva.
Postato da Giuseppe Regalzi alle 18:06 3 commenti
Etichette: Giuliano Guzzo, Matrimonio omosessuale, Omofobia, Pew Research Center, Philippe Ariño, Tommaso Giartosio
sabato 10 maggio 2014
Di vaccini e di domande insensate

La correlazione tra vaccini e autismo non meriterebbe nemmeno la domanda. Tuttavia continua a essere posta e addirittura a costituire il fondamento per decisioni assurde.
(10 Outrageous Things You May Have Heard About Vaccines).
venerdì 9 maggio 2014
«Aggiornamenti»
Scrive Davide Vannoni ieri sul suo profilo:
Cari amici, Daniele è a casa con 40.000 piastrine. Non riceve una infusione da 14 mesi, perchè i ricorsi e i controricorsi degli spedali civili di brescia costati a tutti noi 1.000.000 di euro hanno rallentato la ripresa delle terapie. L'ultima infusione aveva permesso a Daniele di nutrirsi senza sondino, direttamente con un cucchiaio, mentre poco prima lo stesso ospedale aveva previsto una peg di urgenza non effettuabile a causa dei rischi dell'anestesia.Intanto, visto che le campagne con i cartelli e i culi sono di gran moda.
Daniele è un piccolo al quale siamo tutti affezionati, la prima volta lo trattammo a san marino (gratuitamente) nel 2008. Aveva 20.000 piastrine ed una milza grossa come quella di un adulto. Dopo 20 giorni ne aveva 120.000 ed una milza quasi normalizzata.
La sua storia in questi ultimi 6 anni è stata segnata dagli imbrogli burocratici di uno stato vile fino al midollo.
Dopo l'interruzione delle terapie a Trieste, in cui Daniele continuava a fare progressi evidenti, il presidente Napolitano si fece commuovere dalla sua storia e con l'intervento del ministero della salute gli concesse di riprendere le terapie con staminali, non più quelle di stamina che lo avevano migliorato, ma la solita brodaglia prodotta dal laboratorio Verri del San Gerardo di Monza e approvata dall'Agenzia Italiana del Farmaco. Dopo tre infusioni, la mancanza di effetti ed il ripresentarsi dei peggiormenti portò a sospendere la terapia, abbandonando per la seconda volta Daniele al suo destino.
Fino al 2011 quando, dopo aver avvisato il dr. Casciello del ministero della salute della attività di Stamina a Brescia, costui scrisse all'ospedale chiedendo di prenderlo in cura con la metodica Stamina. Da lì riniziano le speranze ed i miglioramenti, ma anche, dopo il blocco dell'Aifa, le interruzioni e le lotte nei tribunali. Fino all'ordinanza di qualche giorno fa che richiede l'immediata ripresa delle terapie, ma di fronte alla quale dei medici si sono rifiutati, con la compiacenza del loro direttore, di ottemperarla.
Daniele è a casa nell'indifferenza di tutti, quando si creano situazioni così al limite ognuno finisce di pensare solo al proprio orticello dimenticandosi degli altri e cercando un colpevole facile da colpire. Erica la biologa di Stamina ha dato la sua disponibilità ad operare, ma a fronte del fatto che sia indicata direttamente nelle sentenze. Non è una sua scelta, ma del suo avvocato, in questo conflitto tra magistrature una biologa in carcere non servirebbe nè ai pazienti in lista nè a quelli in cura che hanno ottenuto o meno l'ordinanza 669.
Grazie alla generosità di una associazione il conto di Stamina dopo 2 mesi è tornato in attivo (prima era in negativo per 2650 €). Abbiamo ben 740 euro sul conto ed ancora un bel po' di debiti con dipendenti, fornitori, commercialisti e avvocati. In queste condizioni difficilmente saremo in grado di proseguire le cure a Brescia.
Rimangono in piedi una sperimentazione che ha assunto dei contorni grotteschi. Abbiamo appreso che a 6 mesi dalla bocciatura del primo comitato, il ministro Lorenzin non è ancora riuscita a nominare il secondo comitato, sperando che nel frattempo qualcun altro le tolga le castagne dal fuoco, intanto però chiede il voto urgente per lei ed il suo partito alle europee.
Il dott. Belleri dopo 16 morti in lista di attesa a cui sono stati calpestati i diritti e la speranza è stato nominato direttore generale, forse con i prossimi 16 lo faranno ministro della salute.
Il succo di questa storia è questo: diritti negati, politici svenduti, propaganda nera dei giornali e delle televisioni, scienziatucoli pieni di conflitti di interesse contro scienziati veri e curiosi, vigliacchi che confermano i risultati, vengono inquisiti, li ritrattano ed escono miracolosamente dalle indagini.
Il giochetto è sempre lo stesso, ma senza fondi non si fanno cure, non si difendono i diritti e non si riesce ad avere professionisti decenti per raccogliere i risultati ottenuti (visto che i medici degli spedali civili la vera obiezione l'hanno già fatta due anni fa rifiutandosi di valutare i pazienti con esami strumentali, prestando il fianco anche alla loro rovina).
Oggi si premia chi abiura, chi scappa, chi mente, è tipico di queste situazioni e la storia è piena di questi personaggi.
Stamina è ancora qui, il coraggio ce lo mette tutto, ma questo è un elemento che da solo non farà aumentare le piastrine di Daniele.
La Lorenzin continua a mentire ripetendo il vecchio mantra che recita: 'i medici non sanno che cosa infondono'. Balle. Se non lo sanno e perchè non hanno avuto la curiosità e non si sono sentiti in dovere di fare due piani di scale ed andare in laboratorio dove sono presenti le analisi delle cellule prima di ogni infusione (più di 400 schede zeppe di analisi e di certificati di sterilità e di vitalità).
Per il resto la ruota della vita gira e per alcuni ha solo due colori vita e morte. È una condizione tremenda anche solo da immaginare.
In Italia non esiste Stamina senza questa metodica e non esiste la metodica senza Stamina. Oggi più che mai questo risulta evidente.
Alcuni mesi fa si è formata una cooperativa sociale senza fini di lucro, fatta solo da persone malate e da parenti di persone malate (Prostaminalifecooperativa@gmail.com). È una cooperativa indipendente da stamina che si muove autonomamente e cerca uno sbocco estero per poter applicare la metodica Stamina. In loro vedo la possibilità di non far morire questa speranza e di proseguire questo cammino che abbiamo iniziato nel paese sbagliato.
Aiutare e rafforzare Stamina in questa battaglia è una cosa importante che vi chiediamo di fare. Per la prima volta abbiamo un partito (Io Cambio), piccolo e nuovo, che ci rappresenta in lista alle europee e che ha fatto della battaglia di Stamina il centro del suo programma elettorale. Dargli forza può essere un aiuto per tutti quelli che aspettano con speranza e per quelli che si sentono ormai abbattutti e sfiancati da questa lotta senza tregua.
Il passato ci ha d'altronde insegnato che tutti coloro (politici e non) che si sono avvicinati a Stamina lo hanno fatto con intenzioni ed obiettivi diversi dalla tutela dei malati e dalla nostra battaglia. Di sciacalli ne abbiamo già troppi tra i nostri nemici è inutile portarceli anche in casa.
Per tutti costoro ricordo che Stamina ed il Movimento Stamina sono gli unici ad aver operato in favore delle cure, anzi ad averle praticate veramente con tutti i rischi e le aggressioni che ciò ha comportato. Le chiacchere non faranno aumentare le piastrine di Daniele o aiuteranno le altre persone in cura ed in lista di attesa.
Penso anche a tutti quelli che, avendo perso i ricorsi, sono rimasti fuori anche da questo ultimo barlume di speranza. Di loro non parla mai nessuno anzi, vengono portati come trofei dai detrattori di Stamina per dimostrare che esiste una contraddizione a livello giuridico. Eppure sono persone che muoiono e soffrono come gli altri, genitori che si sono visti negare per legge ciò che è stato concesso ai figli di altri.
La legge non è più uguale per tutti, l'unica cosa che ci accomuna è la speranza e in ultimo la morte. Non possiamo più accettare una società dove bisogna morire per avere gli stessi diritti e la stessa dignità giuridica di altri.
Stamina ha migliorato la salute e la vita di molte persone, ha ridato speranza, ha messo in luce gli angoli bui di un sistema marcio, ma soprattutto credo che abbia aperto gli occhi a molti. Perchè se non le mostri le contraddizioni e le storture di questo sistema non vengono mai alla luce e come tarme continuano a erodere quell'esile ramoscello che ci sorregge e che si chiama vita.
martedì 6 maggio 2014
Cosa hanno denunciato i «Giuristi per la Vita»?
C’è un elemento della vicenda del Giulio Cesare di Roma e del romanzo Sei come sei di Melania Mazzucco che ha ricevuto un’attenzione troppo circoscritta; mi riferisco alla denuncia presentata dalle associazioni «Giuristi per la Vita» e «Pro Vita Onlus» contro gli insegnanti del liceo. Diamole un’occhiata:
[…] Il documento [Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, 2013-2015 dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziale (UNAR)], nel presentarsi come un insieme di proposte e strategie volte a salvaguardare il rispetto del principio di uguaglianza anche nel delicato frangente dell’orientamento sessuale, contiene in realtà misure volte al rafforzamento dei gruppi LGBT all’interno del vivere sociale ed alla diffusione delle pratiche omosessuali in ogni ambiente, anche scolare, arrivando all’istigazione a vivere la sessualità in una prospettiva esclusivamente omosessuale.Come si vede, a differenza di quanto abbiamo in genere letto o sentito in questi giorni, l’accusa mossa agli insegnanti (e all’UNAR) non è tanto o solo quella di avere presentato agli studenti un romanzo «pornografico». Riepiloghiamo: «misure volte al rafforzamento dei gruppi LGBT all’interno del vivere sociale ed alla diffusione delle pratiche omosessuali in ogni ambiente, anche scolare, arrivando all’istigazione a vivere la sessualità in una prospettiva esclusivamente omosessuale»; «propaganda omosessuale tout court»; «L’idea pare dunque essere quella del rafforzamento, sia numerico che nella collocazione in ogni ambito sociale, della categoria LGBT a scapito delle altre»; «la propaganda di un’idea e l’istigazione ad aderirvi»; «una palese condotta di proselitismo e di istigazione verso il giovanissimo pubblico a compiere pratiche omosessuali ed a sperimentare la sessualità in una prospettiva esclusivamente gay»; «la finalità di istigazione ad avere rapporti omosessuali diretta agli studenti». Non si potrebbe essere più chiari: chi ha presentato la denuncia è convinto che un ufficio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e alcuni insegnanti di un liceo romano perseguano lo scopo di far diventare omosessuali gli studenti delle scuole.
Questo vero e proprio tradimento delle pur lodevoli finalità antidiscriminatorie a vantaggio di una propaganda omosessuale tout court può essere rinvenuto in innumerevoli passaggi del documento in questione. Ci sia consentito evidenziarne i più significativi, con particolare riferimento all’ambito delle strategie da dispiegarsi nel contesto scolastico e, più in generale, educativo. A pag. 17, ad esempio, tra gli obiettivi che l’UNAR si pone, si contempla espressamente «l’empowerment delle persone LGBT nelle scuole, sia tra gli insegnanti che tra gli alunni». L’idea pare dunque essere quella del rafforzamento, sia numerico che nella collocazione in ogni ambito sociale, della categoria LGBT a scapito delle altre. Fin dalla più tenera età un simile obiettivo va perseguito, prosegue l’UNAR, attraverso «percorsi innovativi di formazione in materia di educazione alla affettività che partano dai primi gradi dell’istruzione, proprio per cominciare dagli asili nido e dalle scuole dell’infanzia a costruire un modello educativo inclusivo, fondato sul rispetto delle differenze» (cfr. Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere (2013-2015), p. 17). Si parla inoltre di «accreditamento delle associazioni LGBT, presso il MIUR, in qualità di enti di formazione» (ibidem, p. 19), quasi a dire che le istanze relative all’orientamento sessuale e l’identità di genere portate avanti dalle associazioni LGBT, da idee a cui ciascun individuo è libero di aderire o meno, debbano diventare materie obbligatorie di studio e tema di formazione professionale degli insegnanti. In estrema sintesi, dunque, pare davvero che l’UNAR confonda il divieto di discriminazione con la propaganda di un’idea e l’istigazione ad aderirvi. Del resto, l’«empowerment», per riprendere la terminologia del Ministero, non può che voler dire questo in concreto.
[…] Non v’è chi non veda in una simile pubblicazione [il romanzo Sei come sei], specie se inserita nel solco tracciato dall’UNAR su cui a lungo gli esponenti si sono intrattenuti, una palese condotta di proselitismo e di istigazione verso il giovanissimo pubblico a compiere pratiche omosessuali ed a sperimentare la sessualità in una prospettiva esclusivamente gay.
Nei fatti sopra esposti pare doversi rinvenire la fattispecie di cui all’art. 528 c.p. Si è trattato infatti di consapevole divulgazione di materiale dichiaratamente osceno, la cui finalità non può che concretarsi nella celebrazione, fin nei dettagli più minuziosi, di un rapporto omosessuale fine a sé stesso. Nessuna finalità artistica sembra pertanto configurabile. La sensibilità dell’uomo medio non può che dirsi urtata da simili pubblicazioni, specie se si considera che la divulgazione era diretta ad un pubblico composto da minorenni.
A tale riguardo, qualora, come in questa sede si auspica, venisse riconosciuta nei fatti sopra esposti la finalità di istigazione ad avere rapporti omosessuali diretta agli studenti del Liceo Classico Giulio Cesare, andrebbe probabilmente indagata l’eventuale presenza all’interno dell’uditorio di ragazzi di età inferiore ad anni 14, nel qual caso, ovviamente, le condotte verrebbero ad essere sussunte sotto l’egida dell’art. 609 quinquies c.p. Tale ipotesi si presenta come tutt’altro che inverosimile atteso che, per direttiva dell’UNAR, la diffusione delle pubblicazioni di cui poc’anzi si è citato un breve stralcio deve essere fatta propria da ogni contesto scolastico.
In ogni caso, si impone l’applicazione dell’aggravante dell’art. 61 n. 9 c.p. poiché la divulgazione del materiale è stata organizzata dal corpo docente della scuola, in diretta attuazione delle direttive dell’UNAR.
Ma su quali elementi di prova si basa quest’accusa bizzarra? Rileggendo con estrema attenzione il testo, si scopre che in realtà tutto dipende dall’uso della parola empowerment, che secondo i denuncianti non può che indicare – il concetto viene ripetuto due volte – il «rafforzamento, sia numerico che nella collocazione in ogni ambito sociale, della categoria LGBT a scapito delle altre».
Ora, la parola empowerment fa parte da molto tempo nel lessico di chi lotta a favore delle varie minoranze e di altri gruppi oppressi; in particolare, si trova nella pubblicistica femminista. Questo avrebbe dovuto far scattare un campanello di allarme agli orecchi dei «Giuristi per la Vita» (se si fossero curati di informarsi), visto che lo scopo dei gruppi femministi non è mai stato – ovviamente – quello di moltiplicare numericamente le donne a scapito degli uomini, così come l’empowerment dei Neri d’America non è consistito nel fare diventare più numerosi i neri e nell’opprimere i bianchi. Empowerment, in tutti questi casi, indica semplicemente il superamento degli ostacoli economici, legali e ideologici che impediscono a una data minoranza o a un gruppo oppresso di godere della piena uguaglianza; può indicare anche il rafforzamento della fiducia in se stessi di chi appartiene a questi gruppi. Non c’è nel documento dell’UNAR il benché minimo appiglio che autorizzi a dare un significato diverso da questo alla parola empowerment; anche ammettendo la totale ignoranza dei denuncianti dell’uso comune della parola, si rimane stupiti di fronte alla loro disinvoltura nell’attribuire al termine un significato arbitrariamente negativo.
Quando si passa dalla denuncia delle oscure trame dell’UNAR a quella della condotta degli insegnanti del liceo, i problemi aumentano ancora. Sostenere, come fanno i denuncianti, che la presenza delle ormai famose 14 righe in un romanzo che conta 230 pagine, proposto agli studenti fra altri 24 volumi, indichi la volontà degli insegnanti di istigare gli studenti ad avere rapporti sessuali è un’accusa che non si sa se definire più mostruosa o ridicola. Talmente mostruosa e ridicola, che neppure vale la pena di far notare come nessuno degli studenti fosse minore di 14 anni. (È opportuno invece rilevare che l’art. 609 quinquies invocato dai denuncianti presuppone il dolo specifico, cioè l’intenzione consapevole di raggiungere un fine determinato; la condotta, di per sé, non basta a configurare il delitto in oggetto.)
Anche l’accusa di diffusione di materiale osceno sembra destinata a una rapida archiviazione: non si capisce perché la denuncia non sia stata estesa a tutti i librai italiani, che vendono il libro a un pubblico indifferenziato, fra cui si potrebbero tranquillamente trovare minori di quasi ogni età, privi per giunta della mediazione offerta dagli insegnanti del Giulio Cesare; ma in questo caso l’assurdità dell’accusa sarebbe apparsa subito palese. Righe di contenuto non troppo diverso da quello incriminato (anche se in genere relative a pratiche eterosessuali) si trovano poi, a una valutazione prudente, in circa metà dei volumi di narrativa contemporanea, anche questi disponibili liberamente sui banconi di qualsiasi libreria.
Tiriamo le somme. Il vittimismo aggressivo, che tanta parte ha ormai nella propaganda integralista e clericale, procede negando ai propri bersagli la qualifica di vittime (o di difensori delle vittime), e costruendoli invece come aggressori. Nel caso specifico, si ricorre a uno dei fantasmi eterni della polemica anti-omosessuale: l’omosessuale corruttore della gioventù, che cerca di fare proseliti tra i ragazzi (non è chiaro se per i denuncianti l’UNAR sia un covo di gay o piuttosto di favoreggiatori dei gay; il risultato non cambia). Se da un lato si professa, a parole, solidarietà per le vittime del bullismo omofobo, dall’altro, per una sorta di malefico comma-22, si afferma che chi resiste alle discriminazioni non è vittima ma bensì pericoloso pervertito.
Ci si può chiedere se i denuncianti credano davvero che il loro esposto possa portare a un’incriminazione. Uno dei firmatari è un avvocato; si farebbe torto alle sue capacità professionali attribuendogli questa speranza. Più probabilmente siamo di fronte a un tentativo di accreditarsi presso la platea del pubblico integralista – un pubblico di bocca particolarmente buona, incapace di rendersi conto che la denuncia è fondata letteralmente sul nulla. L’inevitabile archiviazione (salvo improbabili sorprese) verrà addebitata ai soliti magistrati «laicisti» e «omosessualisti».
Non è però da sottovalutarsi un altro elemento: oggettivamente, al di là di quelle che possono essere le intenzioni dei denuncianti, questa vicenda avrà un effetto intimidatorio (uso la parola non nel senso giuridico) nei confronti di tutti gli insegnanti. A nessuno fa piacere venire denunciato alla magistratura, anche se l’accusa è palesemente infondata.
Non sono un giurista, ma credo che bisognerebbe seriamente prendere in considerazione la creazione di una fattispecie analoga alla lite temeraria anche in campo penale. Si eviterebbero casi come questo, che possono arrecare una pena non indifferente a chi ne rimane vittima.
Aggiornamento 11/10/2014: naturalmente, è finita come doveva finire: la Procura ha chiesto l’archiviazione (Ilaria Sacchettoni, «Il libro scandalo al Giulio Cesare “Non è osceno, ma formativo”», Corriere della Sera, 7 ottobre), e gli integralisti accusano i giudici di ogni nequizia (Rino Cammilleri, «Letture porno a scuola, non è reato. Anzi, è educativo», La nuova bussola quotidiana, 11 ottobre). Non posso vantarmi neppure di essere stato buon profeta: era veramente troppo facile.
Postato da Giuseppe Regalzi alle 16:45 1 commenti
Etichette: Giuristi per la Vita, Liceo Giulio Cesare, Lite temeraria, Melania Mazzucco, Omofobia, Pro Vita Onlus, UNAR
lunedì 5 maggio 2014
Come «si applica» la sentenza sull’eterologa?
Nel cappello dell’intervista ad Assuntina Morresi, apparsa oggi sul settimanale Tempi (Francesco Amicone, «Eterologa. “Prima di applicare la sentenza della Consulta, serve un dibattito pubblico”», 5 maggio 2014), si leggono queste parole:
Si potrà legalmente donare un ovulo o uno spermatozoo a una coppia che lo desidera per avere (partorire) un figlio concepito in provetta? Ancora nessuno lo dice. A quasi un mese di distanza dalla sentenza con cui la Consulta il 9 aprile ha legittimato la fecondazione eterologa, il Governo non ha approntato una risposta politica. «Non c’è chiarezza e non si sa quale altro divieto della Legge 40 viene intaccato», spiega a tempi.it Assuntina Morresi […], membro del Comitato nazionale per la Bioetica. «Bisogna attendere le motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale», aggiunge. Nel frattempo i media premono perché l’esecutivo Renzi dia il via libera definitivo all’eterologa. In sostanza, si afferma che non vi sarebbe bisogno di un dibattito parlamentare, e basterebbe applicare la sentenza della Consulta.Più avanti, nel corpo dell’intervista vera e propria, la Morresi ribadisce il concetto:
C’è un vuoto normativo. Non c’è traccia di una norma che stabilisca come fare l’eterologa. Per esempio: si potrà donare cellule riproduttive ai propri parenti? Inoltre, vista la novità che introduce la sentenza, non penso si debba applicare con un atto amministrativo, un regolamento o con un decreto del Governo. C’è bisogno di un dibattito pubblico e parlamentare.Si tratta di affermazioni singolari. Perché una sentenza di illegittimità costituzionale abbia effetto non servono atti amministrativi, regolamenti, decreti o leggi. Basta la pubblicazione, come chiaramente è scritto nell’art. 136, comma 1, della Costituzione della Repubblica Italiana:
Quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione.nonché nell’art. 30, comma 3, della legge costituzionale n. 87, 11 marzo 1953:
Le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione.Il fatto che ci sia un «vuoto normativo», cioè che nessuna norma regoli attualmente la materia all’infuori degli articoli ormai giudicati incostituzionali, non ha alcuna conseguenza: considerando anche il principio giuridico fondamentale secondo cui tutto ciò che non è vietato è lecito, all’indomani della pubblicazione della sentenza nella Gazzetta Ufficiale, la fecondazione eterologa sarà lecita sul territorio della Repubblica in tutte le sue forme (esclusa la cosiddetta maternità surrogata, sulla quale la Corte non è stata chiamata a pronunciarsi), e nessuno – né medico né paziente né donatore di gameti – dovrà temere conseguenze penali applicando questa pratica.
Immagino che la Morresi si potrebbe giustificare asserendo che per «applicazione della sentenza» intendeva riferirsi in realtà all’approvazione di una norma che regoli la materia. La scusa di avere usato una terminologia impropria non potrebbe invece essere invocata dall’autore dell’intervista, Francesco Amicone (un figlio d’arte?), la cui domanda iniziale, «Si potrà legalmente donare un ovulo o uno spermatozoo a una coppia che lo desidera?», tradisce un’evidente ignoranza del fatto elementare che una norma dichiarata incostituzionale non può in nessun caso continuare a sopravvivere come se nulla fosse accaduto. La materia si potrà regolamentare in modo più o meno liberale (e naturalmente bisognerà attendere le motivazioni della sentenza prima di cominciare a disegnare un’eventuale disciplina): si potrà decidere sull’anonimato dei donatori, sul rimborso delle spese da loro sostenute, etc., ma la fecondazione eterologa dovrà essere comunque d’ora in poi fondamentalmente ammessa.
Postato da Giuseppe Regalzi alle 18:51 1 commenti
Etichette: Assuntina Morresi, Corte Costituzionale, Fecondazione eterologa, Tempi
domenica 4 maggio 2014
Vedere un bluff
Postato da Giuseppe Regalzi alle 09:13 3 commenti
Etichette: Aborto, Bluff, Corte Costituzionale, Diritto, Mario Adinolfi
venerdì 2 maggio 2014
Procreazione assistita, le contraddizioni della proposta Gigli/Binetti: “dare voce” al nascituro
«Norme sulla attuazione del principio del contraddittorio nei procedimenti civili in materia di PMA». Si chiama così la proposta di legge presentata da Gian Luigi Gigli e Paola Binetti.
I due partono dal “principio del contraddittorio” stabilito dal codice penale “come principio essenziale per garantire che il processo raggiunga il massimo possibile di verità e di giustizia”. Il loro intento è rimediare a un’intollerabile ingiustizia, cioè che “la voce del nascituro è totalmente assente nelle vicende giudiziarie”. Bisognerebbe spiegare loro che la voce del nascituro è assente perché il nascituro non ha voce. Ma non è certo il caso di rassegnarsi, basta trovare qualcuno che faccia le sue veci e che faccia valere i suoi interessi – che ovviamente solo Gigli e Binetti conoscono.
La proposta è interessante per due ragioni. La prima: prendere sul serio l’articolo 1 della legge 40 e mostrarne ulteriormente l’assurdità.
La seconda – e più importante – è mostrare le insanabili contraddizioni che animano il mondo prolife, in precario equilibrio tra chi è disposto al compromesso ma è destinato a inciampare in gravi contraddizioni e chi invoca la coerenza ma è guardato con sospetto anche dai prolife che hanno una posizione più morbida ma, appunto, incoerente.
L’articolo 1 della legge 40 è quello che stabilisce la necessità di “garantire i diritti di tutte le persone coinvolte compreso il concepito”, che però rimane una garanzia non chiara e a rischio di incoerenza, che si rivela ogni volta che qualcuno stabilisce un principio che suona bene (siamo a difesa della vita!) ma poi scarta alcune conseguenze perché sono scomode.
Se prendessimo sul serio il diritto a nascere del concepito, la legge 40 sarebbe infatti troppo permissiva e non un buon compromesso come da anni sostengono i prolife più accomodanti (leggi contraddittori).
Come fin dal tempo della promulgazione e del referendum, alcuni hanno provato a dirlo (come il Comitato Verità e Vita): se il concepito è una persona, nessuna tecnica deve essere permessa. E hanno ragione: non si può giustificare l’uccisione di alcun embrione, né accettare quella soglia massima dei 3 embrioni da produrre e impiantare – limite poi eliminato dalla Corte costituzionale nel 2009. Non lo faremmo nel caso di omicidio – e se l’embrione è una persona di questo stiamo parlando. Mentre Scienza & Vita e lo stesso Movimento per la Vita sono disposti a scendere a patti e a barattare la “vita” con un consenso politico.
Wired.
Postato da Chiara Lalli alle 20:52 1 commenti
Etichette: Embrione, Legge 40/2004, Paola Binetti, PMA, Riproduzione artificiale
mercoledì 30 aprile 2014
Quegli zelanti ripetitori
Uno degli aspetti più divertenti della gazzarra inscenata da integralisti, clericali e neofascisti intorno alla vicenda del romanzo Sei come sei di Melania Mazzucco, proposto (assieme a diversi altri) agli studenti di alcune classi del Liceo Giulio Cesare di Roma, è l’insistenza con cui il brano «pornografico» viene riproposto proprio da chi più se ne dice scandalizzato. Eccolo dunque ripetuto da Marcello Veneziani sul Giornale, da Mario Giordano su Libero (un articolo da leggere, questo, se si vuole capire cosa sia e dove stia veramente l’oscenità), da Giuliano Guzzo sul suo blog, sul sito di Libertà e persona, sul sito Notizie ProVita, e altri ancora.
La domanda che sorge subito alla mente è: ma se si è convinti davvero che il brano sia così pericoloso per le giovani menti, perché ripeterlo allora in bella evidenza in luoghi facilmente accessibili da più minorenni di quanti ne siano passati per le aule del Giulio Cesare dal giorno della sua fondazione? Dovere di cronaca, si potrebbe rispondere; e magari il motivo sarà davvero questo, soprattutto per i giornali, che nelle edizioni a stampa non possono ovviamente linkare un contenuto esterno.
Poi però ti imbatti nel sito dell’UCCR, Unione Cristiani Cattolici Razionali («Pornografia gay al liceo “Giulio Cesare”: ecco il brano», 30 aprile 2014), e la domanda ritorna: come mai, subito dopo aver proposto il collegamento a due versioni integrali del brano e a una parziale, questi signori hanno sentito comunque il bisogno di riportarlo a loro volta, e con le frasi più significative («ficcò la testa fra le gambe», «un odore penetrante di urina», «il suo sapore in gola per giorni») evidenziate in un turgido grassetto, quasi a scongiurare il rischio che i lettori potessero perderne per disattenzione anche solo una goccia? Cerchi di ricacciare indietro il vago sospetto che sorge inevitabilmente in casi come questo, e prosegui nella lettura – durante la quale apprendi che gli «insegnanti, sempre senza avvertire le famiglie, hanno anche strumentalizzato Papa Francesco» (per l’UCCR evidentemente ci vuole il permesso delle famiglie anche per strumentalizzare il papa), e che «“Tutto normale” è il leit-movie [sic] del libro»; quand’ecco che verso la fine dell’articolo trovi questo:
Anche “Il Giornale” ha pubblicato il brano, e dopo le frasi in cui si cita “l’odore penetrante di urina, e un sapore dolce [...] lo inghiottì fino all’ultima goccia e sentì il suo sapore in gola per giorni”, Marcello Veneziani ha domandato […].La ripetizione del brano a una trentina di righe di distanza è talmente pleonastica e talmente gratuita che, sconfitto, cedi di botto, e lasci che l’oscuro sospetto si trasformi senza più freni in solare certezza.
Postato da Giuseppe Regalzi alle 18:52 10 commenti
Etichette: Liceo Giulio Cesare, Melania Mazzucco, Omofobia, Omosessualità, UCCR
martedì 29 aprile 2014
lunedì 28 aprile 2014
Crisi, checche e famiglia, la retorica dei “maschi selvatici” al Giulio Cesare di Roma
“Maschi selvatici! Non checche isteriche” c’è scritto sullo striscione che stamattina Lotta Studentesca ha srotolato davanti all’entrata del liceo romano “Giulio Cesare”.
Maschi selvatici?* Checche isteriche? Per fortuna ce lo spiega Andrea Di Cosimo di LS con chi ce l’hanno e perché: ““L’azione in questione […] è stata effettuata per esprimere il nostro dissenso nei confronti della decisione di alcuni docenti di sottoporre, agli alunni delle classi del ginnasio, la lettura del romanzo ‘Sei come sei’, di carattere decisamente omosessualista e fin troppo esplicito. È inaccettabile che al giorno d’oggi, con la crisi che impera e con la disoccupazione a livelli record, vengano presentati ai giovani studenti modelli di vita deviati e perversi come se fossero la normalità o rappresentassero una priorità. Spetterà a noi ragazzi rialzare le sorti del nostro paese e non sarà di certo attraverso la propaganda gay che ciò sarà possibile. Il nucleo fondamentale della società è infatti la famiglia, quella tradizionale, formata da padre, madre e figli ed è solo su questo modello che si baserà il futuro della nostra nazione. Ci auguriamo che non si verifichino più episodi di questo tipo e che romanzi del ‘genere’ vengano eliminati definitivamente dalla scuola pubblica”” (Polemiche al liceo Giulio Cesare: “È emergenza omofollia”. “Maschi selvatici, non checche isteriche”, RomaToday, 28 aprile 2014).
Il carattere “decisamente omosessualista” dovrebbe già bastare di per sé a farci gridare allo scandalo. Ma se non bastasse, a voi libertini e con tendenze omosessualiste o simpatizzanti, ecco allora l’argomento incontrovertibile: c’è la crisi! Non è chiarissimo se si suggerisca anche un nesso causale all’origine della crisi stessa: se non fossimo così presi a presentare “modelli di vita deviati e perversi” non saremmo arrivati a percentuali tanto elevate di disoccupazione e, chissà, forse nemmeno di analfabetismo.
Le sorti del paese sono nelle mani di questi ragazzi, e qui il panorama si fa tetro: ragazzi così intrisi di termini e concetti polverosi e poco sensati che si fa fatica anche solo a capire cosa vogliano dire, contro cosa e chi stiano protestando. Forse se avessero studiato la “tradizione” saprebbero che – di qualsiasi tradizione si tratti – non ha una intrinseca superiorità morale, che la tradizione è solo qualcosa che è accaduto in un certo tempo e in un certo luogo, ma che soffre di quella debolezza che al liceo si dovrebbe aver già fatto: la fallacia naturalistica.
Se avessero poi studiato la “famiglia tradizionale” saprebbero che non è certo quella che pensano loro, sia perché andando indietro nel tempo si trovano altri modelli, sia perché dal punto di vista giuridico la famiglia prima della riforma del diritto era una mostruosità (istituto della dote e matrimonio riparatore, giusto per fare due esempi). Se poi avessero anche solo voglia di leggere quello che scrivono, dovrebbero essere disposti a escludere dal dominio di “famiglia tradizionale” quelle senza figli. Quel sapore nazionalista, poi, rende la protesta ancora più bizzarra. Le simpatie di Lotta Studentesca sono forse ancora più che nazionaliste. Se si va a leggere cosa scrivevano a novembre, su sfondo nero, sul loro blog: “La vita non riconosce alcuna eguaglianza di diritti tra le parti sane e le parti inferme di un organismo; queste devono essere amputate o il tutto soccombe. Compassione verso i decadenti, uguali diritti per i falliti è così una contro natura che si fa morale. Combattiamo questo sacrilegio, introducendo l’antica visione gerarchica cerchiamo di educare una razza di dominatori, di “signori della terra”; una nuova aristocrazia prodigiosa edificata sulla più dura disciplina di sé stessi in cui alla volontà degli uomini filosofici violenti ed ai tiranni artistici sia concessa una dittatura millenaria. Basta è arrivato il momento di cambiare la dottrina della società!” (La cultura dell’uguaglianza, 16 novembre 2013).
Wired.
Postato da Chiara Lalli alle 19:46 2 commenti
Etichette: Diritti civili, Famiglia, Nonsense, Orientamento sessuale
Di obiezione di coscienza e tempismo
Con tempismo davvero singolare – che sia dovuto a recenti contestazioni? – l’ospedale di Niguarda scopre di avere un problema col servizio di Interruzione Volontaria di Gravidanza. A quanto emerge da un articolo comparso il 26 aprile su La Repubblica, l’ospedale sta fronteggiando una “emergenza aborti”: i medici non obiettori si sono ridotti a due, cosa che ha portato i vertici dell’ospedale a chiedere una collaborazione all’ospedale Sacco, in modo da “garantire” il servizio di IVG previsto dalla legge 194/78.Ma tu guarda, Niguarda!
Dall’articolo, sembra che questa scarsità di medici non obiettori sia il frutto di contingenze non meglio specificate, regalandoci un’immagine della proverbiale caduta dal pero dei vertici dell’ospedale.
Caduta a cui noi non crediamo: da anni Niguarda, i cui vertici rispondono in maggioranza a Comunione e Liberazione, presenta una tra le più alte percentuali di obiettori di coscienza sul territorio milanese. Da anni, l’obiezione di coscienza – a Niguarda come in altri ospedali – è diventata un modo per fare carriera ed è un elemento di preferenza nel momento dell’assunzione. Da anni, l’obiezione di coscienza è consentita anche su prestazioni che non concernono l’atto di interruzione di gravidanza (prescrizione della pillola del giorno dopo, che non è un abortivo!, visite pre- e post-intervento), e la sua crescente percentuale mette a rischio la salute delle donne.
Da mesi ci sono proteste davanti a Niguarda – l’ospedale, infatti, ha dato spazio alle macabre performance del Comitato No194. A metà marzo, era stata occupata simbolicamente la Direzione Sanitaria, proprio per segnalare la condizione strutturale, e non emergenziale!, che interessa l’applicazione della legge 194 a Niguarda (e non solo).
Milano sarebbe una delle città “messe meglio”? Cosa vuol dire garantire “abbastanza” una legge? Le code, all’alba, delle donne davanti agli ospedali milanesi per far fronte al “numero chiuso” del servizio di IVG, le complicanze post-aborto in continuo aumento, il ricorso all’aborto clandestino, sono pratiche in atto da tempo, al di fuori del clamore sensazionalistico e dell’onda della difesa di una legge – la 194 – che è solo un compromesso, e che non rispecchia la nostra volontà di autodeterminazione dei nostri corpi. A proposito di stampa, ci chiediamo come mai la notizia, risalente all’ottobre 2013, di una donna morta proprio a Niguarda dopo un’interruzione di gravidanza sia passata totalmente sotto silenzio.
Interessante, infine, che tra i due medici non obiettori rimasti si sia scelto di dare voce a Maurizio Bini, il quale deve farsi perdonare una a dir poco infelice partecipazione ad un programma radiofonico in cui sono state sbeffeggiate con battute sessiste e misogine le donne malate di endometriosi. Insomma, se a Niguarda cercano di passare come “attenti” alla salute delle donne, la strada è ancora lunga.
L’ospedale di Niguarda da tempo rende inattuabile il servizio di Interruzione Volontaria di Gravidanza: questa non è un’emergenza, ma la norma. Quindi, non ci vengano a raccontare di essere spiazzati davanti a quest’emergenza: l’hanno creata consapevolmente, anno dopo anno, sulla nostra pelle.
Postato da Chiara Lalli alle 10:02 2 commenti
Etichette: Aborto, Interruzione volontaria di gravidanza, Legge 194/1978, Obiezione di coscienza
domenica 27 aprile 2014
It’s the ‘worst’ science paper ever
I have just written the world’s worst science research paper: More than incompetent, it’s a mess of plagiarism and meaningless garble.It’s the ‘worst’ science paper ever — filled with plagiarism and garble — and journals are clamouring to publish it.
Now science publishers around the world are clamouring to publish it.
They will distribute it globally and pretend it is real research, for a fee.
It’s untrue? And parts are plagiarized? They’re fine with that.
Welcome to the world of science scams, a fast-growing business that sucks money out of research, undermines genuine scientific knowledge, and provides fake credentials for the desperate.
And even veteran scientists and universities are unaware of how deep the problem runs.
Formazione: gli eventi dell’Ordine del Lazio. Assegnati i crediti
Vengo a sapere con imperdonabile ritardo della formazione suddetta. Cerco informazioni e trovo un elenco meraviglioso.
sabato 26 aprile 2014
Stamina, quando è offesa la dignità dei malati
Quasi tutti i commenti dopo la chiusura dell'inchiesta hanno richiamato la necessità di rendere più umana, compassionevole, empatica, la medicina. Che oggi lo so sarebbe, e che per questo si troverebbe, in difficoltà nell'arginare i ciarlatani. Dando così quasi per scontato che vi sia una sorta di antagonismo tra le qualità scientifico-tecnica e morale dell'aiuto medico ai malati.Gilberto Corbellini, Il Sole 24 Ore, 25 aprile 2014.
Per chi la storia della medicina la insegna, com'è il caso di chi scrive, si tratta di una perorazione francamente un po' minimalista. Or sono millenni che i medici vanno raccomandandosi l'un l'altro di mostrare simpatia e compassione per i malati, perché in passato si riteneva che questo generasse fiducia nel medico e quindi ne guadagnasse sia il rapporto con i pazienti sia la professione. A un certo punto, però, la medicina è diventata scientifica e poi è arrivata la cultura dell'autodeterminazione del paziente. Nel nuovo contesto l'efficacia e l'efficienza tecnico-operative hanno reso sempre meno necessario far uso di sentimenti per rafforzare la fiducia dei pazienti: un'infezione batterica che risponde agli antibiotici o un'appendicite si possono trattare con la stessa efficacia, suscitando ammirazione nei malati, sia che ci si dimostri empatici, sia che si abbia un carattere scontroso. Inoltre, il paternalismo medico è entrato in crisi in un modo che valorizza l'autonomia, i diritti e le scelte individuali.
Postato da Chiara Lalli alle 10:27 0 commenti
Etichette: Ciarlatani, Davide Vannoni, Medicina, Ricerca, Stamina
venerdì 25 aprile 2014
Lenire il dolore
Non so di quale dolore stia parlando Franco Arminio e di come intenda lenirlo (né di quali siano le terapie che «uccidono più persone di quante ne guariscono»). Suggerimenti?
...
«Stefano Zecchi, ordinario di Filosofia alla Statale di Milano e scrittore, ma anche padre di un bimbo di 10 anni».
giovedì 24 aprile 2014
La risposta di Giulio Golia
E’ poco più di un anno che seguo per le Iene la storia di alcune famiglie che hanno usato il metodo Stamina. Sono stato nelle loro case e ho conosciuto i loro bambini affetti da malattie che non lasciano alcuna speranza e non hanno nessun’altra cura possibile. Oggi, in concomitanza con l’indagine ufficialmente aperta su Davide Vannoni, qualcuno di voi mi ha scritto insultandomi con frasi come “ ti devi vergognare”. Di cosa? Di cosa mi dovrei vergognare? Lo Stato italiano ha permesso dal 2010 che il metodo Vannoni fosse adottato come cura compassionevole presso un’ospedale pubblico, quello di Brescia. Sessantaquattro famiglie hanno sperimentato queste infusioni grazie alle sentenze di circa 700 giudici (anche questi dello stato italiano) che hanno imposto che queste infusioni fossero loro somministrate molto prima che le iene se ne occupassero. L’Aifa ovviamente non poteva non sapere, così come il Ministero della Salute.
E io, noi delle iene, dovremmo vergognarci per aver raccontato queste famiglie di cui nessuno si è curato davvero? E che peraltro hanno un loro parere su queste cure, che nessuno ancora (ne comitati scientifici, ne politici, ne altri) ha avuto la voglia e l’onestà d’andare a sentire. Noi che questa voglia ed onestà l’abbiamo avuta e ne abbiamo reso conto col nostro programma, non sappiamo dirvi se questo metodo serva o meno a qualcosa. Ma sappiamo che sarebbe stato semplicissimo capirlo, volendolo capire…. Bastava permettere che l’Università di Miami analizzasse a gennaio 2014 queste staminali. In pochi giorni e con pochi denari si sarebbe saputo di che razza di staminali stavamo parlando. Ma l’Aifa, senza ben motivare per quale ragione, ha fermato tutto. Come è stato fermato, dagli scienziati italiani prima e dal ministro Lorenzin poi, il presidente del comitato scientifico prof. Mauro Ferrari che sempre nei primi mesi di quest’anno avrebbe dovuto capire se la sperimentazione meritava o meno. Gli è bastato affermare in un’intervista (concessa alle iene) che avrebbe parlato prima di tutto con le famiglie che hanno sperimentato sulla loro pelle il tanto discusso metodo (quelle famiglie di cui ancora oggi nessuno si è curato). E questo, solo questo, l’ha fatto diventare un principiante liquidabile da un giorno all’altro.
La giustizia farà il suo corso e Vannoni risponderà per ciò che ha fatto negli anni dal 2007 al 2010. Siamo i primi che hanno parlato dei suoi guai giudiziari. Guai giudiziari tutti risalenti a quel periodo, che con grande chiarezza abbiamo raccontato per primi nel corso del 2013 coi nostri servizi che potete trovare facilmente su www.iene.it. Andateli a vedere. E se dopo averli visti penserete ancora che ci dobbiamo vergognare, allora qualcosa non va…
mercoledì 23 aprile 2014
The Day After (sequel)
Un primo giro di commenti lo avevo raccolto qui. Ecco la seconda puntata (9-11 aprile).
Postato da Chiara Lalli alle 18:52 3 commenti
Etichette: Corte Costituzionale, Fecondazione eterologa, Legge 40/2004, Riproduzione artificiale
«Sono obiettore»
È il sabato prima di Pasqua. L’unico medico presente (Salvatore Felis, 57 anni) è quello di guardia, che però è un obiettore di coscienza e non ha alcuna intenzione di prendersi carico della paziente. Il primario Claudio Gustavino viene informato del problema per tempo, ma sottovaluta la situazione: pensa (non si sa su quali basi*) che il ginecologo, al di là delle sue idee in merito alle interruzioni di gravidanza, eseguirà comunque gli accertamenti previsti. E che la paziente sarà dunque dimessa. Ma, come era prevedibile visto che il dottor Felis è un obiettore di coscienza, succede tutto il contrario: passano le ore e la giovane donna viene abbandonata in corsia. Da sola, in compagnia delle infermiere che però non sanno nulla e non possono aiutarla. Nessuno si prende la briga di spiegarle quello che sta accadendo. Così, a un certo punto, in preda allo sconforto e alla disperazione, non le rimane altro da fare che chiamare la polizia. Arrivano gli agenti e solo a quel punto, poco prima delle 18, i vertici dell’ospedale, compreso Gustavino, si muovono (di corsa) per trovare una soluzione. Risultato? Viene trovato un dottore disposto a visitare la ragazza. Ma, nel frattempo, sono le 19.30 e lei può finalmente lasciare l’ospedale. Quello che è accaduto sabato scorso non è solo un corto circuito, una falla nel sistema organizzativo del reparto. Non dal punto di vista della giovane donna che ha vissuto un’esperienza traumatica.Rifiuta esame dopo l’aborto: «Sono obiettore», interviene la polizia, Il Secolo XIX, 23 aprile 2014.
*Sulla base della legge 194, articolo 9?
Postato da Chiara Lalli alle 16:09 1 commenti
Etichette: Aborto, Interruzione volontaria di gravidanza, Legge 194/1978, Obiezione di coscienza
Chiusa l’inchiesta su Stamina
Il procuratore Raffaele Guariniello sta notificando, proprio in queste ore, i provvedimenti con i capi d’accusa per venti indagati. Ipotizza i reati di associazione a delinquere finalizzata alla truffa, aggravata dall’essere ai danni del servizio sanitario nazionale, e somministrazione di farmaci pericolosi. Oltre al presidente e al vicepresidente di Stamina Foundation, Davide Vannoni e Marino Andolina, sono coinvolti neurologi, biologici, otto medici degli Spedali Civili di Brescia e anche un membro dell’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco).Oggi su la Stampa.
Spam elettorale, ovvero «senza chiedere il permesso»
È nella posta stamattina. Manca meno di un mese ed è solo la prima mail elettorale e ancora nessun sms, in fondo mi è andata bene. Ma sarei curiosa di sapere come la mia mail è arrivata al mittente. In fondo al testo di promozione c’è pure scritto «Email inviata con Logo MailUp». Apro e arrivo alla pagina «Policy antispam».
Non ho mai dato alcun «esplicito e preventivo consenso alla ricezione», però posso cancellarmi «facilmente e con sicurezza in qualunque momento, in massimo due clic». Grazie.
Alla pagina «Termini e condizioni», paragrafo VI «Spam e limitazioni» si specifica che:
È fatto assoluto divieto di utilizzo da parte dell’UTENTE dei servizi del FORNITORE per scopi illeciti, per invio di pubblicità non richiesta (altrimenti detta invio di "spam" e fare "spamming") a gruppi di discussione su Usenet ("newsgroup") e/o ad indirizzi di destinatari che non hanno alcun rapporto con il mittente o, in ogni caso, che non hanno preventivamente espresso il proprio consenso alla ricezione di comunicazioni inviate utilizzando il Servizio. Tale consenso deve presentare i requisiti previsti dalla vigente normativa ed essere quindi preventivo, espresso, libero, informato e riferito a trattamenti specifici. È quindi considerato spam e pertanto non consentito, ad esempio e senza limitazioni, l’invio ad indirizzi email acquistati da fornitori di Elenchi Categorici, ad indirizzi email pubblicati su internet o comunque reperibili da elenchi pubblici, oppure ad indirizzi email creati con algoritmi automatici a partire dall'elenco di nomi, cognomi e domini più comuni.Certo, certo, lo so che ci avrei messo meno tempo a cancellarmi «in massimo due clic».