Cosa spinge Davide Rondoni («Quando si muore non si muore soli», Il Sole 24 Ore, 2 ottobre 2009, p. 1) a definire l’autodeterminazione come una «parola algida, filosoficamente debole e per certi aspetti comica»? L’affermazione è impegnativa; il modo in cui viene giustificata lo è un po’ di meno:
[Autodeterminazione è una] parola che nella vita reale non indica niente di veramente reale. Non ci autodeterminiamo in niente, mai. Nemmeno decidiamo quando nascere e come siamo fisicamente fatti. E nemmeno il nostro carattere. Nemmeno di chi ci innamoriamo. O cosa ci addolora. O se ci piacciono di più i fichi o le fragole. Nemmeno come saranno i nostri figli per quanto possiamo programmarli. Non ci autodeterminiamo in niente – accettiamo addirittura che le leggi dello stato entrino nella nostra vita pesantemente in molti campi: il fisco, il codice della strada, i confini della proprietà...Una prima cosa che salta all’occhio è la stranezza di un cattolico – a quanto ne so Rondoni, noto editorialista di Avvenire, è tale – che apparentemente non crede al libero arbitrio. L’impressione (confermata anche da altri esempi) è che gli integralisti cattolici abbiano sviluppato negli ultimi tempi una sorta di eclettismo ideologico: per giustificare le loro vedute fanno man bassa negli scaffali della storia delle idee, senza andare troppo per il sottile. Il fatto ha delle implicazioni interessanti per quello che riguarda la caratura culturale dell’integralismo, ma non è il caso di soffermarvisi adesso; così come non è nemmeno il caso di esaminare la tenuta logica della concezione rondoniana della libertà umana. Prendiamo per buona la sua visione del servo arbitrio; cambia qualcosa per i difensori dell’autodeterminazione? La risposta, naturalmente, è no. L’autodeterminazione non è – non principalmente, almeno – una tesi metafisica sulla libertà umana; è invece una massima pratica che impone di rispettare le scelte degli individui quando queste non ledano i diritti degli altri. Qui non importa realmente da dove vengano le nostre preferenze in materia di partner sentimentali o di frutta e verdura – purché si possa dire che quelle preferenze siano comunque, per il senso comune, preferenze nostre. Sarà anche vero che X si è innamorato di Y perché gli ricordava inconsapevolmente la sua prima bambinaia, o che a Z non piacciono le mele perché da piccino ci ha trovato un verme; queste sono comunque le loro preferenze, e il rispetto per la loro autodeterminazione consiste – per esempio – nel non costringere X a lasciare Y perché non è socialmente alla sua altezza, o nel non obbligare Z a mangiare mele perché «una mela al giorno leva il medico di torno». Consideriamo anche gli altri esempi dell’elenco di Rondoni (escluso ovviamente quello della nascita: vacuo paradosso, visto che la condizione necessaria per scegliere qualcosa è di esistere preliminarmente). Noi non scegliamo come siamo fatti fisicamente, è vero, ma neanche permettiamo a chicchessia di modificarci i connotati perché offendono il suo senso estetico; non scegliamo il nostro carattere, ma ci opponiamo ad essere portati da uno psichiatra solo perché qualcuno ci trova troppo timidi o troppo espansivi; non scegliamo cosa ci addolora, ma pretendiamo che nessuno ci costringa con la forza a riderne; non possiamo programmare in tutto i nostri figli, ma non tolleriamo che ci provino altri; e così via.
Rondoni aggiunge anche altre considerazioni. Per lui gli uomini di oggi «hanno ansia di autodeterminarsi di fronte al potere dello stato, perché tra ognuno di loro e lo stato non c’è più nessuno di cui si fidano, nessuno a cui affidarsi»; ci sono «solo l’individuo e lo stato. Nessun altro, nei momenti che contano». Ma chi dovrebbe esserci, invece, per Rondoni? La risposta alla domanda è complicata e anche abbastanza interessante. Inizialmente il nostro dà questa risposta:
Non ci sarebbe bisogno, in un mondo di uomini non soli, di fare il testamento a cui lo stato e i suoi rappresentanti si devono attenere per la mia buona morte. Ci penserebbero i miei cari, i medici scelti da me o da loro. Stabilendo con libertà e responsabilità quando la cura diviene accanimento.Questo è sorprendente, per almeno due motivi. Per prima cosa, come mai se io non mi posso autodeterminare, è invece concesso alla mia famiglia e ai medici di determinare me? Non valgono anche per loro i (presunti) limiti alla libertà personale che Rondoni identificava? Secondo: in un caso notissimo e recente, mi sembrava di ricordare che Rondoni non fosse stato precisamente a favore che «a pensarci» fossero i familiari della persona in questione e «i medici scelti da loro»...
Rondoni deve essersi reso conto, mentre andava avanti a scrivere, della contraddizione; ecco dunque che qualche rigo più sotto i familiari (nonché «i medici scelti da loro») sono discretamente spariti:
Se poi la comunità medica è per la maggior parte propensa a pensare che l’alimentazione e l’idratazione artificiali non sono pratiche terapeutiche accanite, mi sembra naturale che questa legge […] rispetti tale convinzione.E se invece la comunità medica fosse per la maggior parte non propensa? Beh, è semplice: puff!, sparisce anch’essa. Prosegue infatti Rondoni:
Ma se anche fosse una minoranza di medici, beh, l’amore e il rispetto della vita, porterebbe comunque ad essere cauti nel dare via a una legge che in sostanza direbbe: se la vita ti è divenuta insopportabile trova uno con il distintivo di dipendente dello Stato che sia disposto a ucciderti e nessuno ha diritto di intervenire.Ed ecco che così l’individuo si ritrova di nuovo da solo, davanti a uno Stato che non vuole promulgare leggi avventate...
O forse no: perché il problema, conclude Rondoni, è «come si pensa a sé, vivi o moribondi. Soli o insieme a qualcuno che amiamo e che ci vuol davvero bene». E che Davide Rondoni ci voglia davvero bene, più di familiari e medici troppo propensi a compiacerci, è cosa certa: su di lui potete contare. Magari non sarà presente fisicamente mentre un infermiere vi caccia un sondino su per il naso, ma di sicuro assisterà in spirito.