Ho sempre stimato la sua arte: le sue poesie riempiono un vuoto necessario. Vitale, direi.
Il poeta Davide Rondoni ha improvvisato sotto le due torri una lettura pubblica di Dante per ricordare che l’amore omosessuale è contronatura e ribadire che tra le unioni tradizionali e quelle dello stesso sesso non deve esserci uguaglianza di diritto. Rondoni ha proposto allo sparuto pubblico (tra cui il parlamentare Udc Gian Luca Galletti) il quindicesimo canto dell’«Inferno», con l’incontro tra Dante e il suo maestro Brunetto Latini, condannato per sodomia. «Dante sa dividere il valore morale di una persona dalle sue tendenze sessuali, il Gay Pride, nella sua tendenza estremista, invece le fa coincidere» ha spiegato Rondoni dal suo leggio improvvisato, chiarendo «che la tendenza sessuale è solo una pratica che va contronatura, ma non per questo Brunetto Latini non ha valore come persona».
5 commenti:
Altra dichiarazione, altra bacchettata insomma... povero rondoni, anche lui sicuramente represso.. come tanti...
"Sappiamo che l'etica cristiana condanna da sempre la sodomia, esercitata tanto sul maschio quanto sulla femmina, come trasgressione della legge di natura che finalizzerebbe l'uso del sesso alla creazione (non dimentichiamo che, al tempo di Dante, la sodomia, era, fra l'altro, la più divulgata pratica contraccettiva)".
Ma Dante cosa ne pensava?
"Per quel poco che ne sappiamo, Dante (...) impone alla pratica dell'eros la normativa della temperanza, alla quale personalmente sa bene quanto sia difficile attenersi. Non si direbbe, d'altronde, che il precetto della procreazione lo assilli. Ed è un fatto che il poeta sacro sottoporrà al medesimo fuoco e alla medesima contrizione espiatoria le intemperanze dell'omosessualità e quelle dell'eterosessualità (...) nel più nobile e quotato girone purgatorio.
Ma allora, in cosa consiste la Violenza-contro-natura magistralmente punita nel settimo cerchio dell'abisso?
Non c'è bisogno di avventurarsi in crasse sottigliezze di tecnica erotica, per consentirsi il sospetto di capirlo: consiste, forse, nel deliberato sopruso morale che il pederasta esercita sul ragazzo, soggiogandolo col prestigio intellettuale, con le seduzioni del potere politico o economico o mondano, e comunque con le prospettive del losco e tiepido privilegio di appartenere ad una setta. E nel basso Medioevo sappiamo che la pederastia, suffragata dal mito e dal costume greco, era quasi vizio professionale degli uomini di cultura, chierici o "litterati grandi" che fossero, quasi il blasone d'una spregiudicatezza, tanto più raffinata quanto più inconfessabile.
Il nostro lessico ci tenta a questa formula: non la trasgressione omosessuale, Dante danna in eterno, ma l'intimidazione pederastica".
Vittorio Sermonti, L'Inferno di Dante, Rizzoli, Milano, 1988, pp. 224-225
P.S. per Chiara.
Come vedi, esser fratello di Giuseppe non è una colpa per il grande Vittorio.
:-)
Parlare di morale e di sessualità citando Dante come fonte autorevole è come parlare di giustizia citando Solone.
Perchè mi pare logico ragionare come un uomo del '300, basta che sia poeta. Eh sì.
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