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sabato 22 agosto 2009

Il problema è l’autonomia

Silvia Ballestra si conferma uno dei commentatori più sensibili e ragionevoli sui temi bioetici. Ecco cosa scriveva ieri a proposito della pillola abortiva («La tecnica, l’etica e il corpo femminile», Repubblica, 21 agosto 2009, p. 52; la stessa autrice aveva già toccato l’argomento qualche mese fa):

Ma perché desta tanto scandalo la pillola abortiva quando l’aborto è legale da trent’anni? Qual è il vero salto culturale? Cos’è che turba tanto gli oppositori più veementi?
Intanto va detto che la pillola rende la donna più autonoma rispetto al medico, il quale, quindi, viene sollevato da una parte del lavoro. Con la Ru486, non è più il medico a praticare materialmente l’aborto mediante aspirazione o raschiamento, ma è la donna stessa che, assumendo due pillole, agisce in prima persona sul proprio corpo. Il medico può limitarsi a verificare che vi siano le condizioni adatte, seguire il buon andamento, verificare l’esito, ma è la donna che, sveglia e presente, gestisce il proprio aborto, porta a compimento, fino alla fine, la decisione intrapresa. Colpisce una testimonianza riportata da Giovanni Fattorini nel suo libro Aborto: un medico racconta trent’anni di 194: parla di una ragazza che ha scelto la Ru486 non per la minore invasività, ma per la volontà di vivere fino in fondo l’esperienza del lutto, lontana da ipocrisie sanitarie. “Aveva deciso di rinunciare a un figlio e voleva farlo lei, non delegarlo a nessuno. Un estraneo le avrebbe messo le mani addosso con perizia, e magari con delicatezza, ma sempre con una partecipazione distante”. È chiaro che questo atto ulteriore di autodeterminazione spaventa e indigna quelli convinti che l’aborto sia un omicidio (e per i quali, dunque, in Italia girerebbero a piede libero milioni di assassine: nel caso, le vostre stesse nonne, madri, mogli, compagne, figlie). Ma è anche un ottimo modo per risolvere, in parte, l’annoso problema dell’obiezione di coscienza che – al contrario delle interruzioni di gravidanza, dimezzate in trent’anni – è la vera emergenza a proposito di aborto. E che riguarda ginecologi, anestesisti, infermieri e persino portantini. Ma con la Ru486 non è più il medico a farsi carico di un atto doloroso e pesante: la responsabilità ricade interamente sulla donna. Inoltre con la Ru486, l’aborto diventa un atto più discreto, circoscritto al rapporto medico-paziente, mentre adesso, con il chirurgico, è prevista una serie di passaggi per cui una quantità di persone può venirne a conoscenza: inutile dire che nei posti piccoli la “pubblicità” di una tale decisione, soprattutto in questo clima di demonizzazione, costituisce un peso in più per la donna, peggio se giovane.
È proprio così: quello che terrorizza gli integralisti non è la presunta «facilità» dell’aborto farmacologico, e men che meno la sua presunta pericolosità per la salute femminile; è la perdita di controllo – sia pure relativa – sulle donne, che la pillola sottrae alle forche caudine dell’obiezione di coscienza e della pressione sociale conformista.

giovedì 8 gennaio 2009

La banalizzazione che non c’è

È notevole l’articolo che Silvia Ballestra ha dedicato alla pillola abortiva RU486 sull’Unità di tre giorni fa («La pillola della malafede», 5 gennaio 2009, p. 44); tanto che vale la pena di riportarlo per intero:

Cosa c’è davvero dietro la feroce campagna contro l’introduzione, anche in Italia, della pillola Ru 486? Si continua a parlare di «banalizzazione» dell’aborto. La pillola, si dice, semplificherebbe, faciliterebbe l’aborto, che diventerebbe così un atto come un altro. Sono argomenti usati soprattutto dagli uomini (i preti, Ferrara, e ciellini vari). L’aborto medico, come raccontano le stesse donne francesi che lo scelgono in gran numero sin dal 1981, non è meno umiliante, lacerante e traumatizzante dell’aborto chirurgico. Semmai può risultare più doloroso dell’altro che prevede un’anestesia, spesso totale. La Ru 486 comporta sanguinamento, come tutti i farmaci ha delle controindicazioni, non si può prevedere il momento in cui avverrà l’espulsione, deve essere presa entro la settima settimana di gravidanza. In più la donna segue in piena coscienza – anzi, deve proprio controllarne l’andamento – il processo abortivo. Dunque dove starebbe la famigerata «banalizzazione»? Banalizzazione è un termine usato in assoluta malafede dai cosiddetti «prolife» per non rivelare la vera conquista della Ru 486. Il metodo medico non semplifica l’aborto in sé: ne semplifica le procedure. Permette di velocizzare alcuni passaggi, di sollevare i medici non obiettori (ormai pochissimi e davvero eroici) dal carico di lavoro a cui sono sottoposti per le scelte di colleghi più opportunisti e carrieristi, di sottrarre le donne a un controllo sociale e pubblico che spesso (si pensi ai piccoli centri dove tutti sanno e vedono) è pesantissimo. Quanto alla «solitudine» e alla «dimensione casalinga» spesso paventate da Eugenia Roccella, si prega la sottosegretaria di lasciar scegliere, ancora una volta, alle donne. Ma come si sa, in questo Paese una possibilità di scelta in più, soprattutto delle donne, a molti non garba.
Parole tutte condivisibili (a parte forse una drammatizzazione un po’ unilaterale dell’aborto – che altre donne raccontano come un’esperienza non necessariamente «umiliante, lacerante e traumatizzante»): la Ballestra coglie bene il punto centrale della contesa sulla pillola abortiva, che rimane spesso nascosto sotto i facili slogan della kill-pill da un lato e dell’aborto senza dolore dall’altro.
Gli antiabortisti perseguono da tempo una strategia che non è più di contrapposizione frontale (le donne assassine, l’abrogazione della legge sull’aborto), ma che dietro l’appello all’«applicazione integrale» della 194 nasconde il disegno di incanalare le donne in ospedali sempre meno numerosi grazie all’obiezione di coscienza, dove incontreranno le truppe fanatiche dei cosiddetti movimenti per la vita che tenteranno in tutti i modi di dissuaderle dall’aborto.
La RU486 va a interporsi in questo meccanismo accuratamente studiato, consentendo in linea di principio uno spostamento parziale dell’aborto nella dimensione domestica e sottraendolo così al controllo sociale auspicato dagli integralisti. Già negli Stati Uniti la pillola ha permesso ai medici di continuare ad offrire un servizio di interruzione della gravidanza in luoghi dove la violenza fondamentalista rendeva ormai difficile la sopravvivenza di cliniche dedicate. E anche in Italia, nonostante l’ipocrisia della Roccella, in qualche momento di candore gli integralisti ammettono che l’opposizione alla RU dipende proprio da questo: dal terrore che le donne sfuggano loro di mano.

mercoledì 19 novembre 2008

Io applico il paradosso a delle persone di carta (Silvia Ballestra)

Piove sul nostro amore

Giuliano Ferrara intervista Silvia Ballestra in Faccia a Faccia del 14 novembre scorso (RadioTre).
Le connessioni causali e logiche di Ferrara sono le solite.
“Quando un bambino viene fecondato – la scelta è se sopprimerlo oppure no” per esempio (il corsivo è mio, anche perché dal parlato era difficile farlo).
Oppure la smentita della libera scelta: pro-life o pro-death, non esiste la scelta (pro-choice) perché, tanto per capirsi, se abortisci non scegli ma uccidi e se non abortisci sei a favore della vita. Che scelta e scelta?!
Ma Silvia Balestra non fa una piega e non cade nei tranelli.
Se volete sentire con le vostre orecchie è qui (i primi otto minuti parla solo Ferrara, si può cominciare da lì).
Ballestra sottolinea alcune questioni centrali.
Se si parla tanto di maternità e di famiglia sacra Ballestra invita a parlarne a livello politico, rivedendo le politiche del welfare e la legge sull’immigrazione (già).
Ci ricorda le dimissioni in bianco (già).
Ma abortire è una questione relazionale - interviene Ferrara - perché c’è un altro.
E Ballestra prosegue nel ricordare questioni centrali.
Che esiste la scelta delle donne. Che esiste una legge che ha ridotto di molto gli aborti, oltre alle terribili conseguenze degli aborti clandestini. E che è una legge giusta.
A Ferrara risponde che non vuole convincere nessuno. E che chi non la pensa come lei è liberissimo di pensare e di agire secondo le proprie preferenze. Invece chi non vuole farlo rompe un po’ le scatole agli altri (già, crudele asimettria tra libertà e coercizione, dimenticata dai fautori della coercizione oppure mal compresa. Se esiste libertà si può scegliere di essere schiavi; se si è schiavi nessuna scelta è concessa, se non una caricatura di essa).
Ricorda gli alti tassi di obiezione di coscienza e la difficoltà della applicazione della 194 (difficoltà pericolose per le donne, per i tempi delle liste di attesa e per la difficoltà di trovare una struttura che garantisca che una legge sia applicata - già).

Oh, l’onnipresente eugenetica non può mancare dal repertorio di Ferrara (e il suo pervertimento semantico per tirare in ballo il fantasma di baffone): ne ho scritto talmente tante volte che mi sento una macchinetta inceppata e sono indecisa sul link da mettere. Alla fine scelgo questo.
“La vita in generale è un problema?” domanda in conclusione.
Intende quando finisce e quando comincia. E arriva ad Eluana Englaro: è tentato di adottare il silenzio stampa, dice, e da queste parti si trattiene il respiro dall’emozione.
Invece poi continua a parlarne con parole di pessimo gusto. Non tace. E dire che ci avevamo creduto, seppure per pochi secondi.
E Ballestra ricorda che sarebbe stato meglio iniziarlo al tempo delle bottigliette.
Poi protesta contro la rivendicazione da parte di Ferrara di brandire dei paradossi.
Io applico il paradosso a delle persone di carta non sulle persone in carne ed ossa chiarisce. E allora Ferarra prosegua pure a parlare, noi non lo ascoltiamo più.
Io applico il paradosso a delle persone di carta non sulle persone in carne ed ossa.
Grazie a Silvia Balestra per la pazienza. La capiamo bene e ha tutta la nostra stima.

Silvia Ballestra, Piove sul nostro amore. Una storia di donne, medici, aborti, predicatori e apprendisti stregoni, 2008, Feltrinelli.