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sabato 15 febbraio 2014

Il Belgio approva l’eutanasia per i minori. Perché invocare lo spettro dell’eugenetica?

È stata approvata la legge belga che permetterà anche ai minori di 18 anni, in determinate circostanze, di chiedere l’eutanasia. Il parlamento ha votato a favore con 86 sì, 44 no, 12 astenuti. L’ultimo passo sarà la firma del re.

Le condizioni, in sintesi, sono le seguenti: la richiesta da parte del minore; l’accertamento della sua capacità di discernimento, valutato da uno psichiatra dell’infanzia o da uno psicologo; le condizioni di estrema sofferenza fisica impossibile da contenere; una prospettiva di sopravvivenza limitata; il consenso dei tutori legali.

Sulla legge e sulle questioni principali che l’estensione ai minori solleva avevo già scritto qui.

Può essere però utile leggere alcune delle proteste e degli pseudoargomenti offerti per condannare la decisione del Belgio. Il sito di Radio Vaticana ha giocato la carta della condanna apodittica. “Si sono espressi contrari un gruppo di pediatri definendola “inutile” per mancanza di richieste effettive. La Chiesa belga guidata dall’arcivescovo di Malines-Bruxelles mons. Leonard, è scesa in campo contro l’iniziativa denunciando il rischio di una banalizzazione dell’eutanasia. Esponenti delle tre religioni monoteiste, cristiani, ebrei e musulmani hanno lanciato un forte appello contro la legge”.

Se non ci saranno “richieste effettive”, la legge non potrà dunque essere dannosa, perché essere contrari? Sulla banalizzazione invece rimane un mistero: ci sono circostanze in cui l’eutanasia sarebbe considerata non banale? E perciò accettabile?

Avvenire commentava così poco prima dell’approvazione di ieri sera: “Salvo ripensamenti dell’ultima ora, oggi il Belgio compirà il drammatico passo di legalizzare l’eutanasia per i minori (nei Paesi Bassi la autorizza di fatto solo una sentenza del 2004)”. Quel “drammatico” sembra talmente evidente da non richiedere una giustificazione. Solo alcune righe più tardi si nomina la già citata inutilità, che però nulla spiega: “La settimana scorsa 39 pediatri hanno consegnato al presidente della Camera André Flahaut un appello in cui sono spiegati i motivi per cui un provvedimento del genere semplicemente «non è necessario»”.

Wired.it, 14 febbraio 2014.

PS
Poco fa leggo un commento di Giovanni Belardinelli. La conclusione merita di essere riportata per il totale non sequitur. Mi domando se abbia letto la legge.

mercoledì 19 gennaio 2011

Avvenire eugenista

Sergio Bartolommei, «Fecondazione e confusione», L’Unità, 19 gennaio 2011, p. 23:

Il quotidiano Avvenire dovrà mettersi d’accordo con se stesso. In due articoli apparsi sullo stesso numero (13 gennaio) dell’inserto settimanale È Vita si sostiene una cosa e il suo contrario anche se, in entrambi i casi, la pretesa di verità è identica. Da una parte si biasima il mettere al mondo nuovi individui ispirandosi all’idea arrogante di “qualità della vita”; dall’altra si lamenta che il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (Pma) pregiudica la qualità di chi viene alla luce perché espone ad accresciuti rischi di nascere prematuri, sottopeso, con deficit visivi, cerebrali e respiratori, malformazioni e malattie genetiche. Non entriamo nel merito delle tesi dei due articoli, specie del secondo, che sembra trascurare completamente le ampie smentite che vengono dalle altissime percentuali di nati sani fra i milioni di individui venuti al mondo negli ultimi trent’anni grazie alla fecondazione assistita. Ci preme solo osservare che, da parte di chi dichiara di ispirarsi all’etica cattolica rivendicandone interna omogeneità e coerenza, occorrerà decidersi. O si è a favore dell’idea di buone nascite” o si è contro l’idea di “qualità della vita”. Tertium non datur. Nel primo caso occorrererebbe lasciar cadere l’accusa di eugenica rivolta con atteggiamento ostile e liquidatorio contro chi opta per favorire, con la fecondazione assistita, il miglior controllo del processo riproduttivo, la diagnosi pre-impianto degli embrioni, l’eventuale selezione embrionaria. Nel secondo caso non si dovrebbe viceversa fare ricorso all’argomento dei rischi che (presuntivamente) corre chi nasce tramite Pma perché farlo significherebbe optare per il controllo “eugenico” della riproduzione e per il metodo più efficace per dare un buon avvio alla vita (il migliore!) a chi nasce. Si dirà che entrambe le versioni qualcosa hanno in comune, ed è il vantare i presunti meriti della modalità “naturale” di nascere. Così è, in effetti, ma ciò non scioglie la tendenza ai paradossi dell’etica cattolica. Al contrario, essa ne esce accresciuta. Ci si dovrebbe infatti ulteriormente intendere su quale significato di natura sia quello “buono” per il giornale della Cei: in un caso la natura è lo spazio della spontaneità, del caso e della imprevedibilità opposti a quello della “qualità” e del “ben fatto”. Nell’altro è il luogo della “qualità” e del “ben fatto” opposti alla imprevedibilità delle tecniche e dei loro effetti. Farà piacere se Avvenire vorrà dare un contributo a chiarire termini e questioni importanti e delicate, spesso all’origine di aspre battaglie politiche e legislative che vedono il giornale dei vescovi italiani rivendicare l’importanza di principi e valori “non negoziabili”.

mercoledì 19 novembre 2008

Io applico il paradosso a delle persone di carta (Silvia Ballestra)

Piove sul nostro amore

Giuliano Ferrara intervista Silvia Ballestra in Faccia a Faccia del 14 novembre scorso (RadioTre).
Le connessioni causali e logiche di Ferrara sono le solite.
“Quando un bambino viene fecondato – la scelta è se sopprimerlo oppure no” per esempio (il corsivo è mio, anche perché dal parlato era difficile farlo).
Oppure la smentita della libera scelta: pro-life o pro-death, non esiste la scelta (pro-choice) perché, tanto per capirsi, se abortisci non scegli ma uccidi e se non abortisci sei a favore della vita. Che scelta e scelta?!
Ma Silvia Balestra non fa una piega e non cade nei tranelli.
Se volete sentire con le vostre orecchie è qui (i primi otto minuti parla solo Ferrara, si può cominciare da lì).
Ballestra sottolinea alcune questioni centrali.
Se si parla tanto di maternità e di famiglia sacra Ballestra invita a parlarne a livello politico, rivedendo le politiche del welfare e la legge sull’immigrazione (già).
Ci ricorda le dimissioni in bianco (già).
Ma abortire è una questione relazionale - interviene Ferrara - perché c’è un altro.
E Ballestra prosegue nel ricordare questioni centrali.
Che esiste la scelta delle donne. Che esiste una legge che ha ridotto di molto gli aborti, oltre alle terribili conseguenze degli aborti clandestini. E che è una legge giusta.
A Ferrara risponde che non vuole convincere nessuno. E che chi non la pensa come lei è liberissimo di pensare e di agire secondo le proprie preferenze. Invece chi non vuole farlo rompe un po’ le scatole agli altri (già, crudele asimettria tra libertà e coercizione, dimenticata dai fautori della coercizione oppure mal compresa. Se esiste libertà si può scegliere di essere schiavi; se si è schiavi nessuna scelta è concessa, se non una caricatura di essa).
Ricorda gli alti tassi di obiezione di coscienza e la difficoltà della applicazione della 194 (difficoltà pericolose per le donne, per i tempi delle liste di attesa e per la difficoltà di trovare una struttura che garantisca che una legge sia applicata - già).

Oh, l’onnipresente eugenetica non può mancare dal repertorio di Ferrara (e il suo pervertimento semantico per tirare in ballo il fantasma di baffone): ne ho scritto talmente tante volte che mi sento una macchinetta inceppata e sono indecisa sul link da mettere. Alla fine scelgo questo.
“La vita in generale è un problema?” domanda in conclusione.
Intende quando finisce e quando comincia. E arriva ad Eluana Englaro: è tentato di adottare il silenzio stampa, dice, e da queste parti si trattiene il respiro dall’emozione.
Invece poi continua a parlarne con parole di pessimo gusto. Non tace. E dire che ci avevamo creduto, seppure per pochi secondi.
E Ballestra ricorda che sarebbe stato meglio iniziarlo al tempo delle bottigliette.
Poi protesta contro la rivendicazione da parte di Ferrara di brandire dei paradossi.
Io applico il paradosso a delle persone di carta non sulle persone in carne ed ossa chiarisce. E allora Ferarra prosegua pure a parlare, noi non lo ascoltiamo più.
Io applico il paradosso a delle persone di carta non sulle persone in carne ed ossa.
Grazie a Silvia Balestra per la pazienza. La capiamo bene e ha tutta la nostra stima.

Silvia Ballestra, Piove sul nostro amore. Una storia di donne, medici, aborti, predicatori e apprendisti stregoni, 2008, Feltrinelli.

martedì 11 novembre 2008

Lucetta sul Corriere della Sera

Baby

Grazie alla selezione dell’ovocita materno, veniamo a sapere dai giornali, è nata una bambina “sana, libera dalla grave malattia che rischiava di ereditare dalla madre”. Si tratta di una bimba “politicamente corretta”, scrive la Stampa, perché “non c’è stata quell’indagine sull’embrione che fa accapponare la pelle al mondo cattolico”. Certo, si può ben comprendere la felicità e il sollievo dei genitori. Tutto bene allora? Non direi. Infatti, se proviamo a guardare la cosa con un occhio meno limitato ai desideri umani, vediamo che si tratta anche in questo caso di una selezione che rischia di aprire le porte ad una mentalità eugenetica. Anche in questo caso, quindi, il progresso tecno-scientifico ci impone di riflettere sul senso delle conseguenze che comporta, cioè di ciò che troveremo davanti a noi. “La risposta ci porrà di fronte a una decisione – scrive il filosofo Romano Guardini – e io non so ciò che in essa prevarrà: se il fatto in se stesso con la sua inevitabilità e coercizione, oppure l’intelligenza e la nostra capacità di dominare le cose”.
Questo è quanto scrive oggi Lucetta Scaraffia sul Corriere della Sera – che se uno non lo sapesse penserebbe che è frutto di un generatore casuale di parole e frasi dal senso solo apparente. Anzi, di nessun senso nemmeno apparente.
Siccome il principio di autorità (persone o quotidiani che siano) non è un argomento solido il giudizio, però, non può che rimanere di insensatezza. Anzi di stupefacente insensatezza.
Verrebbe da chiederle: “Lucetta cara, ma cosa vai blaterando? Hai dormito male? O ti stai prendendo giuoco di noi?”. Ecco, forse questa è la chiave. Lei scherza, e noi la prendiamo sul serio.
Cerchiamo di venirne a capo: è nata una bambina, è sana, i genitori sono felici, e addirittura i cattolici perché non hanno fatto la diagnosi genetica di preimpianto. Cosa diavolo ci sarebbe che non va?
Lucetta si limita a negare che sia tutto a posto, senza portare alcun argomento e considerandoci più intelligenti di quanto non siamo. Perché non si capisce la ragione per cui non va bene. Quale sarebbe “un occhio meno limitato ai desideri umani”? E poi se “rischia di aprire le porte” significa forse che per ora sono ancora chiuse? Non solo non ci dice il perché, ma sembra che soltanto il rischio di aprire alla eugenetica sia sufficiente per condannare e magari per vietare per legge.
Inutile ribadire per l’ennesima volta che dietro alla parola “eugenetica” ci sono una serie di imprecisioni – e stupisce, da parte di una storica, tanta superficialità. Che giochi appositamente su tale terreno insidioso?
Ma vediamo di chiarire almeno qualche pensiero sull’eugenetica, usata come una clava contro le tecniche di procreazione assistita o il “progresso tecno-scientifico” in generale.
Il richiamo è sbagliato storicamente e scorretto concettualmente, perché il sottinteso è che “eugenetica” sia quella politica razziale nazista che eliminava quanti non corrispondevano ad un certo standard. Ma quella eugenetica non ha nulla a che fare con le possibilità che la scienza oggi offre – e che potremmo chiamare manipolazione genetica migliorativa per liberarci del peso dei ricordi.
L’eugenetica della politica nazista di miglioramento della razza, e di quel movimento eugenetico che si sviluppa alla fine dell’ottocento e si diffonde in Paesi insospettabili come Inghilterra e Stati Uniti, è giustamente condannata. Seppure in contesti molto dissimili, lo scopo comune dell’ideologia eugenetica consisteva nel “migliorare” la razza, attraverso l’eliminazione di tutti gli elementi difettosi: mascalzoni, prostitute, criminali, ma anche insufficienti mentali, pazzi, poveri o appartenenti a presunte razze inferiori dovevano essere eliminati, o almeno dovevano essere cancellati dai processi riproduttivi al fine di estirpare i loro geni difettosi. Il fantasma dell’eugenetica nazista è ben conosciuto; forse è meno noto quello che accadde negli Stati Uniti all’inizio del novecento. Tra il 1907 e il 1940 la caccia agli indegni (“the hunt of unfit”) causa la sterilizzazione forzata o la castrazione di migliaia di esseri umani: la maggior parte di essi erano deboli di mente, malviventi oppure considerati moralmente degenerati; 700 furono classificati come “altro”.
La differenza fra questa eugenetica e l’eugenetica attuale, però, è profonda, e l’assoluta condanna della prima non può essere trasferita, totalmente o parzialmente, sulla seconda.
Confonderle, giocare con le ambiguità è disonesto; e pericoloso.
Nel caso di questa bambina, perdipiù, non si può nemmeno tirare in ballo la questione degli embrioni sacri e inviolabili: e allora?
Il filosofo citato a conclusione spero sarà clemente con chi filosofo non è, ma non si capisce bene manco lui. Forse è una rimodernizzazione del “non so” socratico, dimenticando un pezzo, anzi due: la consapevolezza del non sapere e l’ironia.

AgoraVox Italia, 11 novembre 2008

venerdì 11 aprile 2008

Eugenìa

Un recente articolo di Eugenia Roccella («La tecnoscienza sfida l’uomo: nuovo totalitarismo dietro l’angolo», Il Sussidiario.net, 31 marzo 2008) contiene due passi che non possono non richiamare l’attenzione del lettore. Ecco il primo:

con la tecnica Icsi gli spermatozoi meno vitali possono essere iniettati nell’ovocita e fecondarlo, anche se i maschi nati da quella tecnica sono destinati a essere sterili. Qualcuno ha calcolato che, se l’1% degli uomini di ogni generazione è infertile e se tutti useranno l’Icsi, fra diecimila anni la specie umana non potrà più riprodursi.
Lasciamo pure perdere le dubbie cognizioni di genetica della Roccella (come la sterilità considerata come un carattere dominante e necessariamente omozigotico, e le strampalate proiezioni basate su presupposti fallaci), e chiediamoci: qual è, in sostanza, il fantasma che allarma qui l’autrice? La risposta è immediata: individui geneticamente tarati si riproducono irresponsabilmente, e diffondono così i loro difetti nell’intera popolazione. L’interpretazione viene confermata dal secondo passo:
Poi ci sono i problemi di salute: «I bambini nati da fecondazione in vitro sono diversi da quelli concepiti da genitori senza problemi di fertilità. La gente che soffre di infertilità, o subfertilità, sembra essere geneticamente differente da chi non ha problemi a metter su famiglia come vuole»: lo dice il presidente della Canadian Fertility Society, padre di un bimbo nato da fecondazione in vitro. Questi bimbi sono spesso prematuri e sottopeso anche se nati da un singolo embrione, con maggiori complicanze in gravidanza e un tasso più alto di disabilità alla nascita.
Gente «geneticamente differente» che mette al mondo bambini disabili: l’immagine non potrebbe essere più chiara...
Il lettore avrà riconosciuto subito il tema fondamentale della propaganda eugenista del secolo scorso; sì, proprio di quello stesso movimento eugenetico di cui, a parole, la Roccella è fierissima avversaria, e che non manca di denunciare in chiunque abbia a cuore i diritti riproduttivi individuali. Ma è lei l’unica, in realtà, a voler cancellare col potere dello Stato gli unfit, gli inadatti...
Medico, cura te stesso!

mercoledì 30 gennaio 2008

Lettera al Segretario Generale delle Nazioni Unite (circa la moratoria sull’aborto)

Mi ero ripromessa di ignorare certe misere manifestazioni, ma è difficile resistere alla tentazione di commentare la lettera indirizzata al Segretario Generale delle Nazioni Unite promossa dal Foglio (circa la moratoria sull’aborto, ovviamente).

In questi ultimi sessant’anni sono stati presi notevoli provvedimenti e fatti rilevanti sforzi per creare e sostenere gli strumenti giuridici intesi a proteggere gli ideali espressi nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata il 10 dicembre del 1948 a Parigi. Negli ultimi tre decenni sono stati effettuati più di un miliardo di aborti, con una media annua di circa cinquanta milioni di aborti. Secondo l’ultimo rapporto dello United Nations Population Fund, in Cina si corre il rischio di aborti, incentivati e anche coattivi, per decine di milioni di nascituri in nome di una pianificazione familiare e demografica di stato. In India, per una selezione sessista, sono state eliminate prima della nascita milioni di bambine in 20 anni. In Asia l’equilibrio demografico è messo a rischio da un infanticidio di massa che sta assumendo proporzioni epocali. In Corea del nord il ricorso all’aborto selettivo tende alla radicale eliminazione di ogni forma di disabilità. Anche in occidente, l’aborto è diventato lo strumento di una nuova eugenetica che viola i diritti del nascituro e l’uguaglianza tra gli uomini, portando la diagnostica prenatale lontano dalla sua funzione di preparazione all’accoglienza e alla cura del nascituro e vicino al criterio del miglioramento della razza, distruggendo così gli ideali universalistici che sono all’origine della Dichiarazione universale del 1948.
Cerco di essere breve (e chiedo scusa per la lunghezza eccessiva del post). La prima questione riguarda la citata Dichiarazione del 1948, anno in cui la conoscenza dei meccanismi della riproduzione umana era molto diversa da quella di oggi. La Dichiarazione, poi, non distingue tra “uomo”, “persona”, “feto” e “embrione”. Parla di uomo, verosimilmente, già nato – in Italia l’articolo 1 del Codice Civile afferma: “La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita. I diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all’evento della nascita (462, 687, 715, 784)”. Non si parla di uomo “ancora non nato” o di diritti attribuibili a partire dal concepimento.
Non è corretto, né onesto, riferirsi alla Dichiarazione utilizzando un senso molto esteso di “uomo” (a partire dal concepimento).
La seconda mossa è la confusione (o meglio, la sovrapposizione) della interruzione volontaria di gravidanza che una persona può compiere con la coazione ad abortire o la “pianificazione familiare” imposta. L’errore è il medesimo dell’identificazione tra l’eugenetica attuale (chiamiamola manipolazione genetica) con l’eugenetica hitleriana. Ne abbiamo già parlato tante volte (qui o qui o qui). La differenza è abissale e riguarda il soggetto della decisione: il singolo o lo Stato (o qualunque ente sovraindividuale). Un conto è che io decido di abortire; un conto è che il ministro della salute o della demografia mi impone di abortire in nome di qualsivoglia principio o dichiarata follia. La prima è una scelta; la seconda è una sopraffazione.
Sottoponiamo alla Sua e alla Vostra attenzione una richiesta di moratoria delle politiche pubbliche che incentivano ogni forma di ingiustificato e selettivo asservimento dell’essere umano durante il suo sviluppo nel grembo materno mediante l’esercizio di un arbitrario potere di annichilimento, in violazione del diritto di nascere e del diritto alla maternità. L’articolo 3 della Dichiarazione universale afferma che “ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona”.
Lo stesso giochetto ricompare qui con “individuo”. Nessuno si prende l’onere di dimostrare che di individuo si possa parlare a partire dal concepimento (o come si definisca un “individuo”) e si usano paroloni per dare un alone di rispettabilità. L’arbitrio è in questa richiesta assurda di moratoria, che non è caratterizzata nemmeno dal fegato di dichiarare esplicitamente: “vogliamo rendere illegali le interruzioni di gravidanza; vogliamo affermare la priorità dei diritti degli embrioni (e sto concedendo che di diritti di possa parlare) rispetto ai diritti delle donne; vogliamo che le donne gravide siano controllate a vista e obbligate a portare avanti la gravidanza e a partorire”.
Chiediamo ai rappresentanti dei governi nazionali che si esprimano a favore di un emendamento significativo al testo della Dichiarazione: dopo la prima virgola, inserire “dal concepimento fino alla morte naturale”. La Dichiarazione universale si riferisce infatti ai diritti umani “eguali e inalienabili” e proclama solennemente che gli esseri umani hanno una “dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana” (Preambolo). La scienza, alcune delle cui maggiori scoperte in campo genetico sono posteriori alla Dichiarazione, documenta inconfutabilmente l’esistenza di un patrimonio genetico umano già nell’embrione, un patrimonio unico e irripetibile, fin dal primo stadio del suo sviluppo. La Commissione britannica Warnock, nel 1984, fa del quattordicesimo giorno dal concepimento la soglia oltre la quale un embrione è non soltanto un essere umano, ma titolare del diritto a non essere manipolato sperimentalmente. I governi devono preservare e proteggere questi diritti naturali, che comprendono il diritto a un “patrimonio genetico non manipolato”.
La morte naturale è un richiamo geniale. Che cosa vuol dire “naturale”? Per loro è semplice (ma non lo è). Che cosa vuol dire “morte naturale”? Ah. Non è dato capire. La morte naturale è quella provocata dalla polmonite; da una mancata trasfusione; da una qualsiasi malattia che tutti gli estensori della letterina combattono ingurgitando al primo sintomo un artificiale, artificialissimo farmaco. Massì, coerenza e sensatezza non sono richieste. Qui parliamo di moratorie, questioni ben più importanti della logica!
Il patrimonio genetico, poi, non basta a fare una persona. Questa visione sarebbe il frutto del più bieco determinismo genetico che nessuna persona sensata accetta (quale sarebbe il diritto ad avere un patrimonio genetico non manipolato? Che diritto sarebbe? E varrebbe anche per interventi volti a eliminare una patologia?). La Commissione Warnock, infine, è stata insediata per rispondere al problema della sperimentazione embrionale; e nessuna ricaduta ha avuto sulla possibilità di abortire o di praticare le tecniche di fecondazione artificiale (pratiche ammesse in Gran Bretagna).
La Dichiarazione del 1948 fu la risposta del mondo libero e del diritto internazionale ai crimini contro l’umanità giudicati tre anni prima a Norimberga. In risposta alla pratica eugenetica dei medici nazisti, la World Medical Association nel 1948 adottò la Dichiarazione di Ginevra nella quale si afferma: “Rispetterò la vita umana, a partire dal momento del concepimento”. L’articolo 6 dell’International Covenant on Civil and Political Rights, voluta dalle Nazioni Unite nel 1966, stabilisce che “ogni essere umano ha un inerente diritto alla vita”. L’aborto selettivo e la manipolazione selettiva in vitro sono oggi la principale forma di discriminazione su base eugenetica, razziale e sessuale nei confronti della persona umana. Quella stessa persona umana che le Nazioni Unite tutelano all’articolo 6 della propria carta dei diritti. A sessant’anni dalla proclamazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo è necessario rinnovare la nostra principale fonte di ispirazione umanitaria attraverso un emendamento all’articolo 3. Desideriamo perciò richiamare i governi a un profondo rispetto dei diritti della persona, il primo dei quali è l’inviolabile diritto alla vita.
Ed eccoci qua con l’eugenetica! Bastava avere la pazienza di qualche riga. Concepito, persona umana e individuo sono termini interscambiabili e che non pongono alcun problema per Ferrara e compari. Ma insomma, vuoi mettere l’effetto di una simile strombazzata?
Ci vorrebbe un briciolo di onestà e di buon senso; ci vorrebbe almeno la buona grazia di sforzarsi nel concepire una lettera che non inciampi in tante e tali assurdità. Ma forse è chiedere troppo.

ps
Come giustamente commenta Giuseppe, nella Dichiarazione dei Diritti il primo articolo dice: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti” (All human beings are born free and equal in dignity and rights). “Nascono”, non “sono concepiti”. (I corsivi sono miei).

sabato 26 gennaio 2008

Indovinello

Chiariamo una volta per tutte questo punto: ogni forma di selezione genetica sulle persone, è eugenetica.
Chi è stato ad affermarlo?
Due indizi: è donna e il suo nome fa rima con codina (erano anni che volevo usare questo aggettivo).

lunedì 17 settembre 2007

Eugenetica

Il 30 agosto avevo postato Eugenetica, ignoranza e il blocco 10 di Auschwitz.
Filippo ha inserito un commento molto molto interessante, di cui riporto l’inizio e che invito a leggere per intero. Filippo racconta degli esperimenti eseguiti nei lager per mano di personaggi del calibro di Nyiszli, Mengele, Schumann e Clauberg. È consigliata la lettura soprattutto a quelli che citano a sproposito l’eugenetica. Buona lettura e grazie Filippo.

Miklos Nyiszli, patologo universitario a Budapest, con studi in Germania, ottima conoscenza della sua materia e buona padronanza della lingua tedesca, diviene il collaboratore principale del Dr. Joseph Mengele, “l’arcangelo del male”, responsabile degli esperimenti nel Block 10 di Auschwitz. A lui dobbiamo la ricostruzione di quanto avvenuto e la descrizione del personaggio di Mengele, cui sembra calzare alla perfezione quel concetto di “banalità del male” reso da Hannah Arendt nel suo libro ispirato dal processo Eichmann. Mengele non è un mostro che divora bambini a colazione, è (si considera) un uomo di scienza con un obiettivo di ricerca ben preciso consistente nello scoprire i segreti della differenza tra razze e privo di scrupoli per quanto riguarda i mezzi da usare allo scopo. Ha carta bianca, dovendo rispondere del suo operato direttamente ad Himmler, il che gli consentirà tra l’altro, in contrasto con l’autorità del campo, di preservare proprio Nyiszli dall’eliminazione prevista ciclicamente per tutti i membri del Sonderkommando, costituito da internati che le SS usavano per il lavoro sporco e che sostituivano trimestralmente per non lasciare in giro eventuali testimoni scomodi. A Mengele non mancano le risorse, nel più grande campo di concentramento del Terzo Reich dove la perfetta macchina organizzativa SS convoglia ebrei e altri nemici del Reich in proporzioni bibliche. E dove può pescare gemelli di ogni età e condizione da sottoporre ai suoi esperimenti, gemelli che vengono poi eliminati in contemporanea realizzando, per usare le parole dello stesso Nyiszli, il sogno segreto di qualunque anatomo-patologo: l’autopsia simultanea di due gemelli. L’atmosfera di lavoro è sovente “mistica” con un Mengele che non si sottrae quasi mai alle fatiche del lavoro di ricerca e che viene descritto come ben consapevole dell’importanza della sua ricerca per il Reich: scoprire il segreto delle gravidanze gemellari per consentire alle donne tedesche di dare alla luce sempre dei gemelli e raddoppiare la potenza demografica dello Herrenvolk. Il senso di impunità diviene ben presto convinzione profonda di essere nel giusto. A suo tempo, dinanzi alle esitazioni di Handloser (generale medico a capo dei servizi sanitari dell’esercito), Himmler rispondeva con fastidio “Responsabilità? Quali responsabilità? Lo Stato, cioè il Fuhrer ed io, si assume tutte le responsabilità, voi dovete solo eseguire degli ordini nell’interesse della nazione.” Una linea che sarebbe riecheggiata spesso, a torto o a ragione, nelle aule di Norimberga. Certo, dopo il crollo, gli sperimentatori sembreranno riacquisire una certa consapevolezza dell’enormità di quanto compiuto, cercando di lasciar perdere le loro tracce. In questo momento nasce la leggenda dell’inafferrabile Mengele, braccato senza soste, e senza successo, dagli agenti del Mossad, gli stessi che metteranno le mani su Eichmann nel ’61. Esiste però una eccezione a quanto appena affermato: il prof. Carl Clauberg. Arrestato e internato dai Sovietici alla fine della guerra, rimandato in patria nel 1957 nel quadro di uno scambio di prigionieri conseguente al momentaneo disgelo Est-Ovest dell’epoca Kruscev, il professore prima partecipa ad un congresso di Ostetricia dove presenta i dati dei suoi esperimenti nei campi e poi, imperturbabile, decide di riprendere la sua attività professionale: un bel giorno tutti i principali quotidiani della Germania Federale pubblicano il suo annuncio relativo alla ricerca di personale da assumere nel centro di cui si annuncia l’imminente apertura e che sarà diretto dal professore, che appare col suo vero nome seguito dai suoi titoli accademici. Una volta squarciato il velo dell’oblio però, inizieranno a piovere le denunce. Il resto è noto, con l’incarcerazione di un Clauberg in realtà intimamente lusingato dal clamore creatosi intorno al suo personaggio, e la sua successiva morte in prigione per crisi cardiaca.
(Continua qui.)

venerdì 7 settembre 2007

E se fossi stato io?

Il drammatico errore dell’aborto al San Paolo di Milano ha spalancato le porte di un inferno tragicomico. Quello dei goffi e insensati paragoni con l’eugenetica: basta consultare un sussidiario per coglierne l’infondatezza. E quello di controfattuali esistenziali terrorizzanti: “e se avessero abortito me?”.
La prima e impietosa risposta consisterebbe nel rammentare che il malcapitato non starebbe qui a domandare. Più seriamente, bisognerebbe ricordare che le persone potenziali non godono ancora di quella caratteristica necessaria per interrogarsi ed interrogare: l’esistenza. La possibilità di interrompere una gravidanza riguarda proprio questo tipo di persone – ma le persone potenziali, appunto, non esistono ancora e la loro futura esistenza non basta a renderle persone attuali (qui ed ora). L’essenza delle persone potenziali è tanto fluttuante ed eterea da somigliare all’onirico.
“E se avessero abortito me?” non è una domanda sensata (nemmeno se al “me” segue una caratterizzazione emotivamente coinvolgente: “me disabile”, tanto per rimanere intorno al recente fatto di cronaca), dunque, e apre un percorso temporale a ritroso indefinito (perché le persone potenziali sono tali anche prima del concepimento). “E se il 3 settembre 1933 non avesse piovuto?” sarebbe una domanda equivalente – perché se non avesse piovuto una giovane donna (mia nonna) non si sarebbe riparata sotto a una tettoia ove un giovane uomo (mio nonno) aspettava il sereno, non avrebbero cominciato a parlare, non si sarebbero innamorati, non si sarebbero sposati, non sarebbe nata mia madre e così via.
Per concludere: abortire un feto affetto da una qualche patologia non implica non rispettare le persone disabili o attribuire loro meno valore. Essere per la libertà di scelta (compresa quella di abortire) non implica avere l’animo di Carl Clauberg o del suo più famoso compare, Joseph Mengele. Annientare queste differenze rende ogni discorso su quanto accaduto a Milano privo di senso.

venerdì 31 agosto 2007

Le parole e la realtà, ancora

Dichiarazione di Alessandro Capriccioli, membro dell’Associazione Coscioni:

Carlo Casini, Presidente del Movimento per la Vita, ha ieri affermato che “L’aborto è sempre un male, ma la selezione embrionale aggiunge ingiustizia ad ingiustizia, tanto più se ricordiamo che ci sono famiglie disposte ad adottare un bambino down e che il mongolismo consente oggi di condurre una vita felice”.
Da fratello di persona con Sindrome di Down, sono ben consapevole (e me ne rallegro) del fatto che negli ultimi anni la qualità della vità delle persone con Trisomia 21 sia decisamente migliorata; l’equazione proposta da Casini, secondo la quale le persone con Sidrome di Down condurrebbero oggi una vita felice, è tuttavia a dir poco semplicistica, poiché non tiene conto delle grandi difficoltà che molte famiglie in cui vive una persona con Trisomia 21 debbono tuttora affrontare quotidianamente.
Ha idea, Casini, degli sforzi che occorrono per assicurare a una persona con Sindrome di Down un livello di vita non felice, ma appena accettabile? È consapevole, Casini, che in taluni casi l’esito di quegli sforzi, per quanto convinti e incessanti, può essere tanto modesto da generare in coloro che li hanno posti in essere angosciosi sensi di colpa? Ha riflettuto, Casini, sul dramma di alcuni genitori, che si domandano chi potrà provvedere, dopo di loro, ai bisogni di un figlio con Sindrome di Down? Ha nozione, Casini, delle problematiche di ordine psicologico che le persone con Sindrome di Down debbono fronteggiare, allorché si rendano consapevoli della loro condizione e si trovino a doverla affrontare?
La risposta a queste domande è tutta nella parola che il Presidente del Movimento per la Vita sceglie per il suo comunicato: “mongolismo”; parola desueta già trent’anni fa, inesatta, antiscientifica e mortificante, unanimemente respinta da tutti gli operatori del settore.
Una parola che la dice lunga sulla superficialità con la quale Casini ha inteso affrontare la tematica della Sindrome di Down e dell’eventuale scelta di interrompere la gravidanza da parte delle donne cui essa viene diagnosticata: una superficialità che, a prescindere dalla rispettive posizioni sul tema dell’aborto terapeutico, è oggettivamente offensiva per le persone con Trisomia 21 e per le loro famiglie. Una superficialità della quale il Presidente del Movimento per la Vita farebbe bene a scusarsi.

giovedì 30 agosto 2007

Eugenetica, ignoranza e il Blocco 10 di Auschwitz

In questi giorni il riferimento all’eugenetica è quasi onnipresente, ossessivo direi. E completamente sbagliato. A ripeterlo per l’ennesima volta si ha l’impressione di essere tocchi (ma forse lo sono di più quelli che iniziano e ai quali si è tentati di rispondere, no?). A testimonianza dell’abisso riporto un paragrafo del capitolo che avevo scritto sulla eugenetica e che è decisamente scioccante (è il capitolo nono, per intero sta qua).

Auschwitz: il Blocco 10
La visione biomedica e l’ideologia razziale sono alla base di una espressione dell’eugenetica negativa per alcuni aspetti ancora più atroce delle uccisioni dirette: la sterilizzazione. Gli individui in buone condizioni fisiche potevano essere sfruttati per lavorare, invece che eliminati; a condizione, però, che fosse loro impedito di trasmettere il loro sangue impuro, propagando l’infezione razziale. La Legge sulla Sterilizzazione (14 luglio 1933) aveva giustificato la sterilizzazione chirurgica di mezzo milione di cittadini tedeschi indegni di riprodursi; ma questa prima fase del progetto di ‘igiene razziale’ era costato quattordici milioni di Reichsmark, troppo per ampliare la sterilizzazione al mondo. L’obiettivo era di trovare un metodo economico e veloce per la sterilizzazione di massa. I campi di concentramento erano il luogo ideale per sperimentare metodi alternativi alla costosa chirurgia. Erano disponibili cavie umane in assenza totale di limiti morali.
Il Blocco 10 di Auschwitz era composto principalmente da prigioniere; era un luogo inaccessibile agli sguardi esterni e all’interno si consumarono crimini atroci camuffati da esperimenti medici e scientifici. Le condizioni di vita nel Blocco 10 erano migliori delle condizioni del Lager, perché altrimenti il materiale da esperimento non sarebbe stato adatto. Le cavie non dovevano morire prima di avere svolto il compito assegnato loro. Una parte del Blocco 10 era esclusivamente destinata alla ricerca sulla sterilizzazione. La principale autorità medica in questo settore era Carl Clauberg, sostenuto da Himmler nella ricerca di un metodo economico e efficace di sterilizzazione di massa. Clauberg usava un metodo sperimentale: iniettava una sostanza caustica nella cervice uterina allo scopo di ostruire le tube di Falloppio. Scelse donne diverse per costituzione ed età, con preferenza verso quelle che avevano avuto figli. A tutte faceva diverse iniezioni nel corso di alcune settimane per provocare ostruzioni e danni nell’apparato riproduttivo, che egli verificava tramite radiografie. Molte delle donne morivano a causa di infezioni. In una lettera scritta a Himmler emergono gli obiettivi criminali della ricerca di Clauberg, intrisa di ideologia politica. Clauberg sottolinea l’importanza della politica demografica negativa, e la possibilità di sterilizzare senza interventi chirurgici donne indegne di riprodursi: la sterilizzazione eugenica per mezzo di farmaci.
Un altro programma di sterilizzazione di massa venne portato avanti da Horst Schumann tramite i raggi X: in poco tempo e con una spesa molto bassa potevano essere sterilizzate molte persone. L’ideale per preservare gli ebrei in grado di lavorare, ma per impedire loro di riprodursi. L’esperimento prese il via nel Blocco 30 di Birkenau, in cui i soggetti sperimentali – spesso all’oscuro di ciò che stava per accadere – venivano fatti entrare in una saletta di attesa, introdotti uno per uno nel laboratorio e sottoposti a raggi X. Le donne venivano inserite in due lastre che comprimevano la schiena e l’addome prima di subire le radiazioni; gli uomini poggiavano i testicoli e il pene su una speciale lastra. Molto spesso le donne riportavano gravi ustioni e sintomi di peritonite. Qualche tempo dopo le ovaie erano asportate chirurgicamente, con un intervento invasivo e grossolano che implicava complicazioni di varia natura, emorragie, infezioni, morte. L’intervento durava pochi minuti, dopo una rozza e dolorosa puntura lombare per l’anestesia parziale. “Presero noi perché non avevano conigli”, raccontò una giovane ebrea greca sopravvissuta all’intervento e alle gravi conseguenze.
Gli uomini riportavano scottature nell’area intorno ai genitali. Le vittime raccontarono della raccolta dello sperma tramite un apparecchio ideato da Schumann stesso (una specie di bastone introdotto nel retto che stimolava la prostata e provocava l’eiaculazione), dell’asportazione di uno o entrambi i testicoli in leggera anestesia. Le conseguenze di questi brutali interventi erano emorragie, setticemia, perdita di tono muscolare derivante dalle ferite. Molti morivano in poco tempo. Un gruppo di giovani polacchi dovette essere sottoposto a dosi particolarmente massicce di raggi X, tanto che i loro genitali marcirono.
Il delirio di sperimentazione godeva di assoluta libertà in assenza di ostacoli morali: la più potente arma di assoluzione si radicava nell’idea che quelle persone erano comunque condannate a morte, e pertanto non si stava procurando loro alcun danno.

Il problema non è l’aborto

Uno crede di aver capito gli argomenti dei propri avversari, di averne ricostruito la logica – magari speciosa, ma almeno riconoscibile – ed ecco che quelli rimescolano le carte, e non capisci più nulla – o magari, chissà, capisci finalmente davvero.
Prendiamo la cosiddetta eugenetica: cos’è che turba tanto nelle varie diagnosi di preimpianto (condotte sugli embrioni ottenuti per fecondazione artificiale) o prenatali (sui feti nel grembo materno), spingendo periodicamente ad accessi di indignazione e a condanne senza appello? Fino a ieri, sembrava che la ragione fosse questa: l’embrione (e a maggior ragione il feto) è un essere umano come noi, ed ucciderlo solo perché affetto da qualche patologia – anzi, perché non conforme a un ideale di ‘perfezione’, che imporrebbe di avere solo figli bellissimi e intelligentissimi – è atto inumano ed esecrabile. Quante volte abbiamo sentito la stessa tiritera, che «un malato non si cura ammazzandolo»? Che per coerenza dovremmo rendere lecita anche l’uccisione dei disabili adulti, per risparmiare loro inutili sofferenze? Una posizione chiara, dunque, sebbene basata sull’errore mostruoso di considerare un embrione come se fosse già una persona, e sulla pretesa illiberale di imporre a tutti questa superstizione.

Questo fino a ieri. Ma oggi scopriamo che le cose non stanno così: ce lo rivela, fin dal titolo, un editoriale anonimo del Foglio: «“Eugenetica preconcezionale” all’Asl» (29 agosto 2007, p. 1). È successo che un lettore ha segnalato che sul portale web di un’Asl milanese sarebbe presente la sezione «eugenetica preconcezionale»; quelli del Foglio raccolgono la soffiata, la verificano, scoprono che – orrore! – la stessa cosa succede nel portale della Regione Umbria. Il riferimento è alle analisi che si effettuano normalmente prima di concepire un figlio, per evidenziare la possibilità di malattie genetiche trasmissibili: come la verifica che i due aspiranti genitori non siano affetti entrambi da microcitemia, per esempio, che risulterebbe in una probabiltà su quattro di dare vita a un bambino talassemico.
A questo punto uno si aspetterebbe una condanna dell’uso della parola «eugenetica», e un sermoncino sul fatto che mentre se ne nega la pratica ecco che se ne usa il nome. E il Foglio sermoneggia, in effetti; ma non si ferma lì. Perché oltre alla parola condanna anche la pratica:

si vuole, semplicemente, migliorare la specie, fabbricando i figli secondo il desiderio, trasformando la medicina da cura a selezione e piazzandola sul sito delle Asl, accanto alle visite ginecologiche […]
un’eugenetica preconcezionale da consultorio (quindi anche un codice che stabilisca non solo chi ha diritto di venire al mondo, ma anche chi ha diritto di procreare, perché ha i geni a posto, e chi non soddisfa gli standard di qualità, ma può comunque affidarsi a un tavolo di laboratorio). L’eugenetica non è più un fantasma che si aggira per l’Europa, è un servizio gentilmente offerto dalle Aziende sanitarie locali.
E allora capisci che l’«omicidio dei non-nati» non c’entra nulla (un’analisi preconcezionale, per definizione, si effettua molto prima che si arrivi alla formazione di un embrione), e che forse è solo un pretesto. Se anche la più banale delle misure preventive viene condannata; se chi vuole un figlio è condannato perfino a non sapere se c’è qualche pericolo di malformazione (non esiste naturalmente da nessuna parte un codice che stabilisca chi ha «diritto di procreare»: l’anonimo vaneggia); questo vuol dire che è l’autonomia, l’elementare possibilità di una scelta a dare veramente fastidio. Immagino che per il Foglio anche una donna che semplicemente desideri un figlio sano abbia già «peccato nel suo cuore». Ma cosa c’è di più umano del desiderio di un bambino sano?
In questa follia, in queste condanne concitate e frenetiche, in questa schiuma di rabbia rappresa, l’ideale covato non è del resto più l’umanità ma il gregge, che tutto patisce, che non ha nessun desiderio, se non quello dei suoi pastori – e dei loro cani.

martedì 28 agosto 2007

L’aborto ‘selettivo’

Cosa pensa la senatrice Paola Binetti del caso dell’ospedale San Paolo, dove è stata abortito per errore un feto sano al posto di uno affetto da trisomia 21 (che dà luogo alla sindrome di Down)? Ne pensa qualcosa di strano («“Questa è eugenetica. Arrivato il momento di rivedere la 194”», Corriere della Sera, 27 agosto 2007, pp. 8-9):

In questo caso, poi, aggiungerei subito come premessa che quello che è stato praticato al San Paolo non è un aborto terapeutico ma un aborto eugenetico. Sì, insomma, si è voluto appositamente uccidere il feto malato e salvare quello sano. Quello che non ha funzionato è proprio la selezione.
Il ragionamento della senatrice sembrerebbe essere questo: ci sono due feti; visto che uno è sano, si rigetta l’altro, perché giudicato di qualità ‘inferiore’. Questo spiegherebbe perché la Binetti si affanni a distinguere «questo caso» dagli altri, l’«aborto eugenetico» («quello che è stato praticato al San Paolo») dall’«aborto terapeutico». E del resto anche Carlo Casini, presidente del Movimento per la Vita, trova qui qualcosa di speciale (Simona Ravizza, «Aborto selettivo: bufera sull’ospedale», Corriere della Sera, ibidem):
L’aborto eugenetico apparentemente non è consentito, ma oramai viene accettata l’idea che ci possano essere discriminazioni tra esseri umani. La selezione embrionale aggiunge ingiustizia a ingiustizia.
Su linee analoghe si muove Lucetta Scaraffia, che su Avvenire di oggi rispolvera persino la balla della Svezia immune dall’aborto dei feti down («Se il senso morale si è atrofizzato», 28 agosto, p. 1).
Ma naturalmente le cose non stanno così. Nel caso del San Paolo, la scelta della madre non è certo dipesa dal numero dei feti: ce ne fosse stato uno solo, affetto dalla trisomia, sarebbe stato ugualmente abortito (non è una illazione: dopo l’aborto del feto sano è stato abortito anche quello malato). Non siamo dunque di fronte a una «selezione»; né la motivazione di questa scelta è la ricerca di una indefinita (e indefinibile) perfezione, ma più semplicemente il desiderio umanissimo di avere un figlio sano, di non consumare con sacrifici enormi la propria esistenza dietro un bambino che non sarà assistito da Binetti Casini e Scaraffia, ma dai suoi genitori. Ci troviamo insomma – checché se ne dica – nell’ambito previsto dalla legge 194 (art. 6):
L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata: […] b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.
Il caso del San Paolo rientra dunque – al di là dell’errore deprecabile – nella legalità, ed è inoltre moralmente legittimo (a 18 settimane un feto non è certo ancora una persona).

Di fronte al ripetersi sempre più frequente di attacchi al diritto all’aborto è forse giunto il momento di lanciare un monito agli apprendisti stregoni: uno Stato che neghi o significativamente intralci l’autodeterminazione dei propri cittadini, e che in particolare non riconosca la signoria piena e incontrastata di una donna sul proprio corpo e sulle proprie scelte di vita, costringendola anzi al ruolo di incubatrice naturale solo perché qualche superstizioso possa poi ricavare edificazione morale dalla contemplazione di bambini malati, è uno Stato autoritario, che si rende autore di una aggressione nei confronti dei propri soggetti. Uno Stato come questo è uno Stato illegittimo, contro il quale la resistenza – in qualsiasi forma – diventa non solo ammissibile ma doverosa. Sapienti sat.

lunedì 11 giugno 2007

Vite degne di essere vissute e diagnosi di preimpianto

Su BioNewsPGD and the Human Tissue and Embryos (Draft) Bill», 11 giugno 2007) John Gillott avanza un argomento decisamente degno di nota a proposito della diagnosi genetica di preimpianto (preimplantation genetic diagnosis, PGD, in inglese). Rispondendo a un critico che paventa la possibilità che le vite dei disabili possano più facilmente essere ritenute non degne di essere vissute con la progressiva diffusione e l’ampliamento della PGD, scrive:

In reality prospective parents and society do not see selection as being about avoiding conditions ‘inconsistent with a worthwhile life’ – in many cases they see it as a choice between two worthwhile lives, one of which would also be free from a known genetic risk or condition. I would be very surprised if the father-to-be in the recent case, who has CFEM [congenital fibrosis of the extraocular muscles, una malattia che limita gravemente la visione] himself, saw his life as not being worthwhile.
Molto ragionevole anche questo punto successivo:
The threat of ‘eugenics’ is often wheeled out, or the motives of prospective parents seeking PGD are sometimes labelled ‘perfectionist’ (and this is considered grounds on which to restrict choice). In reality, what parents want to achieve through PGD is a healthy child; not a perfect child but a child free from a known risk. Why should there be any restriction on the genetic risk factors that can be excluded? In practice, taking account of all that is involved, there are many disincentives to using PGD, meaning that parents themselves are inclined to try to use it only for what they and many others would agree are serious conditions. But looking to the future, if a woman were already undergoing IVF and perhaps also PGD and was to make a request for a broader genetic screen, then why not? Evidence suggests that embryo biopsy does no harm to the future child, and IVF involves the selection of embryos as a matter of course. There is no ‘slippery slope’, just the hope of a slippery, slimy and healthy newborn baby.

domenica 11 marzo 2007

La deriva eugenetica

Francis Fukuyama, l’autore de La fine della Storia, ha proposto la creazione di un’agenzia governativa che dovrebbe regolare tutte le materie connesse con la procreazione medicalmente assistita, dalla fecondazione in vitro alla ricerca sulle cellule staminali embrionali, e dalla clonazione all’ingegneria genetica; il tutto, secondo le note propensioni di Fukuyama, in chiave prevalentemente proibizionistica.
Ampiamente condivisibile il commento di Ronald Bailey («Medievalizing Biotech Regulation», Reason, 9 marzo 2007):

Alla fine, l’agenzia sarebbe in larga parte solo il mezzo con cui Fukuyama imporrebbe le proprie scelte morali alle altre persone. Ciò che Fukuyama sta proponendo è un passo indietro, verso i brutti tempi in cui degli estranei decidevano che tipo di bambini sarebbe stato concesso ai loro concittadini di mettere al mondo. Una burocrazia governativa, e non i genitori, prenderebbe decisioni eugenetiche. Come ci mostra la triste storia dei tentativi di regolare la riproduzione umana, la cosa veramente morale da fare è resistere con tutte le forze a questa proposta.

mercoledì 28 febbraio 2007

Oddio, l’incesto!

Il Corriere della Sera dedica un articolo a un caso di incesto in Germania (Francesco Tortora, «Il caso d’incesto che divide la Germania», 27 febbraio 2007):

Sono fratello e sorella ma si amano e sono pronti a portare il loro caso davanti alla Corte Costituzionale tedesca affinché l’antica legge che proibisce l’incesto sia abolita. È la storia di Patrick Stübing e di sua sorella Susan, entrambi di Lipsia, rispettivamente 29 e 24 anni, che in questi giorni sono sulle pagine di molti giornali tedeschi: Patrick e Susan hanno iniziato una relazione nel 2000 e oggi hanno 4 figli, tre dei quali adesso sono in affidamento.
La loro storia d’amore non è così chiara e lineare, come potrebbe apparire in un primo momento: i due infatti hanno vissuto la loro infanzia divisi nella Germania dell’Est comunista e si sono conosciuti quando erano già grandi. Patrick fu adottato da un’altra famiglia e conobbe i suoi parenti biologici non prima del suo diciottesimo anno di età. Il suo vero padre era già morto, ma egli riuscì a trovare la madre, Annemarie e sua sorella Susan solo nel 2000. Sei mesi dopo la riunione la madre Annamarie morì per un attacco di cuore. Presto Susan e Patrick s’innamorarono e cominciarono ad avere una relazione.
Adesso però i due amanti sono stanchi di essere trattati come criminali e hanno annunciato domenica scorsa che porteranno il loro caso davanti alla Corte costituzionale tedesca per cercare di far abolire una legge «vecchia di 100 anni» che dichiara crimine l’incesto: «Vogliamo che la legge che presenta l’incesto come un crimine sia abolita» ha specificato Patrick Stübing che ha passato due anni in carcere e adesso rischia un ulteriore pena proprio perchè non ha messo fine alla relazione con sua sorella. «Non ci sentiamo colpevoli di quello che è accaduto» hanno affermato tutti e due in una dichiarazione rilasciata ai media locali.
La storia ha diviso non solo la Germania, ma anche i Paesi vicini, come il Belgio, l’Olanda e la Francia, dove l’incesto non è proibito per legge. La maggior parte dei dottori che si è interessata al caso però ha sottolineato che sebbene la loro storia sia comprensibile è giusto rispettare le regole della natura: infatti come dimostra la loro storia i figli nati da fratelli e sorelle hanno maggiori possibilità di presentare malformazioni e malattie. Due dei figli di Patrick e Susan sono disabili.
Interessante e ineccepibile il commento di Jim Momo («A proposito di tabù: l’incesto», 27 febbraio):
Dal punto di vista scientifico i figli nati da fratelli e sorelle hanno maggiori possibilità di presentare malformazioni e malattie. Ma nessuna legge proibisce a persone anziane, o disabili, o a portatori sani di malattie genetiche, di avere bambini, anche se corrono seri rischi di generare figli malati o con malformazioni fisiche e mentali. Dunque la proibizione dei rapporti incestuosi rappresenta un limite alla libertà sessuale, ma siccome questo limite non viene posto in analoghe situazioni di rischio per il nascituro, ne consegue che si fonda su un tabù morale.
[…] Quanti si oppongono – e Pera, la Binetti, Galli Della Loggia credo siano fra questi – alle terapie geniche prenatali, a pratiche come l’analisi preimpianto o l’eutanasia infantile, ritenendole forme sfumate di eugenetica, dovrebbero vedere anche nel divieto di incesto, volto a impedire per legge la probabile nascita di bimbi “difettosi”, una forma sfumata di eugenetica.
Insomma, pare che non si possa essere contemporaneamente contro l’eugenetica e contro l’incesto. Perché ragionando con lo stesso metro con cui si valutano altre pratiche, vietando l’incesto a causa dell’alta possibilità che vengano generati figli portatori di handicap si compirebbe ugualmente un’operazione eugenetica.
Viceversa, è semplice rimanere coerenti e tranquilli sulle loro posizioni per coloro che hanno nella libertà individuale la bussola di orientamento. Libertà sessuale. Libertà per fratello e sorella di generare figli se è una scelta libera e consapevole; libertà di generare figli anche in presenza di un elevato rischio di prole disabile o malata; libertà di ricorrere alle tecnologie che permettono di evitare di generare figli disabili e malati; libertà di affidarsi al caso o al destino, o a Dio per chi ci crede. Finché la scelta, appunto, rimane individuale, libera e consapevole, non può esserci dietro progetto eugenetico.
Ovviamente per i reazionari l’incesto rimane lo spauracchio preferito da agitare ogni volta che si parla di allargare i diritti connessi al matrimonio: come se la gente fosse trattenuta dall’unirsi carnalmente con i propri fratelli solo perché gli omosessuali non possono sposarsi... In realtà, basta per questo l’istinto naturale (prodotto verosimilmente dalla selezione naturale), o anche solo l’evoluzione della società verso rapporti sempre più aperti: si pensi a come i matrimoni tra cugini, pur consentiti dalla legge, siano andati diminuendo dai tempi in cui erano pratica diffusa presso alcuni ceti. Ma a chi non riesce a scandalizzarsi perché un ragazzo reo solo di avere amato finisca in galera, questo evidentemente non può bastare.

martedì 27 febbraio 2007

Lisa dagli occhi blu (o Jennifer Capriati)

A proposito della possibilità di intervenire sul patrimonio genetico degli embrioni vorrei demolire qualche luogo comune.
Sebbene la possibilità di modificare tratti somatici (come il colore degli occhi o l’immissione di un talento specifico) sia uno scenario fantascientifico piuttosto che scientifico, è utile sgombrare il campo da presunti argomenti che condannano la genetica migliorativa.
La condanna della manipolazione genetica positiva o migliorativa si basa spesso sull’argomento della violazione della autodeterminazione del nascituro (vedi come esemplare la posizione di Jürgen Habermas in Il Futuro della Natura Umana, 2001). Argomento debole. Molto debole.

Innanzi tutto per l’estrema difficoltà di distinguere una manipolazione genetica negativa (i cui scopi sono terapeutici e difficilmente condannabili moralmente) da una manipolazione genetica positiva (i cui scopi sono migliorativi e oggetto di una dura accusa “eugenetica. Qual è la linea di confine? E, soprattutto, perché la manipolazione genetica negativa viene considerata moralmente accettabile, mentre quella positiva è criticata aspramente come immorale e disumana?
Lo stesso Habermas è costretto a ammettere che tracciare un confine tra genetica positiva e genetica negativa è difficile e implica l’annoso problema di operare una cesura in una sequenza discreta non interrotta da avvenimenti moralmente significativi. Il confine è necessariamente arbitrario e non fattuale, proprio come lo è il confine politico tra due Paesi o la definizione di maggiore età a partire dal compimento dei diciotto anni. Lungo il continuum degli interventi genetici, qual è il punto in cui un intervento (genetico e “tradizionale”) non è più terapeutico ma diventa migliorativo?
Se è agevole definire come intervento squisitamente terapeutico la correzione a livello genetico di una grave malattia (la sindrome di Lesch-Nyhan, ad esempio), è più difficile in casi più sfumati: l’incremento di intelligenza o di forza muscolare è evidentemente un intervento soltanto migliorativo? L’aumento della resistenza immunitaria o il rimedio della calvizie come devono essere considerati? Sembra ragionevole ammettere che una possibile soluzione consisterebbe nell’individuare una soglia di normalità, soddisfatta la quale gli interventi non sono più terapeutici bensì migliorativi. Quali sono i criteri per stabilire la soglia di normalità, da utilizzare come spartiacque tra interventi terapeutici e migliorativi? La questione non è semplice, soprattutto alla luce della difficoltà di offrire criteri soddisfacenti per definire la normalità, la salute e la patologia, e della opinabilità e parzialità di tutti i criteri possibili.

La possibilità della manipolazione genetica darebbe poi origine a un nuovo diritto che le si impone come argine: il diritto a un patrimonio genetico non manipolato. Argomento affine a quello della innaturalità, solleva la seguente domanda: la trasformazione genetica costituisce un accrescimento dell’autonomia e della salute individuali, oppure è dannosa?
Invocare il diritto alla casualità non risolve granché. Affermare il diritto al caso dovrebbe servire da una parte a condannare la strumentalizzazione di una vita umana rispetto alle preferenze di terzi (i genitori), dall’altra la violazione della lotteria cromosomica (che valore ha la lotteria cromosomica?).
Il diritto al caso è un’arma critica piuttosto debole: anche gli interventi genetici terapeutici (dunque gli interventi che in genere vengono considerati moralmente ammissibili) violano il diritto al caso, andando intenzionalmente a correggere anomalie genetiche: la trisomia del cromosoma 21, originata per caso, dovrebbe dunque essere protetta dall’intervento genetico? Perché sarebbe immorale sostituirsi alla casualità genetica nel caso degli interventi genetici migliorativi, ma non nel caso degli interventi genetici terapeutici? Il diritto al caso non può essere invocato arbitrariamente: si può istituire accettandone tutte le implicazioni, e dunque anche l’astensione da interventi genetici terapeutici, oppure è necessario ricusarlo. (Accettereste di essere curati “a caso”?)

La soluzione proposta da Habermas è che gli interventi terapeutici traggono la forza da una presupposizione controfattuale di un possibile consenso da parte dell’embrione, evitando così il rischio di eterodeterminazione genetica (per quale motivo sia possibile presupporre un consenso soltanto rispetto a interventi terapeutici, e non rispetto a interventi che possano migliorare le caratteristiche del nascituro (incrementi genetici di bellezza, intelligenza, memoria) è oscuro): questa presupposizione può riferirsi solo alla prevenzione di mali estremi, che senza dubbio sarebbero rifiutati da tutti. Non può invece essere ipotizzato in altre circostanze. La presunzione di un consenso da parte nel nascituro a quegli interventi contro mali estremi suscita innumerevoli perplessità. Se fosse rilevato un male piccolo, o che comporta sofferenze medie, ci si dovrebbe forse astenere dall’intervenire perché l’intervento sarebbe immorale? E chi stabilisce quale male è estremo? Quali sono i criteri per valutare oggettivamente una gerarchia di mali?
Escludere interventi (eugenetici o terapeutici?) richiamandosi alla necessità del consenso degli interessati sembra equivalere all’affermazione che l’abolizione della schiavitù dovrebbe suscitare il consenso potenziale degli schiavi; ma in fondo la schiavitù – rispetto alla pena di morte, o al diritto del sovrano di vita e di morte sui sudditi – sembra un male medio o trascurabile; dal momento che sarebbe azzardato affermare che tutti darebbero il proprio consenso alla liberazione dalla schiavitù (qualcuno potrebbe preferire vivere in schiavitù, o magari i figli degli schiavi liberati potrebbero rimpiangere la condizione dei loro genitori), possiamo continuare a tenerci i nostri schiavi (bel risultato!).

Gli interventi genetici migliorativi non compromettono l’autonomia individuale e la possibilità di scegliere della propria esistenza.
Non è riscontrabile una differenza moralmente rilevante tra modificazione genetica e modificazione pedagogica, e la pedagogia è accettata (la scuola, i campeggi, le lezioni di danza e di pianoforte), allora anche un intervento genetico migliorativo dovrebbe rientrare in un’area discrezionale dei genitori (la nascita stessa, quella tradizionale, è un atto intrinsecamente eterodeterminato: cosa c’è di più irreversibile e asimmetrico del mettere al mondo un figlio naturalmente?).
È bene sottolineare l’impossibilità di rendere «non avvenuta» una qualsiasi forma di educazione. È sempre possibile, almeno in linea di principio, correggerne le conseguenze; ma questo è possibile anche per gli interventi genetici (posso correggere le conseguenze di una miglioria genetica così come posso correggere le conseguenze di una educazione musicale. Non è superfluo aggiungere che se mi fosse stata aggiunta una predisposizione musicale, ciò non implicherebbe affatto un dovere o una impossibilità di sottrarmi alla carriera musicale. Potrei ignorarla, e non sentirmi limitata nella mia libertà da una aggiunta genetica voluta dai miei genitori. In questa cornice, la mia esistenza non sarebbe compromessa e i miei genitori avrebbero soddisfatto un desiderio che non mi comporta alcun danno, cioè non comporta per me nessun peggioramento della mia condizione. Vi sono limitazioni ben più gravi della libertà filiale, e atteggiamenti dannosi da parte dei genitori nei riguardi dei figli che non sono condannati con la veemenza con cui spesso si critica l’eugenetica, né sono vietati da una legge: l’iscrizione a certe scuole, l’educazione parentale dei primi anni di vita, l’indottrinamento religioso, lo stesso contesto sociale in cui si nasce, le aspettative verso un figlio avvocato o dentista. Tutti questi elementi sono fortissimi condizionamenti della mia libertà di determinare il corso della mia esistenza, e sono forse più irrimediabili del possedere una predisposizione genetica alla danza o all’hockey su ghiaccio. L’infanzia di Jennifer Capriati, trascinata dal padre per ore sui campi da tennis, è un buon esempio di imposizione molto diversa dall’imposizione di una caratteristica genetica…). È evidente che la premessa dell’equivalenza tra modificazioni genetiche e modificazioni pedagogiche (e dunque della possibilità di apportare ‘correzioni’ in entrambi i casi) è costituita dal rifiuto di un ingenuo determinismo genetico.
Insomma, l’esistenza di un individuo migliorato geneticamente sarebbe in qualche modo peggiore della sua esistenza senza quel miglioramento? E se quel miglioramento può essere agevolmente trascurato nelle decisioni riguardanti la propria vita, potrebbe in qualche modo costituire un restringimento dell’autodeterminazione?
Il nascituro si trova nella condizione di non potere mai esprimere una preferenza, ma soltanto una eventuale e futura protesta. Questa eventuale protesta non può servire per condannare una modificazione genetica nei casi in cui la dotazione di predisposizioni (musicali, sportive) non comporti nessun ragionevole peggioramento della condizione del nascituro: egli potrà non usare le predisposizioni geneticamente determinate, e scegliere liberamente il corso della propria esistenza. La dotazione di predisposizioni non danneggia in nessun modo la sua vita.
Inoltre, l’esistenza di un figlio ‘programmato’ mi sembra preferibile all’esistenza di un figlio dell’errore e della distrazione.

Altro che figlio perfetto!

Un eccellente articolo di Pietro Greco («Embrioni, il falso mito degli “occhi azzurri” che rallenta le cure», L’Unità, 26 febbraio 2007, p. 9) spiega con chiarezza in che cosa consista verosimilmente, al di là delle distorsioni e demonizzazioni subito diffuse, il progetto di legge che il governo britannico sembra intenzionato a presentare per aggiornare la normativa sulla fecondazione artificiale, e che prevederebbe (secondo alcune indiscrezioni) la possibilità di modificare geneticamente gli embrioni umani: per far nascere solo bambini biondi con gli occhi azzurri, secondo gli integralisti di ogni latitudine; per curare gravi malattie – oltretutto senza danneggiare nessun embrione! – secondo Greco e secondo il buon senso.

domenica 11 febbraio 2007

Il Quaderno di Scienza e Vita: “Né accanimento, né eutanasia” 2

Ovvero il potere medicale (non chiedetemi cosa sia, lo dice il nostro).
Come promesso ecco la seconda (e non ultima) parte: dopo l’introduzione di Lucetta Scaraffia il primo intervento nel Quaderno è di Louis-Vincent Thomas, La gestione del processo di morte.

Partendo dal ben noto principio che la vita vale più della morte, e che il fatto di vivere più a lungo non implica in sé alcuna contraddizione, l’atteggiamento di rifiuto dell’abbandono del paziente costituisce certamente un atto di coraggio. Esso è anche un atto di fede verso la medicina, poiché implica la ferma credenza nell’efficacia delle sue tecniche. D’altronde grazie all’impiego di queste numerosi malati, che sarebbero stati frettolosamente condannati a morte, sono ancora in vita.
Ci sono alcuni passaggi oscuri qua e là. In che modo potrebbe essere contraddittorio il fatto di vivere più a lungo? L’atto di fede verso la medicina mi lascia senza fiato. Passi che sia un modo di dire, ma è proprio infelice. È poi strano che un fan della naturalità (uno degli argomenti preferiti di quanti abbracciano un atteggiamento prudente verso le biotecnologie) si trovi a incensare una incarnazione dell’artificio: la medicina. Medicina che, almeno nella sua versione moderna, anela al metodo sperimentale che poco ha a che spartire con atti di fede e credenze (intese nel senso che usa Thomas).

Anche lui non resiste al monito eugenetico: come non pensare
all’eutanasia eugenetica praticata in nome della razza o degli interessi di Stato[?]
ma c’è di più:
segnaleremo di sfuggita l’eutanasia economica, «arma segreta degli economisti per risolvere i costi della sanità», la quale consiste nel lasciar morire coloro che si salverebbero a prezzo di ingenti investimenti.
Il paragone con l’eugenetica è tanto frequente quanto assurdo (autonomia e scelta “dal basso” vs imposizione e scelta “dall’alto”). Quanto all’arma segreta impugnata dagli economisti sembra un miscuglio di catastrofismo e fantascienza. Tuttavia lo scenario ha una qualche verosimiglianza, ma rientrerebbe nelle conseguenze (senza dubbio condannabili) non necessarie. Sarebbe un orrore morale ma non una caratteristica intrinseca della eventuale legalizzazione della eutanasia.

Thomas poi a bruciapelo dichiara:
Non possiamo non rabbrividire se pensiamo all’iniziativa del medico britannico che poneva la sigla NBR (Not to Be Resuscited)
Se ci si può risparmiare come superfluo il sottolineare la sgradevolezza di trovarsi di fronte ad una simile condizione, i brividi di Thomas sono mal indirizzati. Perché non si pone nemmeno la domanda di come e perché si sia arrivati alla decisione di non essere rianimati.
Perché non v’è cenno al paziente e alla sua volontà o al fatto che fosse una sua scelta, certo drammatica. Farebbe rabbrividire di gran lunga di più se alla tragicità della condizione di salute si aggiungesse il disinteresse per la volontà del paziente.
Possiamo pensare comunque che, per risolvere la difficile equazione durata-qualità della vita, un’assemblea di saggi, esperti e persone interessate da vicino alla questione saprebbe trovare una soluzione misurata, prudente e ragionevole.
Il paziente non è compreso nella commissione di saggi. È difficile trovare un criterio in assenza della bussola della volontà soggettiva.

martedì 9 gennaio 2007

Anno nuovo, vita nuova per Francesco Cossiga

Era il 21 dicembre (Eutanasia: Cossiga, morte Welby non avrà seguito penale, le news di articolo 21):

“La morte di Welby per eutanasia pone un sigillo drammatico alla tragedia di una vita dolorosissima. È certo un caso di eutanasia che, però, non credo avrà un seguito penale”. Lo dice il presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga, commentando la morte di Piergiorgio Welby. Per il senatore a vita, dopo aver espresso in sede civile la possibilità di rifiutare le cure, sarebbe ora “comportamento di incoerenza e contraddittorietà grave” se la Procura di Roma “procedesse contro il medico che ha staccato la spina”. Quindi, sottolinea Cossiga, “con la necessaria non promozione dell’azione penale, la magistratura avrà con così larga maggioranza, introdotto nell’ordinamento italiano l’istituto dell’eutanasia, non servirà che i fautori dei ‘nuovi diritti’ presentino una apposito disegno di legge”. “Sarebbe certo un comportamento di incoerenza e di contradditorietà grave – spiega Cossiga – se la Procura della Repubblica di Roma procedesse contro il medico che ha staccato la spina su richiesta del malato che da tempo aveva chiesto la ‘morte dolce’. Un pubblico ministero infatti aveva in sede civile espresso parere favorevole acché il giudice autorizzasse il medico a praticare l’eutanasia e poi, quando il giudice respinse il ricorso di Welby, anche se con una ordinanza o pilatesca o frutto di colossale ignoranza sul rapporto tra legge e diritto soggettivo nel nostro ordinamento, interpose appello”.
Oggi (Welby: Cossiga presenta denuncia contro medico Riccio, Il Corriere della Sera, 9 gennaio 2007):
Il portavoce del senatore Francesco Cossiga ha fatto sapere che l’ex Capo dello Stato, come aveva preannunciato ieri, ha presentato denuncia contro il medico Michele Riccio, il chirurgo che staccò il respiratore artificiale a Piergiorgio Welby, dopo averlo addormentato. La motivazione è “per il delitto di omicidio del consenziente previsto dall’articolo 579 del codice penale”. Nel comunicato viene anche riportato: “Con il che si dichiarerebbe che c’è spazio nell’ordinamento giuridico italiano per la liceità dell’eutanasia senza il bisogno di nuove leggi se non per meglio disciplinarla in alcuni casi, come ad esempio per i minori, per le persone prive di coscienza, per i malati di mente, per i disabili e forse anche per i “rom”, nella linea della politica eugenetica messa a punto a suo tempo con rara perizia tecnico-giuridica dal Terzo Reich e per la quale fu prima rapito dal Mossad in Argentina e poi condannato a morte da una corte di giustizia e impiccato in Israele uno dei campioni germanici dell’eutanasia, il colonnello delle SS dott. Adolf Eichmann”.
(I corsivi sono miei. E pure il disprezzo.)