Michele Ainis, «Eluana e i guardiani ubbidienti» (La Stampa, 18 dicembre 2008, p. 1):
Il provvedimento di Sacconi riesuma […] la funzione d’indirizzo e coordinamento, con cui lo Stato ha regolato per trent’anni l’attività delle Regioni. Lo faceva in nome dell’interesse nazionale, una formula magica ospitata nel vecchio testo della Costituzione. Ma a condizione che l’atto d’indirizzo venisse espressamente previsto in una legge, che fosse adottato dall’intero Consiglio dei ministri, che la Conferenza Stato-Regioni avesse manifestato il proprio assenso. Come stabiliva l’art. 8 della legge Bassanini (n. 59 del 1997), che entrò in vigore quando la funzione d’indirizzo e coordinamento era ormai agonizzante, incolpata non a torto d’aver affossato l’esperienza regionale.
Nessuna di queste tre condizioni ricorre nel provvedimento solitario di Sacconi, che dunque suona illegittimo perfino rispetto al vecchio ordine giuridico. Ma nel 2001 la riforma del Titolo V ha soppresso ogni riferimento all’interesse nazionale e ha soppresso perciò le basi su cui poggiava il potere d’ingerenza del governo. Non solo: l’art. 8 della legge La Loggia (n. 131 del 2003) ha poi ulteriormente precisato, a scanso d’equivoci, che gli atti d’indirizzo e coordinamento sono vietati nel campo della sanità. Sicché l’atto firmato da Sacconi è due volte incostituzionale: sia per il passato remoto che per il futuro prossimo. Anzi tre volte: perché oltre a offendere le competenze regionali calpesta la sovranità del Parlamento (soltanto una legge statale di principio può intervenire in materia sanitaria), e perché viola le attribuzioni del corpo giudiziario (sul caso Eluana c’è ormai una sentenza definitiva della Cassazione).
Insomma questo provvedimento non vale nulla, è come una legge promulgata dal direttore delle Poste.
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