Capita talvolta che gli integralisti si mettano ad agitare dai loro organi di stampa spauracchi particolarmente improbabili: l’articolo va consegnato ma il tempo stringe, bisogna spaventare il pubblico pagante che si attende la dose giornaliera di gloom and doom, ed ecco allora che si imbastiscono estrapolazioni lambiccate, in cui il piano scivoloso fa una giravolta e sfida la legge di gravità. Un esempio eclatante ci viene fornito sul numero di oggi di Avvenire da Assuntina Morresi («Senza limiti c’è la lotteria dell’ovocita», 18 marzo 2010, inserto È Vita p. I), che così scrive:
Allo stesso tempo, però, si fa strada l’idea che la ‘donazione’ di parti del proprio corpo sia un diritto individuale. Introdurre il diritto alla donazione significa, ancora una volta, trasformare un atto di libertà in un diritto esigibile. Se la donazione di un ovocita, o di un rene, è un diritto, allora per la struttura sanitaria diventa un dovere accettarlo, conservarlo e trapiantarlo, il che significa però anche trasformare l’organizzazione sanitaria: non si seguirebbero più, innanzitutto, criteri di appropriatezza delle terapie, ma volontà individuali insindacabili, il che rivoluzionerebbe la struttura sanitaria attuale.Secondo la Morresi si potrebbe insomma svolgere in un prossimo futuro il dialogo seguente:
— Buongiorno, il dottor Rossi, per favore?Basta un minimo di buonsenso per capire che un qualsiasi diritto ha un limite nei diritti altrui. È l’ABC del liberalismo: Avvenire non coarta il mio diritto alla libertà di espressione se non mi pubblica questo articolo, che chiaramente non rientra nella sua linea editoriale; lo coarterebbe se facesse pressioni per chiudere questo blog. Per tornare al caso in esame, il diritto dei donatori può venire leso non da chi non riesce a trovare un uso ragionevole per ciò che donano, ma da chi vuole impedire loro di donare con argomentazioni risibili e campate in aria. Qualcuno lo spieghi ad Assuntina Morresi.
— Sono io, salve. Cosa desidera?
— Ecco, vede, io sono un aspirante donatore samaritano: vorrei donare un rene a un malato bisognoso...
— Ah, molto, molto bene. Molto generoso, complimenti: ce ne fossero tanti, come lei! Solo che purtroppo, vede, in questo momento in questa struttura non si trovano pazienti da trapiantare. Ma sono certo che...
— (interrompendolo accigliato) No, scusi: lei dimentica un piccolo particolare: la Rivoluzione Laicista del 2017 ha sancito che donare organi è un diritto insindacabile della persona. In-sin-da-ca-bi-le! Quindi adesso lei mi trova un malato a cui donare un rene. E anche alla svelta.
— Oh, giusto, naturalmente ha ragione. Mi perdoni: sa, a volte un medico anziano come me dimentica i nuovi doveri imposti dalla Rivoluzione... Dunque, uhm, vediamo, cosa si può fare? Ci sarebbe il signor Benvenuti, che ha un’insufficienza renale acuta da iperplasia prostatica benigna... Nel suo caso il trapianto è del tutto inutile, ma dovendo difendere il sacro diritto alla donazione... Solo un attimo, per favore. (Solleva il telefono interno) Infermiera? È ancora lì il signor Benvenuti? Bene, lo trattenga. Sì, se necessario con la forza: si faccia aiutare da un collega robusto. Io arrivo subito.
4 commenti:
Inventare fanta scenari apocalittici è l'unico modo che hanno per stordire il lettore è far passare per sensate le loro arrampicate sulle vetrate
Sono stato tentato di fermarmi a: "Introdurre il diritto alla donazione significa, ancora una volta, trasformare un atto di libertà in un diritto esigibile" (e avrei fatto bene, visto il seguito). Quale sarebbe l'atto di libertà da trasformare, in questo caso? L'autrice non sostiene forse che questo atto di libertà non deve esistere?
Ma facciamo un altro esempio calzante: secondo l'autroce, donare alla Caritas è un atto di libertà, o un diritto del singolo? E che fa di solito la Caritas, per venire incontro a questo diritto: prende il primo magnate che passa e lo obbliga ad intascare un assegno appena ricevuto?
... "Qualcuno lo spieghi ad Assuntina Morresi"
Tempo perso. Loro hanno sempre ragione perchè obbediscono alla Verità Assoluta.
La cosa che mi fa maggiormente rabbia è che la Nostra è un docente universitario all'Università di Perugia. Il suo libello sull'RU486 scritto a quattro zampe con la Roccella è paradigmatico del suo modo di pontificare su cose che non sa, col metodo (di cui questo articolo è esempio) della finta logica, sempre e comunque finalistica: in sostanza vuole scrivere un suo personalissimo pensiero, finge pertanto di vedere in fatti della realtà uno spunto di riflessione, anzi ne travisa il senso e l'analisi per piegarlo alla sua idea (tant'è, è il loro modo di "ragionare").
Tornando al libello su RU486, è zeppo e dico zeppo di fesserie farmacologiche, errori madornali soprattutto di metodo, ancor prima che nei contenuti, su come si sperimenta un farmaco. E allora mi chiedo: è possibile che nessuno, dico nessuno dei docenti dei vari dipartimenti di Farmacologia, Farmacia, Ginecologia della sua stessa Università si sia svegliato un giorno ad urlarle le boiate che andava farneticando? Non si sentono neanche un po'chiamati in causa quando una loro collega parla dai pulpiti con tanta leggerezza ed ignoranza su temi così complessi, ma neanche troppo tecnicistici? Non pensano che ne va della reputazione del loro stesso lavoro e del loro stesso Ateneo?
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