mercoledì 31 maggio 2006

La dichiarazione (immorale) di Fabio Mussi sulle staminali

L’Italia ha ritirato la sua firma dalla «Dichiarazione etica» con cui cinque Stati membri avevano espresso una posizione contraria alla ricerca sulle cellule staminali embrionali. Lo ha annunciato a Bruxelles il ministro dell’Università e ricerca, Fabio Mussi. Un cambiamento di rotta del governo in ambito europeo, su un tema molto delicato. Tant’è che ha subito innescato reazioni e polemiche in Italia e nell’Europarlamento (Staminali, l’Italia apre alla ricerca europea, Il Corriere della Sera, 31 maggio 2006).
E ha aggiunto Mussi: per la ricerca, in molti paesi europei la questione delle staminali non è questa grande notizia.
Eh già, ma in Italia si sono scatenate le polemiche (L’alleata Binetti: «Ha agito da solo», Il Corriere della Sera, 31 maggio 2006). Secondo la ex Presidente del Comitato Scienza e Vita il cambio di rotta del ministro è da bocciare sotto tre punti di vista: scientifico, etico e di tenuta del governo (scientifico? ovvero? etico? perché? sulla tenuta del governo possiamo immaginare). Rocco Buttiglione chiede addirittura le dimissioni di Mussi. Per Domenico Di Virgilio è un atto grave e contrario ad una legge dello Stato italiano. Maurizio Gasparri definisce quello di Prodi un governo di cani sciolti. Il nostro Luca Volontè domanda: Le dichiarazioni rilasciate dal ministro dell’Università non si pongono in aperto contrasto con lo schiacciante esito del referendum sulla legge 40? È questo l’orientamento del Governo o l’opinione personale del ministro, che si pone in aperto contrasto con quella della maggioranza dei cittadini su questo argomento così delicato?

Possiamo dormire sonni tranquilli se un passo (piccolo, timido) come il ritiro dal patto etico stretto con Austria, Germania, Polonia, Slovacchia e Malta ha scatenato questo putiferio.

Il Premio Calderoli a Oriana Fallaci!

A furor di popolo viene consegnato alla Fallaci e al New Yorker. Basterebbe una delle tante assurde dichiarazioni della hysterical (è lei stessa a definirsi così) giornalista: Non voglio vedere questa moschea (un progetto di costruzione nel senese), è molto vicina alla mia casa in Toscana. Non voglio vedere un minareto di 24 metri nel paesaggio di Giotto, quando io nei loro paesi non posso neppure indossare una croce o portare una Bibbia. Se sarò ancora viva andrò dai miei amici a Carrara, la città dei marmi. Lì sono tutti anarchici; con loro prendo gli esplosivi e la faccio saltare per aria (sic).
Come non lasciare riaffiorare le parole: la giornalista scrittrice che ama la guerra perché le ricorda quando era giovane e bella... (Salvami, 2002).
Dopo la gioventù e la bellezza ci potrebbe essere il silenzio.
Per chi avesse fegato: The Agitator, New Yorker.

martedì 30 maggio 2006

Bisessuallità e poliamore

In un lungo e denso articolo, di cui mi accorgo solo ora, Stanley Kurtz esamina le prospettive della legalizzazione delle unioni poliamoroseHere Come the Brides», The Weekly Standard, 26 dicembre 2005). Kurtz parte da un esame del caso di Victor e Bianca de Bruijn e di Mirjam Geven, un uomo eterosessuale e due donne bisessuali che il 23 settembre 2005 hanno sottoscritto un contratto legale di coabitazione a tre in Olanda, avviando allo stesso tempo un ménage à trois; in seguito passa ad illustrare la politica della Chiesa Unitaria americana a favore del poliamore. La sua tesi è che ben presto le persone bisessuali chiederanno la legalizzazione del matrimonio di gruppo, in quanto struttura più adatta entro la quale esprimere il proprio orientamento sessuale.
È un po’ difficile vedere perché questa premessa dovrebbe essere valida (non basta certo l’asserita – da Kurtz – propensione dei bisessuali a una maggiore promiscuità). L’autore segna comunque un punto quando fa notare che l’orientamento bisessuale di almeno una parte dei partecipanti potrebbe rendere psicologicamente possibile la poligamia, rimuovendo la causa scatenante della gelosia tra i vari partner.

Il ministro tiene famiglia (ma non tiene ai PACS...)

Il ministro tiene famiglia è il titolo di una intervista revisionista di Rosy Bindi (Famiglia Cristiana, n. 23). Il ministro tiene famiglia somiglia tanto alle minacce criminali che tramite una banale frase alludono alla possibilità che quella famiglia non ci sia più (uccisa dai malviventi se il minacciato non è disposto ad accettare certe condizioni). Vabbeh.
Quali sono le ragioni per voltare le spalle alle unioni civili? Perché si chiude quel doveroso spiraglio aperto qualche giorno fa dalle dichiarazioni del neo ministro della famiglia?

Secondo la stessa Bindi il Corriere della Sera avrebbe strumentalizzato le sue parole sulle unioni civili, mettendole in contrapposizione a quelle del Papa (sic).
E prosegue:
La parola non c’è nel programma dell’Ulivo. Non faremo mai i Pacs. Nel nostro programma c’è scritto: “L’Unione proporrà il riconoscimento giuridico di diritti, prerogative e facoltà alle persone che fanno parte delle unioni di fatto”. Non verranno riconosciuti i diritti delle unioni, ma delle persone. Altrimenti ci sarebbe contrasto con l’articolo 29 della Costituzione che parla solo di famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna.
[…]
A Grillini dico di non far diventare un problema una scelta che è minoritaria nel Paese, e alla Chiesa di non spaventarsi. Non abbiamo alcuna intenzione di inventare il piccolo matrimonio o il matrimonio di serie B. Le coppie eterosessuali sappiano che se vogliono gli stessi diritti e gli stessi doveri del matrimonio possono sposarsi.
Cosa c’entra che sia una scelta minoritaria? Niente. E soprattutto non può costituire una giustificazione per negare un riconoscimento giuridico; foss’anche una sola coppia a chiederlo (se non esistono altre ragioni – e nessuno mi sembra in grado di dimostrare perché questi PACS non s’hanno da fare) è giusto che venga concesso ciò che chiedono. Evito di commentare le espressioni ‘piccolo matrimonio’ o ‘matrimonio di serie B’. Interessante l’informazione destinata alle coppie eterosessuali: non lo sapevate, eh?, che avreste potuto sposarvi invece di piantare grane? Non state a fare i capricci, allora, e andate a fare le partecipazioni, che è pure divertente e potete fare la lista di nozze e scegliere i fiori e l’ordine dei posti a tavola. (Gli omosessuali, neanche a dirlo, che si fottano pure.) E la Bindi ci offre una ben poco soddisfacente spiegazione: mancherebbe il presupposto per definire “matrimonio” il loro rapporto. Perché? Chiedo scusa se sto sempre a fare domande.
E aggiunge: “Naturalmente, nel definire diritti e prerogative delle persone che formano le unioni di fatto, non faremo alcuna discriminazione”. E ci mancherebbe altro, che vogliamo andare orgogliosi di attribuire diritti e prerogative alle persone senza entrare nelle loro camere da letto? Discriminare le persone in base alle loro preferenze sessuali è incivile, illegittimo e ipocrita. Molto ipocrita.

It can’t happen there

Su AlterNet è stato pubblicato oggi, col titolo «Tyranny of the Christian Right», un lungo excerptum dal libro di Michelle Goldberg, Kingdom Coming: The Rise of Christian Nationalism, Norton, 2006, in cui si delinea un possibile esito catastrofico dell’attuale guerra culturale tra laici e fondamentalisti in America.
The mass movement I’ve described aims to supplant Enlightenment rationalism with what it calls the “Christian worldview.” The phrase is based on the conviction that true Christianity must govern every aspect of public and private life, and that all – government, science, history and culture – must be understood according to the dictates of scripture. There are biblically correct positions on every issue, from gay marriage to income tax rates, and only those with the right worldview can discern them. This is Christianity as a total ideology – I call it Christian nationalism. It’s an ideology adhered to by millions of Americans, some of whom are very powerful. …
In the coming years, we will probably see the curtailment of the civil rights that gay people, women and religious minorities have won in the last few decades. With two Bush appointees on the Supreme Court, abortion rights will be narrowed; if the president gets a third, it could mean the end of Roe v. Wade. Expect increasing drives to ban gay people from being adoptive or foster parents, as well as attempts to fire gay schoolteachers. Evangelical leaders are encouraging their flocks to be alert to signs of homosexuality in their kids, which will lead to a growing number of gay teenagers forced into “reparative therapy” designed to turn them straight. (Focus on the Family urges parents to consider seeking help for boys as young as five if they show a “tendency to cry easily, be less athletic, and dislike the roughhousing that other boys enjoy.”)
C’è una curiosa aria di famiglia in questi aspiranti teocrati:
Writing just after 9/11, Salman Rushdie eviscerated those on the left who rationalized the terrorist attacks as a regrettable explosion of understandable third world rage: “The fundamentalist seeks to bring down a great deal more than buildings,” he wrote. “Such people are against, to offer just a brief list, freedom of speech, a multiparty political system, universal adult suffrage, accountable government, Jews, homosexuals, women’s rights, pluralism, secularism, short skirts, dancing, beardlessness, evolution theory, sex.”
Christian nationalists have no problem with beardlessness, but except for that, Rushdie could have been describing them.
It makes no sense to fight religious authoritarianism abroad while letting it take over at home. The grinding, brutal war between modern and medieval values has spread chaos, fear, and misery across our poor planet. Far worse than the conflicts we’re experiencing today, however, would be a world torn between competing fundamentalisms. Our side, America’s side, must be the side of freedom and Enlightenment, of liberation from stale constricting dogmas. It must be the side that elevates reason above the commands of holy books and human solidarity above religious supremacism. Otherwise, God help us all.
In Italia la situazione è differente; ma non abbastanza, temo, da rendere superflua un’assidua vigilanza.

Nessun Satana ad Auschwitz

Secondo Ernesto Galli Della Loggia ci sarebbe lo zampino di Satana ad Auschwitz, e il pontefice non avrebbe potuto fare un discorso più impeccabile sul silenzio di dio, la cattiveria disumana dei nazisti e le tante responsabilità politiche (dimenticate, vabbeh). Il figlio del popolo tedesco, come si definisce più volte Ratzinger, viene insomma promosso a pieni voti da Galli Della Loggia (Satana ad Auschwitz, Il Corriere della Sera, 30 maggio 2006).
Il senso del richiamo del Pontefice al ruolo della leadership nazista sta nel voler porre l’accento su un elemento troppo spesso cancellato quando si parla del nazionalsocialismo, e cioè il nichilismo radicale, la smisuratezza antiumana, insomma il demoniaco che si stagliava dietro la croce uncinata e che ne faceva il simbolo di un vero e proprio risorgente paganesimo, spesso nelle forme ancora più agghiaccianti di una disciplinata burocrazia.
[…] solo evocando il male assoluto, solo scorgendo tra i fumi infernali dei camini di Auschwitz il volto di Satana, solo così acquista senso il grido supremo della disperazione umana che Joseph Ratzinger ha rivolto al cielo.
Niente di demoniaco, di grandioso sebbene nel male, nessun satana. Il volto è quello di un uomo come tanti, un uomo normale di quella normalità che fa paura perché potresti essere tu, perché non c’è una fascia al braccio ad indicare “antiuomo”; perché è squallore e mediocrità. Nessun grido da rivolgere al cielo, ma la consapevolezza che non per tutti basta guardare in su.
Dovrebbe essere superfluo, ma forse sarebbe utile rileggere (non oso dire ‘leggere’) quel libro che ha descritto magistralmente quella banalità del male, svelando l’ipocrisia e la falsità di tracciare il profilo di Belzebù. Soltanto un banale naso umano.

lunedì 29 maggio 2006

Senza condom l’Uganda muore

Lo abbiamo sentito o letto più volte in una forma o nell’altra. Per esempio sul Foglio del 27 aprile («Ecco perché chi assicura “sesso sicuro” con il preservativo mente», p. 2), che riprendeva i concetti espressi in un libro del 2004 dal cardinale Alfonso López Trujillo:
C’è ora, a dare ragione alla chiesa, il caso dell’Uganda, l’unico paese africano che è riuscito a dimezzare il contagio [da HIV] grazie a una politica di prevenzione che dal 1991 è incentrata sull’astinenza dai rapporti sessuali promiscui e sull’invito ai giovani perché inizino più tardi l’attività sessuale.
Adesso da questo paradiso della virtù ricompensata arriva una notizia di segno un poco differente: in un discorso tenuto il 18 maggio scorso a Kampala, il Direttore Generale della Uganda Aids Commission (UAC), Kihumuro Apuuli, ha rivelato che da 70.000 nel 2003 il numero di nuove infezioni da HIV è quasi raddoppiato nel 2005, toccando i 130.000 casi.
La storia delle distorsioni, degli inganni e in ultimo della follia criminale che hanno condotto a questo triste risultato ci viene raccontata, in due articoli dettagliati e documentatissimi apparsi entrambi il 25 maggio, da Esther Kaplan («A disaster for abstinence ideology», Talk to Action; grazie ad Angela per la segnalazione!) e da Daniel DiRito («Abstinence: Uganda HIV Rates Suggest Failure», Donklephant), che si rifanno in parte all’eccellente pagina «HIV & Aids in Uganda» di Steve Berry e Rob Noble, Avert.org.
Una campagna iniziata nel 1986, che prevedeva sì l’invito ad astenersi dal sesso prematrimoniale e a rimanere fedeli al proprio partner, ma anche – particolare spesso taciuto – la massiccia diffusione di preservativi, aveva contribuito a ridurre la percentuale di sieropositivi sul totale della popolazione adulta dal 15% del 1991 al 4,1% del 2003 (nonostante qualche dubbio sull’attendibilità delle statistiche). Ma nel frattempo l’influenza dell’Amministrazione Bush (appoggiata dalle locali chiese evangeliche) cominciava a farsi sentire: ingenti aiuti finanziari venivano subordinati all’adozione di una politica che si imperniasse tutta sull’astinenza sessuale, riducendo sempre di più il ruolo dei profilattici. Nel 2004, con la scusa di controlli di qualità, le scorte di condom fino ad allora distribuite gratuitamente nelle cliniche venivano ritirate, e non più rimesse in circolazione, neanche quando se ne dimostrava la sicurezza. Nuove tasse scoraggiavano anche l’acquisto dei profilattici, fino a che alla metà del 2005 si verificava una vera e propria crisi di scarsità. Il resto, purtroppo, è cronaca.

Coltivare bistecche

Su Slate un bell’articolo di William Saletan («The Conscience of a Carnivore», 27 maggio) ci ricorda l’incoerenza morale di chi mangia carne:
You munch a strip of bacon then pet your dog. You wince at the sight of a crippled horse but continue chewing your burger. Three weeks ago, I took my kids to a sheep and wool festival. They petted lambs; I nibbled a lamb sausage.
Come se ne esce? Semplice: con le colture cellulari in vitro di tessuti animali. Se ne stanno occupando tre università olandesi e un’organizzazione senza scopi di lucro americana, New Harvest: da una singola cellula, lasciata moltiplicare, si potrebbe ricavare in teoria tanta carne da soddisfare i bisogni dell’intera popolazione mondiale: carne più sana di quella che esce dai macelli, e ottenuta con un procedimento meno inquinante, meno dissipatore di risorse naturali e, soprattutto, moralmente ineccepibile.

Certo, le questioni morali a volte hanno la sgradevole tendenza a ripresentarsi in qualche altra forma. C’è un’ovvia estensione del concetto, di cui Saletan – saggiamente – non parla, ma di cui suppongo sia consapevole, come chiunque altro abbia ragionato un minuto sulla questione; un’estensione che provocherà dibattiti etici a non finire, c’è da giurarci. Forse il primo a cui l’idea si sia presentata è Arthur C. Clarke, che in un racconto del 1964, «The Food of the Gods», immaginava una tecnica simile a quella oggi allo studio, e il suo, uhm, cattivo uso. Ma in definitiva, sufficit diei malitia sua: ce ne occuperemo quando sarà tempo...

Su Auschwitz Benedetto XVI si interroga: Perché, Signore, hai taciuto?

In visita ad Auschwitz (Il discorso integrale del Papa ad Auschwitz, Il Corriere della Sera, 28 maggio 2006) il pontefice domanda dove fosse Dio in quei giorni, e il perché del suo silenzio.

Una qualche idea noi ce l’avremmo riguardo al motivo del silenzio divino, e credo che sia intelligibile anche senza essere resa esplicita. No, non perché come ha detto Benedetto XVI: «In un luogo come questo vengono meno le parole».

Ma la domanda giusta (se posso permettermi) sarebbe un’altra: Perché, Pio XII, hai taciuto?
A questa domanda vorremmo una risposta. Il silenzio del Signore non ci riguarda.

domenica 28 maggio 2006

Il caso di Eluana Englaro alla Corte d’Appello di Milano

Da Vivere & Morire, Cominciato esame della Corte d’Appello sul ricorso Englaro, 27 maggio 2006:
È iniziato ieri il nuovo viaggio della speranza per Beppino Englaro: il papà di Eluana, la giovane lecchese in coma irreversibile da 17 anni, chiede sia staccata la spina che tiene artificialmente in vita la figlia.
E ieri la Corte d’Appello di Milano ha aperto di fatto l’istruttoria compiendo un piccolo passo in avanti rispetto alle richieste del genitore: ascoltare il racconto di chi avrebbe sentito la Englaro esprimere il desiderio di non dover essere tenuta in vita con delle macchine. La lista dei testimoni sarà valutata il 30 giugno prossimo.
[…]
Quello che chiede Englaro è molto semplice: “Restituire la dignità umana e il diritto alla morte a mia figlia”.
[…]
Il concetto del ricorso ruota attorno all’utilizzo del sondino nasograstrico: chiunque può rifiutare questo trattamento, ma non chi è incapace di intendere e volere come, appunto, una persona in coma. Se la Corte d’Appello di Milano dovesse esprimersi in modo diverso da quanto fatto dai colleghi di Lecco, si aprirebbe la strada all’eutanasia. In caso di ennesimo diniego, si andrà in Cassazione e poi forse anche alla Corte di Strasburgo. Sarà necessario stabilire, attraverso le testimonianze, l’effettiva volontà della Englaro di non essere mantenuta in vita artificialmente. “Continuerò fino a quando otterrò ragione”, ha detto il padre.
[…]
“Spero che ancora una volta non vengano negati i diritti di mia figlia: su tutti quello espresso nelle sue piene capacità di intendere e di volere molto prima di quel maledetto incidente”.
Speriamo che i desideri di Eluana vengano finalmente rispettati.

Eurisko, i Valdesi e Luca Volontè

Comunicato stampa dell’agenzia Notizie Evangeliche del 24 maggio 2006:
Roma, 24 maggio 2006 (NEV-CS28) – Sì alle coppie di fatto, sì ad un’“ora delle religioni” nei programmi scolastici, sì all’eutanasia. I dati della terza ricerca Eurisko commissionata dalla Chiesa valdese parlano chiaro: gli italiani sembrano essere più secolarizzati e laici di quanto comunemente si supponga.
I dati resi pubblici nel corso di una conferenza stampa svoltasi stamattina alla sede Eurisko di Roma, sono stati presentati dalla moderatora della Tavola valdese la pastora Maria Bonafede e da Paolo Naso, coordinatore della Campagna 8 per mille delle chiese valdesi e metodiste.
“In Italia la gente sceglie e decide liberamente cosa credere e come credere. È bello rendersi conto del fatto che in fondo gli italiani hanno voglia di convivenza pacifica e di dialogo. Dicono no ai ghetti, e sì alla presenza della diversità e della spiritualità degli altri” ha commentato la moderatora nel corso della conferenza stampa.
Dalla ricerca emerge che il 70% degli italiani è molto o abbastanza favorevole all’attivazione di un insegnamento di “Storia delle religioni” in chiave laica e aconfessionale. Non vede invece di buon occhio la moltiplicazione degli insegnamenti confessionali: solo il 46% è favorevole all’estensione di un’ora di insegnamento anche alle altre fedi. In linea generale gli italiani si dicono interessati al “fatto religioso”, tant’è che sono desiderosi di saperne di più: il 59% gradirebbe più spazio per le “altre religioni” sui media. Il 65% è favorevole al riconoscimento giuridico delle coppie di fatto. Il 67% afferma di “cercare di capire le indicazioni della Chiesa cattolica” su materie di ordine sociale e politico, ma alla fine “agisce secondo la propria coscienza”. Il 67% è favorevole a qualche forma di eutanasia (il 45% solo su espressa indicazione del paziente; il 24%, accertata l’impossibilità di decidere ed esprimersi del paziente anche su indicazione dei parenti).
“Prese di posizione che sorprendono, specialmente se si considera che l’82% del campione si dichiara cattolico” ha affermato Paolo Naso. Tra chi va a messa tutte le settimane, e quindi può essere considerato cattolico praticante, i favorevoli alle coppie di fatto sono sempre più della metà: il 53%. Inoltre, tra i praticanti, il 53% non esclude a priori la possibilità di ammettere l’eutanasia. “In generale nel nostro paese – e in particolare nell’opinione di molti politici – si assume ancora che il tema sia immaturo, se non tabù. I dati dimostrano che non è così. Vi è un’apertura, una disponibilità alla riflessione. Evidentemente i ‘cattolici adulti’ sono più numerosi di quanto comunemente si crede” ha dichiarato Naso. È vero che la messa domenicale è sempre più disattesa: il trend da anni è calante, eppure gli italiani non per questo non pregano: l’83% del campione dice di farlo, di questi il 34% lo fa tutti i giorni.
“È importante che il nuovo governo ora prenda atto di questi dati – ha dichiarato Bonafede. – In materia di coppie di fatto, per esempio, la gente ha capito serenamente che nella realtà sociale esiste una pluralità di forme famigliari che necessitano di norme che ne tutelino i diritti. Verrebbe da dire: cari politici, fate qualcosa di laico!”.
La presentazione della ricerca è stata fatta nel quadro della campagna 8 per mille della Tavola valdese (Unione chiese valdesi e metodiste).
Notizia dell’agenzia Ansa, dello stesso giorno:
(ANSA) – ROMA, 24 MAG – “Né Capezzone, né Grillini hanno alcuna vergogna nel commentare i dati relativi al sondaggio di Eurisko”. Lo dichiara Luca Volontè, capogruppo Udc alla Camera.
“L’indagine – spiega Volontè – è stata commissionata dalla Chiesa Valdese e i dati, semmai, sono eclatanti per il semplice fatto che la Chiesa Valdese approva sia i pacs che le coppie di fatto. Siamo felici di constatare che il 35% degli italiani valdesi dissentono dalla linea dei propri pastori”.
“Ancora più eclatante sottolinea il capogruppo Udc alla Camera – è la faccia tosta di Capezzone, che finge di non conoscere come il sito ufficiale dei radicali italiani inciti ogni [sic] azione a favore della Chiesa Valdese, così come Grillini finge di non sapere come l’arcigay in particolare il Cig di Milano esalti le posizioni valdesi in materia di pacs”.
“Questa mistificazione – conclude Volontè – a cui si è prestata [sic] la rispettabile Chiesa Valdese e l’Eurisko, è purtroppo figlia delle simpatie certificate on-line di gay e radicali nei confronti di chiunque approvi le loro posizioni antifamiglia”.
Qualcuno, per favore, catturi con qualche stratagemma l’attenzione dell’On. Volontè, lo faccia sedere e si assicuri che non possa distrarsi; quindi, con molta calma e sillabando con cura le parole, gli spieghi che se il 35% degli italiani ha un’opinione, questo non vuol dire che ce l’abbia automaticamente anche il 35% degli italiani valdesi... Uhm, troppo difficile, dite? Allora provate a chiedergli perché dal fatto che Radicali e Arcigay abbiano simpatie per i Valdesi dovrebbe seguire che il sondaggio sia tutta una mistificazione... Vabbè, ho capito, ho capito, lasciamo perdere.

Aggiornamento: i Valdesi hanno risposto a Volontè.

Ancora sul retinoblastoma e la selezione embrionale

Nello stesso giorno in cui un editorialista del Foglio dimostrava i limiti della propria capacità di leggere e far di conto, nel tentativo fallito di commentare intellegibilmente l’episodio dell’embrione selezionato nel Regno Unito perché fosse immune da una forma di tumore della retina, usciva altrove un secondo articolo sulla stessa vicenda (Felice Achilli e Clementina Isimbaldi, «Anche il bimbo che non può avere il tumore è selezione della specie», Libero, 16 maggio 2006, p. 14).
Gli argomenti apportati dalla coppia di commentatori per condannare la tecnica della selezione embrionale si riducono quasi tutti a uno solo: «Lo scopo della diagnosi, in medicina, è di permettere la terapia, non di sopprimere il malato». L’embrione è una persona, e quindi non va ucciso. Confutare questa asserzione ci porterebbe troppo lontano dal nostro tema, e non produrrebbe oltretutto nessun argomento originale. C’è tuttavia da osservare come gli autori (e non sono i soli) sembrino convinti che la loro opinione sia in realtà un dato di fatto indiscutibile, e manifestino una certa ottusa incapacità a rendersi conto che le cose non stanno esattamente così. Del resto ci sarebbe da chiedersi su quali basi si fondi la loro convinzione, visto che concludono l’articolo con un lapidario «chi è malato vuole guarire, non essere ucciso prima che la malattia si esprima». Che un embrione formato al massimo da una decina di cellule possa volere qualcosa è, si ammetterà, una nozione piuttosto difficile da accettare...

Ad ogni modo, come spesso succede in questi casi, gli autori non si accontentano delle loro trincee morali, e si avventurano sul terreno esposto dei fatti. Dove noi li attendiamo.
[C]osa ancor più grave … la tecnica della fecondazione assistita, cui la coppia si è sottoposta, annovera tra i suoi effetti a distanza proprio lo sviluppo di retinoblastoma, come segnalato su Lancet (Moll AC., 2003). La questione è quindi più complessa di quanto la si voglia far apparire.
Il riferimento è a Annette C. Moll et al., «Incidence of retinoblastoma in children born after in-vitro fertilisation», Lancet 361, 2003, pp. 309-10. Sono noti sette casi di bambini concepiti in vitro e affetti da retinoblastoma non familiare: uno in Israele, uno negli Usa, e ben cinque nei Paesi Bassi (D. BenEzra, «IVF and retinoblastoma», British Journal of Ophthalmology 89, 2005, p. 393; l’autore commette quello che mi pare un evidente errore nel computo dei casi olandesi). È di questi cinque casi che si occupa l’articolo di Moll et al., occorsi tutti in bambini nati tra il 1997 e il 2001. In Olanda tra il 1980 e il 1997 non se ne erano mai verificati, né da un esame della letteratura risultano nuovi casi dopo il 2001. Studi subito intrapresi per controllare la situazione in altri paesi hanno dato esito negativo: nessun caso in Danimarca, nessun caso nel Regno Unito. La spiegazione più probabile è a questo punto che un fattore causale estrinseco ed ignoto sia stato attivo nel periodo (una variazione nelle procedure della procreazione assistita?), o che si tratti di una anomalia statistica. E queste erano già in sostanza le conclusioni – giustamente prudenti – degli autori dello studio apparso su Lancet. Quindi l’affermazione dei due di Libero, che «la tecnica della fecondazione assistita … annovera tra i suoi effetti a distanza proprio lo sviluppo di retinoblastoma» è di nuovo un’opinione contrabbandata come fatto.
Questo già la dice lunga sull’integrità (o sulla competenza) professionale dei due personaggi, che vengono definiti in calce all’articolo «medici» (di un’associazione cattolica, «Medicina e Persona»); ma per amore di discussione ammettiamo pure – tutto può essere – che i dati olandesi siano rappresentativi. L’articolo originale dà una stima di 7,2 volte per l’incremento del rischio di sviluppare la malattia rispetto alla popolazione generale. Già, ma qual è normalmente il rischio di essere colpiti dal retinoblastoma? Usando i dati proposti dagli autori esso risulta per ciascuna persona che nasce nei Paesi Bassi dello 0,0036%, non molto differente da quello degli altri paesi occidentali. Con un incremento del 7,2 il rischio diventerebbe invece dello 0,026%. Applichiamo adesso questi risultati al nostro embrione, che però sicuramente non ha ereditato dai genitori la malattia, essendo stato appositamente selezionato: il rischio che la sviluppi è quindi in partenza un po’ inferiore a quello della popolazione generale (il retinoblastoma si presenta in forma sia ereditaria, sia non ereditaria). Con l’aiuto di un altro studio (sempre di Annette Moll e colleghi: «Incidence and survival of retinoblastoma in the Netherlands: a register based study 1862–1995», British Journal of Ophthalmology 81, 1997, pp. 559-62, tab. 2 a p. 560) valutiamo questo rischio allo 0,0032%, che la fecondazione in vitro aumenterebbe, nell’ipotesi, allo 0,023%. Questa sarebbe dunque la probabilità che l’embrione sviluppi comunque il retinoblastoma, se davvero la procedura adottata avesse gli effetti nefasti descritti. Invece, la probabilità che l’embrione avesse sviluppato il retinoblastoma se i genitori non avessero fatto ricorso allo screening embrionale, sarebbe stata del 45%: quasi 2000 volte superiore. Per i due autori dell’articolo di Libero, quindi, che non si tenga conto di una probabilità dello 0,023% (al massimo) è una «cosa grave», e chi si compiace del successo ottenuto ha una posizione che, oltre «che non etica … appare poco scientifica», visto che in fondo le probabilità di sviluppare una grave malattia sono diminuite solo di 2000 volte...

Si potrebbe continuare, ma penso che questo sia sufficiente. Tengo però ad assolvere i due autori da una colpa: il titolo demenziale dell’articolo non è loro, ma di Libero.

venerdì 26 maggio 2006

Il genocidio di Ogino & Knaus

Sul Journal of Medical Ethics (32, 2006, pp. 355-56) è comparso un articolo di Luc Bovens, della London School of Economics, «The rhythm method and embryonic death», in cui si sostiene con argomenti degni di considerazione che il metodo contraccettivo Ogino-Knaus, praticato da molti cattolici e altri cristiani in quanto ‘naturale’, provocherebbe un numero potenzialmente molto elevato di aborti spontanei precoci (e inosservabili), superiore a quello che per esempio si avrebbe usando regolarmente il profilattico e ricorrendo all’interruzione di gravidanza in caso di fallimento.
Il metodo Ogino-Knaus prevede che la coppia si astenga dai rapporti durante il periodo fertile femminile, calcolato in base all’ultima mestruazione. La percentuale di fallimenti è di circa il 10% (ma qualcuno dice di più); questo vuol dire che una buona parte dei concepimenti avverrà intorno alla fine o all’inizio del periodo fertile. Ma, sostiene Bovens, è proprio allora che è maggiore la probabilità di un aborto spontaneo: un ovocita che attende da un po’ di tempo la fecondazione (alla fine del periodo di fertilità), o uno spermatozoo che viceversa attende da qualche giorno l’arrivo dell’ovocita (all’inizio del periodo fertile), saranno probabilmente meno vitali della norma; e la parete dell’utero sarà inoltre in entrambi i casi meno atta a sostenere l’embrione impiantato. Bovens stima che si avranno in questo modo due volte più aborti che gravidanze portate a termine: in media venti aborti all’anno ogni cento coppie (fonte: NewScientist.com, «Rhythm method criticised as a killer of embryos», 25 maggio 2006).

Aggiornamento: com’era prevedibile, l’articolo di Bovens ha suscitato polemiche in abbondanza. Se ne occupa Amanda Schaffer nel New York TimesA Philosopher’s Take on the Rhythm Method Is Rattling Opponents of Abortion», 13 giugno 2006). Sorprendente il commento di Judie Brown, presidente della American Life League, un’organizzazione anti-abortista:
Pregnancy, she said, is “a very natural process and so is the natural selective process that our body goes through to eliminate, for whatever reason, an embryo during the first few days of life.”
“There is nothing bad about that,” she said. “There is nothing even to be debated about that. That is the way nature works.”
A quanto pare sul destino di questi embrioni non si deve piangere...

Sequestrate per il loro bene

Le avevo chiuse lì dentro perché sono pazze. Lo facevo per il loro bene (Siracusa, imprigiona moglie e figlia. Manette al marito: “Era per il loro bene”, la Repubblica, 26 maggio 2006). Questa la spiegazione di un uomo che ha tenuto rinchiuse in casa la moglie e la figlia, le finestre sbarrate e la porta chiusa con una catena. Un televisore, un letto e una cucina sporca. Le faceva uscire una volta al mese per ritirare la pensione. Lui si era ricostruito una vita insieme a un’altra donna. Moglie e figlia murate vive.
I lamenti delle donne hanno fatto sorgere dei sospetti nei vicini, che hanno finalmente chiamato i carabinieri.

RU486 e infezioni: un primo bilancio

Dopo la conclusione del convegno sponsorizzato dalla FDA e dedicato alle infezioni da batteri del genere Clostridium, comprese quelle avvenute in America del Nord dopo la somministrazione della pillola abortiva, un primo bilancio dei risultati ottenuti viene fornito da Susan F. Wood, che fino all’anno scorso ricopriva un incarico direttivo alla FDA. La Wood ha reso una testimonianza il 17 maggio scorso di fronte al Subcommittee on Criminal Justice, Drug Policy, and Human Resources, Committee on Government Reform, della Camera dei Rappresentanti del Congresso Usa.
the close surveillance of adverse events associated with the use of mifepristone have alerted us that this bacterial infection is present and has caused the deaths of other women who have given birth or had a miscarriage – more in fact than the number of women who underwent a medical abortion … to focus solely on women who have had a medical abortion is to miss the real threat to the health of women. … With mifepristone we can be confident that we have identified all or most of the adverse events and deaths. We cannot say the same for infections and deaths caused by C. sordellii in women who have given birth or had a miscarriage. …
Questions have been raised about whether mifepristone is involved through suppression of the immune system. This is a question to be studied, but at this point does not seem to be a compelling mechanism. If the immune system were suppressed, we would also expect to see a rise in other more common infections. Also, although progesterone suppresses the immune system normally in pregnancy, mifepristone is an anti-progestin and might be expected to counter this normal suppression of the immune system. We would also expect to have seen this infection in places using the higher doses of mifepristone, but, in fact, use in the US is of a much lower dose (usually one-third) than that commonly used in Europe. Similarly we would expect to see this infection in cancer patients who have used mifepristone over longer periods of time. This pattern thus far has not emerged.
Experts at CDC, FDA and NIH reviewed the current information and appeared to recognize that the infections and deaths due to C. sordellii are not due to a simple drug effect. Rather this is a complex situation that involves multiple factors that are linked to pregnancy.

giovedì 25 maggio 2006

Madre in affitto cercasi

Dal 1994 la maternità surrogata è illegale. E allora molte coppie francesi arrivano fino al Canada o agli Stati Uniti alla ricerca di un figlio (Utero in affitto, è esodo dalla Francia in Canada, Il Corriere Canadese, 25 maggio 2006). Tra le 200 e le 400 lasciano la Francia all’inseguimento di un desiderio.
Sono disposte (o meglio, sono in grado) di spendere fino a centomila dollari per realizzare il sogno di avere un figlio. Sono in molti a urlare allo scandalo per la vendita del corpo umano. Ma l’unico scandalo è la discriminazione economica. Chi non può permettersi, infatti, di spendere centomila dollari, ma nemmeno molti meno, per affrontare le spese di viaggio e di surrogazione, deve rassegnarsi. Sono i soldi, in ultima analisi, a tracciare il limite tra chi può almeno cercare di avere un figlio e chi deve arrendersi di fronte alla natura dispettosa che nega casualmente la fertilità.
Decisamente immorale.

mercoledì 24 maggio 2006

Il Comitato Siblings aderisce alla campagna dell’Associazione Coscioni: SMS e MMS a prezzo di costo per i sordi

Il Comitato Siblings (sorelle e fratelli di persone con disabilità) desidera esprimere la sua adesione e il suo sostegno alla campagna dell’Associazione Luca Coscioni che chiede di applicare il prezzo di costo agli SMS e agli MMS per i sordi.

Si tratta, infatti, di una misura volta a facilitare la comunicazione dei non udenti, garantendo loro una vita di relazione più piena e indipendente; in quanto tale, la campagna non può che essere sostenuta ed incoraggiata, come tutte le proposte finalizzate ad abbattere gli ostacoli che le persone con disabilità incontrano nel loro percorso di vita, e a consentire loro di esercitare efficacemente i loro diritti.

Il Comitato Siblings si augura che la campagna dell’Associazione Luca Coscioni abbia esito positivo, e con questo comunicato si propone di contribuire a diffonderne i contenuti; auspica altresì che nel futuro siano sempre più numerose le iniziative tese a favorire l’inserimento sociale delle persone con disabilità, qualunque essa sia.

Per il Comitato Siblings ONLUS
Il Tesoriere
Alessandro Capriccioli

La vita privata di Rosy Bindi

Non credo sia un segreto, non ho nulla contro le lesbiche, ma va chiarito che Rosy Bindi è lesbica. E, di conseguenza, non idonea a ricoprire il ruolo di ministra della famiglia.
Questo il parere dell senatore di Alleanza Nazionale, Maurizio Saia, espresso nel corso di una trasmissione di una televisione locale («Bindi lesbica». Il senatore Saia (An) nella bufera, Il Sole 24 Ore, 24 maggio 2006).

Le parole del senatore hanno suscitato una condanna unanime. Condanna più che giusta, ma credo un po’ fuori fuoco: non è tanto l’appellativo a essere ingiurioso, quanto la conseguenza che se ne vuole trarre. Non è infatti la presunta accusa ad essere offensiva (se davvero non abbiamo pregiudizi riguardo alle preferenze sessuali delle persone): sarebbe come dire ‘Rosy Bindi ha i capelli lunghi’. Non corrisponde a verità, e questo è quanto.
Inaccettabile è l’inferenza ‘siccome è lesbica, allora non è in grado di fare il ministro della famiglia’.
Concediamo pure che l’accusa corrisponda alla verità. Rosy Bindi è omosessuale. E allora?
In primo luogo, non sono affari nostri. Nessuno chiede a Saia quali paroline sussurra alle orecchie della sua (o suo, a noi poco importa) compagna (compagno) mentre fanno l’amore. Nessuno gli chiede nemmeno se è solito fare l’amore oppure no, e con quale intensità. Sono affari suoi, vita privata, intimità o chiamatela come vi pare.
Geniale la risposta della diretta interessata:
Mi dispiace per il senatore Saia ma anche se, per scelta personale, ho rinunciato a sposarmi, mi piacciono gli uomini educati, rispettosi delle donne, intelligenti e possibilmente belli. Tutte qualità che il senatore di An non possiede.
Onore alla sua ironia e al suo garbo.

martedì 23 maggio 2006

Mamma, la Turco!

Da la Repubblica di oggi (Pillola abortiva, apertura della Turco
. “Via libera, senza test selvaggi”):
“Garantiremo a tutte le mamme italiane di partorire senza dolore. Il sistema sanitario nazionale assicurerà gratis l’anestesia epidurale. Nessun ostacolo alla pillola abortiva Ru486, ma rispettando le indicazioni della legge sull’aborto e senza alcuna sperimentazione selvaggia”. Livia Turco, ministro alla Salute, parla chiaro. Ed ha scelto il giorno dell’inaugurazione del nuovo reparto di Neonatologia al Policlinico Umberto I di Roma.
“In Italia si fanno troppi parti cesarei, occorre una legge organica che tuteli la salute delle donne e che segua le neomamme – prosegue Livia Turco – anche dopo il parto. Più di un terzo di loro soffre di forme di depressione dopo aver dato alla luce il bambino. In molti paesi dell’Unione Europea il sistema sanitario assicura l’assistenza domiciliare fino al terzo mese di vita. Quindi più assistenza, ecco perché vanno potenziati i consultori. Basta con il dolore, diffondendo specie nelle Regioni del Sud i reparti di Neonatologia. Il tutto concordato e condiviso con le Regioni, che negli anni del governo Berlusconi sono state sistematicamente escluse dalle scelte di politica sanitaria e finanziaria”.
[…]
Immancabili e prevedibili le reazioni. “Sulla Ru486 pensi agli interessi della famiglia – commenta il capogruppo Udc alla Camera Luca Volontè – lo stesso padre della pillola abortiva ha ammesso il rischio di decessi a seguito della terapia”.
Parole, quelle della Turco, che se non fossero state pronunciate in Italia sarebbero normali. Ma nel nostro Bel Paese suscitano quasi entusiasmo, abituati come siamo ad altri tenori.
Ma veniamo a Volontè, uno dei beniamini di Bioetica. Perché non si prende la briga di citare una fonte, un nome, un cugino almeno (anche una fonte onirica andrebbe meglio del suo silenzio o della sua sicumera di non avere bisogno di ‘prove’)?
Cosa avrebbe detto esattamente il padre (Etienne-Emile Baulieu, tanto per riempire il vuoto lasciato dall’onorevole, per reticenza o amnesia?) della pillola abortiva a proposito del rischio di decessi? Volontè non ritiene di dovercelo dire. E io per pigrizia rimando a un precedente post (La RU486 va al convegno) in grado di svelare i nebbiosi misteri sulla RU486 e il suo genitore pentito (secondo Volontè, naturalmente).

lunedì 22 maggio 2006

Fine del ciclo?

Negli Stati Uniti un numero crescente di donne impiega la pillola o altri contraccettivi a base di progestinici per sopprimere il ciclo mestruale: ne parla Linda A. Johnson in un articolo per la Associated PressPills Rendering Menstrual Period Optional», 21 maggio 2006).
“If you’re choosing contraception, then there’s not a lot of point to having periods,” says Dr. Leslie Miller, a University of Washington-Seattle researcher and associate professor of obstetrics and gynecology whose Web site, noperiod.com, explains the option. She points out women on hormonal contraception don’t have real periods anyway, just withdrawal bleeding during the break from the hormone progestin.
Un aspetto interessante è costituito dal fatto che la condizione ‘naturale’ che in questo modo viene soppressa non è poi così naturale:
According to Miller, modern women endure up to nine times more periods than their great-grandmothers, who began menstruating later, married young and naturally suppressed periods for years while they were pregnant or breast-feeding. Today’s women may have about 450 periods.
Come al solito, la cautela è comunque d’obbligo:
caution is needed because there’s not enough data on long-term consequences of using hormones continuously … menopausal women for years were told that hormone drugs would keep them young – until research uncovered unexpected risks.

Commenti alle dichiarazioni della Bindi

Inevitabili i commenti stizziti dal centrodestra sulle dichiarazioni di Rosy Bindi (Diritti alle coppie di fatto. Divide il sì della Bindi, Il Corriere della Sera, 22 maggio 2006).
Il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa replica che «nel programma confuso e contraddittorio della Bindi non c’è nulla di cattolico, ma emerge il profilo di una famiglia che si avvia alla disgregazione». Per Carlo Giovanardi (Udc) «ha trasformato il suo ministero in quello delle Famiglie, termine caro a chi vuol contestare la famiglia fondata sul matrimonio». Francesco Giro, responsabile di Forza Italia per i rapporti con il mondo cattolico, promette: «Sui Pacs saremo cattivissimi». Maurizio Gasparri (An) è caustico: «Il ministro non poteva partire in modo peggiore».
Ecco, appunto: la Bindi è un ministro dello Stato (italiano) e non del Vaticano. Sacrosanto, dunque, che non ci sia nulla di cattolico. No comment alla disgregazione della famiglia.
Solo una cuoriosità: non è, forse, più grave macchiarsi di associazione a delinquere e truffa, piuttosto che minacciare (?) di disgregare la famigliola felice? Per carità, era solo una indagine...

“Tu non sei più il genitore del tuo bambino”: il divieto per le coppie omosessuali di adottare è incostituzionale *

Nel 2004 lo Stato dell’Oklahoma promulgò una legge che negava il riconoscimento di un’adozione da parte di più di un individuo dello stesso sesso, fosse anche avvenuta in un altro Stato o in una giurisdizione straniera (‘The Adoption Invalidation Law’). Nel caso di coppie omosessuali con un bambino adottato, in altre parole, l’Oklahoma riconosceva il titolo di genitore ad uno solo dei partner.
Pochi giorni fa, una sentenza della Corte Federale ha dichiarato incostituzionale la legge di invalidazione delle adozioni. Ha dichiarato questa legge tanto bizzarra da avere la potenzialità di rendere un bimbo, adottato da una coppia omosessuale, orfano non appena avesse varcato il confine dell’Oklahoma. Le motivazioni del giudizio di incostituzionalità sono un manifesto di Civiltà e di Libertà (con la maiuscola!). Ma anche di estremo Buon Senso. Secondo il giudice distrettuale Robin Cauthron, il fatto che sia stata concessa una adozione (sia pure ad una coppia omosessuale) è una ragione sufficiente per considerare quella adozione nell’interesse del minore. Non esiste alcuna evidenza per sostenere che una coppia omosessuale non sia in grado di offrire affetto, stabilità e un contesto familiare accogliente al bimbo adottato. Le preferenze sessuali dei genitori non costituiscono un elemento per valutare la capacità di essere un buon genitore. La legge dell’Oklahoma sgretolava famiglie senza offrire una giustificazione sensata. Senza alcuna valida ragione tale legge intimava a uno dei genitori adottivi (solo per il fatto di essere omosessuale): “tu non sei più il genitore del tuo bambino”, infrangendo il diritto fondamentale di cura, di custodia e di allevamento del minore. Il veto imposto a coppie dello stesso sesso è discriminatorio. Non solo verso le coppie omosessuali, ma anche verso il bambino.
Secondo Cauthron, negare l’adozione a una coppia in quanto omosessuale (e non in base ad una valutazione del profilo caratteriale) costituisce una violazione delle libertà e dell’autonomia, una inammissibile intrusione da parte dello Stato nei rapporti intimi e familiari.
Qual è lo scopo dell’adozione? Offrire al minore un ambiente familiare affettuoso. L’essere omosessuale non incrina a priori tale possibilità. Inoltre la Suprema Corte ha più volte ribadito che il diritto ad essere genitore è fondamentale. Servono ragioni consistenti per arginarlo o per negarlo a qualcuno. Ancora una volta, le scelte sessuali e intime degli aspiranti genitori non rientrano in simili ragioni. Le coppie omosessuali possono dormire sonni più tranquilli dopo questa sentenza federale: merito della tenacia di Lambda Legal, una organizzazione per il pieno riconoscimento dei diritti civili a gay, lesbiche, bisessuali transessuali e sieropositivi.

* Pubblicato su Il Giornale di Sardegna (Il buon senso sulla via dell’Oklahoma, 22 maggio 2006)

Misura i tuoi pregiudizi

Il Test di Associazione Implicita, ideato da Mahzarin Banaji della Harvard University, consente di misurare i propri pregiudizi inconsci riguardo a razza, orientamento sessuale, corporatura, genere, età e nazionalità. Un po’ impegnativo, ma potenzialmente rivelatore della differenza tra ciò che crediamo di noi e ciò che siamo veramente.

domenica 21 maggio 2006

Rosy Bindi: non credo alle mie orecchie

Neo Ministro per la Famiglia, Rosy Bindi ha rilasciato una intervista sbalorditiva (d’accordo, l’eccesso di entusiasmo è dovuto a una situazione di fatto disastrosa; ma ringraziamo lo stesso).

Dichiara Rosy Bindi («Diritti alle coppie di fatto, anche pubblici», Il Corriere della Sera, 21 maggio 2006):
Il mio obiettivo è aiutare i tre milioni di anziani non autosufficienti, e far sì che tutte le coppie possano avere tutti i figli che desiderano. (Davvero? Davvero???)
E prosegue.
D.: Anche facilitando le adozioni e la fecondazione assistita?
R.: «È fondamentale che nessuna coppia sia costretta a rinunciare a un figlio perché non ha i mezzi per crescerlo. Detto questo, le adozioni sono uno dei campi in cui l’Italia deve diventare un po’ più europea. La legge sulla fecondazione va affidata al Parlamento. Sbaglia sia chi dice che non va toccata, sia chi dice che va stravolta. Un anno fa prevalse l’astensione; ma gli astensionisti sostennero tra l’altro che non poteva essere un referendum a sciogliere il nodo. Mancarono allora una riflessione e una discussione che adesso sono necessarie».
D.: E sui Pacs, contro cui è tornato a esprimersi Benedetto XVI?
R.: «Nel programma dell’Unione questa parola non c’è. Si parla di unioni civili, e di diritti da garantire».
D.: Diritti delle persone, da regolare nella sfera del diritto privato, come sostiene ad esempio Rutelli? O le unioni civili potranno avere un riconoscimento pubblico?
R.: «A me pare che non sia possibile né giusto separare rigidamente le due sfere, quando si parla di diritti delle persone. Dov’è il confine tra privato e pubblico? Se c’è una norma che si applica a due persone, anche i terzi sono tenuti a rispettarla. Vedremo. Ne discuteremo. Dovremo evitare uno scontro ideologico».
[…]
D.: Esiste un’ingerenza eccessiva della Chiesa nella politica?
R.: «La Chiesa non può non dire quello che pensa. Ma la politica non può non assumersi la responsabilità delle mediazioni e delle scelte. Non dovremmo preoccuparci per le parole dei vescovi, ma eventualmente per il nostro silenzio».

Orgoglio castigliano

La dichiarazione del Segretario di Stato per le comunicazioni del governo spagnolo, Fernando Moraleda, in risposta alla richiesta di Benedetto XVI che l’insegnamento della religione nelle scuole spagnole venga impartito in condizioni di parità rispetto alle altre materie:
El Ejecutivo, dijo, tiene que realizar su actuación «para el conjunto de los ciudadanos, para los que profesan una fe y para los que no, y ser respetuoso con la Constitución y sus valores, entre los que figura que nuestro Estado es aconfesional».
(fonte: agenzia Terra)

venerdì 19 maggio 2006

Influenza aviaria e uccelli migratori

Da darwinweb.it NEWS & ANALYSIS (Le radici del contagio, 18 maggio):
La teoria che gli uccelli migratori siano i veicoli responsabili della diffusione del virus H5N1 in Asia e nel resto del Mondo si sta indebolendo alla luce delle ultime evidenze raccolte. Numerosi studi effettuati, infatti, hanno individuato come focolai delle epidemie di aviaria gli allevamenti di pollame in Cina e nel sud-est dell’Asia. In India, per esempio, sono stati riconosciuti come epicentri della malattia 18 allevamenti di pollame presenti a Navapur e dintorni. Un’ulteriore conferma viene dalla recente scoperta fatta nell’area del lago Qinghai, nella zona occidentale della Cina. Il forte focolaio di influenza qui scoppiato nell’Aprile 2005 che aveva causato la morte di decine di migliaia di uccelli selvatici, era stato considerato dagli esperti una prova della diffusione del virus lungo le rotte di migrazione di uccelli infetti partiti dal sud della Cina. Negli ultimi tempi, invece, si è fatta strada l’ipotesi che la presenza di allevamenti di bestiame e di acquacolture fossero la vera causa dell’epidemia.
Prosegue.

giovedì 18 maggio 2006

Il mifepristone, il dr Miech e uno scoop di Bioetica

Su Avvenire di ieri si può leggere un’intervista al dottor Ralph P. Miech, professore emerito alla Brown University di Providence, Rhode Island (Elena Molinari, «“Ho studiato la Ru 486, vi spiego come uccide”», 17 maggio 2006). Il dottor Miech ha raggiunto un’improvvisa notorietà in seguito alla pubblicazione di un suo studio («Pathophysiology of Mifepristone-Induced Septic Shock Due to Clostridium sordellii», Annals of Pharmacotherapy 39, 2005, pp. 1483-88), nel quale propone un meccanismo attraverso cui il mifepristone, la sostanza di cui è composta la pillola abortiva, potrebbe aver causato la morte per infezione da Clostridium sordellii di cinque donne (quattro in California e una in Canada). Secondo Miech la RU486 permetterebbe il passaggio nell’utero del batterio, che è presente nella normale flora vaginale di circa il 10% delle donne, e allo stesso tempo determinerebbe un catastrofico abbassamento delle difese immunitarie. Ne risulterebbe un’infezione massiccia, lo choc settico e quindi la morte.
Il dottor Miech, come ci si poteva aspettare, è diventato il beniamino di tutti gli anti-abortisti, e in particolare degli avversari della RU486, che ne citano ossessivamente il lavoro per conferire una patente di scientificità alla loro propaganda. Ma è vera gloria?

Non sono abbastanza competente per giudicare il modello esplicativo messo a punto da Miech. Quello che comunque non si può fare a meno di notare è una vistosa omissione: manca infatti il benché minimo accenno alla distribuzione geografica dei casi. In Francia sono stati eseguiti dal 1988 ad oggi ben 1,2 milioni di aborti con la RU486, e i casi di infezione fatale sono stati esattamente pari a zero; negli Usa gli interventi totali sono stati 460000, e si sono avuti quattro decessi per choc settico, come se non bastasse concentrati tutti in California. Cosa ancora più importante, in Francia il metodo più seguito prevede la somministrazione di 600 mg di mifepristone; ebbene, in tutti e cinque i casi fatali, la dose impartita era di soli 200 mg. (Imputare la discrepanza al fatto che i californiani sarebbero più attenti del resto del mondo alla morte improvvisa di giovani donne sane e avrebbero quindi preteso che venissero effettuate le autopsie, è già debole come mossa retorica, figuriamoci come spiegazione scientifica.) Questo non dimostra necessariamente che l’ipotesi di Miech sia errata, ma indica nel migliore dei casi che non è completa: dovrebbe essere almeno presente qualche concausa sconosciuta.
Sorprende che la rivista che ha accettato lo studio non abbia preteso l’inclusione di un accenno a questi fatti ben noti; o forse non sorprende poi tanto, visto che lo stesso periodico ha pubblicato un altro studio – per coincidenza, anche questo sugli effetti nocivi della RU486, e anche questo continuamente citato dagli anti-abortisti – che contiene l’affermazione platealmente falsa che portare a termine una gravidanza sia meno rischioso che subire un aborto farmacologico (Margaret M. Gary e Donna J. Harrison, «Analysis of Severe Adverse Events Related to the Use of Mifepristone as an Abortifacient», Annals of Pharmacotherapy 40, 2006, pp. 191-97, a p. 195).
Nell’intervista ad Avvenire Miech tocca almeno tangenzialmente il punto della differenza tra Francia e Usa:
D: Perché crede che i rischi che lei ha identificato non siano emersi durante il processo di approvazione della Ru 486 negli Usa nel 2000?
R: I test clinici su cui si è basato lo studio della Fda, che ha portato all’approvazione del farmaco per scopi abortivi, sono principalmente quelli condotti in Francia quasi 20 anni fa. Ma vennero condotti in modo ben diverso da come il farmaco viene somministrato oggi. Le pillole venivano date esclusivamente per via orale, mentre per anni molte cliniche le hanno date vaginalmente, e le donne che si sottoponevano all’aborto chimico erano mantenute sotto costante osservazione medica. Una condizione che non si verifica oggi quando una donna americana si sottopone ad aborto chimico.
Purtroppo per Miech (e per Avvenire), la RU486 non è mai stata somministrata per via vaginale, se non in due trial clinici limitati, nel 1987 e nel 2006 (entrambi hanno dimostrato l’impraticabilità di questa modalità di somministrazione). Il medico americano fa confusione col misoprostolo, il farmaco che viene somministrato dopo la pillola abortiva per espellere ciò che resta dell’embrione dall’utero, e che non gioca nella teoria di Miech nessun ruolo di rilievo. Il misoprostolo viene somministrato in Francia prevalentemente per via orale, mentre negli Stati Uniti era – almeno fino a pochissimo tempo fa – somministrato per via vaginale; ed è forse in questo farmaco e in questi differenti modi di usarlo che andrà cercata la vera causa dei decessi per infezione da C. sordellii.

A questo punto anche il lettore meno sospettoso comincerà a sospettare qualcosa: come mai le omissioni e gli errori del dottor Miech vanno sempre in una stessa direzione? Ebbene, Bioetica è in grado di rispondere a questa domanda e di offrire in esclusiva ai propri lettori uno scoop – d’accordo, non sarà clamoroso, ma è pur sempre uno scoop...
I am morally and ethically opposed to embryonic stem cell research. From a moral point of view, one has to kill the embryo to isolate its living stem cells. Life begins at fertilization. Human life then proceeds through the following stages: embryo, fetus, baby, child, teenager, adult and senior citizen. To kill an embryo to procure stem cells is morally equivalent to killing an adult human being so that you can use that human being’s heart for a heart transplant in another human being.
Queste parole sono state pronunciate – sì, avete indovinato – dal dottor Ralph P. Miech della Brown University durante una trasmissione televisiva, intitolata «Life, God’s Greatest Gift». La notizia non è di fonte affidabilissima, ma è corroborata dalla firma del dottor Miech in calce alla dichiarazione «On Human Embryos and Stem Cell Research», del 1 luglio 1999, che contiene affermazioni come questa:
Scientifically, the international consensus of embryologists is that human beings begin at fertilization (or cloning) – i.e., when their genetic code is complete and operative; even before implantation they are far more than a “bunch of cells” or merely “potential human beings.”
Si può anche citare l’abstract di una pubblicazione del buon dottore contemporanea a quella di cui qui ci occupiamo:
From a moral perspective, the use of Plan B [cioè del Norlevo, la cosiddetta «pillola del giorno dopo»] as part of the routine hospital emergency room protocol in the treatment of rape victims is highly controversial, given the possibility that Plan B may act either as an abortifacient or as a true contraceptive (by delaying ovulation and preventing fertilization). The possibility that administration of Plan B to rape victims can cause the death of a living human embryo poses a tremendous moral question for both physicians and administrators in Catholic hospitals.
In sintesi: il dottor Miech è un convinto anti-abortista. Certe sue affermazioni nell’intervista ad Avvenire, come «[in risposta alla domanda: “quindi ha cominciato a studiare gli effetti del mifepristone. Cosa l’ha spinta, dottor Miech?”] Pura curiosità scientifica», o «Non ho alcuna posizione politica nei confronti del mifepristone», acquistano alla luce dei fatti un aspetto un po’ diverso da quello iniziale.
Questo non vuol dire naturalmente che la sua teoria non debba essere valutata per i propri meriti dagli altri ricercatori. Miech è stato giustamente invitato al convegno di Atlanta sulle infezioni da Clostridium, dove ha potuto presentare i propri risultati. Ma i profani, che non sono in grado di farsi da soli un’idea del valore di questa ipotesi, in attesa del verdetto dei competenti possono solo fare affidamento sugli elementi estrinseci di autorevolezza dello scienziato.
Si obietterà che questo vale anche per i sostenitori dell’aborto farmacologico; ma i medici che raccomandano, prescrivono o addirittura somministrano la RU486 pagano in prima persona se qualcosa va storto: se non in termini di carriere distrutte, perlomeno con guai legali e con perdita di credibilità (per tacere di quello che capita nelle loro coscienze). Il dottor Miech e i suoi supporter seguiteranno invece a dormire sonni tranquilli, qualunque cosa succeda alle donne che sono riusciti a convincere.

Aborto e contraccezione: una lezione dagli Usa

Su TomPaine.com Cristina Page ci dà un agghiacciante resoconto degli sforzi dei gruppi anti-abortisti americani per mettere al bando o comunque limitare anche la contraccezione («The War On Sex», 17 maggio 2006):
Per quanto possa sembrare incredibile, negli Stati Uniti non esiste neppure una organizzazione anti-abortista che sia a favore dell’uso dei contraccettivi. Al contrario, il movimento anti-abortista si oppone regolarmente a ogni tentativo di dare agli Americani i mezzi per prevenire le gravidanze indesiderate.
Nell’originale:
Shocking as it may be, there is not one pro-life organization in the United States that supports the use of contraception. Instead the pro-life movement is the constant opponent of every single effort to provide Americans with the ability to prevent unwanted pregnancies.
Ancora più terrificante la notizia della crescente tendenza dei gruppi che fiancheggiano il terrorismo anti-abortista (e che onorano come eroi gli assassini di medici che praticavano l’interruzione di gravidanza) a classificare i mezzi contraccettivi – compresa la pillola! – come abortivi.

La truffa delle cellule staminali: effetto placebo e viaggi della speranza

Da darwinweb.it NEWS & ANALYSIS, La truffa delle staminali (18 maggio 2006):
Una clamorosa truffa ai danni di pazienti affetti da gravi malattie è balzata agli onori della cronaca e ha dato inizio a una serie di inchieste giudiziarie in molti paesi del Nord America e in Europa. Negli Stati Uniti si sta per celebrare un processo contro Stephen van Rooyen, uomo d’affari sudafricano, e la sua compagna, la modella Laura Brown, rei di aver commercializzato una falsa cura contro la sclerosi multipla e altre malattie neurodegenerative. La coppia, che ora deve rispondere di 51 capi di imputazione, ha fondato la Advanced Cell Therapeutics (ACT), che ha sede in Svizzera e offre in cliniche dislocate in 12 paesi una terapia basata su iniezioni di cellule staminali derivanti dal cordone ombelicale. Secondo medici ed esperti questo intervento, non sperimentato e illegale, sarebbe non solo inefficace ma anche pericoloso. Recenti indagini hanno rivelato che la ACT è nata dopo che la Biomark, altra compagnia fondata dai due truffatori, era stata chiusa nel 2003 dopo una condanna per frode a seguito di un’inchiesta della Food and Drug Administration. Rooyen e la Brown si sono difesi sostenendo che il loro intento era quello di offrire assistenza medica ai malati e di aver sempre utilizzato personale medico qualificato per seguire i propri pazienti. Nonostante il sito web della ACT raccolga false testimonianze di malati poi guariti, molte persone sono state ingannate e si sono rivolte alla società americana nella speranza di trovare una cura per malattie oggi inguaribili. Ed è proprio questa la ragione del favore riscosso da molte terapie spesso scientificamente discutibili. Uno dei casi più famosi è quello di Huang Hongyun medico cinese che a partire dal 2001 ha operato nel suo ospedale di Pechino circa 600 persone affette da vari disturbi neurologici iniettando cellule derivanti dal tessuto neurale olfattivo di feti abortivi. Questa terapia, che Huang sostiene porti grandi risultati, non è consentita al di fuori della Cina e le maggiori riviste scientifiche occidentali rifiutano di pubblicare gli articoli del medico cinese. Lo scetticismo deriva dalla natura aneddotica dei successi, dalla mancanza di studi eseguiti con controlli rigorosi e dall’assenza di follow-up dei risultati ottenuti. Nel marzo 2006 è stato pubblicato uno studio di tre scienziati californiani su sette pazienti di Huang che dimostra l’assenza di benefici e sottolinea invece la presenza di numerosi effetti collaterali. Ma nonostante tutto questo l’ospedale di Huang raccoglie ancora oggi pazienti provenienti da tutto il mondo. Il problema, secondo Dobkin, uno degli autori dello studio, è la condizione disperata di questi malati che li rende vulnerabili e facilmente influenzabili. Molte volte gioca un ruolo determinante l’effetto placebo: spesso è l’intervento chirurgico stesso a portare benefici, anche se solo momentanei, e inoltre è noto che il 40% degli individui che hanno subito gravi lesioni al midollo spinale ottengono spontaneamente un certo miglioramento. L’unica prova in grado di dimostrare l’efficacia di queste terapie sarebbe un controllo a lungo termine ma, nonostante il mondo scientifico abbia ripetutamente sollecitato Huang a eseguire queste verifiche, finora non è stato intrapreso alcuno studio serio. Recentemente un gruppo di ricercatori sponsorizzato dalla International Campaign for Cures of Spinal Cord Injury Paralysis ha stilato delle linee guida per aiutare pazienti e medici a valutare al meglio questi trattamenti ed evitare così inutili viaggi della speranza.
In Italia il nome di Huang ci ricorda il desiderio di Ambrogio Fogar di sottoporsi alla terapia sperimentale del medico cinese. Fogar, paralizzato dal 1992, è morto prima di intraprendere il viaggio (È morto Ambrogio Fogar, lo spirito dell’avventura, la Repubblica, 24 agosto 2005).

Disavventura a lieto fine per un Jack Russell e il suo padrone

Cade giù da una scogliera, il padrone lo va a cercare, ma nell’arrampicata ha bisogno di soccorso. Arrivano i vigili del fuoco...
Nonostante la disavventura adesso Pepe (il cane) e Brandon McMillan (il padrone) sono entrambi a casa sani e salvi.
Dice il padrone (A Tale of Luck for Two, Los Angeles Times, 18 maggio 2006):
If this dog has nine lives, he used two yesterday. One was falling off the cliff and the other was landing on Pacific Coast Highway and living to tell the tale. He did both.

mercoledì 17 maggio 2006

Comicità inintenzionale: Camillo Ruini e i diritti delle coppie omosessuali

Il Circolo Mario Mieli ha commentato l’intervento di Camillo Ruini a proposito della (scandalosa, direi; sì, davvero scandalosa) pretesa di parità tra le coppie eterosessuali (solo di quelle legate dal sacro vincolo?) e le coppie omosessuali. Andrea Berardicurti chiosa (Le direttive di Camillo, mariomieli.org, 16 maggio 2006):
Il Vaticano non cessa mai di stupirci. In un momento in cui anche i reality show hanno perso brillantezza ed effervescenza, l’unica magra consolazione che ci è rimasta sono le invettive dei vescovi italiani […].
Il cardinale Ruini se la prende con il Parlamento Europeo, colpevole di voler equiparare i diritti delle coppie omosessuali a quelli delle ‘famiglie legittime’. Ruini – ha spiegato il Circolo Mario Mieli in un comunicato – farcisce questa sua affermazione con il buonismo e il pietismo ormai consueto, affermando che è legittimo respingere e combattere gli atteggiamenti discriminatori e violenti nei confronti delle persone con ‘tendenze’ omosessuali, ma altra cosa è chiedere ai Paesi membri, anche se in maniera non vincolante, la revisione delle proprie leggi nazionali che, secondo lui e tutto il vescovado, non rispettano nemmeno la cultura e le tradizioni proprie dei diversi Paesi membri. Surreale.
[Il circolo Mario Mieli si è lamentato di questa] ulteriore e pericolosa ingerenza vaticana in fatti di competenza esclusiva di Stati nazionali laici, che legiferano per tutti i cittadini e non solo per quelli che il Vaticano considera legittimi o che hanno a cuore le tradizioni e i valori del proprio paese’; [e] si è augurato infine di ‘non rimanere voce isolata di fronte alle esternazioni vaticane a difesa di una laicità dello Stato che garantisca a tutti eguali doveri ma anche diritti.
Ma insomma, mi domando e dico, cari ragazzi, va bene non essere insultati e picchiati, ma non esageriamo nel chiedere pari diritti di quanti vivono non nel peccato; di quanti accettano la responsabilità di una famiglia legittima e non vanno in giro a perdere tempo; di quanti, infine, ricevono la benedizione religiosa di buona condotta pur vivendo in uno Stato laico (?). E poi, quale ingerenza e ingerenza? Potrà pure esprimere il suo parere Camillo Benso Ruini, oppure volete tappargli la bocca? Il vecchierello ha solo detto come la pensa; mia nonna avrebbe detto, ‘è temperamento’ (giustificando, così, le più turpi azioni con il ricorso al carattere).
Ma mi incalza una domanda: perché non l’ha dichiarato a casa sua questo parere? O nel suo Stato? In fondo, Ruini e compari, ce l’hanno uno Stato, che lascino in pace il nostro!

ps
ad essere grave (non ci si stanca di ripeterlo) è lasciare la protesta una ‘voce isolata’ (da parte di chi dovrebbe difendere lo Stato laico), piuttosto che quanto e chi quella protesta hanno suscitato.

Compravendita di organi: letture consigliate

Il 15 maggio scorso si è verificata una curiosa coincidenza: in uno stesso giorno sono stati pubblicati su due diversi giornali americani due articoli che sostengono l’opportunità di consentire la compravendita di organi per i trapianti. La scarsità di organi disponibili è ben nota, come pure il pesante tributo di vite umane che ciò comporta; poiché la politica corrente di consentire solo donazioni sembra incapace di risolvere il problema, alcuni hanno pensato di instaurare un sistema di incentivi monetari: un vero e proprio mercato degli organi, insomma.
L’articolo di Sally Satel sul New York TimesDeath’s Waiting List») non aggiunge molto agli argomenti già noti; vale comunque la pena di citare questa proposta:
Some critics worry that compensation for kidney donation by the living would be most attractive to the poor and hence exploit them. But if it were government-regulated we could ensure that donors would receive education about their choices, undergo careful medical and psychological screening and receive quality follow-up care. We could even make a donation option that favors the well-off by rewarding donors with a tax credit. Besides, how is it unfair to poor people if compensation enhances their quality of life?
L’articolo di Richard Epstein, «Kidney Beancounters», apparso sul Wall Street Journal, non è purtroppo disponibile in rete. Eccone comunque un breve abstract:
The IOM’s recent report, “Organ Donation: Opportunities for Action,” is a disappointment, Epstein says. He writes that a lack of consideration of market incentives for organ donation will reduce the chances of reform in a system that currently sees an average of 18 people on the kidney transplant list die each day. He outlines simple features a functional organ market should include: price determined by supply and demand to encourage bids by those with greatest need, social services provided to potential organ donors supported by savings from ending the dialysis program, and imposing obvious limitations on donors.
Sul Corriere della Sera Massimo Gaggi ha riassunto entrambi gli articoli («Proposta dagli Usa: sì alla vendita di organi», 16 maggio).
Gaggi cita giustamente il nome di Gary Becker, il grande economista che è uno dei maggiori paladini del mercato per gli organi. Le proposte di Becker si possono leggere in forma molto accessibile sul Becker-Posner Blog, assieme alle sue risposte alle obiezioni dei commentatori («Should the Purchase and Sale of Organs for Transplant Surgery be Permitted?», «Organ Sales–Posner’s Comment», «Organ Sales–Posner’s Response to Comments», «Response on Whether Organs Should be Purchased and Sold–BECKER», 1-14 gennaio 2006). Per una presentazione più completa (e impegnativa) delle stesse idee si può vedere questo working-paper: Gary S. Becker e Julio Jorge Elías, «Introducing Incentives in the Market for Live and Cadaveric Organ Donations», University of Chicago, 2002.

Aggiornamento: ho aggiunto altre segnalazioni in un nuovo post.

Sesso bestiale: femmina di Orangutan costretta a prostituirsi

A proposito dei diritti fondamentali invocati per le grandi scimmie una sconcertante notizia fa quasi venire il dubbio che alcuni ‘grandi uomini’ non se li meritino più dei nostri cugini pelosi; non almeno per la mera appartenenza ad una specie, quella umana (In Indonesia pagavano per accoppiarsi con femmina di orangutan, La Gazzetta del Mezzogiorno, 12 maggio 2006).
Pony era stata completamente depilata, lavata, profumata e le avevano dipinto le labbra col rossetto. E poi l’avevano incatenata al letto, per poter consentire ai frequentatori del bordello di un villaggio del Borneo indonesiano di godere il piacere perverso di un accoppiamento con una grande femmina di orangutan. Questa storia terribile è raccontata all’Ansa dalla veterinaria spagnola che partecipò al salvataggio e ha ora offerto una nuova vita a Pony, Karmele Llano, 27 anni, di Bilbao. E la giovane basca assicura che il caso non è isolato e la pratica di prostituire gli oraguntan è diffusa soprattutto in Thailandia. […] Era incatenata ad un letto mentre lavoratori delle imprese di legname e piantagioni di olio di palma facevano la fila per abusare di lei. «Quando tentammo di liberarla, ci fu una rivolta, ci minacciarono con coltelli e machete – ricorda Karmele – dovemmo ricorrere alla polizia di stato che inviò una trentina di agenti per portar via Pony». […] «Il caso Pony non è isolato – assicura Karmele – Sappiamo che in Thailandia è frequente che bordelli utilizzino femmine di orangutan come divertimento sessuale per i clienti». […] Alla denuncia si associa Pedro Pozas, segretario generale del Progetto Grande Scimmia che ha portato recentemente in parlamento, con il sostegno del Partito socialista, per coinvolgere la Spagna nella lotta per i diritti di questi mammiferi tanto simili all’uomo. Pozas assicura che contro questi abusi servirà il progetto che si conta di presentare anche al Parlamento Europeo e infine trasformare in legge in Spagna. «Arriveremo, ne sono convinto, a dare alle grandi scimmie il diritto alla vita, alla libertà e a non essere torturate».
Sesso bestiale, sì. Imposto dagli uomini. Poco importa se a donne o a scimmie.

Orangutan Foundation International.

Solo per dovere di cronaca 2: i vescovi sui Pacs

In una nota del SIR, Servizio d’Informazione Religiosa promossa dalla Cei (Pacs. I vescovi italiani bocciano Bertinotti: con l’ideologia della modernizzazione pretende di dare lezioni al Papa, RaiNews, 17 maggio 2006) viene riaffermata
la condanna dei “tentativi di dare un improprio e non necessario riconoscimento giuridico a forme di unione che sono radicalmente diverse dalla famiglia, oscurano il suo ruolo sociale e contribuiscono a destabilizzarla, con gravissimi costi sociali, oggi e in prospettiva futura. Un futuro da costruire non con le lenti dell’ideologia, ma con la speranza e la concretezza della vita realmente vissuta”.
Quali sarebbero gli effetti destabilizzanti? E i costi sociali? Si dice gravissimi: quali sarebbero?
E poi sembra davvero ironico il richiamo a lenti non ideologiche. Quale sarebbe l’ideologia: desiderare la possibilità di scegliere secondo la propria volontà oppure imporre un unico modello di vita e convivenza?

Mark Inglis, senza gambe fino alla cima dell’Everest

Nel 1982 ha perso le gambe, ma non la passione per lo sport e l’alpinismo. Due giorni fa ha raggiunto la cima dell’Everest con le sue gambe in carbonio e una tenacia ammirevole.
Tenacia manifestata già negli anni passati: nel 2000 vince l’oro di ciclismo nelle paraolimpiadi di Sydney; nel 2002 scala il monte Cook, il più alto della Nuova Zelanda (3.754 metri), dove era rimasto intrappolato in una caverna di ghiaccio e aveva perso per congelamento entrambe le gambe. Nel 2004 scala il monte Cho Oyu, a quota 8.120 metri nell’Himalaya. E lì decide di sfidare l’Everest. Il cammino della spedizione poteva essere seguito su Legs on Everest.
La spedizione aveva anche l’obiettivo di raccogliere fondi per un centro di arti artificiali in Cambogia, che offre servizi per le vittime delle mine antiuomo.
A proposito di questa impresa e della possibilità di raggiungere gli obiettivi desiderati, Mark ha detto: I realized that in this life, each and everyone of us can do anything we put our minds to...

Mark Inglis, His Life So Far.

Ancora sul Progetto Grande Scimmia

Un eccellente post su Paniscus di oggi («Il piteco esplosivo»), a proposito dell’iniziativa legislativa spagnola tesa a recepire le raccomandazioni del Great Ape Project, dovrebbe costituire il giudizio finale e inappellabile sulla vicenda. Almeno, in un mondo ideale...

martedì 16 maggio 2006

L’improbabilità del Foglio

Sul Foglio di oggi un editoriale a p. 3, «Gli exit poll del cancro», commenta la notizia dell’embrione selezionato per evitare l’insorgere del retinoblastoma. Per qualche motivo l’anonimo editorialista (ma il suo stile non mi è nuovo...) si è intestardito sugli aspetti probabilistici del caso. Vediamo con quali risultati.
È istruttivo leggere come è stata data la notizia. “Così non avrà il cancro”, “la bimba che nascerà è completamente sana” – leggiamo sui giornali. È bene sottolineare quel verbo al futuro – “non avrà” – quel verbo al presente – “è sana” – e l’avverbio “completamente”. Nell’articolo di commento pubblicato sul Corriere della Sera, Giuseppe Remuzzi scrive che se i genitori non avessero fatto quella scelta “il bambino avrebbe avuto il 50 per cento di probabilità di avere il tumore”. Se ne deduce in primo luogo – com’era peraltro ovvio – che quei verbi al futuro e al presente e quell’avverbio sono un’esimia cialtronata, un preclaro esempio di diffusione di informazioni scientifiche scorrette. Remuzzi ha quindi il merito di aver detto le cose come stanno, e quell’onesto 50 per cento induce a qualche ulteriore commento.
Ho letto e riletto questo brano; poi l’ho riletto di nuovo. Ho scorso tre o quattro volte tutto l’articolo. Ma niente da fare: non riesco a capire cosa diavolo stia dicendo l’Anonimo. L’unica interpretazione possibile è che in qualche modo abbia capito che l’embrione selezionato avrà comunque alla fine solo il 50% di probabilità di risultare sano. Sì, lo so che sembra assurdo che qualcuno possa cadere in un equivoco tanto mastodontico, a fronte delle chiarissime parole di Giuseppe Remuzzi; ma più avanti nell’articolo l’Anonimo sembra sottintendere proprio questo:
In secondo luogo – e non ci si accusi di fare discorsi da menagramo: non siamo tutti razionalisti? – è evidente che al bambino potrebbe toccare di cadere nel 50 per cento sfavorevole. Si sarà ottenuto un triste risultato al prezzo di scartare in laboratorio altre vite che forse avrebbero potuto vivere anche meglio.
A questo punto si sarebbe tentati di lasciar perdere l’articolo (magari commentando a mezza voce che no, evidentemente non siamo tutti razionalisti): è chiaro che il 50% di probabilità di ereditare il gene difettoso (non di avere il tumore – mi permetto questa piccola correzione alle affermazioni di Remuzzi: la probabilità di sviluppare la malattia vera e propria è del 45%) si avrebbe se la selezione genetica non fosse stata eseguita; adesso invece la probabilità – se non ci sono stati errori dei medici – è in pratica dello 0%, visto che tutti gli embrioni col gene anormale sono stati scartati. Ma la monumentalità dell’errore ha un certo fascino perverso; andiamo dunque avanti.
Da dove deriva questa stima, da quali dati empirici, da quali statistiche, con quali metodi è stata ricavata? Purtroppo, nel campo biomedico siamo abituati a un uso disinvolto del concetto di probabilità e a stime ricavate con una leggerezza maggiore di quella di cui si dà prova negli exit poll. Ci si imbatte sistematicamente in un uso del concetto di probabilità del tutto “soggettivo”, ma non nel senso della teoria soggettivista delle probabilità dell’illustre matematico Bruno de Finetti, bensì nel senso più terra terra del termine. Viene da pensare che la stima del 50 per cento derivi dalla media tra la probabilità desiderata che l’evento si verifichi (100 per cento) e la stima di probabilità dettata dal timore di fare una figuraccia (0 per cento).
Veramente suppongo che la probabilità del 50% (o ½) sia stata ottenuta, più banalmente, facendo il rapporto tra i casi in cui si è verificata la trasmissione del gene e i casi totali. Per il resto, l’Anonimo può consultare con profitto Alfred G. Knudson, «Mutation and cancer: statistical study of retinoblastoma», Proceedings of the National Academy of Sciences 68, 1971, pp. 820-23.
Comunque, prendendo anche per buona questa stima, se ne desumono le qualità morali e scientifiche degli scienziati che hanno suggerito questo exploit “scientifico”. In primo luogo, non si capisce chi possa garantire che, avendo migliorato le probabilità che il bambino non sia colpito da quella specifica malattia – un miglioramento comunque modesto, dato che nessun fattore ereditario implica la certezza di contrarre la malattia – non siano peggiorate le probabilità che se ne prenda un’altra anche peggiore, a causa di un altro gene malefico che il bambino scelto possiede (e che magari gli altri embrioni non possedevano).
L’Anonimo ha ragione sul fatto che possedere il gene difettoso non implica la certezza di contrarre la malattia – anche se purtroppo nel caso specifico le probabilità sono del 90%: ogni 100 bambini che nascono con quel gene – lo spiego per il nostro editorialista – in media 90 sono colpiti poi effettivamente dal tumore. Quanto alla «malattia anche peggiore» che l’embrione selezionato potrebbe sviluppare, temo che sia un argomento un po’ debole: potrebbero essere benissimo proprio gli embrioni scartati a possedere, in aggiunta a quello del retinoblastoma, un «altro gene malefico». Supponete che un amico col quale state passeggiando scorga un biglietto da cinquecento Euro per terra, ma non si fermi a raccoglierlo. «Beh, che fai, perché non lo prendi?», gli chiedete stupiti. «Vedi, ho paura che se mi chinassi potrei venire colpito alla testa da un meteorite». «Ah, ecco. Però potrebbe anche succedere che il meteorite ti centri perché sei rimasto ritto in piedi, e non ti sei chinato», gli fate voi, sorridendo, mentre raccogliete la banconota e la intascate (e prendete un appunto mentale di cambiare amicizie).
L’editoriale continua poi ancora ad accumulare invettive, ma senza aggiungere nulla di nuovo. Saltiamo quindi al finale:
Consola sentire un crocchio di gente per strada che commenta che non avrebbe mai fatto una scelta come quella in nome di una stima di probabilità: c’è più cultura scientifica e senso etico in quel crocchio di gente comune che nel coro greco di certi intellettuali paladini della scienza che non sanno fare neppure un’addizione.
Spero che quel crocchio sia solo un artificio retorico dell’Anonimo, altrimenti bisognerà concluderne che la cultura scientifica della gente comune è veramente ridotta ai minimi termini. Quanto alle addizioni, ne propongo qui una io: 3511906,92 + 77407,52 + 8676,71. Si tratta rispettivamente dei contributi pubblici elargiti nel 2003 al Foglio, del credito d’imposta concesso allo stesso giornale nel 2004 per l’acquisto della carta, e delle compensazioni date alle Poste Italiane per le tariffe speciali applicate alle spedizioni – sempre del Foglio – nel 2004 (fonte: Presidenza del Consiglio dei Ministri). I dati non sono omogenei, ma il totale è comunque indicativo: 3597991,15 Euro. Sono un mucchio di soldi, pagati dai contribuenti: in cambio, il direttore del Foglio potrebbe esercitare una sorveglianza più stretta su quello che scrivono i suoi editorialisti, ed evitare – tra l’altro – un uso tanto disinvolto del concetto di probabilità. A meno che...

Aggiornamento: di un altro esempio di farneticazioni intorno alla medesima vicenda mi sono occupato in un post successivo.