sabato 29 aprile 2006

Poligamia: il prossimo fronte?

Il matrimonio tra omosessuali ha suscitato reazioni più o meno virulente di rigetto quasi ovunque. È difficile che dalla bocca degli oppositori esca qualche argomento articolato: spesso non si va al di là dello slogan demenziale dell’«aggressione alla famiglia tradizionale». Capita tuttavia di sentire, seppur raramente, una tesi che suona più o meno così: se ci scostiamo dalla salda base della tradizione, tutto diventa possibile, anche l’inaccettabile: in particolare la poligamia. Tanto più che i sempre più numerosi immigrati dai paesi islamici potrebbero rivendicarne concretamente il riconoscimento legale.
Un argomento di questo genere si chiama «del piano inclinato» (o «della china fatale»). Si tratta di solito di ragionamenti che logicamente non stanno in piedi, ma bisogna ammettere che questa particolare applicazione non sembra del tutto inconsistente: per esempio, come sostiene Charles Krauthammer («Pandora and Polygamy», Washington Post, 17 marzo 2006, p. A19), che differenza essenziale ci sarebbe tra il matrimonio di due e il matrimonio di tre uomini? Le associazioni omosessuali respingono naturalmente l’implicazione, ma lo fanno con visibile disagio: gli argomenti razionali mancano.
Esiste però una semplice contromossa per confutare un argomento del piano inclinato: dimostrare che il tanto paventato punto di arrivo non è poi così inaccettabile. E in effetti, cominciano a sentirsi alcune voci che sostengono proprio questo.
Negli Usa, commentando la trasmissione della serie televisiva Big Love (che mostra in termini positivi una famiglia composta da un uomo e le sue tre mogli), John Tierney ha sostenuto che la poligamia non rappresenta una minaccia per la società americana («Who’s Afraid of Polygamy?», The New York Times, 11 marzo 2006). In Canada un rapporto commissionato dal governo ha raccomandato la legalizzazione della poligamia (Angela Campbell et al., Polygamy in Canada: Legal and Social Implications for Women and Children. A Collection of Policy Research Reports, 2005).
Più vicino a noi, il 13 settembre 2005 è apparso sul Corriere della Sera, in prima pagina, un articolo di Jacques Attali («Monogami. Siamo l’ultima generazione») in cui si tratteggia con ottimismo un futuro nel quale diverrà legale e socialmente accettato avere più relazioni sentimentali simultaneamente. Attali si occupa più di quello che possiamo chiamare poliamore (mutuando un termine coniato negli Usa), ma è chiaro che se si parla di legalità il discorso finisce per riguardare anche la poligamia vera e propria.
L’ottimismo di Attali può apparire non molto fondato: la natura umana – almeno, per come la conosciamo – non sembrerebbe consentire tanto facilmente la gestione alla luce del sole di triangoli, quadrati o n-agoni amorosi. Se tuttavia queste relazioni garantissero in media un minimo di stabilità e un ambiente favorevole all’educazione dei bambini, se non avessero insomma conseguenze sociali negative, allora un’eventuale richiesta di attribuire loro diritti uguali a quelli delle coppie potrebbe venire legittimamente accolta.
Ma forse almeno una conseguenza sociale negativa è prevedibile fin d’ora. È quanto sostiene Jonathan Rauch, in «One Man, Many Wives, Big Problems» (Reason, 3 aprile 2006). La sua tesi è questa: il numero di società che hanno adottato la poliginia (un marito, più mogli) è di gran lunga più grande di quelle che hanno adottato la poliandria (una moglie, più mariti); inoltre, negli Stati Uniti i gruppi che approfitterebbero di una legislazione favorevole alla poligamia sarebbero soprattutto i Mormoni e i musulmani, che tradizionalmente praticano o hanno praticato la poliginia. Il risultato sarebbe che alcuni uomini si accaparrerebbero un numero elevato di donne, impedendo di fatto ad altri di sposarsi: se un uomo ha quattro mogli vuol dire che altri tre uomini non ne possono avere nemmeno una. E l’esperienza insegna che chi è forzatamente celibe ha maggiori probabilità di darsi alla violenza e al crimine, tanto più che gli esclusi sarebbero in generale i più poveri e i meno alfabetizzati.
L’obiezione di Rauch è seria, ma sembra riguardare soprattutto società che ospitano al loro interno minoranze tradizionalmente poligame. Si può fare il paragone con la pratica della selezione del sesso dei nascituri, che in paesi ancora sessisti come la Cina e l’India potrebbe avere le stesse conseguenze che Rauch paventa, ma che nel più egalitario Occidente difficilmente produrrebbe un elevato surplus di maschi. Allo stesso modo, è del tutto possibile che da noi la poliandria risulterebbe diffusa quanto la poliginia (soprattutto tenendo conto che un’eventuale legalizzazione della poligamia si situerebbe comunque in un futuro non prossimo). Rauch avverte che anche un singolo matrimonio poliginico in eccesso priverebbe almeno un uomo della possibilità di sposarsi, ma questa è un’affermazione che andrebbe discussa più a fondo.
Concludiamo con una curiosità. Rauch fa un breve accenno anche al matrimonio di gruppo (più mariti e più mogli), che potrebbe andare esente dai difetti della poligamia. Una versione del matrimonio di gruppo è il cosiddetto matrimonio di linea: al gruppo iniziale vengono aggregati col passare del tempo sempre nuovi mariti e mogli, rendendo l’unione potenzialmente eterna. È una possibilità che è stata esaminata con un certo dettaglio da Robert A. Heinlein (uno scrittore di fantascienza che ha contribuito in non piccola parte a formare la moderna ideologia libertaria negli Usa) nel romanzo The Moon Is a Harsh Mistress, dove si sostiene che il matrimonio di linea aumenta la stabilità della società, garantendo continuità alla famiglia e un ambiente più sicuro per i bambini. Forse i cultori dei valori familiari dovrebbero proporne la legalizzazione...

Aggiornamento: una critica alla poligamia analoga a quella di Jonathan Rauch è stata espressa da Christopher Westley, «Matrimony and Microeconomics: A Critique of Becker’s Analysis of Marriage», Journal of Markets & Morality 1 (1998).

Aggiornamento 2: una soluzione al problema dello squilibrio tra uomini e donne viene offerta da Randall Parker sul blog FuturePunditBiotechnology Will Some Day Enable Polygamy», 23 maggio 2006): la selezione del sesso prima della nascita (ovviamente preferendo le femmine). Ingegnoso, ma anche inquietante.

2 commenti:

sp ha detto...

è un discorso naturalmente complicato, e che merita una riflessione approfondita. credo che la letteratura economica contenga più di un'obiezione alla poligamia, e mi riprometto di recuperare un articolo che credo obiettasse su basi diverse da quelle dell'incremento della violenza maschile (mi pare fosse basato su considerazioni legate al reddito, ma devo controllare). poiché di economia non so nulla, mi limito a suggerire un'obiezione su un altro piano, più filosofico: sono anche io convinta che qui ci sia un problema di "natura umana", il che ovviamente non implica intendere la naturalità in senso normativo (non sia mai!! mill docet, anzi doc...uit?). ma non si può parlare di natura umana, in questo caso più che mai, senza fare distinzioni di genere. se la poligina è più diffusa della poliandria, ciò è certamente legato al patriarcato e condizionamenti socio-culturali. tuttavia questi sono a loro volta frutto di una differenza profonda fra uomini e donne, in termini di capacità, bisogni, interessi, talenti. senza incorrere nel riduzionismo biologico, bisogna perlomeno fare attenzione e chiedersi quanto questa differenza, ben studiata dalla psicologia evolutiva, determinerebbe anche in una ipotetica società paritaria (da cui comunque siamo ben lontani) una differenza di atteggiamento verso la molteplicità dei partner. la biologia non va idolatrata come criterio normativo, ma non va nemmeno sottovalutata come parametro esplicativo...

Anonimo ha detto...

Ho risposto per mail, il discorso era lungo... ma mi fa molto piacere che tu l'abbia trattato in maniera intelligente e soprattutto imparziale :)