mercoledì 30 aprile 2008

In arrivo le nuove Linee Guida

Ansa di oggi:

Il ministro della Salute Livia Turco ha firmato il decreto ministeriale che aggiorna le linee guida della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita. Le nuove linee guida saranno pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale con la data di oggi. Secondo quanto si è appreso, con le nuove norme i portatori di malattie sessualmente trasmissibili come l’Hiv potranno accedere alle tecniche di fecondazione assistita. Il decreto, a lungo atteso dalle associazioni di pazienti, aggiorna quello precedente pubblicato in Gazzetta il 16 agosto 2004.
Dal sito del Ministero le principali novità:
Queste le principali novità delle nuove linee guida:

1. la possibilità di ricorrere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) viene estesa anche alla coppia in cui l’uomo sia portatore di malattie virali sessualmente trasmissibili, e in particolare del virus HIV e di quelli delle epatiti B e C, riconoscendo che tali condizioni siano assimilabili ai casi di infertilità per i quali è concesso il ricorso alla PMA. In questi casi c’è infatti un elevato rischio di infezione per la madre e il feto conseguente a rapporti sessuali non protetti con il partner sieropositivo. Un rischio che, di fatto, preclude la possibilità di avere un figlio a queste coppie;
2. l’indicazione che ogni centro per la PMA debba assicurare la presenza di un adeguato sostegno psicologico alla coppia, predisponendo la possibilità di una consulenza da parte di uno psicologo adeguatamente formato nel settore;
3. l’eliminazione dei commi delle precedenti linee guida che limitavano la possibilità di indagine a quella di tipo osservazionale e ciò a seguito delle recenti sentenze di diversi tribunali e in particolare di quella del TAR Lazio dell’ottobre 2007. Questa sentenza come è noto ha infatti annullato le linee guida precedenti proprio in questa parte, ritenendo tale limite non coerente con quanto disposto dalla legge 40.

lunedì 28 aprile 2008

Il clericalismo non paga

Ciao, Cicciobello.

venerdì 25 aprile 2008

La legge 40 e la diagnosi genetica di preimpianto – la storia di Silvia e Fabio Callegari

“Il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è consentito solo quando sia accertata l’impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione ed è comunque circoscritto ai casi di sterilità o di infertilità inspiegate documentate da atto medico nonché ai casi di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico”.
Questo afferma l’articolo 4 della legge 40 (Accesso alle tecniche). E l’articolo successivo (Requisiti soggettivi) aggiunge: “Restando quanto stabilito dall’articolo 4, comma 1, possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”.
La legge 40 impone requisiti e divieti che ledono i diritti fondamentali dei cittadini riguardo alla salute e alla riproduzione. Alcune persone sono escluse del tutto perché non sterili, ma “solo” affette o portatrici di una malattia genetica o virale. Queste persone potrebbero evitare il rischio di contagiare il nascituro (nel caso di patologie virali anche il partner) se i criteri di accesso alle tecniche non fossero tanto restrittivi e se fosse permesso effettuare la diagnosi genetica di preimpianto. Altre sono costrette a subire trattamenti evitabili (come il ripetersi dei cicli di stimolazione ormonale e il prelievo chirurgico degli ovociti, conseguenza del divieto di produrre più di 3 embrioni per ogni tentativo e del divieto di crioconservarli). Per tutti la legge 40 significa spesso inasprire un problema di salute invece di risolverlo.

Silvia e Fabio Callegari hanno avuto un figlio il 5 agosto 2007. Il piccolo Pietro è morto il 22 gennaio 2008: non aveva ancora compiuto 6 mesi. Pietro soffriva di una malattia genetica rara e incurabile: l’atrofia spinale muscolare di tipo 1 (SMA 1). Malattia incurabile, la Sma colpisce le cellule nervose delle corna anteriori del midollo spinale (che contengono motoneuroni da cui partono i nervi diretti ai muscoli e che trasmettono i segnali motori). Pietro soffriva della forma più grave, con esordio precoce e breve sopravvivenza.
Silvia e Fabio sono portatori sani: ogni gravidanza comporta un rischio pari al 25% di probabilità di trasmettere la malattia al nascituro.
Fabio e Silvia vogliono un altro figlio; per non rischiare di far nascere un altro bambino malato e destinato a morire avrebbero bisogno di effettuare la diagnosi genetica di preimpianto. Hanno deciso di rendere pubblica la loro drammatica storia per chiedere al Ministro della Salute – per loro e per tutti quelli che vivono situazioni analoghe – l’aggiornamento delle Linee Guida, scadute nel luglio passato, e la conferma della possibilità di ricorrere alla diagnosi genetica di preimpianto.
Nel gennaio del 2008, infatti, una sentenza del Tar Lazio ha annullato il divieto esplicito presente solo nelle Linee Guida e non nella legge 40, ma in Italia continua ad essere impossibile effettuare la diagnosi genetica di preimpianto (“In via conclusiva il Collegio ritiene di dover: 1) accogliere in parte il ricorso relativamente al sesto motivo di gravame e per l’effetto annullare la disposizione delle Linee Guida in materia di procreazione medicalmente assistita approvate con D.M. 21 luglio 2004 nella parte riguardante le Misure di Tutela dell’embrione laddove si statuisce che ogni indagine relativa allo stato di salute degli embrioni creati in vitro, ai sensi dell’articolo 13, comma 5, dovrà essere di tipo osservazionale. 2) sospendere il giudizio e rimettere alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 14, commi 2 e 3, della legge n. 40 del 19 febbraio 2004, per contrasto con gli articoli 3 e 32 della Costituzione”).
Il divieto di effettuare la diagnosi genetica di preimpianto risulta difficilmente comprensibile se si pensa che le indagini prenatali sono permesse. La diagnosi di preimpianto offrirebbe la possibilità di conoscere lo stato di salute dell’embrione prima che questo sia impiantato – offrendo quindi la possibilità di non avviare una gravidanza invece di interromperla in seguito ad indagine prenatale con esito infausto. Oltre a costituire un vantaggio per le donne che eviterebbero di sottoporsi ad un aborto terapeutico (rischioso per la salute e possibile motivo di sofferenza psichica), il non impianto riguarderebbe embrioni di pochi giorni invece che feti di alcune settimane, quando cioè lo sviluppo embrionale è in una fase molto più avanzata. Ulteriore elemento di sorpresa riguarda la possibilità, sancita dalla legge 40, di effettuare la diagnosi osservazionale prima dell’impianto: usando un microscopio che può riscontrare anomalie morfologiche. Perché l’indagine osservazionale è permessa e quella genetica no? Pur essendo strumenti di indagine analoghi (si effettuano per conoscere lo stato di salute dell’embrione e offrono alla donna la possibilità di scegliere di non impiantare un embrione affetto da una qualche patologia, patologia che sarebbe possibile riscontrare a gravidanza avviata e che posticiperebbe la conoscenza e la conseguente decisione di interrompere lo sviluppo di un embrione malato) la prima è permessa e la seconda è condannata moralmente e vietata dalla Linee Guida. Impossibile trovare una risposta sensata e razionale. La scelta e la responsabilità riguardo alla riproduzione è amputata e fortemente ristretta.
Silvia e Fabio sottolineano anche altri aspetti crudeli della legge 40, come il divieto di crioconservazione degli embrioni e il divieto della fecondazione eterologa, e chiedono di rivedere interamente la legge 40. Perché gli effetti di discriminazione sono profondi e inammissibili. Perché chi ha la possibilità di pagare sceglie di andare in un altro Paese: è quello che viene chiamato “turismo procreativo” ma che è un ripiego doloroso e difficile. L’affermazione di una ideologia e di una visione morale, incerta e discutibile, che considera l’embrione una persona è stata giudicata più importante della possibilità di avere un figlio e della garanzia della salute dei cittadini. Di migliaia di cittadini. Che devono affrontare anche il senso di vergogna, ancora tanto diffuso, che deriva dalla sterilità o da quelle malattie che richiederebbe il ricorso alle tecniche riproduttive.
Silvia e Fabio hanno creato un blog per raccontare la loro storia e offrire informazioni: legge 40 toccala.


(LibMagazine, 24 aprile 2008)

giovedì 24 aprile 2008

Ci vorrebbe la pena di morte!

Un brutto caso di cronaca: una coppia uccisa brutalmente a Verona. Un brutto commento:

Dura la reazione del sindaco di Sona, Gualtiero Mazzi, della Lega Nord, secondo cui più che mai ora «è necessario applicare il massimo della pena». «In casi del genere - ha detto commentando la vicenda - non escluderei la pena di morte anche se siamo Italia, il paese del Papa».
Peggiore del commento l’ostacolo indicato: il Papa. Mi chiedo: non ci sono altre ragioni per condannare la pena di morte?
Ma forse il mistero è risolvibile seguendo strade molto diverse. Forse Gualteiro Mazzi è un parente di quel burlone di Prisco Mazzi e i giornali non lo hanno capito...

mercoledì 23 aprile 2008

Il cattolicesimo e la libera scelta a volte convivono

Si chiamano Catholics for a Free Choice e questo basterebbe a suscitare stupore, abituati come siamo a considerare un ossimoro libera scelta e appartenenza al cattolicesimo.
La sorpresa aumenta nel leggere i principi ispiratori di questa organizzazione nata a Washington nel 1973: ricerca scientifica e riconoscimento (anche legale!) alle persone omosessuali, bisessuali e transessuali – solo per fare un esempio.
In occasione della visita di Joseph Ratzinger in terra americana pubblicano un dossier che analizza gli effetti disastrosi della condanna clericale della contraccezione dalla Humanae Vitae (1968) in poi. L’analisi è spietata: Catholics for Choice accusa l’enciclica e la politica vaticana di essere responsabili del grave conflitto personale che molti credenti vivono, combattuti tra l’obbedienza e i propri desideri e bisogni. La Chiesa si ostina a difendere un insegnamento già “indifendibile 40 anni fa”, oggi aggravato dall’emergenza Aids.
Secondo il dossier la Humanae Vitae ha inciso drammaticamente sulla salute di cattolici e non cattolici in tutto il mondo; il Vaticano ha alimentato la disinformazione sull’efficacia del preservativo contro la diffusione dell’Hiv.
Il mancato riconoscimento dell’importanza del preservativo (vero e proprio imperativo morale secondo gli insoliti Catholics) è un comportamento gravissimo soprattutto nei riguardi delle popolazioni più disagiate. E di quei Paesi, come l’Africa, in cui la diffusione dell’Hiv e di altre malattie virali è una piaga sanitaria e sociale.
La gerarchia cattolica, secondo il dossier, è “il principale ostacolo alla lotta conto l’Hiv/Aids”.

(DNews, 23 aprile 2008).

martedì 22 aprile 2008

Che dire di Gianni Alemanno



Che ha gli occhi troppo vicini (come le oche dicono di Romeo verso la metà del terzo* minuto).

* quarto.

Giuliano Gennaio

Insolito post questo. Difficile.
Giuliano Gennaio è morto il 20 aprile. Non aveva compiuto 29 anni.
Ciao Giugen.

domenica 20 aprile 2008

venerdì 18 aprile 2008

Assuntina, attenta al clone!

Come si sa, le cosiddette staminali pluripotenti indotte (iPS) sono cellule pressoché identiche alle staminali embrionali (in particolare per il carattere della pluripotenza, cioè la capacità di trasformarsi in tutti i tipi cellulari che compongono un organismo umano), ma a differenza di queste derivano da normali cellule adulte. Sviluppate dai giapponesi Kazutoshi Takahashi e Shinya Yamanaka, le iPS sono riuscite nell’impresa di destare contemporaneamente l’entusiasmo del mondo della ricerca (seppur ancora venato di sana prudenza) e quello degli integralisti cattolici: per questi ultimi ecco finalmente una tecnica che non solo non manipola gli idolatrati embrioni, ma che ha anche delle prospettive concrete – a differenza delle povere staminali adulte, che fino all’altro ieri la propaganda dipingeva come capaci di curare di tutto e di più, e che adesso stanno rapidamente cadendo nell’oblio. Questo cambiamento di prospettiva, è vero, ha richiesto alla propaganda integralista alcune manipolazioni mediatiche; ma la posta in gioco è troppo alta per farsi distrarre dalla deontologia professionale...
Ma ecco che una notizia giunge a mettere a repentaglio il nuovo equilibrio conquistato. All’inizio di questa settimana il quotidiano The Independent ha pubblicato le dichiarazioni di Robert Lanza, direttore scientifico dell’Advanced Cell Technology, un’azienda che si occupa in particolare di staminali (Steve Connor, «“Now we have the technology that can make a cloned child”», 14 aprile 2008). Lanza mette in guardia sul fatto che la tecnica delle iPS può rendere molto più semplice la creazione non solo di chimere – individui composti da cellule derivate da due o più zigoti, e quindi geneticamente diverse – ma anche di veri e propri cloni: gemelli genetici di un individuo adulto esistente (non è chiaro se la Advanced Cell Technology abbia già clonato in questo modo dei topi).
Va detto che qui Robert Lanza si sta probabilmente prendendo una piccola rivincita personale. Tempo fa era stato lui a proporre una tecnica per la produzione di staminali embrionali che veniva incontro alle ubbie degli integralisti; ma questi non gliene erano stati affatto grati (la tecnica si basava pur sempre su «manipolazioni» contrarie alla loro sensibilità), e avevano ucciso sul nascere la proposta con un linciaggio mediatico ben orchestrato, a colpi di critiche totalmente pretestuose. Ho il sospetto, insomma, che gli entusiasmi per la tecnica di Yamanaka abbiano riaperto questa vecchia ferita...
In ogni caso, gli integralisti dovevano rispondere anche a questa nuova sfida di Lanza: troppo hanno investito sulle iPS per lasciare dubbi sulla loro correttezza ‘etica’. Ecco allora, per esempio, che sul numero di giovedì del famigerato inserto «È Vita» di Avvenire ben tre articoli cercano di rassicurare l’opinione pubblica cattolica. Il ruolo di punta spetta, come accade spesso, ad Assuntina Morresi («Giornale che leggi, “chimere” che trovi», p. III); ma la performance è più scadente del solito. Vediamo perché.

«Dichiarazioni maneggiate e tradotte in modo confuso sulla stampa nostrana», attacca la Morresi, e cerca poi di spiegarci perché:

l’esperimento ipotizzato nell’articolo è tutt’altro che nuovo, e non è una clonazione. Vengono usate cellule Ips per creare topi chimera, cioè topi il cui organismo possiede cellule con due diversi Dna […]. Nessun clone, quindi, ma solo chimere […] per essere un clone tutte le sue cellule dovrebbero avere il medesimo Dna, identico a quello di un’altra persona.
Un abbaglio giornalistico, dunque? La Morresi non spiega di chi sarebbe la colpa – se di Lanza o di chi ne ha raccolto le dichiarazioni – ma certo non lascia spazio per i dubbi: di «dichiarazioni maneggiate e tradotte in modo confuso» si tratterebbe, appunto, e nulla più.
Ma andiamo a vedere cosa dice l’articolo originale (i corsivi sono miei):
the same technique has already been used in another way to reproduce offspring of laboratory mice that are either full clones or genetic “chimeras” of the adult mouse whose skin cells were reprogrammed. […] Furthermore, studies on mice have shown that it is possible to produce fully cloned offspring that are 100 per cent genetically identical to the adult.
Non c’è bisogno di padroneggiare la lingua di Shakespeare alla perfezione per capire che qui si sta parlando proprio di cloni; traduco comunque (in modo spero non «confuso»...):
la stessa tecnica [delle iPS] è stata già usata in altro modo per riprodurre prole di topi da laboratorio composta da cloni veri e propri o da chimere genetiche dei topi adulti le cui cellule della pelle erano state riprogrammate […] Inoltre, studi sul topo hanno mostrato che è possibile produrre prole clonata geneticamente identica al 100% all’adulto.
Dopo questa cristallina dichiarazione, come se non bastasse, l’articolo prosegue spiegando in che cosa differisce la tecnica usata per produrre cloni da quella per produrre chimere. Non si tratta di una nuova scoperta, anche se l’Independent non lo dice: sono riuscito a risalire a uno studio del 1990, che per primo ha descritto la procedura (A. Nagy et al., «Embryonic stem cells alone are able to support fetal development in the mouse», Development 110, 1990, pp. 815-21); nuova è, ovviamente, la combinazione con le iPS.
La ricetta è questa: si prende un embrione formato da due sole cellule, e con una scossa elettrica le si induce a fondersi di nuovo in una cellula unica. Questa, però, a differenza dello zigote originario, avrà un doppio corredo cromosomico – o meglio quadruplo, visto che le cellule normali hanno già ciascuna due copie di ogni cromosoma. Comunque la cellula risultante riprende a dividersi e a svilupparsi; a questo punto si combina questo embrione con cellule staminali (embrionali nell’esperimento originale di Nagy e compagni, pluripotenti indotte in quello proposto da Lanza). Le cellule con quattro cromosomi sono buone soprattutto a formare la placenta; per il resto, vengono presto sopraffatte dalle staminali, e alla fine il feto risulta composto esclusivamente da queste ultime – e quindi geneticamente identico al loro proprietario. Recentemente un gruppo di Pechino è riuscito a produrre con la tecnica originale più di quaranta topi vivi alla nascita, metà dei quali è cresciuta e si è riprodotta normalmente.
Sono consapevole del pericolo di esagerare, costante in questo campo; ma se le cose funzioneranno, direi che ci troviamo di fronte al progresso più significativo nel campo della clonazione dalla nascita di Dolly in poi. Sull’Independent un secondo articolo, pubblicato oggi (Steve Connor, «The cloning revolution (part 2)», 18 aprile), mette in risalto le potenziali, rivoluzionarie conseguenze nel campo della preservazione di specie animali in pericolo di estinzione. Ovviamente, persone prive di scrupoli potrebbero far nascere il primo bambino clonato già l’anno prossimo...

Di tutto questo, come abbiamo visto, Assuntina Morresi sembra non essersi accorta: «Dichiarazioni maneggiate e tradotte in modo confuso»... Eppure l’articolo l’ha letto (ne descrive persino l’illustrazione), e l’inglese – immagino – lo capisce anche lei. Ma noi di Bioetica non siamo maliziosi, e addebiteremo senz’altro la cosa a una distrazione: a volte la fretta gioca brutti scherzi. In fondo, non dimostra una certa fretta questo magnifico lapsus, che troviamo nello stesso articolo per Avvenire?
Sarà mancanza di immaginazione, ma fatichiamo a immaginare un genitore contento di avere un figlio che in percentuale è un’altra persona, fosse pure Einstein!
Parole che starebbero bene nel manifesto di un clonatore: le persone normali sono ben contente di avere figli che in percentuale appartengono a un’altra persona, anche se non è Einstein...

giovedì 17 aprile 2008

Legge 40 e diagnosi genetica di preimpianto (Intervista a Silvia e Fabio Callegari)

La legge 40 è stata approvata nel 2004. Da allora i cittadini che hanno bisogno di rivolgersi alle tecniche di riproduzione artificiale si trovano ad affrontare numerose difficoltà; alcuni sono esclusi perché non sterili, ma “solo” affetti o portatori di una malattia genetica o virale. Queste persone potrebbero evitare di correre il rischio di contagiare il nascituro (nel caso di patologie virali anche il partner non affetto rischia di essere contagiato) se i criteri di accesso alle tecniche non fossero tanto restrittivi.

Silvia e Fabio Callegari hanno avuto un figlio il 5 agosto 2007. Il piccolo Pietro è morto il 22 gennaio 2008: non aveva compiuto nemmeno 6 mesi. Pietro soffriva di una malattia genetica rara e incurabile: l’atrofia spinale muscolare di tipo 1 (o SMA 1).
Fabio e Silvia vogliono un altro figlio; per non rischiare di far nascere un altro bambino malato e destinato a morire chiedono di poter effettuare la diagnosi genetica di preimpianto.
Nonostante la sentenza del Tar Lazio del gennaio 2008 (che ha annullato il divieto esplicito presente solo nelle Linee Guida e non nella legge 40) la richiesta di Silvia e Fabio sembra cadere nel vuoto.

Che cosa chiedete e perché?
Siamo una coppia infertile e portatrice sana di una rara malattia genetica incurabile: l’atrofia muscolare spinale di tipo 1 o SMA 1 che è la principale causa di mortalità nei bambini al di sotto dei due anni. Il 22 gennaio 2008 abbiamo perso il nostro unico figlio Pietro, a causa della trasmissione di questa malattia, quando aveva solamente 5 mesi e mezzo. Effettuando visite genetiche con specialisti abbiamo scoperto che ad ogni gravidanza esiste il 25% di probabilità di trasmettere la malattia al feto.
Chiediamo al Ministro della Salute innanzitutto l’aggiornamento delle Linee Guida della legge 40 scadute a luglio 2007, aggiornamento che consenta la diagnosi genetica di preimpianto visto che la legge 40 non lo vieta e visto che a gennaio 2008 il Tar del Lazio ha annullato le Linee Guida proprio nella parte riguardante il divieto di effettuare la diagnosi di preimpianto.
Inoltre vorremmo che il Parlamento rivedesse interamente la legge 40: per permettere l’accesso alle tecniche di PMA anche alle coppie portatrici di malattie genetiche; per rimuovere l’obbligo di impianto di tre embrioni; per rimuovere il divieto di crioconservazione degli embrioni e per permettere la fecondazione eterologa.

Quali sono gli aspetti peggiori della legge 40, soprattutto alla luce del rispetto della salute e della scelta dei cittadini?
La legge 40 consente la fecondazione assistita solo a persone affette da sterilità o infertilità non altrimenti rimovibile e non alle coppie fertili ma portatrici di malattie genetiche. Proibisce la fecondazione eterologa, cioè quella ottenuta con ovuli o seme non appartenenti alla coppia. Vieta il congelamento degli embrioni e impone che gli embrioni prodotti (fino a un massimo di 3) vengano impiantati contemporaneamente. Infine costringe la donna a ripetuti cicli di stimolazione ovarica.

Intervista completa.
(Persona e Danno, 17 aprile 2008)

B16 e George W. Bush

B16 incontra George W. Bush. Siamo felici e orgogliosi di vedere confermate le loro affinità.
In Festa di compleanno per il Papa alla Casa Bianca, Zenit, 16 aprile 2008, si legge:

Un comunicato congiunto emesso dal Vaticano e dal Governo statunitense ha reso noto che i leader hanno affrontato temi quali “il rispetto della dignità della persona umana; la difesa e la promozione della vita, del matrimonio e della famiglia; l’educazione delle generazioni future; i diritti umani e la libertà religiosa; lo sviluppo sostenibile e la lotta contro la povertà e le pandemie, soprattutto in Africa”.
Elencati così gli scopi comuni, sembrano scopi nobili e condivisibili. Basta avere la memoria corta o fare i finti tonti. Se invece si conserva qualche ricordo, è difficile non suggerire che il rispetto della dignità della persona umana sarebbe meglio chiamarlo indisponibilità e sacralità della vita umana (che sostituisce la libertà di scegliere della propria vita), e che prende le forme del matrimonio tra un uomo e una donna sulle indicazioni clericali (un uomo che sia uomo davvero e una donna che sia donna davvero, senza scherzi o diavolerie ormonali e chirurgiche, si intenda). L’educazione è quella religiosa e clericale e la libertà religiosa è quella di scegliere il cattolicesimo. Infine sull’Africa: sarebbe meglio tacere, forse, perché si rischia di doversi ricordare le dichiarazioni sulla inutilità del preservativo come argine alle malattie sessualmente trasmissibili o al suo potere contraccettivo.
Quanto scrive l’Ansa si avvicina di più alla verità, anche se gli argomenti rimangono ancora troppo sul formale.

Papa, un viaggio nel tramonto dell’America di Bush, Ansa, 13 aprile 2008:
Quello nello Studio Ovale, sarà poi l’ultimo incontro ufficiale tra il Papa e il presidente uscente. Nel colloquio – ha annunciato la Casa Bianca – i due leader proseguiranno il loro dialogo su “fede e ragione” e sui loro “scopi comuni”: su aborto, famiglia, coppie gay, ricerche sulle staminali, Benedetto XVI e Bush la pensano alla stessa maniera.
Per essere più espliciti: no all’aborto; sì alla famiglia cosiddetta tradizionale (uomo + donna + pargoli); no alle coppie gay (nessun riconoscimento e se fosse meno impopolare, forse, ci si spingerebbe anche oltre); no alla ricerca sulle staminali.

mercoledì 16 aprile 2008

Le mie preferenze al totoministri


Se fosse una sitcom, sarebbe geniale...

martedì 15 aprile 2008

Grazie, Giuliano!

Quelli dell’aborto come omicidio di massa. Quelli dell’aborto come il più grande genocidio della storia umana. A volte sembrano un esercito immenso di virtuosi crociati, una turba irresistibile pronta alla jihad. Adesso, grazie agli sforzi di Giuliano Ferrara, sappiamo quanti sono veramente. Non ci sono alibi: se qualcuno ritiene veramente che sia in corso un genocidio, negherà forse il proprio voto all’unico che ha fatto della questione il centro della propria proposta politica? La lista di Ferrara ha ricevuto l’attenzione dei media, quindi nessuno poteva ignorare la sua esistenza. Timori che votando lui si sarebbe lasciata aperta la porta agli «antivita» del PD? Ma al Senato Ferrara non si presentava, e lì sarebbe stato possibile, col voto disgiunto, stoppare ogni velleità degli «iperlaicisti» (ehm...). Allora quanti sono, i veri credenti? Il totale è di 135.578 su 47.126.326 aventi diritto: lo 0,29% dell’elettorato. Grazie, Giuliano Ferrara, grazie di cuore!

sabato 12 aprile 2008

venerdì 11 aprile 2008

Eugenìa

Un recente articolo di Eugenia Roccella («La tecnoscienza sfida l’uomo: nuovo totalitarismo dietro l’angolo», Il Sussidiario.net, 31 marzo 2008) contiene due passi che non possono non richiamare l’attenzione del lettore. Ecco il primo:

con la tecnica Icsi gli spermatozoi meno vitali possono essere iniettati nell’ovocita e fecondarlo, anche se i maschi nati da quella tecnica sono destinati a essere sterili. Qualcuno ha calcolato che, se l’1% degli uomini di ogni generazione è infertile e se tutti useranno l’Icsi, fra diecimila anni la specie umana non potrà più riprodursi.
Lasciamo pure perdere le dubbie cognizioni di genetica della Roccella (come la sterilità considerata come un carattere dominante e necessariamente omozigotico, e le strampalate proiezioni basate su presupposti fallaci), e chiediamoci: qual è, in sostanza, il fantasma che allarma qui l’autrice? La risposta è immediata: individui geneticamente tarati si riproducono irresponsabilmente, e diffondono così i loro difetti nell’intera popolazione. L’interpretazione viene confermata dal secondo passo:
Poi ci sono i problemi di salute: «I bambini nati da fecondazione in vitro sono diversi da quelli concepiti da genitori senza problemi di fertilità. La gente che soffre di infertilità, o subfertilità, sembra essere geneticamente differente da chi non ha problemi a metter su famiglia come vuole»: lo dice il presidente della Canadian Fertility Society, padre di un bimbo nato da fecondazione in vitro. Questi bimbi sono spesso prematuri e sottopeso anche se nati da un singolo embrione, con maggiori complicanze in gravidanza e un tasso più alto di disabilità alla nascita.
Gente «geneticamente differente» che mette al mondo bambini disabili: l’immagine non potrebbe essere più chiara...
Il lettore avrà riconosciuto subito il tema fondamentale della propaganda eugenista del secolo scorso; sì, proprio di quello stesso movimento eugenetico di cui, a parole, la Roccella è fierissima avversaria, e che non manca di denunciare in chiunque abbia a cuore i diritti riproduttivi individuali. Ma è lei l’unica, in realtà, a voler cancellare col potere dello Stato gli unfit, gli inadatti...
Medico, cura te stesso!

Obiezione di incoscienza

Interessante commento di Alessandro Gerardi sulle ultime obiezioni di coscienza. Ovvero: Come difendersi dal sabotaggio illegale della pillola del giorno dopo. A Roma e in tutta Italia.

Il fenomeno della mancata prescrizione della pillola del giorno dopo causa “obiezione di coscienza” va assumendo aspetti sempre più inquietanti oltre che paradossali. Basti pensare al fatto che oramai in molte strutture sanitarie pubbliche i ginecologi si spingono fino al punto di appendere all'entrata del loro reparto cartelli con la scritta “qui non si prescrive la pillola del giorno”, ciò che finisce inevitabilmente col non garantire alle pazienti il godimento dei loro diritti stabilito per legge. Vista la situazione, come Associazione RadicaliRoma, abbiamo dunque deciso di sollevare il problema sottoponendo all'attenzione dell'Autorità Giudiziaria romana due casi di donne alle quali il personale medicosanitario non ha appunto prescritto il Levonorgestrel appellandosi alla obiezione di coscienza.
Continua.

mercoledì 9 aprile 2008

La ricerca sulle staminali embrionali secondo i nostri politici

Luca Saitta per Galileo ha domandato ai candidati di scienza e argomenti affini. Ne è emersa una tribuna scientifica molto interessante. Molto preoccupante.
La parte che riguarda la ricerca sulle staminali embrionali fa venire voglia di emigrare su Marte.
Merita di essere riportata la risposta di Andrea Ranieri (Pd, Laureato in filosofia, eletto nella XV Legislatura al Senato per i Democratici di Sinistra, membro della VII Commissione Istruzione, Beni culturali, Sport - si legge prima della domanda).

Qual è la vostra posizione riguardo la ricerca sulle cellule staminali embrionali?
“Si tratta, senza dubbio, di un problema complesso. Spesso la tendenza che caratterizza dibattiti di questo tipo è quella di connotare immediatamente come etiche questioni che, in realtà, non lo sono. Affrontare il tema delle cellule staminali embrionali, dunque, prima di tutto significa affrontare una ricognizione seria e consapevole basata su principi rigorosamente scientifici. Durante questa legislatura lo sforzo del centrosinistra si è già mosso in tal senso e la presa di posizione comune del Pd si è tradotta nella mozione, costruita in maniera del tutto unitaria, che ha permesso di togliere la “clausola di blocco” avanzata in sede europea”.

Ora: io capisco (con fatica) la fissazione strategica di essere cauti, di mettere le mani avanti, di non offendere nessuno (ove nessuno corrisponde ad un profilo specifico e non certo onnicomprensivo), di non parlare in modo comprensibile perché poco si ha da dire e molto da temere, che non è detto che sia necessario sapere che cosa sia una questione etica e cosa una questione scientifica, ma mi domando: che cosa ha detto? o che cosa voleva dire che però ha dovuto tacere perché non si poteva dire? e, in ultimo, aveva qualcosa da dire?

Voto disgiunto piccolo spazio di scelta e libertà

A poche ore dal voto chissà quanti sono ancora gli indecisi nonostante i vari test “rispondi alle domande, ti dirò cosa votare”. Quanti sono increduli e confusi dalle invocazioni al voto (utile, scoraggiato, di sfiducia o contro piuttosto che a favore di qualcuno) o alla fiera astensione. Orfani del telefono cellulare, gli elettori italiani saranno soli davanti alle proprie schede.
Ognuno, poi, deciderà se credere a quanti definiscono il voto disgiunto inutile, pericoloso o l’unico spazio di espressione di una reale preferenza – con questa legge elettorale che non permette di votare per un candidato, ma per il calderone nel quale è confluito.
Il voto disgiunto non vale solo per il Senato e la Camera, ma per i comuni con più di 15.000 abitanti: si può votare per una lista e per un candidato sindaco non collegati. In altre parole si può esprimere la preferenza al proprio partito ma rifiutarla al delfino che quel partito ha candidato a primo cittadino – che è molto più di un programma, ha una storia e una faccia che incidono sulla scelta molto più di quanto possa una coalizione.
Nel caso di Roma è lampante: Francesco Rutelli mette in difficoltà molti elettori di sinistra per le sue posizioni conservatrici e filoclericali. Per questo molte associazioni laiche e GLBT invitano a dare la preferenza a Franco Grillini, indipendentemente dalla lista che si decide di votare, come baluardo della laicità e dei diritti civili – presenze evanescenti e scomode in questa campagna elettorale.
Il voto disgiunto comunale consegna agli elettori un piccolo ma significativo spazio per esercitare una scelta.

(DNews, 9 aprile 2008)

martedì 8 aprile 2008

Mirella Parachini sulla pillola del giorno dopo

Interessante l’intervista di Astrid Nausicaa Maragò per LibMagazine a Mirella Parachini, ginecologa dell’Ospedale S. Filippo Neri di Roma, vice-presidente della Federazione Internazionale degli operatori di aborto e contraccezione e membro dell’Associazione Luca Coscioni, sul tema della pillola del giorno dopo («Conraccezione. Mirella Parachini risponde», 8 aprile 2008). Eccone alcuni brani:

Nella mia esperienza non è che chi si rivolge al medico per richiedere una contraccezione d’emergenza sia più “incosciente” delle altre. Anzi. Si tratta generalmente di persone particolarmente attente. Questo voler dipingere la donna come un po’ stupidina, che preferisce ricorrere alla contraccezione d’emergenza piuttosto che alla contraccezione “ordinaria” non corrisponde alla realtà. Ci sono degli studi molto seri sull’atteggiamento verso la contraccezione ordinaria delle pazienti che hanno fatto ricorso alla contraccezione d’emergenza che non confermano questo pregiudizio. […]
È la tempestività nell’assunzione che ne garantisce la massima efficacia! Purtroppo nel nostro paese vi è l’obbligatorietà della ricetta medica nominativa e non ripetibile ed è proprio la rincorsa alla ricetta che ne ritarda l’assunzione. L’ostruzionismo non avviene solo a livello degli ospedali, ma anche nelle guardie mediche e addirittura in alcuni consultori! Quello che la donna, di fronte ad un rifiuto, deve chiedere è che il diniego venga espressamente motivato, anche per iscritto. Quello che accade invece è che il medico in Pronto Soccorso non viene neanche chiamato con la scusa che “è di turno” il medico obiettore. Anche in questo caso l’accesso in Pronto Soccorso va verbalizzato e copia del verbale va rilasciato alla paziente. Sul sito http://www.lucacoscioni.it/soccorso_civile è possibile scaricare una modulistica per procedere anche con un esposto alla magistratura.
Rimane un ottimo consiglio quello di farsi rilasciare la ricetta dal proprio ginecologo al momento di una qualsiasi visita di routine. […]
La contraccezione di emergenza per via orale oggi raccomandata è la monosomministrazione di una dose di 1,5 mg di levonorgestrel. Questo schema terapeutico soddisfa tutti i criteri di un farmaco senza necessità di ricetta medica che sono: tossicità molto bassa, nessun rischio di overdose, nessuna dipendenza, nessuna necessità di accertamenti medici, controindicazioni mediche poco significative, facile identificazione del bisogno, dosaggio preciso, nessuna interazione farmacologica di rilievo, nessun pericolo in caso di assunzione impropria, minime conseguenze in caso di uso ripetuto o ravvicinato nel tempo. Non riesco proprio a capire tutta questa preoccupazione di eventuali abusi. Si pensi piuttosto di fare una corretta informazione, alle donne ma anche ai medici!
Da leggere tutta.

domenica 6 aprile 2008

Ti ci manderei, a Waterloo

A Luca Luciani Napoletone preferisco di gran lunga Franck C.J. Macky.
Anche per fare gli impostori e venditori di fumo ci vuole stoffa ne’.

venerdì 4 aprile 2008

Intervista a Tonino Cantelmi

A proposito di Omosessualità, Credenze Religiose, Modello Gay e Psicoterapia
Intervista a Tonino Cantelmi
(Psichiatra; Presidente della Associazione degli Psicologi e Psichiatri Cattolici)

Terapia riparativa

Ha senso impostare una terapia specifica per persone omosessuali e in cosa consisterebbe la sua specificità?
Credo che non abbia nessun senso. Non esistono terapie specifiche per gli omosessuali, per eterosessuali o bisessuali.
Esistono dei pazienti, esistono delle domande di terapia, esistono delle attività del terapeuta che deve decodificare questa domanda, esiste una sofferenza, ed esiste la possibilità di aiutare questa sofferenza tenendo conto, ovviamente, e per me è il dato più importante, del codice valoriale dei pazienti. È su questo che secondo me occorre aprire il dibattito.

Cosa pensi delle teorie di Joseph Nicolosi (del Narth, o di organizzazioni che a queste si ispirano come Obiettivo Chaire) e della sua proposta di terapia riparativa?
Il termine “riparativa” ha una lunghissima tradizione in ambito psicoanalitico, (c’è una grossa letteratura sul termine “riparativo”), però sento il termine “riparativo” come il termine “affermativo” di per sé ideologici.
Esistono dei modelli di psicoterapia che sono convalidati, che sono molto pochi, come per esempio le terapie cognitive o quelle interpersonali. Sarebbe interessante che l’Ordine degli Psicologi affrontasse in maniera forte e scientifica il concetto di validazione della psicoterapia. Credo che pochissimi approcci psicoterapeutici abbiano una sufficiente validazione. Non esiste una psicoterapia né affermativa né riparativa, esiste la psicoterapia, la domanda di psicoterapia, il lavoro del terapeuta, la sofferenza del paziente. Le sento così ideologiche così lontane, così antiche. Anche così noiose.

Al di là del giudizio sul termine “riparativa”, come ti poni rispetto a Nicolosi?
Nicolosi è uno psicoanalista, e sviluppa il suo lavoro all’interno della psicoanalisi. Pubblica con molta onestà quello che lui fa; lo dice con chiarezza. Negli Stati Uniti ci sono stati lunghi dibattiti. Oggi è un interlocutore molto riconosciuto; io sento due differenze rispetto alla sua posizione.
Intanto l’approccio psicoanalitico, essendo io cognitivista. E poi credo che lui soffra di alcuni aspetti della americanizzazione della psicopatologia, quindi di una sorta di semplificazione, di una causalità molto semplificata. Probabilmente in Italia sono arrivati i lavori più divulgativi, quindi forse abbiamo avuto un accesso ridotto; sostanzialmente lo sento molto debole come contributo. Di cui tener conto, ma debole, sia come impostazione psicopatologica, che come trattamento psicoterapeutico. Però ne capisco alcuni aspetti: la tradizione psicoanalitica ha molto lavorato sul concetto di “riparativo” e lui probabilmente risponde a questa tradizione.
[...]

Psichiatria e cattolicesimo

Sei presidente della Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici (AIPPC). Che senso ha definire la psichiatria “cattolica”? Che differenza ci sarebbe tra uno psichiatra cattolico e uno psichiatra ateo (o appartenente ad altre religioni: indù o buddista)? C’è incompatibilità di cura? Se la psichiatria è scienza (è una o tende ad essere una – la fisica cattolica sarebbe una disciplina ben strana...) come si concilia con una connotazione religiosa (che è più di una, oppure esiste una sola Religione)?
Nessuna differenza. Non esiste né una psichiatria cattolica, né una psicologia cattolica, né una psicoterapia cattolica. Lo abbiamo affermato scritto e pubblicato. Come al solito le persone che non hanno voglia di leggere e approfondire banalizzano in questo modo. Esistono gli psichiatri cattolici, ma non esiste una psichiatria cattolica. La psichiatria è quella che è. È una scienza con i propri statuti, con una propria epistemologia, un proprio dibattito interno.

Non è allora superfluo definire cattolico uno psichiatra? Usando le parole di Leonardo Ancona (Cattolici e psiche. Polemiche. Parla lo Psichiatra Leonardo Ancona, “la Repubblica R2”, 14 gennaio 2008): “Perché qualificare degli operatori psicologici o psichiatrici come cattolici?”. E, a proposito di valori religiosi (non solo cattolici): “Se si rispetta l’inconscio, la verità viene sempre fuori”. Ancona afferma di essere stato sempre laico come terapeuta.
L’Associazione è nata con un obiettivo ben preciso che è quello di contribuire al dibattito tra scienze, in questo caso tra due scienze: la teologia (che è una scienza, non è la fede), la teologia è una scienza con un proprio statuto epistemologico molto preciso, e la psicologia. Dopo il Concilio Vaticano II nella Chiesa cattolica si è sviluppato un dibattito tra scienze, e l’Associazione è nata con l’obiettivo di favorire questo dibattito, un dibattito che vanta qualcosa come circa 70-80mila pubblicazioni, quindi un dibattito serio. Che non ci azzecca con tutto il discorso banalizzante di una psichiatria cattolica. Io sono contro ogni sincretismo. Uno degli obiettivi dell’Associazione è anche di fermare i sincretismi nascenti, persone che mettono insieme in modo sbagliato dimensioni che sono assolutamente distinte. Allora noi abbiamo criticato duramente quella che è stata chiamata la Cristoterapia, che è una psicoterapia che invece autodefinisce cristiana. Noi sentiamo che non è corretto. Sosteniamo che ogni scienza abbia il proprio statuto epistemologico, ma immaginiamo un dibattito tra scienze diverse. Per esempio, tra psicologia, antropologia, antropologia filosofica, e teologia. La teologia è la scienza più antica, una delle scienze più antiche, con aspetti epistemologici molto interessanti. Questo è l’obiettivo dell’Associazione, non fornire una psicoterapia cattolica. Rimango stupito che questo non si capisca al volo!
Ancona è uno psichiatra di grande intelligenza e di grandi capacità, ma anche lui cade nel tranello della giornalista (Luciana Sica, ndr) che gli fa delle domande piuttosto inappropriate. Ci ho parlato e mi ha detto: “io ho fatto una intervista telefonica, quindi non potendo specificare bene, non si è capito tutto benissimo”.

Continua.
(AltraPsicologia, 3 aprile 2008).

La gravidanza di Thomas Beatie...

... sembra essere stata confermata.

giovedì 3 aprile 2008

Francesco D’Agostino e la pillola del giorno dopo

Francesco D’Agostino interviene sull’episodio delle due ragazze pisane a cui è stata negata la pillola del giorno dopo («Medico non esecutore di richieste», Avvenire, 3 aprile 2008, p. 1):

nessun medico è ‘obbligato’ a prescrivere qualsiasi farmaco, per il quale sia necessaria una ricetta, qualora egli non ne ravvisi l’opportunità e l’utilità. Esiste una libertà di scienza, prima ancora che di coscienza, che ha un essenziale valore epistemologico e deontologico: il medico è un ‘alleato’ del paziente e deve sempre cercare di operare per il suo bene, secondo le sue competenze professionali; non è e non deve mai diventare il cieco esecutore di una richiesta, di qualsiasi richiesta farmacologica il paziente possa avanzare.
[…] questa particolarissima autonomia del medico è ribadita espressamente dal codice deontologico e non ha nulla propriamente a che vedere con l’obiezione di coscienza (è stata questa anche l’opinione del Comitato nazionale per la Bioetica). Potremmo parlare piuttosto di ‘obiezione di scienza’: al paziente che gli chiede un certo farmaco, il medico potrà (se questo sarà il caso) opporre un rifiuto in quanto medico, prima ancora che in quanto ‘cattolico’. Naturalmente sarà professionalmente responsabile se il suo rifiuto sarà la causa determinante di un danno alla salute (si badi: alla salute!) del paziente, ma la sua responsabilità non sarà morale, bensì scientifica: lo si potrà cioè accusare sul piano della perizia professionale, non su quello etico.
[…] va stigmatizzato il medico che non intende prescrivere il Norlevo? Perché dovrebbe esserlo? Sul piano scientifico, egli opera una scelta in prima battuta ‘medica’, nella serena coscienza che il rifiuto di un anticoncezionale di emergenza (peraltro facilmente procurabile per altre vie, come appunto è avvenuto nel caso di Pisa) molto, ma molto difficilmente può produrre un danno alla salute di una donna. Non si ha alcun diritto, una volta riconosciuto che la decisione del medico è per l’appunto specificamente ‘medica’, [a] procedere a valutazioni ‘etiche’ nei suoi confronti.
L’articolo del Codice di deontologia dei medici a cui D’Agostino allude è il 22:
Il medico al quale vengano richieste prestazioni che contrastino con la sua coscienza o con il suo convincimento clinico, può rifiutare la propria opera, a meno che questo comportamento non sia di grave e immediato nocumento per la salute della persona assistita e deve fornire al cittadino ogni utile informazione e chiarimento.
Anche l’articolo 13, comma 6, ripete questo medesimo concetto:
In nessun caso il medico dovrà accedere a richieste del paziente in contrasto con i principi di scienza e coscienza allo scopo di compiacerlo, sottraendolo alle sperimentate ed efficaci cure disponibili.
Si potrebbe discutere a lungo su che cosa intenda il Codice per «prestazioni che contrastino con la coscienza del medico», ma D’Agostino ci toglie la necessità di farlo, visto che sostiene – oltretutto con una certa insistenza – che di obiezione di scienza si tratta, e non di obiezione di coscienza.
Ora, l’obiezione di scienza può riguardare per definizione soltanto l’adeguatezza tecnica dei mezzi – cioè dei trattamenti sanitari – al fine, che qui è la salute del paziente. Non si può parlare di adeguatezza personale nel caso di Pisa: i medici obiettori non hanno visitato le pazienti e riscontrato una condizione particolare che sconsigliava la somministrazione del farmaco, visto che si sono limitati ad esprimere – in un caso addirittura con un cartello – la loro indisponibilità generica. Ci si aspetterebbe dunque che D’Agostino facesse almeno un cenno alle controindicazioni che in generale riguarderebbero la pillola del giorno dopo; ma si aspetterebbe invano. Tutto quello che scrive in proposito è questo:
Non confondiamo il semplice rifiuto di prescrivere una pillola contraccettiva, in quanto potrebbe in linea di principio avere effetti nocivi sulla salute femminile (e questo è un giudizio medico insindacabile!), con l’obiezione di coscienza, che non è in prima battuta un problema medico, ma un problema morale.
«In linea di principio»? Questo è chiaramente assurdo: «in linea di principio» – e quasi sempre anche in linea di fatto – qualsiasi farmaco potrebbe avere effetti nocivi, e quindi ci troveremmo all’arbitrio totale. Ma nell’ottica di D’Agostino la cosa ha un senso, visto che poco prima, come abbiamo visto, affermava che «il rifiuto di un anticoncezionale di emergenza […] molto, ma molto difficilmente può produrre un danno alla salute di una donna»; in effetti, si potrebbe sostenere che neppure il più piccolo rischio si giustifica quando il rifiuto del trattamento non può produrre danni alla salute.
Ma cosa comporta in questo caso il mancato trattamento? Vediamo: l’angoscia di una possibile gravidanza indesiderata; il rischio di un intervento chirurgico per l’aborto, o il rischio anche maggiore che sempre comporta una gravidanza. Non sono questi «danni alla salute»? E sennò, allora che idea ha il professor D’Agostino dei danni alla salute? Di certo non la stessa del Codice di Deontologia Medica, che pure cita e invoca:
La salute è intesa nell’accezione più ampia del termine, come condizione cioè di benessere fisico e psichico della persona (art. 3, comma 2).

All’estero la moratoria è vera moratoria

Non si è mai capito veramente cosa significhi la moratoria sull’aborto proposta da Giuliano Ferrara: «moratoria» è una parola assai precisa, che significa sospensione, temporanea messa al bando; ma il direttore del Foglio giura e spergiura che lui la legge 194 non la toccherebbe mai, e che alle donne non dev’essere impedito con la forza di abortire. La campagna di Ferrara, pare insomma di capire, si chiamerebbe «moratoria» perché il nome è suggestivo e perché bisognava sfruttare l’onda mediatica della moratoria sulla pena di morte, e basta.
Un articolo del Foglio di ieri sembra però contraddire questa spiegazione. Alan Patarga ci racconta come l’iniziativa di Ferrara sia stata accolta all’estero («Voglia di moratoria in Polonia, Canada, Nuova Zelanda e Repubblica Ceca», 2 aprile 2008, p. II), e scrive fra l’altro (i corsivi sono miei):

La moratoria di cui scrivono i giornalisti dell’associazione della stampa cattolica polacca in una lettera aperta al primo ministro Donald Tusk è quella per sospendere la pratica delle introduzioni di gravidanza affinché essa venga riconsiderata alla luce delle nuove conoscenze scientifiche. Citando l’esempio della campagna contro la pena di morte dei feti, i giornalisti cattolici del paese di Karol Wojtyla hanno scelto di battere la strada dell’impegno diretto in difesa della vita prendendo spunto dalla «lista pazza» italiana.
Non sono i soli. Sulla rivista Catholic Insight, lo scorso 26 marzo il giornalista canadese Rory Leishman […] cita l’esperimento della lista «Aborto? No, grazie» […]. «In Canada nessun politico […] prenderebbe mai in considerazione l’idea di appoggiare una messa al bando globale, sia pure temporanea, dell’aborto […]». Per lui, come per i colleghi di Varsavia, c’è un modello a cui rifarsi, finalmente. Il modello italiano.
All’estero, insomma, non avrebbero capito niente della campagna italiana; ma Alan Patarga non segnala questo equivoco, anzi ne sembra decisamente compiaciuto. E nessuno, nella redazione e nella direzione del giornale, pare aver notato l’incongruenza fra ciò che si proclama in patria e ciò che si capisce altrove. Chissà perché.

mercoledì 2 aprile 2008

194. Non toccarla

Una immagine è spesso in grado di veicolare una idea più velocemente e direttamente di un discorso o di una spiegazione; di fissarsi nella memoria con ostinazione e sfrontatezza. Una pancia, una maglietta arrotolata e tirata su, e una scritta colorata: “194. Non toccarla”.
Ideata e promossa da un gruppo di creativi della Margo (Martina Venettoni art director; Piergiorgio Pirrone fotografo; Roberto Miele e Stefano Coccia graphic designers; Alessandra Panaccione ufficio stampa), l’iniziativa è finita sulla pancia di molti, famosi e non, suscitando un entusiasmo e una adesione inaspettati.
Nata un po’ per gioco la campagna ha un intento serio, serissimo, come ogni gioco che si rispetti: difendere la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza (“una volontà semplice”, per usare le loro parole).
Se la pancia non dovesse essere abbastanza intelligibile basta leggere le poche righe che potrebbero esserne la didascalia: “per difendere la conquista e l’applicazione di un principio di libertà”. Oppure andare agli appuntamenti nei locali di Roma per discutere sulla legge (hanno letto la legge 194, contrariamente a tanti che ne parlano a vanvera, e vogliono farla leggere) e per aderire mettendoci la propria pancia; o ancora partecipare con un disegno, una poesia, una vignetta o usando il linguaggio espressivo preferito. Tutte le pance e le informazioni sono sul loro sito: www.nontoccarla.it.
Se volete metterci la testa, pardon la pancia, il prossimo appuntamento romano è per venerdì 4 aprile a San Lorenzo, al Lian, via degli Enotri 8 alle 22.00.

(Un po’ di gioco a volte serve a difendere la 194, DNews, 2 aprile 2008).