Stefano Ceccanti, senatore del Partito Democratico, uno dei padri dei non compianti DiCo, ha firmato lo scorso dicembre assieme ad altri colleghi una proposta di legge in tre commi che regola l’esposizione nelle aule scolastiche del crocifisso:
1. In considerazione del valore della cultura religiosa, del patrimonio storico del popolo italiano e del contributo dato ai valori del costituzionalismo, come segno del valore e del limite delle costituzioni delle democrazie occidentali, in ogni aula scolastica, con decisione del dirigente scolastico, è affisso un crocifisso.La proposta si ispira dichiaratamente alla legge bavarese sull’educazione e l’istruzione pubblica, Bayerisches Gesetz über das Erziehungs- und Unterrichtswesen (BayEUG), approvata il 23 dicembre 1995 dal Parlamento del Land Baviera ed entrata in vigore il 1º gennaio 1996. A proposito di quest’ultima, ecco cosa scrive Susanna Mancini in un bell’articolo di prossima pubblicazione («La supervisione europea presa sul serio: la controversia sul crocifisso tra margine di apprezzamento e ruolo contro-maggioritario delle Corti», Giurisprudenza Costituzionale, n. 5, 2009, alla nota 95):
2. Se l’affissione del crocifisso è contestata per motivi religiosi o di coscienza dal soggetto che ha diritto all’istruzione, ovvero dai suoi genitori, il dirigente scolastico, sulla base del princìpio di autonomia scolastica, nel rispetto dei princìpi di tutela della privacy e di non discriminazione nonché tenendo conto delle caratteristiche della comunità scolastica, cerca un accordo in tempi brevi, anche attraverso l’esposizione di ulteriori simboli religiosi.
3. Qualora non venga raggiunto alcun accordo ai sensi del comma 2, nel rispetto dei princìpi di cui al medesimo comma 2, il dirigente scolastico adotta, previo parere del consiglio di circolo o di istituto, una soluzione che operi un giusto contemperamento delle convinzioni religiose e di coscienza di tutti gli alunni della classe coinvolti e che realizzi il più ampio consenso possibile.
Nel 1995, la Corte Costituzionale tedesca stabilì l’incostituzionalità dell’articolo 13.13 della legge bavarese che obbligava all’esposizione della croce nelle aule della scuola dell’obbligo (1 BvR 1087/91, d.d. “Kruzifix-Urteil”). Con l’ovvio intento di aggirare il disposto di questa sentenza, il legislativo bavarese ha adottato un nuovo atto, il quale “in considerazione della connotazione storica e culturale della Baviera” obbliga ad esporre il crocifisso in tutte le aule. Se tuttavia qualcuno obietta “per ragioni serie e comprensibili inerenti alla fede o a una visione del mondo”, il preside della scuola deve condurre un procedimento di conciliazione. Se non si raggiunge nessuna soluzione, il preside deve ricercare una soluzione ad hoc che rispetti la libertà religiosa del dissenziente, realizzi un bilanciamento tra le convinzioni ideologiche e religiose di tutta la classe e, come se non bastasse, prenda anche in considerazione la volontà della maggioranza (Art. 7, Bayerische Gesetz über das Erziehungs und Unterrichtswesen, BayEUG). L’ambiguità di questa procedura è emersa chiaramente quando una scuola e, successivamente, la corte amministrativa della Baviera hanno rigettato le obiezioni dei genitori di uno scolaro, definendole “pretestuose e polemiche” ed affermando che l’ateismo della famiglia non costituisce un motivo serio per obiettare all’esposizione del crocifisso. In ultima istanza la Corte Suprema Amministrativa (Bundesverwaltungsgericht) ha accolto invece le argomentazioni dei genitori dissenzienti, affermando che la libertà di coscienza include anche quella di non credere (Bundesverwaltungsgericht, sentenza n. 21/1999, 21 aprile 1999).Ma veniamo al disegno di legge di Ceccanti & Co. C’è subito da rilevare la conferma della tendenza recente a infarcire i preamboli dei testi di legge con roboanti dichiarazioni di principio, quasi che gli estensori ci vogliano far ingollare, oltre alla norma concreta, anche la loro personale (e spesso discutibilissima) visione del mondo; rimando per il resto alle caustiche osservazioni di Galatea sul comma 1 della proposta di legge.
In secondo luogo, va notata l’ambiguità del testo, da cui non si riesce a capire se sia possibile o meno che in una classe non venga esposto il crocifisso; solo da un accenno della relazione introduttiva («non per questo diventa immediatamente legittimo o, quanto meno, opportuno il suo contrario, ovvero l’obbligo di esposizione senza alcuna possibilità di eccezione») sembra di poter concludere che l’eccezione sia ammessa. La vaghezza della legge sarà senza dubbio foriera di futuri contenziosi, esattamente come nel caso del modello bavarese.
Ma il punto principale è che la proposta di legge è del tutto incompatibile con il principio di laicità. Essa individua ancora una confessione privilegiata, quella cattolica, il cui simbolo è esposto per default, mentre gli appartenenti ad altre religioni sono costretti all’iter di una apposita richiesta, il cui esito, per giunta, non sembra neppure scontato. Il richiamo alla privacy del disegno di legge assume qui tutti i caratteri dell’ipocrisia: il singolo, per vedere rispettata anche la propria confessione – magari poco popolare o controversa agli occhi della maggioranza – deve uscire allo scoperto, mentre ai cattolici è risparmiato ogni sforzo. Da notare come non si faccia neppure cenno, con insensibilità rivelatrice, ai costi degli altri simboli da esporre: saranno a carico delle famiglie o dell’istituzione scolastica? Questi rilievi farebbero pensare a una possibile incostituzionalità di una legge articolata su queste linee, per violazione dell’art. 3 Cost. prima ancora che dell’art. 8.
Sarebbe possibile una legge che ammetta la presenza dei simboli religiosi senza incorrere in questi rilievi? In teoria sì, almeno in parte: bisognerebbe abolire ogni obbligo e ogni ruolo attivo delle istituzioni, lasciando le pareti scolastiche a disposizione degli alunni, che – su richiesta – sarebbero liberi di appendere i loro simboli. Ma è chiaro che questa proposta non potrebbe essere fatta propria dalla maggior parte dei cattolici, compresi quelli «progressisti» (come dimostra la proposta Ceccanti), perché renderebbe concreta la possibilità che in alcune aule si debba procedere alla rimozione del crocifisso per mancata richiesta, e soprattutto perché farebbe venire meno l’esemplarità del simbolo, dissolvendo la sua «certificazione» statale. In ogni caso, anche questa proposta sarebbe imperfettamente laica, lasciando pregiudicata la posizione degli indifferenti al fatto religioso – non tanto gli atei quanto gli agnostici – per i quali sarebbe problematico concepire un simbolo apposito. E ci si potrebbe interrogare sulla sensatezza di concedere attivamente spazio a segni di divisione in un contesto, come quello scolastico, che dovrebbe promuovere per quanto è possibile l’integrazione dei cittadini in una comunità civile unita.
Aggiornamento: tutto da leggere il severo commento di Francesco Costa alla proposta di legge.
5 commenti:
Eppure sarebbe così semplice: nelle aule scolastiche non ci deve stare alcun simbolo religioso. Punto.
Credo che la cosa più ipocrita sia affidare il peso ad un ragazzo o alla sua famiglia? Perché gravare così tanto un singolo? E cosa nasconde questa posizione?
Aggiungo una cosa. Scrivi: "Essa individua ancora una confessione privilegiata, quella cattolica, il cui simbolo è esposto per default".
Per PRINCIPIO, Giuseppe, non per default. Sono cose decisamente diverse.
Con stima
sam
i tedeschi sono esperti: cuius regio eius religio (1555), questo è il principio che conclude la proposta in tre punti
In alcune aule ci sono appesi pure poster coi beniamini delle televisivi delle nuove generazioni, non ci vedrei nulla di male se qualcuno ci mettesse tra questi pure il suo crocifisso, l'importante è che il crocifisso non sia imposto per legge né per regolamento, ma che sia una libera scelta emergente da una iniziativa *dal basso* (e non dall'alto) e che sia il punto di incontro di una dialettica tra pari.
ignavi
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