giovedì 28 gennaio 2010

Un velo insopportabile?

Michele Ainis interviene sul tema della proibizione del velo integrale islamico – burqa o niqab – che sull’onda di quanto si appresterebbe a fare la Francia è tornato di attualità anche da noi («Se lo Stato laico invade le identità», La Stampa, 27 gennaio 2010, p. 1).

Proviamo allora a soppesare gli argomenti a favore o contro tale soluzione. E proviamo a farlo – giustappunto – laicamente, senza preconcetti ideologici né tanto meno religiosi.
Primo: la sicurezza. Se ti copri fino ai piedi con un vestito afghano, come potrò esser certo che non nascondi sotto il burqa qualche chilo di tritolo? E come farò a identificarti, se del tuo volto posso vedere solo gli occhi? Preoccupazione legittima, ma allora per simmetria dovremmo proibire anche il passamontagna, il casco dei motociclisti, la maschera di Paperino a Carnevale. Dovremmo impedire la circolazione ai signori troppo intabarrati, con questo freddo poi, come si fa. No, non è la sicurezza l’alibi di ferro per importare quel divieto, lo prova il fatto che esso non s’estende ad altri tipi di mascheramento. E del resto consentire il burqa non significa consentire d’incollarlo al corpo con il mastice, se un poliziotto ti chiede di sollevarlo per guardarti dritto in faccia, tu comunque hai l’obbligo di farlo.
Secondo: la tutela delle islamiche rispetto alla prepotenza del gruppo cui appartengono. Difatti il burqa evoca un atto di sottomissione, la condizione della donna come figlia di un dio minore. Vero, due volte vero; ma siamo certi che sia giusto proibirlo anche quando chi l’indossa abbia deciso spontaneamente di vestirsene? Non c’è forse l’ombra di un imperialismo culturale in tale atteggiamento? Non puzza un po’ di Stato etico, non è paternalistica l’idea che i pubblici poteri debbano liberare gli individui dai condizionamenti sociali o familiari? E perché allora non vietare pure il battesimo ai minori, la circoncisione dei bambini ebrei, la prima comunione? No, l’identità – di singolo e di gruppo – è sempre il frutto di una scelta, mai di un’imposizione; è questione culturale, che va aggredita quindi con strumenti culturali, non attraverso il bastone della legge. Sempre ammesso che sia desiderabile forgiare una società omogenea come un plotone militare. Ci aveva provato Mao Tse-tung, ordinando ai cinesi d’indossare tutti la medesima divisa. La nostra idea di laicità è l’opposto, muove dal diritto di vestirci un po’ come ci pare. Un Carnevale che dura tutto l’anno.
A parte una formula un po’ ambigua – in che senso l’identità di gruppo è sempre il frutto di una scelta? – non si può che concordare con quanto dice Ainis: proibire il burqa con la scusa della sicurezza è un alibi ipocrita, e bisogna ammettere che spesso l’adesione alle norme del gruppo è spontanea e sincera (nei limiti in cui lo è sempre il conformarsi a una norma culturale).
In teoria il velo integrale potrebbe essere bandito in nome di una terza esigenza, che Ainis non esamina: come il «comune senso del pudore» giustifica tuttora il divieto di andare in giro nudi negli spazi pubblici, così – all’estremo opposto – si potrebbe vietare il burqa in nome del turbamento che provoca nella maggioranza di noi. Ma se il burqa e il niqab sono indubbiamente orribili a vedersi, lo sono davvero di più di certe tenute che non ci sogneremmo mai di proibire, per quanto sconcertanti? Il nostro turbamento è davvero così istintivo, oppure è in realtà il frutto di un pregiudizio ideologico? E non rischiamo in questo caso di discriminare su base religiosa? In dubio pro libertate è forse la conclusione inevitabile.

55 commenti:

Starry ha detto...

Per liberare le islamiche dal velo, occorre liberarle prima culturalmente, questa è l'unica strada, che non sarà mai quella definitiva (sempre ci saranno donne che "liberamente" decideranno di indossarlo), ma almeno si ridurrà il numero al minimo fisiologico che c'è comunque per ogni fenomeno.

paolo de gregorio ha detto...

Questo lo considero davvero un problema molto spinoso, di ardua soluzione.

Partiamo dal ricorso alla legge esistente. A mio parere le cose non sono così elementari come sono poste nell'articolo: la legge prevede il divieto solo se si è in assenza di un giustificato motivo. Un passamontagna mentre si scala un quattromila può tranquillamente essere consentito, mentre un passamontagna a ferragosto dovrebbe essere tassativamente vietato. Mascherarsi durante la processione dei carri a carnevale va bene, ma andare mascherati tutti i giorni l'anno dovrebbe essere vietato. Una malattia della pelle può consentire ci coprirsi, e via dicendo.

Il discorso diventa quindi: la fede religiosa può essere un giustificato motivo per coprirsi integralmente il volto? Pur non avendo una risposta definitiva, propendo più per il no: la libertà religiosa non può spingersi fino a permettere ad alcuni azioni vietate a tutti gli altri. Se la legge citata esiste, esiste per un motivo: a garanzia dei cittadini; e quindi la libertà di chi crede non può stare al di sopra della legge, perché vorrebbe dire che la libertà di uno va oltre dove inizia quella dell'altro. Può darsi allora che citare la legge sia un pretesto, ma può darsi anche di no.

Su un divieto invece appositamente studiato anche io ho forti perplessità.

Sul fronte "libera scelta". Altro nodo spinoso. In teoria bisognerebbe davvero verificare che una tal donna si sia davvero messa il velo rispondendo ad una scelta genuinamente libera. Escludo che questo sia vero tranne che in una forte minoranza dei casi (ammetto di basarmi anche su sensazioni personali: io personalmente mi sentirei in gabbia, mi sentirei soffocare ad andare vestito così, e non vedo in che cosa una donna presa a random differisca da me ed anzi, casomai, posso immaginare che una donna desideri ancora più di me mostrarsi in volto). E va rammentato che anche molti di quelli che si rovinano pagando degli indovini lo fanno "liberamente", se glielo chiedi, eppure ci sono delle leggi che limitano questi rischi.

Io la ricetta non ce l'ho, però non credo nemmeno che la soluzione sia quella di creare un emendamento di fatto alle leggi esistenti, valido se si crede in un tal dio invece che in un altro, e pensare di aver risolto così la faccenda spinosa: mi sembra controproducente. E se è un po' un'ipocrisia appellarsi alla legge che vieta di coprirsi un pubblico allora lo è un po' anche giustificare il velo integrale richiamandosi alla libertà di scelta: ritengo che esso riguardi tutt'altro. Due ipocrisie non fanno una coerenza. Il problema è a tutt'oggi aperto e, a mio avviso, l'articolo si illude solamente di avervi risposto.

Giuseppe Regalzi ha detto...

"la libertà religiosa non può spingersi fino a permettere ad alcuni azioni vietate a tutti gli altri […] la libertà di chi crede non può stare al di sopra della legge, perché vorrebbe dire che la libertà di uno va oltre dove inizia quella dell'altro"

Il problema è che allora questo dovrebbe valere anche per il freddoloso con sciarpa e cappello (l'effetto finale è quasi identico a un niqab), o per il partecipante al carnevale di Venezia. Perché questi possono stare "al disopra della legge" e la musulmana no? Il carnevale è più serio di una fede religiosa? Un po' di freddo al viso è un giustificato motivo, e gli imperativi della propria coscienza no? C'è qualcosa che non mi torna.

"E va rammentato che anche molti di quelli che si rovinano pagando degli indovini lo fanno "liberamente", se glielo chiedi, eppure ci sono delle leggi che limitano questi rischi"

In questo caso però c'è qualcuno che truffa qualcun altro; nel caso della religione la cosa è un po' più complessa (anche se naturalmente le analogie non mancano, lo so). Inoltre torna il problema della coerenza: perché la proibizione dovrebbe riguardare solo le islamiche e non, per esempio, anche i fedeli cattolici cui viene detto che il pane si trasforma nella vera carne di Cristo? Dobbiamo proibire lo svolgimento della messa?

Magar ha detto...

Le leggi esistenti in materia, che io sappia (e non sono un esperto), si riconducono all'art. 85 del T.ul.p.s. del 1931 e all'art. 5 della legge Reale del 1975 (per quanto riguarda le manifestazioni). Per quanto capisco, delineano una situazione come quella descritta da Paolo. Proibiti il passamontagna d'estate e la maschera di Paperino a maggio.

Personalmente, non sono entusiasta di queste leggi "da anni di piombo" (in realtà il Tulps ha una storia più tetra alle spalle, ma non mi pare il caso di esagerare la "fascistità" di quell'articolo) e mi riconosco più nell'idea del prof. Ainis, di un Carnevale che dura tutto l'anno.

Il "comune senso del pudore" mi pare sia molto debolmente connesso al burqa. A mio avviso non proibiamo di girare nudi perché ciò faccia "orrore" o provochi turbamento (altrimenti dovremmo pure vietare ad uno sfregiato di girare senza maschera), quanto perché si ritiene poco adatta ad un pubblico minorenne la visione di attributi sessuali "troppo" espliciti.

Infine, credo sia il caso di distinguere i vari contesti in cui si esercita il divieto: in alcune situazioni l'obbligo di identificabilità può essere indispensabile per motivi pratici, mentre un divieto "a pioggia" potrebbe estendersi anche a situazioni (e.g. una passeggiata ai giardinetti) in cui i motivi pratici scarseggiano.

Giuseppe Regalzi ha detto...

Magar: attorno alla legge 152/1975 esiste una giurisprudenza abbastanza consolidata, che è per la liceità del velo integrale. Il Consiglio di Stato, VI Sezione, ha sostenuto nella sentenza 19 giugno 2008, n. 3076: "La ratio della norma, diretta alla tutela dell'ordine pubblico, è quella di evitare che l'utilizzo di caschi o di altri mezzi possa avvenire con la finalità di evitare il riconoscimento. Tuttavia, un divieto assoluto vi è solo in occasione di manifestazioni che si svolgano in luogo pubblico o aperto al pubblico, tranne quelle di carattere sportivo che tale uso comportino. Negli altri casi, l'utilizzo di mezzi potenzialmente idonei a rendere difficoltoso il riconoscimento è vietato solo se avviene 'senza giustificato motivo'. Con riferimento al 'velo che copre il volto', o in particolare al burqa, si tratta di un utilizzo che generalmente non è diretto a evitare il riconoscimento, ma costituisce attuazione di una tradizione di determinate popolazioni e culture. In questa sede al giudice non spetta dare giudizi di merito sull'utilizzo del velo, né verificare se si tratti di un simbolo culturale, religioso, o di altra natura, né compete estendere la verifica alla spontaneità, o meno, di tale utilizzo. Ciò che rileva sotto il profilo giuridico è che non si è in presenza di un mezzo finalizzato a impedire senza giustificato motivo il riconoscimento. Il citato art. 5 consente nel nostro ordinamento che una persona indossi il velo per motivi religiosi o culturali; le esigenze di pubblica sicurezza sono soddisfatte dal divieto di utilizzo in occasione di manifestazioni e dall'obbligo per tali persone di sottoporsi all'identificazione e alla rimozione del velo, ove necessario a tal fine".

Una nota sul senso del pudore: credo che spogliarsi in pubblico sia un reato anche se lo si fa in assenza di minori.

Magar ha detto...

@Paolo
In effetti mi sono spiegato male: per quanto riguarda il senso del pudore, mi riferivo non tanto alla legge attualmente vigente quanto piuttosto alla legittima esigenza che la giustifica (e che invece non giustifica a mio avviso il veto al burqa).
Dal mio punto di vista, impedire ad un adulto di spogliarsi in mezzo ad altri adulti è come impedire ad una persona obesa di indossare abiti aderenti (con relativi effetti antiestetici).

paolo de gregorio ha detto...

Se 365 giorni all'anno ci fossero qualche migliaio di cittadini che cominciassero ad andare in giro con la maschera di pulcinella, io penso che sarebbe più che legittimo porre il problema se questo sia compatibile con la legge. Stesso discorso per il caso ipotetico di migliaia di cittadini con sciarpa e cappello in centro città tutti i giorni dell'anno, ferragosto incluso.
Ma a quel punto si discuterebbe, magari decidendo di cancellare la legge. Peraltro io sono a favore del fatto che la bilancia penda, quando possibile ed entro certi limiti, a favore della libertà più che della sicurezza, se la minaccia a quest'ultima sia pressoché teorica o di entità ridotta. Discutibile invece il sostenere di dover tenere viva una legge precisando che essa non vada mai applicata.

Nel caso del velo integrale si potrebbe fare altrettanto (cancellare definitivamente quella legge), un giorno del domani che la questione diventasse numericamente rilevante. Sarebbe nella sostanza una esplicita concessione di libertà ad hoc a chi quel velo vuole indossare, come lo sarebbe nei casi ipotetici del comparire di pulcinelliani o sciarpari di sopra ("cambiamo la legge perché intralcia con la realizzazione personale di un certo gruppo di cittadini"). Non necessariamente mi opporrei, a fronte di queste valutazioni.

Però se la legge c'è, c'è; e se esiste, esiste perché (teoricamente) "si ritiene" che salvaguardi la sicurezza. La coscienza può essere motivo di eccezione, a discapito teorico della mia sicurezza? Mica ne sono tanto sicuro. Non è che se una pistola carica fosse un simulacro di una certa setta, io dovrei acconsentire che per libertà di coscienza gli aderenti vadano tutti in giro armati e carichi. Quindi:

"Un po' di freddo al viso è un giustificato motivo, e gli imperativi della propria coscienza no?"

Può darsi di no. Prima ho esordito scrivendo che "propendo" per il no. In questo caso specifico forse non è così grave dire sì, ma assurgere il principio a regola generale avrebbe conseguenze che mi parrebbero inquietanti. Accetterei più di miglior grado la giustificazione: "il velo mi serve perché anche ad agosto io ho freddo". Non perché stare caldi conti più di soddisfare la propria coscienza, ma perché esiste una distinzione tra ciò che è oggettivo e ciò che è soggettivo, che possiamo tutti approssimativamente inferire caso per caso.

"[Per coerenza] dobbiamo proibire lo svolgimento della messa?"

Obiezione fondata. A me ne era venuta in mente una più sfrontata: quelli che si autoflagellano. Una cosa che si potrebbe indagare c'è: confrontare le conseguenze che rischia un tizio che non va a messa a ricevere l'ostia con quelle temute da una donna appartenente ad un certo entourage, la quale smettesse il velo integrale. La truffa di cui parlavo (l'unica che secondo me andrebbe severamente punita) si concretizza quando il perpetrante agisce violando, psicologicamente o fisicamente, ma attivamente, l'integrità della vittima. Una cosa è indossare il velo integrale perché convinti che sia giusto, altra perché non si potrebbe comunque fare altrimenti.
In casi estremi una legge temporanea, qualora il problema fosse oggettivamente riscontrabile e verificabile e assumesse i connotati di grave problema sociale, potrebbe in teoria anche contrastarlo (principio del male minore) con un divieto un po' illiberale (parlo per ipotesi).

Il problema cui l'articolo non risponde è precisamente quello di fondo: cosa accadrebbe ad alcune di quelle donne se smettessero il velo? Solo eliminando questo aspetto si può disquisire con tanta serenità di libertà di scelta nell'affrontare questa questione.

Giuseppe Regalzi ha detto...

"Dal mio punto di vista, impedire ad un adulto di spogliarsi in mezzo ad altri adulti è come impedire ad una persona obesa di indossare abiti aderenti (con relativi effetti antiestetici)"

Non sono del tutto convinto. Secondo me la visione di un corpo nudo fuori contesto comporta per la maggior parte delle persone un livello di shock che non è paragonabile a un'esperienza nella sfera estetica. Naturalmente si tratta di un condizionamento culturale (diverso sarebbe se parlassimo dell'esibizione di piaghe purulente o di corpi non lavati), ma non per questo è meno forte. Comunque, come dicevo nel post, anche per me il velo non è equiparabile a un'offesa al pudore.

Dr. Sci-Psy ha detto...

Il problema è forse anche qual'è l'intento, seppur implicito, della legge (futura).
A mio avviso risiede in criteri guidati dall'etnocentrismo.
Mi pare che questa, come altre leggi, siano più che altro un tentativo di mantenere un certo stato delle cose, in un momento storico in cui sempre più si è confrontati con la possibilità del cambiamento.

paolo de gregorio ha detto...

Se l'interpretazione giurisprudenziale di massima è quella lì, allora la mia ottica un po' cambia e il velo non farebbe affatto eccezione tra i coprivolto tollerabili (cioè tutti). Ma a questo punto non si fa prima a modificarla 'sta benedetta legge? Al di fuori delle manifestazioni pubbliche e dei momenti di riconoscimento, qualcuno ha in mente un solo esempio in cui andrebbe applicata? E' ovvio che con qualunque cosa io mi copra posso sempre dire che ho un buon motivo per farlo, dal mutandone di Fantozzi al passamontagna.

Giuseppe Regalzi ha detto...

Paolo: in effetti dubito molto che quella legge sia mai servita a qualcosa. Comunque direi che il punto è che i motivi per andare in giro mascherati devono essere accertabili. Se fa un freddo cane e vado in giro con il passamontagna sono giustificato, così come è giustificata la signora Fatima Hammar; se fa un caldo boia o se la signora si chiama Pasqualina Salvo, un po' meno.

Per il discorso della costrizione hai ovviamente ragione: è chiaro che la nostra preoccupazione deve essere quella di sottrarre le donne minacciate al loro ambiente. Sono anche pronto a prendere in considerazione l'ipotesi che per fare questo si debba procedere a un divieto erga omnes, ma solo come extrema ratio, dopo averle provate tutte.

paolo de gregorio ha detto...

"solo come extrema ratio"

Condivido. Forse non la più estrema, ma nella suddetta categoria.

Visto il commento di Dr. Sci-Psy, penso anche che sarebbe bene chiarire il problema, che probabilmente esiste, e discuterne su basi condivise, evitando di lasciare il monopolio della discussione a chi veramente vuole solo trovare un pretesto per qualcosa di più ideologico. Sarebbe paradossale ergere un simbolo con reali potenzialità costrittive a bandiera di tolleranza e integrazione da opporre agli esterofobi.

P.S.: Per quel che mi riguarda, Pasqualina Salvo potrebbe aver preso un suo personalissimo impegno con la costellazione del giaguaro che le suggerisce di indossare un velo integrale tutto l'anno: se tanto mi dà tanto, giurisprudenza alla mano, non trovo affatto che sia affare dello Stato stare a sindacare proprio con la signora, se ha già stabilito di non dover stare a sindacare con Fatima Hammar o con Mister pelle d'oca a ferragosto.

paolo de gregorio ha detto...

P.P.S.-

Mi è venuto in mente un simpatico paradosso: giustificato motivo è qualunque cosa che non sia la finalità di coprire il proprio volto al solo scopo di non farsi riconoscere. E come si riconoscerebbe che non sarebbe finalizzato al non farsi riconoscere? Dal fatto stesso che lo si indossi (e non si sta delinquendo), e pertanto deve per forza esserci un giustificato motivo.

Anonimo ha detto...

e dire la verità?
in nome della religione si possono concedere poche deroghe, perchè non c'è limite all'idiozia umana.
Vogliamo davvero sik autorizzati a girare armati, musulmane coperte come cammelli da soma, cattolici autorizzati a obiettare per ogni stupidaggine, testimoni di geova che costringono i chirurghi a ore e ore di operazioni inutili pur di evitare trasfusioni, rastafariani autorizzati a cannarsi, cavalieri jedi autorizzati a far camminare i loro cani su due zampe, dopo averli armati di mitra?per la maggior gloria dei loro amici immaginari, oltretutto?
Basta con queste stronzate, siamo nel 2010!
Chi vuole vivere nel medioevo stia a casa propria (cattolici compresi), gli altri finchè pregano nei loro tempietti e si mettono al collo croci, mezzelune, ritratti di visnu' e budda lo facciano tranquillamente, purchè mai si abbia coincidenza tra leggi divine e leggi statali, che è quello di cui tutti dovremmo avere un sanissimo terrore.
Sapete qual è il problema? che un paese in cui i cattolici appendono le loro croci nelle scuole pubbliche non è migliore dei paesi in cui i musulmani chiedono e ottengono di non mandare le femmine a scuola.

Magar ha detto...

Dunque, sul problema della costrizione esercitata da un certo numero di mariti o padri, a me viene in mente il caso dell'aborto: vi sono uomini che impongono, se necessario con la violenza, un aborto alle donne (per esempio talvolta sono i "pappa" a forzare le prostitute). Ci sentiremmo di vietare l'IVG a tutte le cittadine, sia pure solo temporaneamente (qualora questo fenomeno raggiungesse dimensioni cospicue)?
Mettiamo pure che impedire un'interruzione di gravidanza sia un atto più intrusivo che vietare un velo integrale. Resta il dubbio su quanto estrema debba essere la situazione per autorizzare i classici "estremi rimedi".

rastafariani autorizzati a cannarsi
Da antiproibizionista, non solo loro...

P.S. Il mio post delle 18:11 di ieri era chiaramente da intendersi rivolto "@Giuseppe" piuttosto che "@Paolo". Chiedo scusa ad entrambi. :)

Anonimo ha detto...

Parere "da donna" e basato più sulla pancia che sulla logica o il diritto.
Vedere una donna velata non turba il mio senso del pudore, ma mi fa letteralmente orrore. Vuol dire che nella mia comunità, nella casa accanto alla mia, c'è una persona che crede e testimonia con la sua vita che le donne sono diverse, inferiori, da ghettizzare, nascondere, discriminare. C'è qualcuno che implica che la mia faccia, i miei capelli, il mio corpo sono qualcosa da nascondere e che come donna non posso essere libera di portare avanti la mia vita e le mie scelte, non solo sessuali.
Sono convinta che ognuno debba essere libero di credere in ciò che vuole a livello religioso e non solo. Una persona deve essere libera di nutrire convinzioni razziste, maschiliste, scioviniste, omofobe, di credere in allah e nella forza jedi... Però ciò che quel velo dice è un insulto sparato sulla mia faccia, assolutamente analogo ad urlare a qualcuno "frocio", "negro", "puttana".
Se anche la donna che porta il velo lo fa per sua libera scelta, comunque propaganda discriminazione e sessismo contro altre donne.
Se lo fa costretta, si aggiunge alla propaganda la violazione dei suoi diritti concreti.
Comunque la si metta, io sono pienamente favorevole a vietare il velo integrale.
Per cortesia però, non diciamo che è un simbolo religioso: è un simbolo di sottomissione e discriminazione della donna all'interno di una parte della cultura islamica, rafforzato dall'avvicinamento ad un'identità religiosa, esattamente analogo al velo che in alcuni periodi le donne europee dovevano portare (si arrivava alla scomunica per le donne che non andavano in chiesa col velo). Nessuno però nell'Europa cattolica diceva che il velo fosse un precetto religioso: era un simbolo della posizione della donna all'interno della società e dell'"ordine naturale" riconosciuto.

Silvia

Giuseppe Regalzi ha detto...

Silvia, il problema è che le motivazioni sono soggettive e diverse. Ieri sul Sole 24 Ore c'era un articolo in cui alcune donne spiegavano i perché della loro scelta di indossare il niqab. Ebbene, accanto a quella che in effetti sembrava aver introiettato l'ideologia dell'inferiorità femminile, ce n'erano altre per cui il niqab sembrava essere più una bandiera di un'identità orgogliosamente rivendicata contro un ambiente ostile (e qui magari dovremmo riflettere sulle conseguenze controintuitive di proibizioni nate con le migliori intenzioni che finiscono per sortire effetti opposti a quelli voluti).
Si può dire con sicurezza che quest'ultima motivazione sia falsa, che sia vera solo la prima? Che ci sia un messaggio oggettivo proiettato dal velo? E dobbiamo proibire anche il velo non integrale, il semplice hijab?

Sagredo ha detto...

Desidero riprendere una parte postata da Giuseppe per sottolineare l'ipocrisia del contenuto 9(NON DI GIUSEPPE!!!)

Con riferimento al 'velo che copre il volto', o in particolare al burqa, si tratta di un utilizzo che generalmente non è diretto a evitare il riconoscimento, ma costituisce attuazione di una tradizione di determinate popolazioni e culture.
Gia' a questo punto si dovrebbe notare il primo spunto ipocrita, sottolineato dal "ma", che aiuta ad evitare di considerare la radice della tradizione in questione.

In questa sede al giudice non spetta dare giudizi di merito sull'utilizzo del velo, né verificare se si tratti di un simbolo culturale, religioso, o di altra natura, né compete estendere la verifica alla spontaneità, o meno, di tale utilizzo.
notare che nella frase precedente il giudice aveva dato un giudizio sul valore tradizionale del burca
Ciò che rileva sotto il profilo giuridico è che non si è in presenza di un mezzo finalizzato a impedire senza giustificato motivo il riconoscimento.
Cosi' si conclude, in modo apodittico ed in assenza di una qualsiasi regola filologica la sentenza. Ancora, senza chiedersi quale sia la radice del costume. Non serve tale costume ad evitare il riconoscimento dei tratti della persona femminile? Perche' le sentenze lo negano a priori?

Magar ha detto...

Silvia, anche accettando l'interpretazione sessista del velo, non sono d'accordo con l'equiparazione di tale simbolo ad un insulto razzista (lato sensu).

Affermare - poniamo - che il tal gruppo sociale (connotato da etnia, genere o religione) dovrebbe essere privato dei suoi diritti civili, in maniera del tutto nonviolenta e democratica, è sicuramente un'idea ributtante dal mio punto di vista, ma è diverso da un'aggressione verbale a colpi di turpiloquio. Su questo siamo d'accordo, credo.

Ora, mi pare che il velo, comunque lo si voglia leggere, non vada oltre l'affermazione simbolica dell'ideologia maschilista: in sé, nulla che faccia pensare ad un'aggressione verbale o alla legittimazione della violenza.

Sagredo ha detto...

Allora, se lo usano come "una bandiera di un'identità orgogliosamente rivendicata contro un ambiente ostile" e' proprio una divisa razzista contro il razzismo. Il problema e' che offende molti che non sono razzisti (e che vedono il razzismo di ritorno) e dà dei buoni pretesti a chi lo è. Ora, per parlarvi della mia posizione, ho totale rispetto per l'uso del velo che copre i capelli e penso che basterebbe quello per sbatterci orgogliosamente (mica e' razzismo, no) in faccia una diversa identità culturale; in fondo e' veramente facile in uno stato che tenta di essere laico. Domani avremo quelli che girano con le camice brune, ma chissenefrega? e' Carnevale tutto l'anno.

Giuseppe Regalzi ha detto...

Scusa, Sagredo, ma perché esibire "una bandiera di un'identità orgogliosamente rivendicata contro un ambiente ostile" sarebbe razzismo? Non ti seguo.

Sagredo ha detto...

Per me è assolutamente evidente che qualsiasi esibizione orgogliosa della propria identità è alla base del concetto di disprezzo del diverso. Non so perchè uno dovrebbe essere orgoglioso di cio' che è. Al massimo potrà essere grato al caso. In effetti il concetto di ambiente ostile sembra creare una giustificazione. Se pero' facciamo un'analisi sociodinamica di cio' che puo' succedere nella vita di una persona che se ne va in un paese straniero per abbandonare una situazione di miseria, ci si rende facilmente conto che queste persone hanno abbandonato un luogo molto piu' ostile di quello in cui sono capitate. Il fatto e' che questo è un problema che riguarda una particolare etnia che casualmente (ma forse non troppo) è omogenea dal punto di vista religioso. Quindi, in effetti, l'Italia si sta veramente riempendo di razzisti, ma molti di questi, e i fatti lo dimostrano, sono sicuramente immigrati.

giorgia ha detto...

il burqua, quindi la copertura totale di una donna dalla testa ai piedi, è figlio di un retaggio tribale che NULLA ha a che vedere con la religione. Per cui, non parliamo di motivi religiosi. E' il simbolo dell'inadeguatezza della donna, del suo stato di servaggio rispetto all'uomo, del suo essere sottomessa. Ora, in un paese democratico e civile, un simbolo del genere semplicemente non dovrebbe essere ammesso. Lede quelli che sono i principi teorici dell'uguaglianza e della parità dei sessi. E' una tradizione che nega l'identità della donna, equiparabile per me all'infibulazione (proibita per legge, o sbaglio?), altra pratica barbara che agisce sul corpo anzichè sullo spirito.
Sono d'accordo con Starry quando dice che prima bisogna "liberarle culturalmente", e bisogna farlo prima che le poche che ci provano vengano uccise da un parente perchè "troopo occidentali". Davanti ad una minaccia di morte sempre attiva pure io "sceglierei" (tra virgolette, perchè una scelta obbligata non è una scelta) di bardarmi come un fantasma!

Magar ha detto...

@Sagredo
Per "orgoglio" si intende generalmente (e specificamente nel caso citato da Giuseppe, mi pare) la rivendicazione della propria piena dignità, piuttosto che la sprezzante negazione della dignità altrui. Il Gay Pride Parade non mi pare una manifestazione di ostilità anti-etero.
Naturalmente il confine tra le due concezioni è spesso, purtroppo, poroso, ma ciò non toglie che in linea di principio siano cose distinte.

@Giorgia
L'imposizione di qualunque cosa, dal burqa ad un tatuaggio, è già proibita, in linea teorica: in pratica si ha sempre la difficoltà di far emergere i maltrattamenti domestici.
Qui si sta parlando di proibirlo anche a chi lo vuole indossare liberamente. E in quel caso, a mio parere, conta poco il significato simbolico del burqa: la libertà di espressione dell'individuo non può essere vincolata al nostro apprezzamento per le sue idee.

Anonimo ha detto...

Magar, secondo il tuo ragionamento l'espressione di un'idea (condivisa o meno) e la libertà d'espressione sono sempre giuste.... ma come la metti con (per esempio) "l'orgoglio pedofilo", "l'orgoglio fascista" liberamente espresse da varie persone? sicuramente ledono la pubblica decenza, e anche delle leggi! non capisco perchè il burqua, simbolo di quanto ho scritto sopra, dovrebbe essere diverso. le donne islamiche che scelgono di mettere il burqua difficilmente lo fanno per "orgoglio patriottico", molto più spesso per evitare punizioni e attenzioni da parte degli uomini. hai mai visto il corto di tho van gogh "Submission"? ti consiglio di guardarlo.....

Magar ha detto...

Giorgia, per una volta non ho voluto ripetere la consueta precisazione, cioè che l'unico vincolo alla libertà di parola dovrebbe essere il divieto di incitare esplicitamente alla violenza, o comunque al compimento di reati. Cosa che l'"orgoglio pedofilo" fa e il burqa no (il significato simbolico del burqa stesso rileva fino al punto in cui consente di stabilire questo fatto di base, non oltre).

Avere idee retrograde e maschiliste non è un reato. Imporle agli altri in violazione delle leggi sì.

Anonimo ha detto...

scusa ma per conto mio negare l'identità di una persona è equiparabile alla violenza! Il fine del burqua è effettuare una violenza psicologica sulla donna, sminuirla, renderla insignificante. Cancellarla. Se non è violenza questa... certo, non è violenza fisica, ma come ben saprai non esiste solo quella. Hai guardato il video che ti ho consigliato? http://www.youtube.com/watch?v=htlJqVkD3jY

Magar ha detto...

Che c'entra qui la distinzione tra violenza fisica e psicologica?
Imporre a una donna di negare la propria identità è una violenza a tutti gli effetti, come tale già sanzionata dalla legge. A patto di convincere la vittima a denunciare il proprio aguzzino, cosa non sempre facile quando ci sono di mezzo legami familiari.

Negare la propria identità scegliendo di indossare un burqa non è violenza. È espressione di idee retrive.

Sagredo ha detto...

Caro Magar, e' certo che rivendicare la propria dignita' coprendosi dalla testa ai piedi e' un paradosso che ti lascio risolvere da solo.
Saluti.

Barbara Befani ha detto...

Secondo me vietare il battesimo ai minori e la circoncisione dei bambini ebrei è un'ottima idea. Sono imposizioni simboliche che si possono evitare, che dovrebbero essere considerate non necessarie a un'educazione moderna dei bambini.

Quanto al rispetto per la diversità delle culture, bisogna mettere dei limiti da qualche parte. Se fossimo colonizzati da un'etnia di persone che girano nude per strada in nome della religione, cosa faremmo? Il fatto che alcune donne siano orgogliose di girare con il burqa e lo facciano volontariamente non ci deve fregare: anche le donne degli anni 50 non capivano il movimento femminista e pensavano di non essere discriminate.

Un paio di settimane fa una dirigente di Gender Equality dell'UNESCO mi diceva che sì, è nel loro mandato lavorare per il rispetto e la "tolleranza" tra le culture, ma le mutilazioni genitali femminili (FGM) non sono ammesse. E' un chiaro e netto NO, senza se e senza ma, da parte della comunità internazionale.

Mi diceva che i progressi sono lenti e che ancora 20 anni c'erano donne africane anche di una certa cultura che si offendevano quando si parlava di "mutilazioni", perché nella loro ottica era una tradizione positiva di cui andavano orgogliose. Oggi non è più così e cominciano a rendersi conto: cosa è stato, progresso, empowerment ed emancipazione oppure semplice invasione culturale illegittima da parte dell'occidente?

Non so se è un argomento che regge, ma per quanto mi riguarda non riesco a trovarne di più forti. Secondo me il progresso esiste; è una strada in parte nuova che non conosciamo nei dettagli e che dobbiamo percorrere con cautela, ma la direzione da seguire dovremmo avercela sempre presente, e stare attenti a non smarrire la bussola ;)

Giuseppe Regalzi ha detto...

Barbara, però le mutilazioni genitali sono cosa assai differente dal velo: vengono praticate su persone non consenzienti (e con una oggettiva diminuzione di capacità fisiche).

Il limite al rispetto delle culture ci deve essere, ovviamente, ma è lo stesso che il pensiero liberale impone alle nostre libertà: non ledere i diritti altrui. Il che non toglie, naturalmente, che le culture si possono criticare, usando gli strumenti della convinzione e dell'istruzione.

Barbara Befani ha detto...

Ma non puoi parlare di persone non consenzienti a quell'età, e per una pratica violenta. Non è che non sono consenzienti, semplicemente non hanno l'età per esserlo. Urlano perché sono bambine e reagiscono al dolore istintivamente, in questo si esprime il loro non essere consenzienti. Ma appena crescono e sono in grado, come dire, di esprimere un'opinione adulta e matura, guarda caso diventano subito favorevoli alle mutilazioni genitali. Tanto da trasmettere la tradizione alle loro figlie.

Quello che mi preme sottolineare è la convinzione di queste donne che le mutilazioni genitali siano cosa buona e giusta, così come (per le stesse o per altre donne) lo è il velo. Lo fanno alle figlie perché pensano che è (stato) giusto per loro. Così come educano le figlie a indossare il velo dopo la pubertà.

Quanto all'oggettiva diminuzione delle capacità fisiche, vedila così: anche gli anni che noi passiamo a studiare sono un'oggettiva diminuzione della nostra (momentanea) capacità di produrre reddito. Ma è un investimento che facciamo, fiduciosi che in futuro sarà compensato da maggiori guadagni. Il punto è che anche loro lo vedono come un guadagno: qualcosa che permette loro di accedere a un buon matrimonio e di migliorare la propria condizione futura. http://www.unfpa.org/upload/lib_pub_file/756_filename_fgm.pdf

Quindi qual è il problema?

Giuseppe Regalzi ha detto...

Barbara: certo, la bambina non è in grado di esprimere il proprio consenso o di negarlo, ma resta il fatto che l'operazione è fatta senza il suo consenso. E siccome non è una legge di natura che quando si ritroverà adulta sarà felice della sua mutilazione (mi risulta che ci sono donne musulmane che hanno preso coscienza di ciò che hanno subito), ecco che esiste una base più che legittima per vietare questa pratica.

Ognuno di noi può accettare consapevolmente un sacrificio per un bene più grande. Ma di nuovo, questo deve essere fatto liberamente e autonomamente. Io non ho nulla contro una donna musulmana adulta che decida di farsi mutilare (anche se la legge italiana impedisce anche questo): sono affari suoi, e non vedo perché dovrei proibirle una cosa che ai suoi occhi, come dici tu, ha un valore (anche se posso tentare di convincerla a desistere, se mi vuole ascoltare).

Perché ho parlato di un danno oggettivo? Perché questo ci permette di differenziare il caso delle mutilazioni genitali femminili da altri analoghi. Anche i genitori cattolici, battezzando i figli, operano una piccola violenza, che però resta sul piano simbolico e che con un po' di fatica si può anche annullare (lo sbattezzo). Questo non è possibile con la circoncisione maschile (a meno di operazioni dolorose e dall'esito incerto, credo), ma almeno lì il bilancio finale è, a quanto pare, neutrale: ci sono i pro e i contro.

Barbara Befani ha detto...

Ok Giuseppe, capisco la distinzione tra danno fisico e danno simbolico. Ma continuo a credere che sia molto pericoloso parlare di libera scelta da parte di donne adulte in quei casi lì.

Sono pur sempre donne che sono state educate in un certo modo. In questi termini anche quella delle donne indiane che decisono di darsi fuoco alla morte dei mariti è una libera scelta. Ma sei sicuro che possiamo accettarlo? Sei sicuro che possiamo accettare che queste donne siano spinte a comportarsi in questi modi a causa delle sanzioni sociali insopportabili che dovrebbero affrontare in caso contrario? Obblighi sociali così pesanti sono davvero compatibili con la dignità individuale?

Io credo che in una società in cui si è liberi di vestirsi come si vuole si possa indossare ciò che si vuole. Ma se una società invece ti obbliga a vestirti in un certo modo, altrimenti ti esclude, allora è questo che non possiamo accettare.

Non so se mi sono spiegata. Se mia figlia che riceve un'educazione liberale, cresce e decide di indossare il velo, dovrebbe poterlo fare: è un suo diritto. Ma se io obbligo mia figlia a indossare il velo perché se non lo fa non si può sposare ed è quindi costretta a morire socialmente, allora è un altro discorso.

No?

Barbara Befani ha detto...

Cerco di essere più chiara (scusa per il doppio commento):

io credo che la società occidentale non condanni il velo in sé; quanto l'obbligo di indossarlo. Da noi nessuno è obbligato a vestirsi in un certo modo, per tutta la vita, con pene paragonabili a quelle delle donne musulmane in caso di non rispetto dell'obbligo. La società occidentale condannerebbe allo stesso modo le uniformi del regime maoista.

Quando io frequentavo le scuole elementari, i bambini indossavano una specie di uniforme (i grembiulini, bianchi per le femminucce e blu per i maschietti). Oggi questa regola non c'è più, perché quest'obbligo limitava la libertà e la creatività dei bambini. Poi se arriva un bambino e vuole indossare il grembiulino, lo può fare. Ma non è più obbligato, è questo il punto.

Giuseppe Regalzi ha detto...

Barbara, ma viviamo davvero in una società in cui si è liberi di vestirsi come pare? Se io, poniamo, decidessi di andare in giro con una toga da antico romano, pensi che la pressione sociale che subirei (la gente che ride, che mi addita, che mi grida dietro qualche cosa) sarebbe lieve? O per fare un esempio più realistico, se una ragazzina va a scuola con vestiti della moda di dieci anni fa non sente anche lei una pressione sociale fortissima? Il guaio è che non siamo mai perfettamente liberi, introiettiamo continuamente i valori della gente che ci sta attorno. Ma almeno in questo modo quei valori diventano in un certo senso nostri, e sarebbe paradossale se qualcuno volesse liberarci da quella pressione proibendoci di vestire in quel modo con la minaccia di una multa: dalla padella del giudizio altrui alla brace dello Stato più occhiuto. Specie se decidiamo che il velo in sé non è un male: come facciamo a entrare nella testa della gente per sapere quali sono i veri motivi della scelta di indossarlo? (Ovviamente è un'altra cosa quando qualcuno è minacciato se non si veste in un certo modo.) Lasciamo libera la gente, e limitiamoci a testimoniare e ad educare.

Gioia ha detto...

Si, questo post è ormai vecchio.. e io arrivo a commentarlo due mesi dopo.. ma nn posso trattenermi dal farlo.
Ci sono tanti commenti, e... fra tutti coloro che sono intervenuti solo 3 sono donne: Silvia, Giorgia e Barbara - e poi ci sono io, e qui sottoscrivo tutte le loro parole.
A voi, cari uomini, dico: piantatela di parlare di una cosa orribile, una pesantissima tortura psicologica e fisica, che fa venire il voltastomaco all'anima, dato che in nessun modo potete immedesimarvi nel problema, se non dal lato di chi un sacco soffocante lo impone all'altro.
Mai potrete immaginare voi stessi nei panni di chi una simile tortura deve subirla, come un carcere a vita.
Il privilegio di questa proiezione mentale è solo nostro: di noi donne; né più né meno come lo strazio della schiavitù è meglio compreso dai neri e quello di morire in un lager dagli ebrei.

Anonimo dice: "Sapete qual è il problema? che un paese in cui i cattolici appendono le loro croci nelle scuole pubbliche non è migliore dei paesi in cui i musulmani chiedono e ottengono di non mandare le femmine a scuola".
Ora, caro anonimo ti prego, parla per te, e per tutti i maschi che conosci: io sono una donna e la croce appesa in classe mi ha sempre fatto un baffo; soffocare sotto un sacco tutta la vita mi farebbe morire. Non so in che altro modo farti intuire quanto mi fa ribrezzo la leggerezza con cui si fa questa colpevole confusione.
Perciò... ribadisco quanto sopra e vado a vomitare. E a piangere un po' per quell'umanità che non vi sa commuovere, e il cui dolore invece brucia nelle mie viscere.

Giuseppe Regalzi ha detto...

Cara Gioia, ma perché mai un uomo non potrebbe in nessun modo immedesimarsi nel problema, o immaginare se stesso nei panni di chi una simile tortura deve subirla? Così neghi la possibilità stessa dell'empatia, disumanizzando metà del genere umano... Capirei se tu dicessi che solo una vittima può capire a fondo certe cose; ma quando ti avventuri a dire che per capire i lager si deve essere ebrei sfiori - senza volerlo - il pregiudizio razziale: cos'ha di speciale, poniamo, un ebreo nato e cresciuto a New York, che non ha avuto parenti periti nell'Olocausto? Sì, potrà avere un brivido in più nel pensare che la cosa, anche se improbabilmente, potrebbe toccare anche a lui; ma perché negare che i non ebrei possano rappresentarsi altrettanto bene di lui quegli orrori? O che un uomo abbia le stesse possibilità tue - di una donna cui nessuno, per quanto ne so, ha mai imposto il velo - di capire la scomodità del niqab e la violenza subita da chi è costretta a metterlo?

Inoltre il punto del post è che ci sono donne che il velo integrale lo vogliono portare. La discussione si è svolta su questo punto; stai tranquilla che qui siamo tutti - maschi e femmine - contrari a imposizioni violente.

Gioia ha detto...

Grazie per la risposta. Sull'EMPATIA.. non solo non la nego, ma fondo tutta la mia visione del mondo sulla sua centralità. Certo, un non-nero o un non-ebreo possono "capire", e immedesimarsi... ma ammetterai che, anche se proviamo dolore nell'osservare una persona sofferente, quel dolore "condiviso" non può per definizione avere la stessa intensità di chi la ferita ce l'ha aperta nella propria carne.
Allo stesso modo, l'orrore che ha segnato per millenni un popolo entra nel suo DNA, determina una ferita sempre aperta, che sanguina diversamente in chi a quel popolo appartiene (anche se "vive a NY") rispetto all'indignazione di chi guarda dall'esterno. E le donne sono popolo, trasversalmente a tutti i popoli.. un popolo storicamente afflitto, a tutte le latitudini, dalle più abominevoli torture imposte esclusivamente dall'ansia maschile di dominarle e immobilizzarle: dalle mutilazioni africane alle limitazioni religiose (fra cui spiccano per particolare virulenza quelle mussulmane!... a cui però han poco da invidiare anche quelle degli ebrei ortodossi), dalle deformazioni dei piedi in Cina ai vestiti di ogni foggia studiati per impedire i movimenti, alla privazione della luce e dell'aria sulla pelle, sullo sfondo onnipresente della più diffusa negazione dei diritti: negazione del diritto a possedere qualcosa, ad autodeterminarsi, a muoversi liberamente... pastoie in cui nonostante millenni di sofferenze e di lotte siamo ancora profondamente immerse.
Riguardo al burka, inutile ripetere i chiari commenti fatti qui da altre donne (e su cui sembri sorvolare)- che ci siano "donne che lo vogliono portare" è un'idea a cui credono più volentieri i maschi... aggiungo solo che per me non è un argomento constatare comportamenti autolesionisti (o ideologici, nel caso del fanatismo integralista) a cui inchioda la necessità di essere accettate. Vale tanto quanto l'abominevole pretesto, a sostegno delle mutilazioni femminili, che a gestirle (e dunque a "volerle") sarebbero soprattutto le donne. Le donne non "vogliono" le MGF più di quanto i kapò volessero l'internamento di altri ebrei.. si trovano semplicemente incastrate in un ruolo da aguzzine da una violenza sociale che prima le ha costrette a subire un abominio, poi le ha ingabbiate in una tragica coazione a ripetere.
Come è possibile sorvolare su questo, invocando la "libertà" di accettare la liceità di strumenti di tortura, quando questa "libertà" comporterà automaticamente la loro imposizione forzata a un numero di donne immensamente più grande di quelle che li vorrebbero "scegliere"?

Gioia ha detto...

PS...
a proposito di empatia e rapporti fra i sessi.. ti lascio questo - se mai avrai voglia di vederlo..
http://www.youtube.com/watch?v=uJrPBatDViM&feature=player_embedded

Michiamomari, e ha detto...

casco qua.. per caso.. e non posso che condividere ogni parola di Gioia, specie dopo aver visto (per caso) il filmato che ho visto ieri - e di cui parlo in questo post
http://amorecontroana.blogspot.com/2010/03/sorellanza.html#comments

o forse il caso non esiste...
va bè, per chi ha una curiosità lascio il link al post, meglio che annoiarvi con un lungo commento, qdo tutte le cose importanti sono state già dette. Ciao.

olga ha detto...

Ho letto con attenzione tutti i vostri commenti e ritengo abbiate toccato punti fondamentali.
Io vorrei, pero', allargare un po' gli orizzonti uscendo dai nostri confini territoriali...e mi spiego...
conosco molto bene (ci lavoro) un paese islamico dell'africa del nord: il Marocco.
Quello che non si conosce e nessuno dice e' che in questo paese, cosi' come in molti altri paesi islamici, l'emancipazione della donna sta' piano piano prendendo piede.
Le giovani donne marocchine studiano, lavorano e spesso le trovi a ricoprire ruoli dirigenziali,(direi molto piu' che da noi) le giovani donne marocchine si vestono in svariati modi (un giorno all'europea, un altro in modo tradizionale).
raramente mi capita di incontrare il burka...per lo meno nelle grandi citta'.
Certo, io non conosco TUTTE le famiglie marocchine, ma vi assicuro che anche le leggi vanno via via modificandosi a tutela della donna e di conseguenza anche il ''pensiero sociale'' si modifica...
Per contro, quando rientro in Italia, vedo che le donne marocchine spesso non sanno parlare una parola d'italiano, vivono chiuse in casa e, se lavorano, svolgono solo ruoli umili, non hanno una vita sociale della quale se ne appropria il marito. In sintesi...da noi vivono come decenni fa' nel loro paese, perche' non partecipano ne' all'evoluzione in atto ne' alla vita occidentale...e questo lo devono troppo spesso proprio ai mariti che qui da noi si permettono cose che in Marocco non potrebbero fare con la scusa che ''tu non sei europea ''.
Permettere il burka in Italia significherebbe non permettere a queste donne di evolversi in maniera adeguata.
Qualsiasi processo di evoluzione parte dalla legge e si fa' strada nella coscienza personale e civile.
Quindi ...assolutamente NO AL BURKA....

Giuseppe Regalzi ha detto...

Gioia, chiedendo scusa del ritardo e per concludere: quando si ha a cuore - veramente a cuore - la libertà e la autodeterminazione di tutti, bisogna saper accettare anche che questa libertà venga usata per fare cose e tenere comportamenti che non condividiamo e che reputiamo dannosi per chi li pratica. Una volta che la legge punisca i casi di costrizione e di minacce, non esiste una sola ragione valida per impedire alle donne di vestire come pare loro, quali che siano i loro motivi. In caso contrario non siamo diversi dagli integralisti che sostengono di conoscere il vero bene della persona, e che a questa loro superiore consapevolezza sono ansiosi di sacrificare l'autonomia di chi la pensa in modo diverso. Siamo tutti bravi a difendere la libertà, quando la libertà è solo libertà di fare ciò che piace a noi. Meno bravi a testimoniare la bontà delle nostre idee contando solo sulla forza della nostra testimonianza personale, senza affidarci al braccio della legge.

Puoi sminuire queste idee dicendo che vengono solo dai maschi, ma rimangono vere. Il paragone con le mutilazioni genitali è ovviamente da respingere, visto che lì sono coinvolti dei terzi - le bambine - incapaci di dare il loro autonomo consenso.

Barbara Befani ha detto...

Come disse giustamente Buttiglione, è improprio considerare nella stessa maniera casi diversi, come è improprio considerare in maniera diversa casi uguali.

La libertà non va bene sempre. Quando il 90% della popolazione è sfruttato e tenuto alla fame da un ricchissimo 10%, ben venga il comunismo e la pianificazione centralizzata che permette a tutti di raggiungere condizioni di vita minime.

Viceversa, quando c'è relativa uguaglianza e una pianificazione rigida soffoca l'iniziativa imprenditoriale sana di MOLTI, allora ben venga la libertà.

Non capisco perché Giuseppe continui a cavalcare l'onda della libertà a tutti i costi, della libertà sempre e comunque, quando in questo caso la libertà di queste famiglie nuoce agli individui, in particolare direttamente alle donne (e indirettamente agli uomini, nella misura in cui l'oppressione delle donne nuoce agli uomini, nel lungo periodo).

Spero che non ti colga neanche per un attimo l'illusione che stiamo parlando di volontà individuali: è chiaro che l'opinione di queste donne è un prodotto di precise dinamiche familiari e di sistemi di potere oppressivi all'interno dei quali l'opinione individuale delle donne non esiste.

E' come dire che uno schiavo la cui vita dipende da un padrone, ha una libera opinione riguardo a un fatto impostogli dal padrone. E' chiaro che non dirà mai niente che possa nuocere il padrone, per timore di sanzioni dirette.

Io vivo in un quartiere di immigrati e vedo pochissime donne fuori da casa. Uomini ovunque. Il contrario di Stoccolma, dove sembra di stare in un villaggio di amazzoni e hai l'impressione che gli uomini siano minoranza (solo perché tante donne escono da casa, tutte, credo)
Secondo te il motivo è che queste donne "vogliono" rimanere in casa? Ahahhah scusa se rido. Chissà perché gli uomini "vogliono" tutti uscire, invece. Hai studiato qualcosa di sociologia?

Ritenere che "ci sono donne che il velo integrale lo vogliono portare" mi ricorda molto - scusa Giuseppe ma visto che insisti - quell'idea che hanno un sacco di maschi, che le donne in realtà vogliono essere violentate e la violenza che subiscono è perché in fondo la desiderano. E' come dire che Berlusconi è al potere perché gli italiani lo vogliono così, perché vogliono essere dominati, Il fatto che controlla 6 TV su 7 e che continui a bloccare i fondi per la banda larga non c'entra; il vero motivo è la volontà degli italiani, che hanno "liberamente" eletto qualcuno che li deruba perché gli andava di essere derubati.

Ti prego anche di non continuare a dire che l'imposizione del velo non è violenza e va distinto dalle FGM, perché è come dire che la sottrazione ai mezzadri di metà o tre quarti del raccolto da parte dei signori proprietari dei poderi è legittima, in quanto i mezzadri dichiarano di voler devolvere tali parti del raccolto.

Il pezzo che ti manca - scusa se insisto - è che l'alternativa per questi mezzadri è morire di fame. Vera o percepita, questo è quello che pensano, di cui hanno paura. E a volte le donne sono un po' meglio qualificate degli uomini nel capire le paure specifiche delle donne.

In sintesi, loro dichiarano di voler indossare il velo, ma non sono in una situazione in cui sono libere di non indossarlo, e il valore della loro affermazione si traduce in "vogliamo sopravvivere. E abbandonare il velo ci porterebbe alla morte civile".

E noi non possiamo accettare il velo, anche se sembra innocuo, perché simboleggia la schiavitù ed è significante di tante piccole oppressioni quotidiane, che rimangono chiuse tra le mura di casa, che loro poverine cercano di nascondere, impaurite, difendendo i mariti e facendo buon viso a cattivo gioco.

Giuseppe Regalzi ha detto...

Barbara, dopo essere stato paragonato a quelli che pensano che le donne violentate se la sono cercata ho avuto la tentazione di interrompere la discussione: è un autentico insulto a sangue freddo, e un paragone che non sta né in cielo né in terra. Ti prego di astenerti in futuro dal ripeterlo.

Io ho letto le testimonianze di giovani musulmane francesi, e delle lotte (anche legali, proseguite fino alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo) che hanno intrapreso per avere il diritto di portare lo hijab a scuola, visto che per loro il velo era il simbolo di un'identità religiosa profondamente sentita. Non c'era il minimo indizio che fossero costrette dal contesto familiare, e anzi rappresentavano in genere la parte più emancipata delle giovani islamiche, visto che - appunto - frequentavano il liceo e l'università. La proibizione di portare il velo ha avuto per molte di loro l'effetto di farle ritirare dalla scuola: un autentico trionfo femminista, vero?

Perché qui la questione non è solo astrattamente morale - un commentatore precedente faceva appropriatamente il paragone con l'aborto: «vi sono uomini che impongono, se necessario con la violenza, un aborto alle donne (per esempio talvolta sono i "pappa" a forzare le prostitute). Ci sentiremmo di vietare l'IVG a tutte le cittadine, sia pure solo temporaneamente (qualora questo fenomeno raggiungesse dimensioni cospicue)?». Il fatto è che vietare il velo è anche controproducente. Io all'università ho studiato qualcosa delle dinamiche religiose, quindi di sociologia della fede ne so un po'. Il fondamentalismo nasce quasi invariabilmente in situazioni di scontro con un potere che mette in discussione le tradizioni arcaiche, proibendole e osteggiandole. Hai mai sentito parlare dei Maccabei? La Torah intesa come legge del paese, in sostituzione del diritto consuetudinario, è nata più o meno a quell'epoca, dallo scontro con le monarchie ellenistiche e i gruppi ebraici che sostenevano l'ellenismo...

Se si vuole che gli immigrati rinuncino a tradizioni mortificanti la soluzione non sta nel criminalizzarli e nel costringerli con le leggi, ma nell'integrazione paziente, nell'accoglienza che lascia - apparentemente - correre, mentre lavora dall'interno. L'alternativa è il rinchiudersi del gruppo su se stesso contro la "minaccia" esterna, l'esaltazione identitaria, magari senza velo, ma con altre oppressioni che la polizia non può identificare.
Sei sicura, Barbara, di sapere tanto di sociologia?

Barbara Befani ha detto...

Forse ho esagerato un po' con i toni sarcastici e se ti ho creato fastidio me ne scuso, e non ho per un istante pensato che tu potessi avere veramente quelle idee, ma era per dirti che continuare a sostenere quella tesi poteva essere ingenuo e farti andare incontro a interpretazioni di quel genere.

Credo infatti che vada fatta una distinzione. La donna colta e istruita che rivendica la sua identità alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo non ha niente a che vedere con le donne di cui parlo io. Chiaramente la donna colta e istruita ha delle opportunità, è più indipendente, è in grado di fare delle scelte che possiamo ritenere libere, in misura maggiore rispetto a quelle delle donne di cui parlo io.

Se una scelta è fatta liberamente è sacrosanta e va difesa con tutti i mezzi. I problemi nascono quando quelle scelte non sono fatte liberamente. In questi casi, lungi da me pensare che proibire il velo sia la panacea che risolve tutti i mali: è chiaro che il problema dell'oppressione delle donne e delle bambine va affrontato alla radice e non semplicemente proibendone il simbolo.

Ma non mi è molto chiaro cosa voglia dire "lavorare dall'interno", né vedo altri tentativi espliciti di affrontare il problema con altri mezzi. Come facciamo a far uscire le donne da queste situazioni? La proibizione del velo può scatenare due reazioni: da un lato può essere vista come un'imposizione e alimentare fondamentalismi, ma dall'altro può far rendere conto queste donne che esiste un altro mondo fuori dalla loro casa e questo mondo le vuole. Vuole che si integrino, è un segnale che questo mondo esiste e ha bisogno di loro.

Ovvio che non deve essere l'unico segnale, e chi più segnali ha più ne metta, e anzi, per essere credibile deve essere accompagnato da altri segnali. Ma è un segnale di base: nel nostro mondo si comincia guardandoci in faccia. E poi facendole studiare, facendo loro conoscere altre persone, cercando in qualche modo di "contaminarle", di dar loro un'idea dei nostri valori. Io lo vedo come un punto di partenza.

Il contesto "retorico-istituzionale" è importante per scatenare i cambiamenti nelle persone. Una volta tante donne non denunciavano violenza perché non c'era un sostrato culturale che condannava quelle violenze. Oggi c'è, e le denuncie aumentano.

La tua idea di "lasciar correre" aspettando tempi migliori, aspettando che la storia faccia il suo lento corso, mi ricorda situazioni in cui l'attesa non è stata buona strategia (Hitler anyone?). Ora, io non so di preciso in quali contesti / momenti storici funziona meglio l'attesa e in quali altri contesti funziona meglio l'azione, ma voglio dire che non sempre le cose "vengono da sé", e in particolare in questo caso non vedo proprio come possano.

Le leggi possono scatenare rivolte, ma - soprattutto nel lungo periodo - possono anche scatenare grossi cambiamenti, anche culturali, e di grossa portata.

Quello che mi sta a cuore è quello che succede alla maggioranza di queste donne, al "popolo". Quello che succede all'elite di donne musulmane che nel 2010 si relazionano con la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo francamente lo ritengo di importanza minore.

Giuseppe Regalzi ha detto...

Come facciamo a "contaminare" quelle donne, a dar loro un'idea dei nostri valori? Io direi che il modo è abbastanza evidente: esponendole il più possibile alla nostra società - una società in cui le donne vanno vestite come gli pare - evitando ogni possibile motivo di arroccamento e di ghettizzazione. Accogliamole facendogli capire che le loro tradizioni non sono in pericolo, se proprio ci tengono, ma al tempo stesso mettendo in chiaro che le nostre leggi non hanno compassione per chi impone con le botte un modo di vestirsi. Facciamo andare a scuola le loro figlie con le nostre, e in capo a una generazione non ci sarà più un velo in giro. E' la tolleranza a sciogliere le identità più tenaci - purché naturalmente non prenda le forme di un multiculturalismo che protegge il gruppo e non l'individuo.

Barbara ha detto...

Bene, sono contenta di scoprire che stiamo dicendo quasi la stessa cosa. Ma la divergenza sta nel modo di fargli capire che "le nostre leggi non hanno compassione per chi impone con le botte un modo di vestirsi", e che il nostro multiculturalismo non protegge il gruppo bensì l'individuo.

Vai a farlo capire a gente che esce da casa solo per fare la spesa, e che non ha contatti sociali con le persone "occidentali". Vai a fargli capire cosa vuol dire "individuo" e "libertà di vestirsi", quando non puoi guardarle neanche in faccia (che di per sé secondo me non è rispettoso, perché c'è asimmetria... tu mi vedi e io no).

Per far succedere tutte quelle belle cose che tu dici serve anche stabilire delle regole di convivenza e di interazione. In un'assemblea tutti esprimono le loro opinioni e sono liberi di parlare, ma l'assemblea ha delle regole minime che consentono il suo svolgimento.

Giuseppe Regalzi ha detto...

Ma quelle donne, uscendo da casa, vedranno bene altre donne non velate. Guarderanno la televisione, sapranno dalle loro figlie come vanno le cose. Non cadiamo nel paternalismo (o maternalismo?) di considerarle come minus habentes che devi educare a forza perché troppo tonte.

E poi, scusa, con la legge che vorresti tu cosa capirebbero? Che diciamo che chiunque può andare in giro vestito come gli pare - però c'è un'eccezione: loro non possono girare come vuole la loro tradizione. Vedono un sacco di gente che si sottomette a mode magari scomodissime e alle pressioni sociali, ma a loro si chiede invece un'autodeterminazione totale - e se non si autodeterminano le costringiamo, una cosa un po' paradossale. Diciamo loro che non debbono obbedire più ai loro mariti, e poi le costringiamo ad obbedire ai carabinieri. Quale messaggio recepiranno? Si guarderanno attorno: vedranno i manifesti della Lega, sentiranno i discorsi di chi come in Svizzera vorrebbe proibire i minareti e magari anche le moschee, si sentiranno apostrofare come madri di terroristi. E concluderanno che in realtà ce l'abbiamo con loro perché sono musulmane, non perché ci importa veramente della loro libertà. E forse non avranno nemmeno tutti i torti.

Barbara ha detto...

Certo che vedono donne non velate, ma finché non mostrano la loro faccia, espressione, etc non sapranno mai come GLI ALTRI reagiscono e interagiscono con loro. Prendiamo il caso del burka, che secondo me è molto più grave del velo, e escludiamo per un attimo il velo. Uscire di casa col burka vuol dire evitare a priori qualsiasi tipo di interazione simmetrica. E' una cosa molto macro, molto estrema. E' come presentarsi a un'assemblea con l'iPod, ascoltare la musica tutto il tempo, e poi dire qualcosa e poi andarsene. E' una cosa che non sta bene, non rientra nel "galateo" della democrazia, come dire, del rispetto.

Il pensiero che quelle donne possano vedere la televisione (pubblica) mi fa tremare, e come dico "vietiamo il burka" dico "processiamo Berlusconi e creiamo le condizioni per il pluralismo nei mass media": non si devono usare due pesi e due misure, e così come condanno la Lega condanno il burka. Anzi, non li vedo per niente in contrasto, mi sembra che derivino dalla stessa logica di conservazione irrazionale dell'ingiusto.

Ma non è che posso giustificare il burka perché tanto c'è la Lega e il Vaticano e Berlusconi che sono peggio, e allora tanto vale mandare tutto a sfacelo, un fondamentalismo più, uno meno... condanno tutte e tre le cose. Francamente, quando sento la Lega che condanna il burka penso al "narcisismo delle piccole differenze": sono solo diversi modi di opprimere. Idem per l'ideale berlusconiano di donna oggetto, idem per l'ideale cattolico di donna moglie-madre. Ma non vedo che senso abbia condannare Lega, Berlusconi e Vaticano, e poi accettare il burka. Rafforzare i fondamentalismi alternativi, per diminuire il potere di quelli storici??? Mah...

Giuseppe Regalzi ha detto...

Però a nessuno è mai saltato in testa che presentarsi a un'assemblea con l'iPod debba essere considerato un reato; e anche se sarebbe giusto processare Berlusconi, fra i capi di imputazione difficilmente potrebbe essere compreso il suo ideale di donna oggetto; né si potrebbe sottoporre a contravvenzione chi segue l'ideale cattolico di donna moglie-madre...

Invece per gli immigrati l'intervento della legge diventa lecito; l'Altro islamico perturba anche le coscienze più progressiste...

Gioia ha detto...

premetto che ho aspettato diversi giorni a intervenire, per lasciare spazio, e con ciò mi SCUSO di quanto sarò lunga ma l'argomento è troppo importante. Apprezzo molto i commenti approfonditi che sono seguiti.. però mi hanno confermato la prima impressione: chi CAPISCE "dall'interno" cosa è libertà e cosa no per le donne sono le donne - infatti mentre sottoscrivo OGNI parola di Barbara e Olga, quello che dice Giuseppe mi fa paura. Perché? perché io sono donna, e temo la "tolleranza" fatta a mio discapito.
Giuseppe stesso dice: "Non c'era il minimo indizio che fossero costrette dal contesto familiare, e anzi rappresentavano in genere la parte più emancipata delle giovani islamiche, visto che frequentavano il liceo e l'università. La proibizione di portare il velo ha avuto per molte di loro l'effetto di farle RITIRARE dalla scuola: un autentico trionfo femminista, vero?" No, un'autentica conferma che (anche se non c'era il minimo indizio), invece erano OBBLIGATE a portare il velo. E in caso contrario, forse erano pericolosamente ideologicizzate: tutta la storia delle donne insegna che per ottenere qualsiasi cosa le donne hanno sempre subito condizioni devastanti, figurarsi se una che vuole studiare rinuncia perché per qualche anno per 4 ore al giorno nn può portare il velo.
Viceversa, agire "dall'interno" forse vuol dire anche porre delle contraddizioni che portino le donne a ribellarsi, e non a essere più agevolmente oppresse.
E comunque resta che è FUORVIANTE e inspiegabile.. addirittura INCREDIBILE, mettere sullo stesso piano il velo (inteso come un foulard) al BURKA o ad altri vestiti/prigione. Un uomo non lo direbbe, ma una donna pensa subito: e certo, si comincia dal velo, e si arriva al burka per tutte (per la legge del dito e del braccio). Un uomo non ci pensa, però.
Poi Giuseppe dice: "Accogliamole facendogli capire che le loro tradizioni non sono in pericolo, se proprio ci tengono" - e io insisto che la maggioranza NON ci tiene affatto: vorrebbe invece autodeterminarsi. Se quelle che possono GRIDARE il contrario si vedono è solo perché a loro (proprio perché difendono la loro stessa oppressione) è permesso di farlo, alle altre no. "..ma al tempo stesso mettendo in chiaro che le nostre leggi non hanno compassione per chi impone con le botte un modo di vestirsi". e anche su questo... purtroppo la nostra legge dovrebbe essere come dici tu, ma poi interviene in un caso su mille.. se va bene. Nel frattempo tutte sono pestate con agio, e sgozzate quanto basta.

Ora... Barbara non sarà una "sociologa", ma dice la cosa più sacrosanta: "Il pensiero che quelle donne possano vedere la televisione (pubblica) mi fa tremare, e come dico 'vietiamo il burka' dico creiamo le condizioni per il pluralismo nei mass media". E io aggiungerei: e perché nei massmedia la donna sia RISPETTATA.. difficile, ok, ma insieme a lei dico: non si devono usare due pesi e due misure, e così come non posso ammettere la donna smutandata-oggetto non ammetto la donna in burka-oggetto. Mi si verrà a dire che non si può proibire di smutandarsi, e rispondo che però si può ottenere con battaglie politiche e culturali che nessuno fa, mentre, riguardo al burka, NON si sente nessun bisogno di legalizzarlo, mentre vietarlo NON richiede nessuna legge, dato che è GIA' VIETATO come abbigliamento che maschera.
Fare una legge per consentirlo è fomentare un falso problema.
Così come è maliziosamente fuorviante paragonare l'Ipod con il martellamento mediatico di tv faziose.

Riguardo al concetto facciamo vedere come siamo tolleranti, "e in capo a una generazione non ci sarà più intolleranza".. basta vedere cosa ci ha fatto Kohmeini, con la tolleranza di chi l'accolto in esilio, e protetto, e nutrito per anni come una serpe letale.

Scusa Giuseppe: non leggere astio nelle mie parole (e tantomeno personale).. davvero, non c'è. C'è paura e determinazione a opporsi, però.

Giuseppe Regalzi ha detto...

«non si devono usare due pesi e due misure, e così come non posso ammettere la donna smutandata-oggetto non ammetto la donna in burka-oggetto. Mi si verrà a dire che non si può proibire di smutandarsi, e rispondo che però si può ottenere con battaglie politiche e culturali che nessuno fa, mentre, riguardo al burka, NON si sente nessun bisogno di legalizzarlo, mentre vietarlo NON richiede nessuna legge, dato che è GIA' VIETATO come abbigliamento che maschera».

Gioia, mi sembra un argomento un po' capzioso: alla fine il risultato netto è che si sono usati due pesi e due misure. E comunque non è affatto detto che il burqa sia già proibito: in una o due occasioni i tribunali si sono pronunciati nel senso che la legge vigente non si applica affatto al velo integrale.

Barbara ha detto...

Giuseppe dice "Però a nessuno è mai saltato in testa che presentarsi a un'assemblea con l'iPod debba essere considerato un reato; e anche se sarebbe giusto processare Berlusconi, fra i capi di imputazione difficilmente potrebbe essere compreso il suo ideale di donna oggetto; né si potrebbe sottoporre a contravvenzione chi segue l'ideale cattolico di donna moglie-madre..."

Se queste cose non saltano in mente a nessuno mi dispiace, a me saltano in mente eccome. Se Berlusconi non vuole il burka ma vuole le donne oggetto non possiamo essere a favore di qualcosa solo perché Berlusconi è contro. Io sono contro entrambe le cose, poi le opinioni di Berlusconi sono le sue e mi dispiace che sono più influenti delle mie, ma non per questo smetto di parlare di idee e comincio a parlare di personaggi.

Per me qualsiasi offesa alle regole democratiche va sanzionata, punto.

Qui http://www.corriere.it/esteri/10_marzo_31/belgio-proibisce-burqa_08cf1440-3cac-11df-80d0-00144f02aabe.shtml
c'è un articolo interessante che spiega come ci si sta muovendo in diversi paesi europei. Molti stanno preparando proposte di legge che vietano il burka in tutti i luoghi pubblici o solo alcuni (autobus, metro, uffici postali, etc.)

Non sarò una sociologa (anche se in verità l'ho studiata, e nemmeno poco), ma la prima cosa che mi viene in mente è che, se le donne sono obbligate ad andare a fare la spesa senza burka, si creeranno situazioni interessanti all'interno delle famiglie. Il marito dovrà scegliere se far uscire la sua donne senza burka, oppure andare a fare la spesa lui. Secondo me trovarsi di fronte a questa alternativa gli farebbe bene...

uniroma.tv ha detto...

Al seguente link potete vedere il servizio realizzato da UniromaTV dal titolo "Via il burqa dagli spazi pubblici in Francia" http://www.uniroma.tv/?id_video=15771

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