È finalmente disponibile sul sito del Governo Italiano il parere del Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) su «La donazione da vivo del rene a persone sconosciute (c.d. donazione samaritana)», datato 23 aprile 2010.
Il parere – ma questo già si sapeva – ribalta quello precedente dello stesso CNB, «Il problema bioetico del trapianto di rene da vivente non consanguineo» (17 ottobre 1997), in cui si raccomandava di modificare la legge 458/1967 là dove consente la donazione da parte di donatori viventi estranei al ricevente. Per l’attuale CNB questo tipo di donazione è invece eticamente legittimo; naturalmente dal punto di vista giuridico non cambia nulla, visto che il Comitato ha un potere puramente consultivo, e non potrebbe cambiare né in un senso né nell’altro le disposizioni di legge.
Le anticipazioni della stampa avevano fatto pensare a un impianto più restrittivo di quello poi effettivamente presente nel parere. È vero che qualche spia linguistica tradisce un certo disagio, come quando la donazione di organi da parte di estranei viene definita un «problema», apparentemente solo per il fatto che non implica «nessuna forma di ‘ritorno’ o ‘compenso’ (anche indiretto)» per il donatore (§. 1); anche l’errore nella denominazione del file pdf che contiene il parere, domazione_rene.pdf, mi era sembrato di cattivo auspicio. Invece il CNB non ha insistito particolarmente in clausole vessatorie; in particolare, al di là di qualche espressione puramente declamatoria, non sembra auspicare accertamenti inquisitori che convalidino l’ultraterrena santità delle motivazioni dei donatori.
Qualche punto criticabile è comunque presente. Viene raccomandato, ad esempio (§. 5.3), che le due persone coinvolte nel trapianto (donatore e ricevente) non abbiano rapporti reciproci non solo prima dell’operazione (per evitare forme occulte di commercializzazione), ma neanche dopo, a quanto si capisce per evitare il problema, «frequente nel prelievo da vivente, di alcune comparazioni tra donatore e ricevente, che possono suscitare in ciascuno di loro degli atteggiamenti psicologici negativi». Non è chiaro però di cosa si parli, e se il problema riguardi anche o solo l’anonimato prima dell’operazione. Sarebbe stato bene fornire in merito qualche documentazione; rimane comunque il fatto che si tratta di una proibizione chiaramente paternalistica, che oltretutto pregiudica valori morali importanti, come l’espressione della propria gratudine da parte del ricevente. Il documento aggiunge che «l’anonimato consentirebbe inoltre di evitare che tali casi divengano oggetto di ‘strumentalizzazione’ mediatica, privandoli della loro autenticità»; se è apprezzabile l’intento di risparmiarci la visione di incontri strappalacrime sapientemente sceneggiati in qualche trasmissione televisiva pomeridiana, non si vede tuttavia in che modo sia evitabile che donatore o ricevente proclamino pubblicamente di aver donato o ricevuto un rene a/da un estraneo.
Più condivisibile l’intento, espresso più avanti (§. 5.5), di contrastare il desiderio, da parte del donatore, di un possibile futuro coinvolgimento economico con il ricevente. Questo però è un pericolo piuttosto improbabile, dato che il donatore ignora a priori le condizioni economiche del ricevente, la sua volontà di fare la reciproca conoscenza (qui forse potrebbe essere utile mantenere l’anonimato successivo al trapianto come condizione di default) e la sua disponibilità a fornire un contributo economico cui non è tenuto.
Si agita poi qualche spauracchio, come il cosiddetto «diritto di donare» (di cui mi sono occupato in precedenza), per rimarcare – come se ce ne fosse bisogno – «la necessità di chiarire al soggetto che si offre di donare che tale disponibilità costituisce una sua facoltà, ma non fa sorgere alcuna pretesa o diritto (il c.d. diritto di donare), essendo subordinata alla eventuale disponibilità di prelievo da cadavere e da parente e alla necessaria valutazione medica delle condizioni cliniche dello stesso donatore» (la subordinazione al prelievo da cadavere e da parente è già nella legge 1967 e non costituitsce un’innovazione del CNB).
Nelle conclusioni viene talvolta rimarcato l’ovvio, come per esempio che «l’atto supererogatorio [cioè la donazione] non può essere preteso né sul piano morale, né tanto meno su quello giuridico», o il fatto che «tale procedura non implica rischi maggiori, dal punto di vista medico, per il donatore samaritano di quelli che sono presenti nell’ambito di qualsiasi genere di prelievo di rene ex vivo».
Il parere risulta approvato a larga maggioranza; gli unici contrari sono stati Roberto Colombo, Francesco D’Agostino, Maria Luisa Di Pietro e Lucetta Scaraffia (da segnalare, con una certa sorpresa, il voto favorevole di Assuntina Morresi, nonostante le posizioni espresse a suo tempo sulla stampa). Come d’abitudine, i contrari hanno aggiunto delle postille in cui rendono esplicite le motivazioni del loro dissenso: lambiccate e non facilmente comprensibili quelle di Colombo; contraddittorie e dalla logica torturata quelle di D’Agostino (a cui aderisce la Scaraffia), di cui voglio citare almeno un passo:
Il carattere obiettivamente estremo di questa donazione indurrebbe a pensare che solo pochissime persone, dotate di un senso morale assolutamente eroico, potrebbero dichiararsi disposte a tanto; ma il diritto non è in grado di regolamentare e garantire pratiche così nobili (perché di questo si tratta e questo la legge pretende di fare), pratiche che lo proietterebbero in un’atmosfera così straordinariamente rarefatta, da apparire più pensabile che esperibile (quando mai, ragionevolmente, ci capiterà di conoscere un donatore samaritano?). Non si tratta evidentemente di negare che queste possibilità estreme possano darsi. Mi limito solamente ad osservare che compito del diritto non è quello di gestire situazioni estreme, ma situazioni ordinarie, ripetibili e standardizzabili.Questo è l’ennesimo esempio dell’espediente dialettico preferito da D’Agostino: trasformare una possibilità concreta in possibilità estrema, per poterla negare. Da notare anche il passaggio logico a vuoto, che dall’impossibilità del diritto a gestire certe situazioni pretende di dedurre la legittimità del diritto di negarle.
Maria Luisa Di Pietro, infine, esprime gli stessi argomenti presentati nel comunicato stampa del 23 aprile scorso, emesso dal Centro di Ateneo di Bioetica dell’Università Cattolica diretto da Adriano Pessina, e che abbiamo già esaminati in precedenza.
4 commenti:
Quel che dice D'Agostino non mi sembra così sbagliato. Le conclusioni che ne traggo però sono ben diverse.
A me uno che doni un rene ad un estraneo gratuitamente sembra non eroico ma instabile. Sottoporsi ad un intervento chirurgico, al postoperatorio, ai rischi di infezione, al (plausibilmente blando) rischio successivo di problemi di salute personali, tutto ciò GRATIS per un estraneo, che probabilmente è pure un grossissimo stronzo, evasore fiscale, razzista o mafioso... Ebbene, una persona così è più che rara, per me ha anche qualche disagio psicologico. Un bisogno così forte di essere "buono" non è sano né normale.
A mio avviso sarebbe non solo praticamente più vantaggioso, ma pure più giusto dal punto di vista etico che chi vuole, visto che il corpo di ciascuno è SUO, possa vendere i suoi organi. Il rischio e il disagio di fare una trasferta all'estero per lavoro possono essere monetizzati e quelli di donare una parte del proprio corpo no? Ma ci rendiamo conto dell'ipocrisia moralistica di una roba del genere???
Non dite poi che sarebbe immorale perché solo i ricchi si potrebbero permettere una cosa così. Già ora è cosi (vedi il trapianto di fegato di Jobs!!!). Avendo la possibilità di vendere gli organi, ce ne sarebbe sicuramente una maggiore disponibilità e più gente avrebbe opportunità di guarire. Se l'economia non è un parere.
E all'obiezione che così un povero si troverebbe "costretto" a donare per avere soldi: non è una cosa diversa dalla prostituzione. Ci sono donne poverissime che mai si prostituirebbero, altre che lo fanno pur non avendo alcuna reale necessità. Scelta loro (l'importante è che non siano costrette da terzi, come anche per la donazione di organi).
E se poi donare un organo ad un perfetto estraneo per il piacere di sentirsi buoni è ritenuto moralmente accettabile, perché non può esserlo farlo per pagarsi la casa o gli studi di un figlio?
Perché lo stato si deve impicciare del mio corpo e della mia vita nel momento in cui non faccio del male a nessuno, ma, anzi, tutte le parti ne traggono un vantaggio???
Silvia
Io tendenzialmente sarei d'accordo sulla compravendita di organi (seppur con qualche dubbio, di natura più pratica che di principio).
Però non vedo il motivo di essere contrari alle donazioni spontanee, specie nel momento presente in cui ogni ipotesi di commercializzazione è remotissima. Ammettiamo pure che ci sia qualcosa di strano in un donatore: finché rimane capace di intendere e di volere - e un semplice disagio psicologico non basta secondo me a dichiararlo incapace - perché negargli la possibilità?
Inoltre mi pare che dal tu commento emerga una visione un po' troppo negativa dei potenziali riceventi: potranno essere anche dei grossissimi stronzi, evasori fiscali, razzisti o mafiosi, ma non esserlo "probabilmente"!
Su qualche passaggio della delibera del CNB, per il resto non indecente.
Presso un ipotetico ente statale di gestione delle opere di bene:
"Salve, desidero donare metà del mio patrimonio anonimamente, a qualche ente che aiuti i poveri e bisognosi, purché mi si garantisca la riuscita del fine"
"Buongiorno a lei. Benissimo, abbiamo una lista di enti potenzialmente riceventi. Verifico le condizioni ed eseguo".
(un paio di minuti sulle carte)
"Allora arrivederci".
(il soggetto fa per incamminarsi)
"Un momento; lei, mi scusi, dove crede di andare?"
"Cosa c'è ancora?"
"Mi corre l'obbligo di legge di comunicarle che il suo non è mica un diritto"
"Sì, va bene, grazie, molto gentile. Arrivederci!"
"Arrivederci"
@ Silvia
Posso avere qualche chiarimento sul tuo teorema per cui chi doni un rene gratuitamente ad un estraneo debba essere un instabile? Se invece lo dona ad un conoscente è stabile, giusto? E secondo quale meccanismo o studio?
Quindi, vediamo: se uno si butta a mare per salvare la vita ad un conoscente è stabile, ma se si butta a mare per salvare uno sconosciuto è instabile (ben noti i titoli: "Instabile muore nel tentativo di salvare un estraneo").
E ancora: un vigile del fuoco, si butta tra le fiamme per salvare degli sconosciuti, lo fa per i soldi? O è instabile? E se lo fa per i soldi, allora quando c'era il servizio di leva i vigili del fuoco per un anno erano instabili? E poi sono guariti o sono rimasti instabili? Sono solo alcuni esempi.
Passando ad altro. Non ho capito perché, visto che ora già è così ("vedi Jobs"), allora uno non può dire che è immorale. Sarebbe a dire che si può sostenere che una cosa è immorale solo se non succede già, mentre se già accade uno è obbligato a pensare che sia anche morale. Quindi la legge stabilisce cosa è oggettivamente morale?
Io ne ho certe perplessità sulla libertà di vendere gli organi privatamente: penso che l'immediata conseguenza sarebbe la negazione del pari diritto dei cittadini ad accedere alle stesse cure di base e salvavita. Al limite, se proprio andasse incentivato, allora dovrebbe essere lo Stato a pagare un prezzo prestabilito. A meno che, questo è ovvio, vivessimo in una società nella quale tutti, nessuno escluso, effettivamente e incontrovertibilmente, avessero accesso alle stesse possibilità di realizzazione personale ed economica, di scalata sociale, eccetera. Mi giro intorno e scusa, non mi pare che questo sistema sia già stato realizzato. Salvarsi per censo sì che è tutt'altro che eroico.
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