venerdì 30 marzo 2012
giovedì 29 marzo 2012
Don’t ask, don’t tell
La morte di Lucio Dalla ha smosso un fondale fangoso e ben sedimentato. Non tanto la morte in sé - che ha comunque dato il via a una corsa a manifestare una specie di egocentrica mania di raccontarsi e ha diviso gli italiani tra detrattori e eterni sostenitori: cosa ha significato Dalla per me, qual è la mia canzone preferita, dov’ero quando ho saputo che è morto e cosa facevo. Sul fronte opposto: non faceva nulla di buono da vent’anni o più, non lo ascoltavo mai, vuoi mettere i Rolling Stones?, che brutto quel parrucchino e così via. Come se non bastasse s’è poi scatenata l’onda dei buoni (e cattivi) sentimenti sulla morte di chi non ha mai dichiarato la propria omosessualità, con un misto di commiserazione, adulta “comprensione” e posticipata denuncia. Su questo aspetto della sua vita si sono avventati tardivamente sciacalli e spioni: outing forzati e ipocrite manifestazioni verso Marco Alemanno - compagno, collaboratore, amico intimo o molto intimo, ci mancava solo colf. Non solo: commozione e apprezzamento per l’indubitabile segnale di apertura da parte della Chiesa, visto che il funerale proprio in una Chiesa s’è celebrato - secondo la regola “don’t ask, don’t tell” consigliata ai militari statunitensi. Basta non dire, basta non chiedere. Un suggerimento ipocrita e ignorato dai due innamorati all’aeroporto delle Hawaii alla fine del febbraio scorso: un sergente dei Marines e il suo compagno, che quando si sono rivisti si sono abbracciati e baciati in pubblico. Sullo sfondo la bandiera a stelle e strisce. Ma qui in Italia vale ancora, e se vuoi un funerale in Chiesa è meglio non fare dichiarazioni avventate. È il dominio dei diritti mai affermati o erosi, dove ci si arrangia e si chiede per favore, invece di poter reclamare un diritto (alla uguaglianza e alla non discriminazione). Rimane sicuramente controverso se le persone famose abbiano il dovere di combattere ingiustizie e discriminazioni esistenti tramite la propria testimonianza. E rimane anche il dubbio su quanta fatica sia necessaria per occultare, negare e rimuovere un pezzo tanto rilevante della tua vita. Dalla in ogni modo è un caso singolo, ma è anche una occasione per parlare di un buco di diritti che non accenna a restringersi. Il buco di un Paese in cui l’affetto e il legame tra due uomini e due donne non è protetto dalla legge sebbene non vi siano ostacoli costituzionali ad impedirlo: l’articolo 29 parla di coniugi e non di vagine e peni. Un Paese però confuso, perché se ti sottoponi a un intervento per cambiare sesso, puoi poi sposare qualcuno del tuo stesso sesso (quello genetico, quello originario che poi hai modificato chirurgicamente). E questo è giusto, ma solleva almeno un paio di domande: a fare la differenza è una parte anatomica presente o assente? E se due persone possono sposarsi e adottare in queste condizioni, perché siamo ossessionati dal guardare nelle mutande? Ma è proprio questo uno dei nodi: l’ossessione pornografica presente pure nella oscena circolare firmata da Giuliano Amato che impedisce di trascrivere matrimoni contratti all’estero, cioè in Paesi più giusti del nostro. Quella circolare ha invocato, per giustificarsi, ragioni di ordine pubblico e ha invitato i responsabili dell’applicazione di suddetta trascrizione a controllare bene il sesso dei richiedenti. Non solo il matrimonio in Italia ha confini tanto angusti, ma ogni tentativo di offrire almeno una caricatura di uguaglianza - DiCo, DiDoRe e altre mostruosità - è fallito miseramente. Sembra paradossale e inutile combattere l’omofobia se viviamo in uno Stato che la giustifica e la sostiene, perché è il primo a confermare che le persone non sono tutte uguali. Alla fine di dicembre scorso è stato pubblicato un report sull’American Journal of Public Health che mostrava i vantaggi del matrimonio: gli Stati in cui tutti possono sposarsi spendono meno in assistenza sanitaria. Se non fossimo pronti a giocarci la carta della giustizia, potremmo insomma attaccarci a quella della convenienza. Il moralismo però prevale su tutto. Se questo è un Paese giusto.
Lamette, Il Mucchio n. 693 di aprile.
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mercoledì 28 marzo 2012
Università e altre catastrofi
Ricercatori a perdere e senza alcuna prospettiva di carriera accademica nell'università italiana, dove ormai il precariato "in ingresso" è diventato strutturale e la stabilizzazione per la maggior parte delle nuove leve della ricerca non arriverà mai. È questo il dato principale che emerge da un'attenta analisi dell'Adi (Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani) sulla situazione negli atenei a un anno dalla Riforma Gelmini: un presente precario e un futuro altrettanto incerto per dottorandi, assegnisti e ricercatori a tempo determinato. Figure oggi escluse da ogni tipo di tutela.Continua qui.
Ventimila precari sotto la cattedra. Facendo un'ampia ricognizione sulla consistenza effettiva dei precari della ricerca e della didattica - un numero che spesso sfugge alle statistiche ufficiali - l'Adi riporta un dato allarmante: nell'ultimo anno i ricercatori precari sono passati da 33.000 a 13.400, mentre quelli strutturati si sono ridotti solo di 400 unità (passando da 23.800 a 23.400). Che fine hanno fatto questi quasi ventimila precari che lavoravano con un contrattino annuale? Sono stati semplicemente "espulsi" dal sistema accademico: niente rinnovo, niente tutele, università addio. Un risultato dovuto principalmente alla costante riduzione dei finanziamenti ministeriali e al blocco del turn-over. L'Adi stima che l'85 percento degli assegnisti di ricerca odierni non potrà intraprendere la carriera universitaria.
Dottorandi, meno borse per tutti. Un altro dato preoccupante riguarda la diminuzione delle borse di dottorato e la percentuale di posti di dottorato "senza borsa" dopo l'abbattimento del tetto del 50 percento che ha portato a una sostanziale deregulation negli atenei. Analizzando i dati relativi a un campione di ventisei università statali, negli ultimi quattro anni il numero di borse bandite - come sottolinea l'Adi - è sceso da 5.701 nel 2009 a 4.229 nel 2012 (con una riduzione del 25,8 percento). Nell'ultimo anno la situazione varia moltissimo da un'università all'altra: se Trieste ha incrementato le borse del 17,4 percento (portandole da 109 a 128), Catania le ha invece drasticamente ridotte da 251 a 48 (con un taglio netto dell'80,9 percento). Complessivamente, però, il trend è negativo.
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domenica 25 marzo 2012
venerdì 23 marzo 2012
Genova, 26 marzo
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«Vi racconto i buoni genitori gay»
In che modo oggi In Italia una coppia gay può diventare genitore?Elisabetta Ambrosi, Sex and (the) stress, 22 marzo 2012.
Andando all’estero! In Italia non è permesso adottare, non è permesso accedere alle tecniche riproduttive – la legge 40 permette l’accesso solo a coppie eterosessuali e non ai single – e la donazione dei gameti è vietata (la cosiddetta fecondazione eterologa). Per le donne si sta diffondendo una fecondazione “fai da te”, magari con un amico. Per gli uomini è ancora più difficile. Insomma il percorso è ostacolato dalle leggi italiane e segnato dalla discriminazione economica, perché non tutti possono permettersi di andare in Spagna o più lontano ancora per cercare di avere un figlio.
Cosa succede concretamente nel momento in cui il genitore biologico partorisce in ospedale? Che tipo di “assetto” giuridico si viene a creare?
Per la legge italiana il genitore “vero” è quello biologico. Se sono io a partorire sarò madre a tutti gli effetti, ma la mia compagna? Una estranea. Si dovrebbe permettere di adottare il figlio del proprio compagno, in modo da proteggere il figlio prima di tutto. Quel figlio pensato e desiderato in due, e invece considerato figlio di una madre single.
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giovedì 22 marzo 2012
Un calcio alla scala
Ara Norenzayan, «The God Issue: Religion Is the Key to Civilisation», New Scientist, n. 2856, 22 marzo 2012:
Religion, with its belief in watchful gods and extravagant rituals and practices, has been a social glue for most of human history. But recently some societies have succeeded in sustaining cooperation with secular institutions such as courts, police and mechanisms for enforcing contracts. In some parts of the world, especially Scandinavia, these institutions have precipitated religion’s decline by usurping its community-building functions. These societies with atheist majorities – some of the most cooperative, peaceful and prosperous in the world – have climbed religion’s ladder and then kicked it away.
mercoledì 21 marzo 2012
Farmacisti, obiezione di coscienza e contraccezione d’emergenza
(Estratto da C’è chi dice no. Dalla leva all’aborto come cambia l’obiezione di coscienza, Il Saggiatore, capitolo 7, Ddl sui farmacisti e pillola del giorno dopo).
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martedì 20 marzo 2012
Di obiezione di coscienza
ABORTO. MOZIONE BIPARTISAN, PIENA ATTUAZIONE OBIEZIONE COSCIENZA
(DIRE) Roma, 20 mar. - Mozione bipartisan alla Camera "per dare piena attuazione al diritto all'obiezione di coscienza in campo medico e paramedico e garantire la sua completa fruizione senza alcuna discriminazione o penalizzazione, in linea con l'invito del Consiglio d'Europa". L'iniziativa dei deputati Volonte' (Udc), Fioroni (Pd), Roccella (Pdl), Polledri (Lega), Buttiglione (Udc), Binetti (Udc), Capitanio Santolini (Udc), Calgaro (Udc), Di Virgilio (Pdl) e Mantovano (Pdl) mira a tutelare l'obiezione di coscienza non solo di coloro che sono impegnati a vario titolo nelle strutture ospedaliere, ma anche quella dei farmacisti.
"Il diritto all'obiezione di coscienza - si legge nella mozione - non puo' essere in nessun modo 'bilanciato' con altri inesistenti diritti e rappresenta il simbolo, oltre che il diritto umano, della liberta' nei confronti degli Stati e delle decisioni ingiuste".
Per quanto riguarda il Consiglio d'Europa. Sulla obiezione di coscienza abbiamo già scritto molte volte. Sui farmacisti. Poco da aggiungere.
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venerdì 16 marzo 2012
A proposito di cimiteri per embrioni e feti
La proposta ha sollevato molte perlessità, critiche feroci, polemiche trite e ben note.
La vicenda mi colpisce per varie ragioni. La prima la sua ridondanza giuridica: è sempre stato possibile richiedere la sepoltura del materiale abortivo (in base al D.P.R. 10/09/1990 n. 285, in particolare articolo 7): Comma 2. Per la sepoltura dei prodotti abortivi di presunta età di gestazione dalle 20 alle 28 settimane complete e dei feti che abbiano presumibilmente compiuto 28 settimane di età intrauterina e che all’ufficiale di stato civile non siano stati dichiarati come nati morti, i permessi di trasporto e di seppellimento sono rilasciati dall’unità sanitaria locale.
Comma 3. A richiesta dei genitori, nel cimitero possono essere raccolti con la stessa procedura anche prodotti del concepimento di presunta età inferiore alle 20 settimane.
Comma 4. Nei casi previsti dai commi 2 e 3, i parenti o chi per essi sono tenuti a presentare, entro 24 ore dall’espulsione od estrazione del feto, domanda di seppellimento alla unità sanitaria locale accompagnata da certificato medico che indichi la presunta età di gestazione ed il peso del feto.
Poi per la scelta linguistica: bambini mai nati invece di embrioni e feti - e questa è una ben nota strategia antichoice (negli Stati Uniti è unborn children). Si vogliono trascinare tutte le caratteristiche dei bambini verso embrioni e feti: sono tutti bambini, questi ultimi non ancora nati, ma caratterizzati dallo stesso statuto. La mossa fa leva sulla pancia e sugli umori, e basterebbe poco per spazzarla via. Basti pensare che a nessuno viene in mente di fare il passo successivo (coerente e obbligato se seguiamo la suddetta logica): siamo tutti individui non ancora morti, tanto vale trattarci come tali?
Infine per il cattivo gusto - ma questo è un parere come un altro, non è che una espressione personale, un gusto estetico e che non ha alcuna pretesa di ostacolare la suddetta possibilità - già esistente, lo ribadisco.
E qui passiamo alle due considerazioni finali: che necessità poteva esserci di ribadire qualcosa che è già permesso? Che scopo si persegue nel mascherare qualcosa che si può già fare come una lotta di civiltà e umanità? Verso chi si inscena questo inchino metaforico?
Ultima: le proteste che si sono scatenate in nome delle donne e del sapore punitivo della proposta non rischiano di essere fuori fuoco?
Ciò che voglio dire è che la possibilità di fare un funerale a un embrione dovrebbe essere garantita - diversa è la situazione in Lombardia, dove la delibera regionale obbliga. Dovrebbero però essere garantite anche scelte diverse: non solo quella di non farlo, ma soprattutto quella di interrompere una gravidanza senza tutte le difficoltà che oggi quasi sempre una donna deve superare, in una gimkana assurda fatta di scuse e di abuso di obiezione di coscienza. Un abuso che ha ormai le fattezze della normalità. Basta entrare in un reparto di IVG per rendersene conto.
Domenica scorsa su la Repubblica di Firenze, una inchiesta di Michele Bocci raccontava un ennesimo scenario da invasione di obiettori. Una invasione che inizia nei consultori, luoghi in cui non si eseguono le interruzioni di gravidanza e per cui la possibilità di fare obiezione mi sembra illegittima.
Nei consultori è ormai difficile trovare un medico anche solo per fare un certificato. Cioè per attestare lo stato di gravidanza.
A questo proposito la vicenda della Puglia di due anni fa è illuminante. Dopo una delibera regionale per assumere alcuni non obiettori nei consultori, l’ordine dei medici pugliesi fa ricorso al TAR, che accusa la delibera di “scelta discriminatoria”.
I passaggi della sentenza più interessanti sottolineano ciò che dovrebbe essere scontato, ma che spesso è trascurato o ignorato. Il collegio ritiene “che la presenza o meno di medici obiettori ex art. 9 legge n. 194/1978 nei Consultori istituiti ai sensi della legge n. 405/1975 sia assolutamente irrilevante, posto che all’interno dei suddetti Consultori non si pratica materialmente l’interruzione volontaria della gravidanza per la quale unicamente opera l’obiezione ai sensi dell’art. 9”, comma 3 (l’I.V.G. può, infatti, avvenire esclusivamente nelle strutture a ciò autorizzate di cui all’art. 8 legge n. 194/1978 laddove la donna, convinta di procedere con l’I.V.G., decide di presentarsi), bensì soltanto attività di assistenza psicologica e di informazione/consulenza della gestante (cfr. artt. 2 e 5 legge n. 194/1978) ovvero vengono svolte funzioni di ginecologo (i.e. accertamenti e visite mediche di cui all’art. 5 legge n. 194/1978) che esulano dall’iter abortivo, per le quali non opera l’esonero ex art. 9, e quindi attività e funzioni che qualsiasi medico (obiettore e non) è in grado di svolgere ed è altresì tenuto ad espletare senza che possa invocare l’esonero di cui alla disposizione citata”.Il Tar sottolinea una ovvietà: non è nei consultori che si effettuano le interruzioni di gravidanza, perciò quella tra la Regione e gli oppositori sembrerebbe una conversazione tra sordi. E poi qualsiasi medico è tenuto a spiegare alle donne tutte le alternative, tra le quali l’interruzione di gravidanza, e a offrire informazioni corrette.
La corretta applicazione della 194 andrebbe senza dubbio nella direzione della corretta e completa informazione: “anche il medico obiettore legittimamente inserito nella struttura del Consultorio è comunque tenuto all’espletamento di quelle attività istruttorie e consultive (come ad esempio il rilascio del documento attestante lo stato di gravidanza di cui all’art. 5 legge n. 194/1978); per cui la presenza teorica di soli obiettori all’interno del Consultorio - ancora una volta - appare irrilevante ai fini di una corretta doverosa applicazione della legge n. 194/1978” (i corsivi sono miei).
Postato da Chiara Lalli alle 08:54 8 commenti
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mercoledì 14 marzo 2012
I veri pro-life
Vera Schiavazzi, «Quei duemila bambini in provetta nati grazie alla Corte costituzionale», La Repubblica, 13 marzo 2012, p. 21:
Almeno duemila bambini in più nascono ogni anno nell’Italia del calo demografico, grazie a una sentenza della Corte Costituzionale, quella che nel 2009 ha scardinato i paletti della legge 40. Sono questi i dati che il ministro della Salute Renato Balduzzi ha sul suo tavolo da fine febbraio, quando l’Istituto Superiore di Sanità glieli ha consegnati. Il governo voleva sapere che cosa era accaduto nel 2010 e nel 2011, gli anni nei quali i centri di procreazione assistita hanno potuto lavorare di più e meglio, aumentando del 20% i propri successi. E le risposte dei centri specializzati non si sono fatte attendere. «Otteniamo una gravidanza in più ogni 5-6 trattamenti – spiega Filippo Maria Ubaldi, direttore del Centro di medicina della riproduzione Genera, a Roma – È una percentuale enorme, che aumenta se si considerano le pazienti al di sotto dei 39 anni: non si può generalizzare, per questo è impossibile calcolare se le nascite in più siano duemila, o se il numero sia assai più grande. Nel caso delle giovani la percentuale di gravidanze a termine rispetto al numero di ovociti che otteniamo con le normali stimolazioni sale fino al 17 per cento in più rispetto agli anni nei quali la legge 40 era applicata nella sua versione originale».
Postato da Giuseppe Regalzi alle 14:11 2 commenti
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martedì 13 marzo 2012
Avvenire e il telefono senza fili
PERVERTIMENTI Secondo la bioeticista Chiara Lalli (La Sapienza, Roma) «c'è chi dice no» all'obiezione di coscienza, cioè a un «pervertimento semantico», perché l'aborto, da quando la legge lo ha legalizzato, è diventato un diritto mentre – sostiene su Il Sole 24 Ore (domenica 4) – l'obiezione ha cessato di esserlo. Di qui una serie di deduzioni che a un distratto possono sembrare logiche (la Lalli insegna anche Logica), ma non lo sono, perché è sbagliata la premessa. Infatti il legislatore ha riconosciuto il diritto all'obiezione, proprio perché l'aborto non lo è e quindi non può corrispondergli alcun obbligo. Infatti: 1) il concepito/feto è un essere umano e dunque ha diritto alla vita; 2) l'aborto resta un reato quando è clandestino, anche se è in tutto uguale a quello legale; 3) Il giorno in cui, al Senato, si stava per votare definitivamente la legge 194, il ministro della Giustizia, Francesco Bonifacio, dichiarò di prendere atto che gli stessi promotori della legge avevano «seccamente smentito la tesi, aberrante sul piano costituzionale, civile e morale, secondo la quale l'aborto costituirebbe contenuto e oggetto di un diritto di libertà». È agli atti del Parlamento.(Risposte scientificamente antiscientifiche, Avvenire, 11 marzo 2012).
Vengo a sapere da Pier Giorgio Liverani che cosa ho davvero scritto in C’è chi dice no. Dalla leva all’aborto. Come cambia l’obiezione di coscienza.
Di questo lo ringrazio, non avrei mai saputo inventare una sintesi tanto efficace delle mie ipotesi a proposito dello slittamento semantico della obiezione di coscienza.
È evidente che Liverani non solo non ha letto il mio libro (forse ha letto solo il titolo), ma nemmeno la legge 194, in particolare l’articolo 9 dove c’è scritto che il “servizio” (cioè l’interruzione di gravidanza) va garantito.
La premessa che mi attribuisce è fantasiosa, non è nemmeno una riduzione affrettata ma proprio uno stravolgimento di quanto ho scritto.
Sul resto è inutile soffermarsi, è inutile rispondere a chi non legge e non ascolta, sembrerebbe di parlare da soli (domenica 4 non ho sostenuto nulla su Il Sole 24 Ore, forse Liverani si riferisce alla intervista di Manuela Perrone uscita sull’inserto Sanità il martedì successivo). È inutile anche rispondere sulle inferenze molto disinvolte compiute al punto 1 e 2. Per non parlare del 3, argomento d’autorità per l’allora ministro della giustizia. Cioè se l’ha detto il ministro della giustizia è vero e incontestabile!
Più che pervertimenti, perversioni.
Postato da Chiara Lalli alle 08:53 10 commenti
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domenica 11 marzo 2012
Matrimonio e discriminazione
Per le unioni gay «non userei mai la parola matrimonio», vista anche la natura giuridica che ha nel nostro Paese. Rosi Bindi, presidente dell'assemblea nazionale del Pd, intervistata da Maria Latella per Sky Tg 24, commenta l'intervento di sabato di Angelino Alfano dopo che il segretario del Pdl aveva detto che il matrimonio gay sarà la priorità del Pd qualora vincesse le elezioni nel 2013 . «La famiglia fondata sul matrimonio ha la priorità, lo dice la costituzione», afferma Rosi Bindi. «Ma il Pd non ignorerà i diritti di tutti. Il matrimonio però è solo eterosessuale, è un punto molto fermo».Ecco il parere di Rosy Bindi, supportato da zampette così incerte da crollare al primo respiro. La dichiarazione di Bindi è moralmente ripugnante e discriminatoria. Non solo: si fonda su una interpretazione a dir poco disinvolta della Costituzione italiana, in particolare dell'articolo 29 che per comodità incollo di seguito. Dove c'è scritto eterosessuale? Cosa toglierebbe a Bindi (e agli altri isterici difensori del "Matrimonio tra vagine e peni") il riconoscimento della uguaglianza tra persone? Perché continuare a difendere una visione tanto angusta e ingiusta del matrimonio?
Articolo 29: La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare.
Postato da Chiara Lalli alle 20:46 55 commenti
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venerdì 9 marzo 2012
Senate approves bill on ‘wrongful births’
The Arizona Senate has approved a bill that would shield doctors and others from so-called “wrongful birth” lawsuits.The Associated Press del 6 marzo (il corsivo è mio).
Those are lawsuits that can arise if physicians don’t inform pregnant women of prenatal problems that could lead to the decision to have an abortion.
The Senate’s 20-9 vote Tuesday sends the bill to the state House. The bill’s sponsor is Republican Nancy Barto of Phoenix. She says allowing the medical malpractice lawsuits endorses the idea that if a child is born with a disability, someone is to blame.
Barto said the bill will still allow “true malpractice suits” to proceed. If the bill becomes law, Arizona would join nine states barring both “wrongful life” and “wrongful birth” lawsuits. Opponents of the bill say it’s unnecessary and would infringe on reproductive rights.
Postato da Chiara Lalli alle 12:29 3 commenti
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domenica 4 marzo 2012
Se l’integralista ti vuol spedire a Riad
Gli integralisti sembrano in preda a una strana compulsione: quasi ogni volta che sui loro mezzi di comunicazione danno conto di un’iniziativa di laici o non credenti che sia in qualche modo critica della loro religione, non possono fare a meno di aggiungere una chiosa risentita, sempre essenzialmente la stessa, che suona più o meno così: «Vorremmo vederli, questi laici, a criticare allo stesso modo la religione islamica: verrebbero fatti immediatamente a pezzi! Ma naturalmente se ne astengono scrupolosamente...». I laici insomma, sembra di capire, sono per questa gente dei vigliacchi che se la prendono con il più debole. Così, per fare un esempio, sulla Bussola quotidiana del 28 febbraio scorso (Marco Respinti, «Dio non c’è, o forse sì. Dawkins ha dei dubbi»), si poteva leggere a proposito dell’Atheist Bus Campaign (un’iniziativa degli atei inglesi in cui un autobus ha girato per le strade di Londra con la scritta «Dio probabilmente non esiste. Adesso smettila di preoccuparti e goditi la vita») la seguente osservazione: «molti si sono chiesti cosa sarebbe successo se il bus avesse fatto scala [sic] a Teheran o a Riad...».
Chi ha scritto queste parole sembra beatamente ignaro del fatto che gli si potrebbero facilmente ritorcere contro: cosa succederebbe se un certo «quotidiano cattolico di opinione online» se la prendesse non con gli innocui atei inglesi ma con i wahhabiti arabi, e per giunta durante una trasferta a Riad? Penso che pochi scommetterebbero a favore dell’eventualità che Marco Respinti (o qualsiasi altro autore della Bussola) sia disposto a trasformarsi in questo modo in martire della fede...
L’errore degli integralisti, però, non sta tanto in questa incoerenza nell’adeguarsi allo standard che pretendono dagli altri, quanto proprio nel coltivare uno standard così assurdamente elevato. Proviamo infatti ad applicarlo ad altre situazioni: sei un piccolo cronista di nera di un quotidiano locale? Bel coraggio: vorrei vederti invece a volare a Mosca e scrivere contro la mafia cecena! Sei un volontario che opera in delicate situazioni sociali nella periferia romana? Ti disprezzo, visto che non sei disposto a fare le stesse cose nei sobborghi di Kabul. E l’ambito si potrebbe allargare, col pubblico che fischia il vincitore di una gara podistica perché non ha mai provato a correre la maratona di New York, o la fidanzata che lascia il suo ragazzo perché alla domanda «ma tu mi avresti amato anche se fossi stata brutta come una rana e affetta da gravi turbe psichiche?» quello ha esitato un momento di troppo...
La verità è che la maggior parte di noi ha dei limiti di coraggio o di abnegazione oltre i quali, per quanto si sforzi, non è capace di spingersi; ma proprio per questo ciò che compiamo entro questi limiti non è affatto privo di valore. Del resto, all’infuori di particolari circostanze l’eroismo non è un dovere (nel linguaggio della filosofia morale si direbbe che è un atto supererogatorio); anzi, talvolta non è neppure sensato e si trasforma in irresponsabile avventatezza, qualora il rapporto costi/benefici – che non è una misura necessariamente egoistica – ecceda la soglia della ragionevolezza. Non è facile vedere, nel caso in esame, che senso avrebbe andare a rischiare vanamente la propria testa in paesi lontani, fra popolazioni in maggioranza ancora scarsamente ricettive, mentre la laicità delle istituzioni è messa in pericolo ogni giorno a casa nostra – e non certo per opera dei salafiti.
Naturalmente, esistono dei casi in cui il consueto rimbrotto integralista avrebbe una qualche giustificazione. Prendiamo un commento apparso sull’edizione online del Corriere della Sera a firma di «Bertoldo41», al tempo della prima sentenza sul crocifisso della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo:
Gli atei italiani fanno gli eroi, i Leonida: vorrei vederli professare il loro ateismo in Afghanistan o in Arabia Saudita o in Iran. Se la farebbero sotto anche a pensare!Se davvero gli atei italiani si fossero atteggiati in quell’occasione a eroi sprezzanti della morte – cosa che naturalmente non hanno fatto – si potrebbe convenire con questo signore, almeno nell’accusarli di una certa vanagloria. Oppure, se in un futuro immaginario gli islamici fossero maggioranza in Italia e cercassero di imporre la sharia con la violenza, i laici tradirebbero il proprio compito se rivolgessero ogni critica soltanto agli integralisti cattolici; così come sarebbe intellettualmente incoerente chiunque oggi giudicasse lecito criticare anche in modo aspro i cristiani, e si opponesse contemporaneamente per principio a fare lo stesso nei confronti dei credenti di altre religioni. Ma, come si vede, si tratta di circostanze perlopiù ipotetiche.
È possibile che gli integralisti che ripetono come un mantra la loro assurda obiezione non abbiano mai pensato a nessuno dei possibili controargomenti? Non credo che siano così stupidi; e penso quindi che il ricorso a un’obiezione tanto platealmente fallace riveli un presupposto tacito. Riflettiamoci un attimo: quand’è che il rimprovero «vorrei vederti a fare lo stesso con qualcuno più forte» è effettivamente giustificato? La risposta è immediata: quando viene indirizzato a qualcuno che sta facendo un torto a qualcun altro, come il bullo della classe che tormenta il ragazzo mingherlino. Per gli integralisti, in realtà, gli atei e i laici che criticano la Chiesa o esprimono in qualsiasi altro modo la loro opinione non esercitano un diritto, ma compiono un’aggressione blasfema contro i campioni della Verità e contro ciò che essi hanno di più caro. In questo gli integralisti cattolici non sono tanto diversi dagli islamici che così spesso tirano in ballo (con una punta di invidia?), anche se oggi non arrivano più agli stessi eccessi. Tre secoli di Illuminismo hanno limato gli artigli e le zanne della Bestia; ma l’istinto ferino è ancora lì.
Postato da Giuseppe Regalzi alle 10:00 26 commenti
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venerdì 2 marzo 2012
An open letter from Giubilini and Minerva
When we decided to write this article about after-birth abortion we had no idea that our paper would raise such a heated debate.
“Why not? You should have known!” people keep on repeating everywhere on the web. The answer is very simple: the article was supposed to be read by other fellow bioethicists who were already familiar with this topic and our arguments. Indeed, as Professor Savulescu explains in his editorial, this debate has been going on for 40 years.
We started from the definition of person introduced by Michael Tooley in 1975 and we tried to draw the logical conclusions deriving from this premise. It was meant to be a pure exercise of logic: if X, then Y. We expected that other bioethicists would challenge either the premise or the logical pattern we followed, because this is what happens in academic debates. And we believed we were going to read interesting responses to the argument, as we already read a few on this topic in religious websites.
However, we never meant to suggest that after-birth abortion should become legal. This was not made clear enough in the paper. Laws are not just about rational ethical arguments, because there are many practical, emotional, social aspects that are relevant in policy making (such as respecting the plurality of ethical views, people’s emotional reactions etc). But we are not policy makers, we are philosophers, and we deal with concepts, not with legal policy.
Moreover, we did not suggest that after birth abortion should be permissible for months or years as the media erroneously reported.
If we wanted to suggest something about policy, we would have written, for example, a comment related the Groningen Protocol (in the Netherlands), which is a guideline that permits killing newborns under certain circumstances (e.g. when the newborn is affected by serious diseases). But we do not discuss guidelines in the paper. Rather we acknowledged the fact that such a protocol exists and this is a good reason to discuss the topic (and probably also for publishing papers on this topic).
However, the content of (the abstract of) the paper started to be picked up by newspapers, radio and on the web. What people understood was that we were in favour of killing people. This, of course, is not what we suggested. This is easier to see when our thesis is read in the context of the history of the debate.
We are really sorry that many people, who do not share the background of the intended audience for this article, felt offended, outraged, or even threatened. We apologise to them, but we could not control how the message was promulgated across the internet and then conveyed by the media. In fact, we personally do not agree with much of what the media suggest we think. Because of these misleading messages pumped by certain groups on the internet and picked up for a controversy-hungry media, we started to receive many emails from very angry people (most of whom claimed to be Pro-Life and very religious) who threatened to kill us or which were extremely abusive. Prof Savulescu said these responses were out of place, and he himself was attacked because, after all, “we deserve it.”
We do not think anyone should be abused for writing an academic paper on a controversial topic.
However, we also received many emails from people thanking us for raising this debate which is stimulating in an academic sense. These people understood there was no legal implication in the paper. We did not recommend or suggest anything in the paper about what people should do (or about what policies should allow).
We apologise for offence caused by our paper, and we hope this letter helps people to understand the essential distinction between academic language and the misleading media presentation, and between what could be discussed in an academic paper and what could be legally permissible.
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Postato da Chiara Lalli alle 17:17 16 commenti
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giovedì 1 marzo 2012
Un nuovo articolo per la 194/1978?
Tommaso Scandroglio sull’inserto È vita di Avvenire di oggi (Radicali senza freni: «Stop alle farmacie che obiettano») così commenta:
«La pillola in questione non è un farmaco abortivo, come la Ru486, ma una terapia contraccettiva d’urgenza che va somministrata il prima possibile». È quanto ha dichiarato in merito alla pillola del giorno dopo l’avvocato Filomena Gallo, segretario dell’Associazione radicale Luca Coscioni, alla recente presentazione romana del libro di Chiara Lalli «C’è chi dice no». Dalla leva all’aborto come cambia l’obiezione di coscienza». La Gallo ha affermato che «il farmacista non può fare alcuna obiezione di coscienza, deve limitarsi a somministrare un farmaco che viene peraltro richiesto con regolare prescrizione medica. Non hanno quindi alcun fondamento legale tali dinieghi e nessuna norma li supporta, mentre la mancata somministrazione dei farmaci è un reato civile e penale. È ora di dire basta. Abbiamo così deciso di aiutare le donne a risolvere immediatamente il problema denunciando il fenomeno e mettendo nel nostro sito un modulo di esposto ai farmacisti che negano questo tipo di terapia». Esplicita Emma Bonino: «Per i farmacisti che si rifiutano di somministrare la pillola del giorno dopo, farmaco regolarmente autorizzato dal Servizio sanitario nazionale - ha detto la leader radicale nella stessa occasione - non ci può che essere il ritiro della licenza». I radicali, che promettono «completa assistenza legale», forse ignorano che esiste abbondante letteratura scientifica la quale prova che la pillola del giorno dopo oltre ad avere effetti contraccettivi può esplicare anche una funzione abortiva. La somministrazione rientra dunque nella disciplina della legge 194 sull’aborto, quindi i farmacisti possono avvalersi del previsto istituto dell’obiezione di coscienza (il corsivo è mio).Sarei curiosa di sapere a quale letteratura scientifica fa riferimento Scandroglio, perché le ultime pubblicazioni da parte delle associazioni mediche sostengono il contrario.
Soprattutto sarei curiosa di sapere dove ha letto nella 194 che anche i farmacisti possono fare obiezione di coscienza. Qual è l’articolo?, perché deve essermi sfuggito.
Postato da Chiara Lalli alle 15:47 13 commenti
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