Con la sentenza di ieri della Corte Costituzionale si chiude di fatto, se non ancora di diritto, la vicenda della legge 40 sulla procreazione assistita. Rimangono ancora spuntoni pericolanti da abbattere, ma il grosso dell’edificio è ormai venuto giù. Concepita come la prima risposta integralista alle grandi leggi laiche sul divorzio e l’aborto, è sembrata segnare per un poco una svolta e l’avvio di una reconquista cattolica; ma con il senno di poi, erano evidenti fin dal principio i suoi punti deboli. Il primo è l’estraneità totale del pensiero integralista rispetto allo Stato laico. Un’ideologia che pretende di imporre a tutti, volenti o nolenti, il suo concetto – per giunta assai idiosincratico – di bene, e che minimizza o nega sfrontatamente i diritti delle minoranze (tranne, naturalmente, quando in minoranza si ritrovino i suoi sostenitori), rappresenta un corpo estraneo in uno Stato che, nonostante i mille inquinamenti, le mille inadempienze e i mille tradimenti rimane, nella sua struttura fondamentale se non nella pratica quotidiana, ancora liberale. Un corpo estraneo che prima o poi sarà rigettato. Facendo un giro per i blog e i giornali integralisti che in queste ore danno sfogo a tutta la loro rabbia impotente, colpisce che la stragrande maggioranza dei commentatori lamenti una presunta ferita alla democrazia: «Ci avete confermato che la volontà del popolo, in questa che passa per essere una democrazia, non conta una beata cippa»; «questa sentenza è un ennesimo attacco alla democrazia rappresentativa»; «In Italia i giudici, che non sono eletti da alcuno, non rispettano i limiti delle proprie funzioni, cioè perseguire chi non rispetta le leggi, ma agiscono come legislatori, imponendo nuove leggi o modificando le leggi esistenti»; «Sono sconcertata […] per il metodo, profondamente antidemocratico, che si sta utilizzando per cancellare leggi invise ad alcuni: i giudici ribaltano leggi votate da un parlamento e confermate da un referendum»; «Bisognerà forse riscrivere la costituzione e aggiornarla sancendo che in Italia il potere giudiziario non applica solo la legge ma ha assunto un ruolo a tutti gli effetti legislativo che sovrasta anche la volontà del Parlamento e di un voto popolare». Credo che qui non sia solo questione di banale ignoranza dei compiti e dei poteri della Consulta: questa gente sembra profondamente, irrevocabilmente estranea a ogni concetto di garanzia costituzionale e di limitazione del potere della maggioranza; vive da straniera in uno Stato di cui non riconosce i principi. (Si avverte, è vero, anche l’eco di vent’anni di devastante propaganda berlusconiana, che però presuppone per la sua ricezione un comune sentire.)
Il secondo punto debole è che gli integralisti sono divenuti vittime della loro stessa propaganda. Tutti ricordiamo l’assurda pretesa che fosse stato il 75% degli Italiani a bocciare il referendum abrogativo della legge 40 – pretesa che ha cominciato a circolare quasi subito dopo il voto, e che da allora è stata ripetuta innumerevoli volte. Questa sembrava all’inizio propaganda buona solo per spiriti molto, molto semplici; ma ben presto è apparso chiaro che gli stessi integralisti cominciavano sorprendentemente a darle credito; in più di una discussione ho notato come l’interlocutore sembrasse incapace di comprendere il concetto di astensione dal voto. Ancora stamattina, per esempio, nell’editoriale apparso su Tempi.it («La sentenza della Consulta sulla legge 40 è assurda in democrazia, ma non in uno stato di polizia», 10 aprile 2014) Luigi Amicone sembra convinto che nel referendum del 2005 la maggioranza dei votanti si sia espressa a favore della legge 40 («nessuna Corte, neppure la più alta, è legittimata a sentenziare lo svuotamento e il pratico annullamento dei risultati di un referendum popolare»), quando nella realtà, com’è noto a chiunque abbia un minimo di memoria storica, furono i contrari alla legge a vincere il referendum, il cui risultato fu però annullato per il mancato raggiungimento del quorum (la Corte, checché ne pensi il confuso Amicone, non ha abrogato l’esito del referendum ma alcuni articoli della legge stessa). Sommare il voto degli astensionisti per disinteresse al voto degli astensionisti per astuzia è totalmente arbitrario; qui però quello che ci interessa è notare come, giungendo a credere alle proprie stesse menzogne, gli integralisti abbiano iniziato a nutrire una pericolosa fiducia in un ampio consenso popolare, di fatto mai esistito.
Il terzo punto debole della legge è stata la scarsissima caratura intellettuale del ceto politico che l’ha imposta e sostenuta. La legge 40 è stata notoriamente una delle leggi peggio scritte della storia della Repubblica; mi limito qui a ricordare il divieto di diagnosi preimpianto, rubricato incongruamente sotto il titolo «Sperimentazione sugli embrioni umani». Svarioni di questo genere hanno indubbiamente facilitato la graduale erosione della legge. Il dilettantismo e l’approssimazione personali, le gaffe dei politici, della stampa e dei giuristi integralisti e clericali hanno anche impedito, credo, l’accreditamento delle loro idee (di per sé già improbo, come abbiamo visto) presso un’élite giuridica che avrà certo mille difetti, ma che alla fine si è trovata quasi da sola, vista la viltà della stragrande maggioranza dei politici, a difendere la natura liberale della Repubblica.
Cosa accadrà adesso? Credo che il primo effetto della caduta della legge 40 sarà una netta radicalizzazione dell’integralismo. Già alla sua approvazione la legge aveva causato una divisione nel cosiddetto movimento pro-life: la dottrina cattolica vieterebbe in realtà anche la fecondazione artificiale omologa, non da ultimo perché causa inevitabilmente la perdita di numerosi embrioni. La 40 era ritenuta un compromesso politico accettabile (anche e soprattutto dal clero ruiniano), ma una parte dei pro-lifer rifiutò qualsiasi forma di cedimento al «male minore», fino a fondare – in polemica con lo storico Movimento per la Vita di Carlo Casini, ritenuto troppo accomodante – l’organizzazione della Marcia per la Vita (alla secessione contribuirono anche contrasti personali e di gestione del potere). Oggi, di fronte al fallimento totale della strategia di compromesso, che sembra paradossalmente aver fruttato solo la convinzione del pubblico che la fecondazione artificiale omologa sia considerata lecita dalla Chiesa, gli intransigenti possono vantare di avere avuto ragione, come fa per esempio Tommaso Scandroglio sul sito della Nuova Bussola Quotidiana («Legge 40, come volevasi dimostrare»):
una volta che abbiamo accettato il principio che la vita può essere prodotta in provetta, il fatto che i gameti provengano o meno dalla coppia è aspetto secondario. Diventa tutto e solo una questione di limiti ad un male ormai legalizzato. Ingoiato il cammello come stupirsi che possiamo ora ingoiare anche il moscerino? Questa sentenza è insomma figlia della stessa legge 40.
[…] la sentenza è frutto della difesa strenua di alcuni ambienti cattolici della stessa legge. Se tuteli il male, questo non potrà che svilupparsi e portare frutto. La male pianta non può che essere sradicata al più presto. Detto in soldoni, il compromesso è la porta d’ingresso a mali ben peggiori.
(Per una squisita ironia della Storia, in queste settimane la Marcia per la Vita è scossa al suo interno dalle
critiche violentissime mosse da una minoranza ancora più intransigente: si sa come si finisce, quando si fa a gara a fare i puri...)
Questo atteggiamento però comporta quasi inevitabilmente una perdita di presa sulla politica, che molto difficilmente può fare a meno di cercare compromessi. Con il tramonto del berlusconismo, d’altra parte, e soprattutto con lo spostamento d’accento del nuovo papa – con la nuova «dottrina percepita» della Chiesa, potremmo dire, pur nella invariabilità della dottrina effettiva – nonché con l’esempio del fallimento di chi ha dedicato lunghi anni alla lotta per la legge 40, la politica è destinata col tempo a perdere relativamente interesse per l’agenda integralista. Potremmo assistere dunque alla formazione di un extraparlamentarismo integralista, di cui oggi già appaiono i primi esempi; anche la sempre più evidente deriva complottistica, con la creazione di nemici inesistenti (la fantomatica «ideologia del gender»), il preannuncio tanto angosciato quanto grottesco di persecuzioni imminenti, il diffuso vittimismo aggressivo, gli episodi di vera e propria ideazione paranoide nei soggetti più deboli, sono segni di uno stress psicosociale che deriva dalla percezione di un abbandono da parte dei tradizionali referenti politici. Ma è possibile allo stesso tempo anche una deriva settaria, con l’accento posto sulla purificazione del gruppo, magari propedeutica a una vagheggiata palingenesi futura, e con l’abbandono dell’impegno propriamente politico.
Il futuro resta come sempre oscuro. Nel frattempo, già si profilano all’orizzonte possibili
progressi tecnologici di fronte ai quali le discussioni attuali ci sembreranno litigi di bambini. Ci aspettano tempi interessanti in cui vivere.