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giovedì 2 agosto 2007

Hwang: colpo di scena

La storia è fin troppo nota: lo scienziato coreano Woo Suk Hwang, che nel febbraio del 2004 aveva stupito ed entusiasmato l’opinione pubblica mondiale con l’annuncio della clonazione del primo embrione umano e dell’estrazione da esso di cellule staminali (exploit ripetuto apparentemente l’anno dopo, questa volta addirittura con 11 linee di cellule staminali ottenute), veniva raggiunto dopo qualche tempo da una serie di accuse di frode scientifica, che alla fine ne avrebbero distrutto la reputazione, rivelando che nessuno – o quasi – dei risultati da lui proclamati era autentico.
Ma, come ci informa J. R. Minkel su Scientific AmericanKorean Cloned Human Cells Were Product of “Virgin Birth”», 2 agosto 2007), un articolo uscito oggi sulla rivista Cell Stem Cell getta una luce inattesa sulla vera natura del primo dei risultati di Hwang (anche se qualcuno aveva già in passato intuito la verità). Da un esame delle cellule staminali ottenute attraverso la pretesa clonazione, infatti, un gruppo guidato da George Daley del Children’s Hospital Boston e dello Harvard Stem Cell Institute ha stabilito che Hwang avrebbe in realtà conseguito per la prima volta nella storia la partenogenesi di un embrione umano.

Mentre nella clonazione un ovocita viene svuotato del proprio materiale genetico, al cui posto viene iniettato il nucleo di una cellula somatica dell’adulto da clonare, con la partenogenesi l’ovocita viene indotto a dividersi quando non ha ancora espulso metà dei propri cromosomi (quando cioè è ancora diploide, per usare il linguaggio tecnico), che normalmente con la fecondazione sarebbero sostituiti dai cromosomi dello spermatozoo.
L’embrione così ottenuto non vive però più di alcuni giorni: alcuni dei geni necessari al suo sviluppo vengono attivati infatti solo se provengono dai cromosomi del seme maschile. Da esso si possono comunque estrarre cellule staminali del tutto compatibili con la donatrice dell’ovocita (ma dal potenziale terapeutico ancora del tutto ignoto).
Questo eccezionale risultato era stato ottenuto per la prima volta l'anno scorso da un gruppo italiano, che non ha ancora però pubblicato i propri risultati, e ripetuto lo scorso mese da un’azienda californiana, la International Stem Cell Corporation. Si scopre adesso che entrambi erano stati preceduti – sia pure involontariamente – da Hwang e dal suo gruppo.

Cos’è successo? La spiegazione più probabile è che il nucleo di uno degli ovociti sia rimasto per errore nella cellula, e che il nucleo della cellula somatica che avrebbe dovuto sostituirlo sia stato in qualche modo espulso dall’ovulo. Alcune stimolazioni chimiche praticate alle cellule, molto simili a quelle usate nella partenogenesi, avrebbero poi operato il ‘miracolo’. I controlli non hanno rilevato la cosa (a volte si riesce a vedere solo quello che si spera di vedere...), col risultato che tutti sappiamo. Hwang credeva di essere arrivato nelle terre note della clonazione, e invece aveva raggiunto il nuovo continente della partenogenesi; continente che porterà per sempre, per ironica giustizia, il nome di un altro.

giovedì 21 dicembre 2006

Cellule staminali e partenogenesi

Dopo un gruppo italiano, che era riuscito nell’impresa pochi mesi fa, anche ricercatori del Children’s Hospital di Boston sono riusciti a far dividere in più cellule un ovulo non fecondato di topo, per partenogenesi; inoltre, per la prima volta, il processo ha permesso di ottenere cellule staminali embrionali, perfettamente compatibili con i tessuti della donatrice dell’ovocita (Heidi Nicholl, «Mouse stem cells from single egg», BioNews, 18 dicembre 2006; per i dettagli della tecnica vd. il nostro post del 2 luglio, «E la vergine (non?) partorirà un figlio»). La procedura sembra molto più efficiente del trasferimento nucleare (o clonazione terapeutica), l’unica altra tecnica esistente che permette di ottenere lo stesso risultato finale; ma presenta – se si riuscirà a farla funzionare anche con cellule umane – alcuni problemi particolari, come la limitazione a donne in età fertile (ovvero in grado di produrre ovociti).

domenica 2 luglio 2006

E la vergine (non?) partorirà un figlio

Su Repubblica è apparsa nei giorni scorsi la notizia che ricercatori italiani avrebbero ottenuto una fonte ‘etica’ di cellule staminali embrionali («Create staminali senza embrione. “Così si supera lo scoglio etico”», 29 giugno 2006). Fulvio Gandolfi, Tiziana Brevini e Guido Ragni sono riusciti a far moltiplicare un ovulo umano non penetrato da uno spermatozoo, dando vita per partenogenesi a un embrione che non può risultare vitale se impiantato in utero, e da cui è possibile ricavare cellule staminali. Gli studiosi sperano di aggirare in questo modo i cosiddetti ostacoli ‘etici’ allo studio delle staminali embrionali.
In attesa di conoscere il verdetto di chi ha evidentemente il potere di indirizzare la ricerca scientifica – potere che cercare di blandire con «alternative etiche» si finisce in realtà per rafforzare, ma non facciamone una colpa ai benintenzionati studiosi – vediamo di conoscere qualche dettaglio in più del metodo. Ci aiuta NewScientist.com (Linda Geddes, «‘Virgin birth’ stem cells bypass ethical objections», 2 luglio 2006): gli ovuli non fertilizzati hanno due copie di ciascun cromosoma (sono cioè diploidi, per usare il linguaggio tecnico); al momento della fecondazione, metà dei cromosomi vengono espulsi, per essere rimpiazzati dai cromosomi dello spermatozoo (che ne ha già in partenza solo metà). Con un appropriato stimolo chimico (che simula l’entrata dello spermatozoo) l’ovulo può venire indotto a conservare tutti i suoi cromosomi e a cominciare a dividersi, dando vita a un embrione, che però non vive più di alcuni giorni: alcuni dei geni necessari al suo sviluppo vengono attivati infatti solo se provengono dai cromosomi del seme maschile.
C’è da chiedersi, tuttavia, se questa ultima circostanza non potrà essere in futuro aggirata, permettendo la nascita di un bambino senza l’intervento di un maschio, e se una tecnica nata per blandire i censori ecclesiastici non si rivelerà alla fine molto, molto blasfema (anche se il bambino, come il lettore avrà già capito, non potrà che essere – in questo caso – femmina...).