venerdì 1 agosto 2008

Il catalogo dei ‘miracoli’

Da «Anche se non dovesse svegliarsi mai, le suore vogliono curare Eluana. Perché?» (anonimo, Il Giornale, 31 luglio 2008, p. 3):

Un pompiere di New York, Donald Herbert, dopo nove anni e mezzo di semi-incoscienza e mutismo, si è risvegliato e ha cominciato a parlare.
Semi-incoscienza, appunto, non stato vegetativo persistente; Herbert aveva persino un certo grado di attività motoria intenzionale.
Un ferroviere polacco, Jan Grzebsky, dopo diciannove anni ha ripreso coscienza, accorgendosi che il muro di Berlino era caduto diciotto anni prima.
Dalle descrizioni del caso, tutte abbastanza confuse (si parla sempre impropriamente di «coma»), si capisce facilmente che Grzebsky non si trovava affatto in uno stato vegetativo persistente, ma probabilmente in qualche forma di sindrome locked-in.
Un meccanico dell’Arkansas, Terry Wallis, dopo vent’anni di semi-coma, ha aperto la bocca per dire «mamma».
Un caso eccezionale, ma Terry Wallis si trovava in uno stato di minima coscienza, non in stato vegetativo persistente.
Christa Lilly è rimasta sei anni in stato vegetativo prima di riprendere conoscenza.
Falso. Christa Lilly si era risvegliata altre quattro volte nel corso di quei sei anni (anche se la notizia è spesso nascosta o non data esplicitamente nei resoconti sensazionalistici). Non è neanche chiaro se si trovasse effettivamente in stato vegetativo persistente o in stato di minima coscienza.
Haleigh Poutre, una bambina di undici anni in stato vegetativo, quando già era stata emessa la sentenza mortifera della Corte suprema del Massachusetts, ha dato segni di vita.
Un caso impressionante – ma di malasanità e di malagiustizia, non di risveglio miracoloso. I medici avevano diagnosticato qualcosa di vicino alla morte cerebrale (da cui non c’è ritorno, quasi per definizione), e i giudici decretato la sospensione dei trattamenti quando già la bambina stava cominciando a stare meglio. Da notare che mancavano le condizioni minime per diagnosticare uno stato vegetativo permanente (un anno in stato vegetativo persistente): Haleigh era stata ferita l’11 settembre 2005, e all’inizio del 2006 era sulla via del recupero.
La ragione di questa ospitalità gratuita [delle suore che accudiscono Eluana Englaro] è un mistero tanto grande quanto quello eclatante dei risvegli di Herbert, di Jan, di Terry.
La ragione di questa informazione approssimativa (o menzognera, secondo alcuni) è un mistero molto più grande di quello di ogni risveglio più o meno straordinario. O forse no, forse non è affatto un mistero...

108 commenti:

Anonimo ha detto...

Io sono favorevole a che le suorine si prendano cura, se lo desiderano, di Eluana. A spese loro, ovviamente, non dello stato ne di altri.
E se desiderano prendersi cura di tutti gli altri nelle condizioni di Eluana, perché impedirglielo?
Ogni uno ha diritto a spendere del suo come preferisce, se non fa male ad altri.
Dopo tutto, il Buon Samaritano dei Vangeli spendeva del suo per aiutare l'ebreo ferito, non andava a batter cassa da altri.

Daniele Verzetti il Rockpoeta® ha detto...

Qui non è una questione di denaro ma di crudeltà perpetrata contro Eluana e soprattutto i suoi genitori.

Nessun mistero solo tanta squallida ipocrisia.

Giuseppe Regalzi ha detto...

Mirco (Extropolitica): d'accordo, ma la volontà di Eluana non conta nulla?

Anonimo ha detto...

Extrapolitica, il tuo ragionamento sarebbe più che corretto nel caso si trattasse di una persona che mai in vita sua ha espresso l'esplicita volontà di non essere mantenuta artificialmente in vita. Eluana l'ha fatto, ha chiaramente e fuor di dubbio affermato che non voleva essere mantenuta in vita da dei macchinari, lo testimoniano i genitori e gli amici e 16 anni di dibattimenti sono arrivati ad avallare queste testimonianze. In tal caso il buon samaritano si è trasformato in un rapitore. Che la lascino andare!

Anonimo ha detto...

@Giuseppe, hai mandato questa tua interessante ricerca al Giornale? Magari, presi dal caldo agostano, potrebbero anche pubblicarla.

Giuseppe Regalzi ha detto...

d-k: per pubblicarla dovrebbero aver preso un colpo di sole di quelli seri, tutti quanti... :-)

Anonimo ha detto...

@Giuseppe: già!
Non si sa mai, però, magari in redazione hanno problemi con l'aria condizionata. :-D

Anonimo ha detto...

@ Giuseppe Regalzi
Tra i "miracoli" non citi Salvatore Crisafulli, diagnosticato ufficialmente in Stato Vegetativo Permanente e che oggi scrive al Presidente della Repubblica con l'ausilio di un computer. Hai notizie certe che non sia veritiero quanto riportato nel suo sito "http://www.salvatorecrisafulli.it"?

@ Giuseppe Regalzi, che si chiede «ma la volontà di Eluana non conta nulla?»
La volontà di Eluana è stata faticosamente dimostrata (forse). Non ci sarebbero dubbi di sorta, invece, sulla volontà di mia suocera se tornando a casa la trovassi con la testa nel forno ed il gas aperto (non oso sperare tanto). Che faccio?

@ Daniele Verzetti il Rockpoeta (come tutti i poeti sensibile al valore delle parole)
Si può essere "crudeli" verso un cadavere o al massimo si può essere "irrispettosi"?

Anonimo ha detto...

Sul sito di Crisafulli si legge: "lui si sentiva vivo e partecipe e soffriva terribilmente senza poter comunicare all'esterno la sua atroce ed agonizzante pena".

Ecco. Eluana non so, ma è proprio questo che mi fa affermare con sicurezza che non voglio trovarmi in una situazione del genere, soprattutto se può essere protratta per decenni.

Anonimo ha detto...

A quanto pare il sorcio ha nuovamente messo il naso fuori dalla fogna dove vive.
Per passare, disinvolto e sciolto, (la classe non è acqua), dagli improbabili teoremi sul libero arbitrio dei cattolici alle scempiaggini sulle tematiche di fine vita.
Per inciso, le volontà della povera Eluana sono state dimostrate in modo così categorico da convincere un tribunale ad emettere una sentenza nel senso che sappiamo, i suoi forse li riservi per occasioni migliori. Sul faticosamente invece non ha torto, proprio per questo si chiede la possibilità di dettare disposizioni testamentarie vincolanti che consentano, a chi lo vuole, di decidere su come essere trattato in certe, malaugurate ma possibili situazioni. Risparmiando a sè e ai suoi cari 16 anni di inferno, ad esempio. Dicesi testamento biologico, consentirebbe a chiunque di esercitare il suo libero arbitrio, quello vero, non quello fittizio tanto caro ai cattolici.
Sulla suocera, si trova forse in Stato Vegetativo Permanente?

* * * *

Siamo sempre in attesa di veder dimostrato il nostro antistoricismo. E allora ci aggiungiamo un'altra chicca: Bézieres 1209, in ventimila sgozzati per, come potremmo dire, abuso di libero arbitrio?
Caedite eos! Novit enim Dominus qui sunt eius...

paolo de gregorio ha detto...

Ma allora, se lo scopo dell'articolo era solo dimostrare che ogni tanto qualcuno con imprecisata condizione si sveglia, non avrebbero fatto prima a citare il caso di sei miliardi di persone che questa mattina (ora più ora meno), dopo essere stati incoscienti per alcune ore, sono tornati tra noi?

Giuseppe Regalzi ha detto...

Michele: non c'è bisogno di citare Salvatore Crisafulli - un caso peraltro non chiarissimo, visto che sembra avere più le caratteristiche della sindrome locked-in (le diagnosi sbagliate sono numerosissime, quando vengono fatte da medici non del tutto esperti). I casi di risveglio da stato vegetativo permanente esistono, anche se sono del tutto eccezionali; il record, documentato nella letteratura scientifica, che citavo in un post di qualche giorno fa, è di 30 mesi, maggiore quindi di quello attribuito a Crisafulli (ovviamente i pazienti rimangono poi in genere con gradi elevati di disabilità e di mancanza di autonomia, che come ci ricorda Leilani può essere proprio la condizione che uno vorrebbe evitare ancor più della mancanza totale di coscienza). Ciò che contesto sono i risvegli dopo decine di anni, che semplicemente non si sono mai verificati. Poi naturalmente uno può dire che esiste una probabilità infinitesima che Eluana Englaro si risvegli domani - sarebbe la prima volta nella storia, ma chissà; solo che in questo caso dovremmo rivoluzionare tutte le pratiche mediche, per tenere conto appunto delle probabilità infinitesime. Sotto con l'accanimento terapeutico, dunque: operare sempre, proseguire sempre con tutte le terapie disponibili, ad ogni costo e senza limiti. Hai visto mai che all'ultimissimo minuto non si verifichi una remissione di quel tumore o di quella condizione degenerativa? Le probabilità sono maggiori del risveglio di Eluana, in fondo...

Su tua suocera: nella maggioranza dei casi chi tenta il suicidio è una persona depressa, e quindi non in pieno possesso delle proprie facoltà mentali (oppure è un adolescente che non ha chiaro il significato della morte, ma questo chiaramente non è il caso di tua suocera...). Ignorando come stiano le cose nel caso particolare, siamo quindi autorizzati (anche se, significativamente, non obbligati) a prevenire il tentativo. Ma se tua suocera avesse ragioni profonde, non patologiche per farla finita, e se fosse magari al secondo o terzo tentativo, tu che faresti? Le staresti dietro per impedirglielo? La faresti internare? A me pare che qui l'intervento si tramuterebbe in violenza - violenza profonda, anche.

Giuseppe Regalzi ha detto...

Filippo: come mi pareva già di aver detto - ma forse non sono stato abbastanza chiaro - preferirei che i commentatori non fossero accolti su questo blog a suon di epiteti ingiuriosi. Grazie.

Anonimo ha detto...

@ Leilani

Non sono sicuro di aver capito bene il tuo pensiero. Quanto riporti dal sito di Crisafulli ("lui si sentiva vivo e partecipe e soffriva terribilmente senza poter comunicare all'esterno la sua atroce ed agonizzante pena"), ti fa "affermare con sicurezza che non [vuoi] trovar[t]i in una situazione del genere".

Nessuno di noi vorrebbe trovarsi in stato vegetativo permanente, ma nessuno può escluderlo. Allora le tue parole sembrerebbero significare che in quella situazione preferiresti si procedesse come previsto per Eluana. Ma questo significherebbe assistere come spettatore cosciente ma impotente alla decisione della tua eliminazione, nonché ai preparativi ed alla attuazione, sempre senza poter intervenire. Infatti Crisafulli scrive: "Sentivo i medici dire che la mia morte era solo questione di tempo, ed iniziavo ad aprire e chiudere gli occhi per attirare l'attenzione di chi mi stava attorno. I medici parlavano sempre di stato vegetativo permanente ed irreversibile, lo ribadivano e lo scrivevano."

Non sono sicuro di aver capito bene il tuo pensiero…

Michele Pezza da Itri

Anonimo ha detto...

La volontà di mia suocera

Caro Regalzi,

grazie per le parole d'incoraggiamento con cui chiudi il tuo messaggio: «l'intervento [per salvare mia suocera] si tramuterebbe in violenza - violenza profonda, anche.»

Grazie a te, ora so cosa fare nell'insperato caso di trovarla con la testa nel forno, il gas aperto, ma purtroppo ancora viva: se non fosse del tutto incosciente, una botterella in testa, piccola piccola, così per sicurezza; mi accerterò che il gas sia del tutto aperto; controllerò ed eventualmente sigillerò più accuratamente porte e finestre; e per finire mi metterò davanti alla porta perché la poveretta non venga disturbata da qualche sprovveduto! Magari non aspetterò il terzo tentativo, che dici? In fondo bisogna darle fiducia, che si è dimostrata sempre una decisionista di ferro.

Sto pure pensando di attivare una iniziativa di legge popolare che: a) vieti espressamente la lavanda gastrica negli ospedali in caso d'ingestione volontaria di sostanze letali e l'uso di cerotti cicatrizzanti su vene recise; b) preveda una liberatoria per i bagnini da far firmare al bagnante in difficoltà prima di poter procedere al suo salvataggio; c) preveda un'attrezzatura specifica per i vigili del fuoco che garantisca l'effetto letale dell'impatto sul selciato cittadino per colui che si vuol gettare dal terrazzo e, qualora l'altezza di lancio non venisse giudicata sufficiente allo scopo, una procedura d'ausilio per portarlo al minimo di legge con le scale mobili; d) ecc. scusate, ma così improvvisando, mi sono sfuggiti certamente altri casi degni d'attenzione, ma che poi mi verranno in mente.

Lasciando da parte i paradossi (serissimi, però), la tua risposta mi sembra che presenti alcuni aspetti problematici. Innanzi tutto, c'è un palese tentativo gratuito d'invalidare la volontà di una persona. Il procedimento è quasi un classico: lo si dichiara affetto da malattia mentale o appartenente ad una categoria "non abilitata" al pieno status di persona (in questo caso gli immaturi). Non perché sappiamo per certo che lo sia, ma proprio la sua decisione ci fa dedurre questo; comunque, intervenendo ci arroghiamo il diritto di sapere meglio di lui quale sia il suo bene. E quando ci troviamo davanti ad uno sconosciuto di cui non possiamo sapere nulla, motiviamo il nostro intervento con le ragioni della statistica… Ma il suicida è uno che vuole sfuggire a dolori per lui insopportabili: la depressione non è la causa di un giudizio errato, ma è il problema stesso da cui vuole fuggire. E non siamo neanche autorizzati a considerare di seconda categoria le sofferenze dell'adolescente per motivi d'amore (o altro): siccome noi le abbiamo superate, allora… ma così chi è ancora vivo può negare il diritto a chiunque di suicidarsi…

Prendo un rischio e provo a proporti un'interpretazione del tuo atteggiamento non chiaro nei confronti del suicida: la tua ragione ti porta a rispettare in toto la sua libera scelta, ma secoli di bigotta educazione cattolica ti hanno lasciato una specie d'incrostazione caratteriale (e da cui è ora di liberarsi) per cui il tuo primo ed irrazionale moto spontaneo è quello d'impedirne il suicidio.

Michele Pezza da Itri


P.S. Mia suocera era una dolcissima persona e non si è suicidata.

paolo de gregorio ha detto...

Stavo leggendo il dibattito, in parte fuori tema peraltro (come ci succede spesso qui), tra Michele da Itri e Regalzi. Intanto nella risposta di Michele credo che ci sia un fondammentale fraintendimento, che lo prota a stravolgere proprio il punto centrale di Regalzi: la domanda era se, per scongiurare rischi di suicidio della suocera, sarebbe giusto internarla per sempre e starle sempre appresso. Al giorno d'oggi queste pratiche sono inammissibili, se atte al solo scopo di impedire con la forza il gesto estremo. La questione era posta in quei termini proprio per porre la domanda non tanto se sia giusto salvare una persona da un tentativo di suicidio, ma se sia lecito privarla della libertà per avere la certezza che non si suiciderà.

Questo discorso di Regalzi mi sembra valido per chiarire che, depresso o non depresso, se uno non è in stato vegetativo permamente può sempre e comunque liberamente scegliere di farla finita, e non ci si può fare niente, perché se non riuscirà la prima riuscirà la seconda. Se invece una persona non può più muovere un proprio dito, sarà vincolata a non poterlo più fare.

Per quel che riguarda la rianimazione dopo tentativi di suicidio eccetera, effettivamente essa non è poi così banale. Esistono persone che poi hanno solo dovuto ideare un modo più sicuro, e magari più cruento, di andarsene. Altre ci hanno ripensato. Alle prime forse si è solo fatto un dispetto. La difficoltà sta anche nel difficile compito di discernere tra i due casi.

Direi anche che la cura che prestiamo ad uno che ha tentato il suicidio che è ancora in vita, secondo me, risponde molto spesso più ad un nostro bisogno che a quello del suicida, viene cioè fatto nel bene della comunità, delle coscienze e dei bisogni più che nel bene di quella persona, di cui si presume ma nella pratica ci si disinteressa.

La tendenza di massima è sempre quella del tentativo di convincimento del potenziale suicida a desistere, e molto più raramente quella di comprendere e non ostacolare le ragioni di quel gesto. Ma questa è solo la tendenza, la pratica, ma non dice nulla sul fatto o meno se il vero bene dell'aspirante suicida sia fare pressione per desistere oppure mostrare di avere comprensione per lo stato d'animo e per quel gesto, mostrando amore ma anche sodalizio. La prima cosa che sappiamo fare è applicare il nostro concetto di vita e del suo valore intrinseco all'altra persona, ma questo è un assunto indimostrabile: quella persona potrebbe non aver mai dato alcun valore di rilievo al fatto di essere viva, o comunque non come noi.

Tornando al tema, è da ribadire che comunque, anche se l'aspirante suicida viene di norma ostacolato se colto "in flagrante", o rianimato se non è deceduto, quel che la legge non consente di fare è rinchiuderlo e mettergli una camicia di forza, vale a dire la legge non può mai annullare, salvo situazioni casuali contingenti (qualcuno passava di lì), la volontà suicida della persona. Per la legge quindi è chiaro che anche in questo caso la salvaguardia della vita di una persona non soppianta mai, azzerandola, l'esercitazione libera della sua volontà. Nel caso di cui stiamo parlando la persona è nel letto e non può mettere in pratica la propria volontà, ed inoltre in questo caso particolare si parla di interruzione di cure.

Giuseppe Regalzi ha detto...

Caro Michele,

non capisco bene perché tu proponga quelli che chiami "paradossi serissimi": la cosa avrebbe senso se io avessi sostenuto che non bisogna mai salvare i suicidi: la tesi opposta a quella che di fatto sostengo. Forse hai lasciato sottinteso che infermieri, bagnini e vigili del fuoco non dovrebbero intervenire solo quando sanno che la vittima è già all'ennesimo tentativo? Certo, capisco, se tu lo avessi detto esplicitamente gli esempi avrebbero perduto la loro pungente verosimiglianza: uno non se lo porta appeso al collo quante volte ci ha già provato... Nella vita reale, comunque, chi vuole davvero farla finita non si riduce in queste situazioni macchiettistiche, e - a mio parere - la decisione obbligata per chi gli è vicino e sa che non c'è soluzione, è di lasciarlo andare.

Proseguendo: io non ho mai dichiarato nessuno "affetto da malattia mentale" in base alla "sua decisione". Se sostenessi che una persona è depressa in base al solo fatto che ha tentato di suicidarsi sarei abbastanza incoerente, non ti pare? Né riesco a capire quale sia la base della tua disapprovazione quando dici "E quando ci troviamo davanti ad uno sconosciuto di cui non possiamo sapere nulla, motiviamo il nostro intervento con le ragioni della statistica". Cosa c'è di male, visto che si tratta per definizione di una situazione provvisoria? E dove mai avrei dichiarato "di seconda categoria le sofferenze dell'adolescente per motivi d'amore (o altro)" in base al fatto che "noi le abbiamo superate"? Io ho detto che l'adolescente può non avere una concezione esatta della morte (cfr. la fantasia che si trova spessissimo in questi casi di assistere in qualche modo al proprio funerale). Sono illiberale se considero un minore incapace di scelte completamente mature? Dobbiamo concedere il diritto di voto ai tredicenni?

L'unica obiezione seria può essere quella sui depressi che si suicidano non a causa di un giudizio errato, ma per fuggire dalla depressione stessa. La mia risposta è che non si spiega allora perché persone affette da condizioni altrettanto serie (ma potenzialmente altrettanto guaribili) non si suicidano con frequenza paragonabile. Per quanto ne so l'ideazione suicida è un tratto caratteristico della depressione e non si può ridurre a una scelta razionale. Il caso può essere differente (o meglio, la differenza può diventare irrilevante) nelle depressioni refrattarie a ogni cura, tuttavia.

Anonimo ha detto...

@ michele: penso tu abbia capito, non riesco a immaginare quanto sia atroce restare bloccata per sedici anni in quella maniera.
Pensa se volessi morire, se volessi che smettesse e sentissi la gente condannarti ad altri trent'anni di stasi senza che tu possa dire niente, nè piangere, nè gridare.
Non lo sopporterei.

Anonimo ha detto...

@ Leilani
Fossi nelle condizioni di Crisafulli, cosciente e bloccata nel tuo corpo, il tuo desiderio sarebbe morire. Più che legittimo, ma non sembra tu abbia fatto lo sforzo necessario per metterti nei panni di Crisafulli, il quale, al contrario, voleva assolutamente vivere ed era costretto ad assistere impotente alla condanna ed all'abbandono da parte dei medici. Figuriamoci se avesse dovuto assistere impotente alla decisione di lasciarlo morire, ai preparativi per farlo ed all'esecuzione (la parola è sinistra, ma l'italiano la pretende). Questa sì che sarebbe una situazione agghiacciante, degna di Poe (mi sembra di ricordare che una novella su questo tema l'abbia proprio scritta).

Ammettiamo che nel caso di Eluana si arrivi a questo (a parte la coscienza o meno di cui non possiamo essere certi), vorrei conoscere il tuo pensiero sulle modalità scelte: non sarebbe più logico, economico e forse caritatevole un'iniezione letale?

Michele Pezza da Itri

Anonimo ha detto...

Infatti non parlavo di Crisafulli: parlavo per me. Non vorrei mai finire come in Johnny got his gun, sempre andando per esempi artistici. "A fate worse than death" è una frase che riassume il mio pensiero a riguardo e bada che sto parlando esclusivamente per me stessa.
Eluana al tempo pare la pensasse allo stesso modo.

Quanto alle modalità, sì. Io sarei per l'iniezione letale. Trovo ipocrita la sospensione di cibo e acqua: comunque sia morirà e allora tanto vale farlo nel modo meno doloroso possibile.

Anonimo ha detto...

@ paolo de gregorio
@ Giuseppe Regalzi

Il mio esempio della suocera aspirante suicida era evidentemente e chiaramente orientato a discutere la legittimità di impedirglielo all'atto del suicidio stesso, anche con la forza. Figuriamoci se non possiamo che essere d'accordo che non si può togliere la libertà a nessuno per impedirgli il suicidio! E non siamo in disaccordo neanche sui minorenni, infatti li abbiamo classificati per definizione in una categoria "non totalmente abilitata".
E' rilevante il tema del suicidio nel caso di Eulana? Credo lo sia nel momento che uno degli elementi cardine della sentenza mi pare sia stato proprio l'individuazione ed il rispetto della sua volontà e nulla come il suicidio evidenzia il contrasto tra questa società e la volontà del soggetto. Infatti, per rimanere con i piedi per terra, dobbiamo prendere atto che tutto il nostro sistema giuridico protegge in modo speciale alcuni beni dichiarandoli non disponibili; tra questi il più rilevante è proprio il bene della vita, insieme a pochi altri, quali, ad esempio, la libertà. Fino ad ora è stato così.
Gli esempi che a Regalzi sembrano macchiettistici, evidenziano che vogliamo fare una vera e propria rivoluzione ed è inutile nascondersi dietro arzigogoli dialettici. Mi meraviglio assai che non si abbia il coraggio di dichiarare in modo esplicito che volere l'eutanasia (almeno sotto forma di suicidio assistito o non) sia una radicale contrapposizione rispetto al tradizionale sentire. Rifugiarsi nel dire che in fondo già è compreso nel diritto al consenso informato, è un po' puerile.
Ci sono solo tre ipotesi: 1) il suicidio non è mai consentito, cioè la situazione attuale; 2) è decisiva la volontà inappellabile della persona nell'esercizio della sua libertà; 3) ci vuole la volontà della persona, ma a certe condizioni oggettive.
La terza soluzione mi sembra una vera presa in giro: ancora una volta ci affideremmo ad una casta burocratica di "esperti" che giudicherebbero chi può e chi non può (e la storia è lì ad ammonirci che spuntano fuori sempre gli "esperti" peggiori…).
A me sembra che l'unica scelta possibile sia tra il mai e la libera determinazione della volontà. Onore al merito a Maurizio, che nel post della porta accanto "Rocco (Buttiglione) e i suoi fratelli" l'afferma chiaramente, senza ipocrisie e con crudezza e che riporto quasi integralmente: «Ciò che conta dovrebbe essere solo la volontà di Eluana. Se io dichiaro che puoi uccidermi tra 10 minuti, ti conferisco il diritto di uccidermi tra 10 minuti e nessuno ha il diritto di opporsi se tu lo fai. Se dichiaro che tu puoi uccidermi nel caso io diventi un vegetale, tu acquisti il diritto di uccidermi in quel caso. Diritto che in origine tu non possiedi, e spetta solo a me. Ma che io ti posso trasferire poiché il mio corpo appartiene a me. (Analogamente, se sono proprietario di una matita, ti posso dare il diritto di usarla o di distruggerla).»

Michele Pezza da Itri

paolo de gregorio ha detto...

"nulla come il suicidio evidenzia il contrasto tra questa società e la volontà del soggetto."
Ma io non capisco una cosa. Come mai in queste discussioni si omette spesso proprio il punto cardine e fondamentale che rende la situazione di cui si discute speciale? Ovvero lo stato eccezionale in cui l'individuo versa? Quello di cui parliamo è esattamente il fatto che ci troviamo di fronte una situazione diversa da quella che comunemente intendiamo e percepiamo come vita personale, ed è questa l'eccezionalità e particolarità. Va bene fare paragoni ogni tanto, ma intentare l'intero ragionamento proprio sulla rimozione di quell'elemento mi pare un po' inconcludente.

"dobbiamo prendere atto che tutto il nostro sistema giuridico protegge in modo speciale alcuni beni dichiarandoli non disponibili; tra questi il più rilevante è proprio il bene della vita, insieme a pochi altri, quali, ad esempio, la libertà. Fino ad ora è stato così."
Sì ma la libertà viene difesa talvolta anche a scapito del bene della vita, cioè è superiore anche ad essa, nel senso che la società non ha possesso indiscriminato della vita biologica delle persone solo perché al di là del guado vi è la morte di quelle stesse persone. Ribadiamo per l'ennesima volta che un medico che mi obbligasse con la forza ad una terapia contro la mia libera volontà, anche qualora questo intervento discriminasse tra la mia vita e la mia morte, sarebbe fuorilegge. E questo anche se si trattasse di un banale sondino.

"Gli esempi che a Regalzi sembrano macchiettistici"
Intendiamo bene? Uno nei propri esempi rimuove del tutto l'elemento cardine e centrale della discussione e poi dice agli altri di fare esempi macchiettistici?

paolo de gregorio ha detto...

Sorry, avevo inteso male, si può rimuovere a mia ultima domanda retorica...

Giuseppe Regalzi ha detto...

@Michele:

"tutto il nostro sistema giuridico protegge in modo speciale alcuni beni dichiarandoli non disponibili".
Non sono un grande giurista, ma mi chiedo se davvero tutto il nostro sistema giuridico dichiari la vita un diritto non disponibile - o meglio se questa indisponibilità sia così fortemente incardinata nell'ordinamento. A quando ne so le uniche norme su cui si basa sono quelle che proibiscono l'omicidio del consenziente e il suicidio assistito (che potrebbero in teoria essere abrogate anche domani per legge ordinaria). Se ce ne sono altre mi piacerebbe sapere quali sono.

"Gli esempi che a Regalzi sembrano macchiettistici, evidenziano che vogliamo fare una vera e propria rivoluzione ed è inutile nascondersi dietro arzigogoli dialettici"
Qui di nuovo sembri implicare che io voglia impedire a chiunque di salvare i suicidi - i tuoi esempi si riferivano a questo. Non capisco...

"Mi meraviglio assai che non si abbia il coraggio di dichiarare in modo esplicito che volere l'eutanasia (almeno sotto forma di suicidio assistito o non) sia una radicale contrapposizione rispetto al tradizionale sentire. Rifugiarsi nel dire che in fondo già è compreso nel diritto al consenso informato, è un po' puerile."
Nel caso di Eluana è palese che nessuno sta proponendo una forma di suicidio assistito. Il "comune sentire" non è mai un grande argomento in una argomentazione razionale, ma per quel che valgono, i sondaggi sono abbastanza unanimi, a quanto sento, nel rivelare una maggioranza a favore della sospensione delle cure. E che questa sia già compresa nel diritto al consenso informato non è affatto puerile ma si ricava da solidissime argomentazioni giuridiche (le hai lette le sentenze sul caso Englaro?).

"ci vuole la volontà della persona, ma a certe condizioni oggettive".
E io dove avrei sostenuto questa posizione? Dovei avrei detto che dovremmo affidarci "ad una casta burocratica di 'esperti' che giudicherebbero chi può e chi non può"? Il diritto di rifiutare le cure è chiaramente illimitato (fatti salvi come al solito eventuali danni concreti a terzi), e lo è non solo per me ma anche per diverse corti di giustizia che si sono espresse negli ultimi anni su questioni come queste.

paolo de gregorio ha detto...

P.s.:
"ancora una volta ci affideremmo ad una casta burocratica di "esperti" che giudicherebbero chi può e chi non può"

Curioso come comunque le persone cambino visuale con facilità: coloro ai quali di fatto lasciamo in mano la nostra vita senza riserve ogni giorno, fino a renderli meritevoli di buona parte del motivo per cui viviamo cinquanta anni più a lungo di quanto sarebbe naturale, diventano magicamente "burocrati" in altre circostanze. Il pediatra che somministra i vaccini salvavita a mio figlio è una brava persona, il chirurgo che sistema un cuore, o le arterie, o un'appendice è una persona in gamba, però sono anche "burocrati" quando devono occuparsi di cose che non mi vanno a genio. Per caso Michele da Itri il proprio tesserino sanitario l'ha buttato nel gabinetto? Oppure continua ad affidare la propria salute a dei burocrati?
Mi chiedo: ma se sono burocrati, ma perché mai ci fidiamo del loro giudizio per centinaia di volte durante le vite nostre e dei nostri cari? Ma siamo diventati tutti masochisti?

Anonimo ha detto...

Michele Pezza,
le questioni che sollevi nei tuoi ultimi post mi fanno venire i brividi: a me non pare nemmeno lontanamente in discussione il mio diritto a suicidarmi quando, come e perché mi pare, visto che sono un adulto nel pieno possesso delle mie facoltà.

Magar

Anonimo ha detto...

Notevole come questo personaggio riesca ad indirizzare le discussioni su tematiche non attinenti. Questo post poneva un problema inerente l'interruzione delle cure, cui può essere giustificato, diciamo opportuno, agganciare il discorso dell'eutanasia. Da considerare quest'ultima ne' più ne' meno che una procedura medica, disponibile nel bagaglio di opzioni a disposizione del medico, che il medico dovrebbe poter proporre quando ne ravvisa le indicazioni e che il paziente dovrebbe poter accettare o meno. Come per qualunque altra procedura medica, dalla somministrazione di un'aspirina ad un intervento di esclusione di un aneurisma cerebrale. Per i quali ci si affida ai medici, questi burocrati.
Quale sia il collegamento con la suocera del nostro non è dato a vedersi.

* * * *

Giuseppe: argomento già affrontato, 6-5-08 ore 02.01, prima frase del secondo paragrafo, e non si poteva essere più chiari.

Comunque, sarà come per Garibaldi a Teano, giusto per non ritrovarsi sempre nel ruolo del parafulmine.

Anonimo ha detto...

@ Magar con i brividi

Quando deciderai di suicidarti, organizzati bene ed evita il tuo "prossimo" che potrebbe volerti salvare…
A te non pare in discussione il tuo diritto di suicidarti, ma per la legge non è affatto così lapalissiano dal momento che obbliga a salvarti chiunque sia in grado di farlo… vedi un po' come regolarti…

Michele Pezza da Itri

Anonimo ha detto...

@ Giuseppe Regalzi
@ paolo de gregorio

Mi sembrava che la mia analisi di tre sole possibilità sulla legittimità del suicidio (mai, a certe condizioni, sempre) non solo copra tutte le possibilità logiche, ma di fatto comprenda anche le vostre posizioni e che quindi non penso di aver trascurato o rimosso. Nella seconda ipotesi (legittimo a certe condizioni) paolo troverà spazio per tener conto dello stato eccezionale in cui l'individuo versa. Per Giuseppe, invece, non riesco a comprendere bene la sua di posizione. Non mi sogno di dire che tu voglia impedire di salvare i suicidi; chiedevo solamente. Sono io che sostengo, esclusivamente sul piano logico, che se la legittimità del suicidio si fondasse sulla sola volontà, allora dovremmo considerare reato il salvataggio degli aspiranti suicidi.

Anch'io non sono un gran giurista, ma la proibizione dell'omicidio del consenziente ed il suicidio assistito mi sembrano già più che sufficienti. Si potrebbero probabilmente aggiungere la nullità di contratti che prevedano la morte di qualcuno come corrispettivo di qualcos'altro, di qualsiasi genere sia: un modo per ottenere una cosa del genere sarebbe quello di frodare l'assicurazione (ci hanno fatto un sacco di film).

E' invece in discussione, anche a livello internazionale, il punto che date per scontato, ossia se il medico sia tenuto a rispettare sempre e comunque i desideri precedentemente espressi. Mi rifaccio all'art. 9 della Convenzione di Oviedo che sembra fatto apposta per il caso Eluana: "I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione." L'articolo in modo evidente lascia l'ultima parola al medico ed alla sua deontologia.

Michele Pezza da Itri

Anonimo ha detto...

Sulla casta di burocrati

Vedo che la "casta di burocrati" è stata assimilata ai medici. Non era il mio pensiero. Se si devono stabilire quali siano le condizioni oggettive che rendono legittima l'uccisione di un essere umano (tanto per chiamare le cose con il suo nome), si dovrà innanzi tutto definire queste "condizioni oggettive". Significa che la società si dovrà esprimere a priori su quali siano le condizioni minime per considerare una vita "degna di essere vissuta". Ed ecco attivarsi il processo politico-medico-burocratico per arrivare a questo obiettivo. Poi ci dovrà essere il controllo del processo, che sarà ancora una volta una storia medico-burocratica.

Ma non è necessario, credo, portare esempi per illustrare come sia stato usato nella storia il concetto di "vita degna di essere vissuta"

Michele Pezza da Itri

Giuseppe Regalzi ha detto...

Michele: a me non pare proprio che la legge obblighi in generale chiunque sia in grado di farlo a salvare un aspirante suicida. Molto dipende dalle circostanze e dalle qualifiche di chi si trova ad assistere, ma un obbligo generale non c'è - né potrebbe esserci, mi sembra.

Sul suicidio mi pareva di essere stato chiaro: nell'ignoranza sulle motivazioni del suicida è corretto tentare di salvarlo. Quando le motivazioni invece sono note e non dipendono da uno stato mentale alterato o da un impulso momentaneo, impedire il suicidio è in generale un atto immorale e una forma di violenza grave, che a mio parere dovrebbe idealmente essere sanzionata dalla legge.

Sul diritto indisponibile mi pare che tu confermi quanto dicevo io: l'indisponibilità non è affatto incardinata profondamente nel nostro ordinamento, visto che le leggi su omicidio del consenziente e sul suicidio assistito potrebbero essere cancellate per via ordinaria in un batter d'occhi.

La Convenzione di Oviedo non brilla certo per chiarezza di esposizione. A me pare che quello che molti vogliono fare nel caso di Eluana sia proprio di "non prendere in considerazione" le volontà della ragazza; probabilmente il dettato della Convenzione dipende dal desiderio di lasciare l'ultima parola al medico sugli aspetti tecnici (per esempio nel caso che nuove tecniche meno invasive rendano obsoleti i desideri del paziente), non certo in quelli che riguardano i giudizi di valore. Comunque la Costituzione Italiana copre più o meno la stessa materia.

Infine non capisco perché mai qualcuno debba "stabilire quali siano le condizioni oggettive che rendono legittima l'uccisione di un essere umano". Quello che vogliamo è che ogni essere umano possa decidere da solo, non certo che a scegliere per lui sia un comitato. Chi annulla la possibilità stessa della libertà per demandarla agli 'esperti' (nel caso il medico con "la sua deontologia") è chi la pensa come te, non chi la pensa come noi.

Anonimo ha detto...

Una sentenza recente…

Penso di dare un contributo riportando testualmente i punti essenziali di una sentenza del 2007 che definisce chiaramente i requisiti inderogabili perché sia legittimo il rifiuto di un trattamento terapeutico:

1) il rifiuto di una terapia o il rifiuto di continuarla deve innanzitutto essere personale, ovvero deve promanare dal titolare stesso del diritto alla vita che potrebbe essere pregiudicata o che sarà pregiudicata, in quanto a nessuno è consentito decidere della vita altrui senza incorrere nei divieti della legge anche penale.

2) Pertanto, non potranno esercitare tale diritto per conto del malato il rappresentante legale del minore o dell'infermo di mente, in quanto egli ha titolo solo per effettuare interventi a favore e non in pregiudizio della vita del rappresentato, né hanno giuridicamente potere di rappresentanza in materia i familiari dell'interessato.

3) Altro requisito del consenso o del dispenso è che per essere valido deve essere consapevole ovvero informato, incidendo esso su diritti essenziali dell'individuo. Infatti, quest'ultimo ne può disporre solo se pienamente consapevole ovvero informato, incidendo esso su diritti essenziali dell’individuo.

4) il rifiuto deve essere autentico ovvero non apparente, non condizionato da motivi irrazionali, ad esempio la paura, deve essere effettivamente attribuibile alla volontà del soggetto e quindi non frutto di costruzione o di suggestione di alcun tipo esercitata da terzi

5) deve essere strettamente collegato a concrete situazioni personali del malato, ad esempio la sofferenza causata dal male o l’incurabilità della malattia, ecc, e non legato a superstizioni, pregiudizi o altro

6) È necessario, altresì, che il rifiuto sia reale e, segnatamente, sia compiutamente e chiaramente espresso e non sia semplicemente desumibile dalla condizioni di sofferenza o dalla gravità del male

7) Altro importante requisito allo stato della legislazione, è costituito dall’attualità del rifiuto, non essendo sufficiente che la persona abbia espresso precedentemente la sua volontà in tal senso, in quanto, attesi l’essenzialità dei diritti sui quali è destinato ad incidere ed il collegamento di tali decisioni a condizioni, anche interiori, mutevoli, il rifiuto di una terapia salvavita può essere revocato in qualsiasi momento e quindi deve persistere nel momento in cui il medico si accinge ad attuare la volontà del malato

Michele Pezza da Itri

Anonimo ha detto...

Mi accorgo solo adesso di non aver indicato quale sia la sentenza da cui ho preso le condizioni di validità di espressione del consenso informato e provvedo ora: è la sentenza di archiviazione del procedimento con il dott. Riccio che aveva "staccato la spia" di Welby (Ottobre 2007).

Michele Pezza da Itri

Anonimo ha detto...

@ Giuseppe Regalzi

Non capisco perché non vuoi far chiarezza: tu affermi semplicemente che la volontà di porre fine alla vita è sufficiente e deve essere rispettato da chiunque. Dici infatti che «Quello che vogliamo è che ogni essere umano possa decidere da solo, non certo che a scegliere per lui sia un comitato». E' solo per capire con esattezza la tua posizione.

Legittimissimo. Ma incoerente con il salvataggio dei suicidi, ossia di coloro che hanno manifestato nel modo più incontrovertibile possiible, cioè con l'attuazione stessa, la loro volontà. Che ci sia l'obbligo giuridico di salvarli per chi ne ha la possibilità è evidente: se trovi una persona agonizzante perché ha ingerito i barbiturici e ti limiti ad assistere alla sua morte, ti beccherai un processo almeno per omissione di soccorso. Le tue motivazioni per giustificare il salvataggio «nell'ignoranza sulle motivazioni del suicida», francamente non sono accettabili. Se affermi che l'importante «è che ogni essere umano possa decidere da solo», allora pretendere che le motivazioni siano note così da poter giudicare che «non dipendono da uno stato mentale alterato o da un impulso momentaneo» significa contraddirsi: lui ha scelto e tu ti riservi il diritto di giudicare se le sue motivazioni sono adeguate. Semplicemente repressivo e liberticida.

Quello che non capisco è perché tu mi attribuisca proprio quella tesi che ho rifiutato senza equivoci, ossia quella di demandare ad esperti.

La Convenzione di Oviedo non ti piace, ma quel che dice si capisce abbastanza bene.

Infine, è ovvio che le leggi si possono cambiare, ma fino a che non vengono cambiate…

Michele Pezza da Itri

Giuseppe Regalzi ha detto...

Michele: il punto che non tiene del tuo ragionamento è proprio questo, che la volontà si possa manifestare "nel modo più incontrovertibile possibile, cioè con l'attuazione stessa". Francamente non vedo come si possa affermare una cosa del genere: il malato di mente che spende i risparmi di una vita in caramelle sta manifestando la propria volontà? O il bambino che decide di poter volare come Superman e si lancia dal quinto piano? E se dico che queste sono manifestazioni di una volontà non libera della persona allora sono "repressivo e liberticida" e mi sto arrogando il "diritto di giudicare se le sue motivazioni sono adeguate"? Andiamo, su! E se in condizioni di emergenza e di oggettiva ignoranza presumo che il suicida stia agendo in maniera non libera - visto che nella maggioranza dei casi proprio di questo si tratta! - cosa cambia rispetto a quei casi?

Sull'obbligo di salvare i suicidi: io ho sostenuto che non esiste un obbligo generale. Non incorre nel reato di omissione di soccorso chi non si tuffa dietro quello che si è buttato nel Tevere da Ponte Sisto; né quello che non si avventura sul cornicione da dove l'aspirante suicida sta per gettarsi (anche se è vero che sussiste un obbligo di avvertire le autorità). Banale, se vuoi, ma è così. Meno banale è invece che non sussiste l'obbligo di internare qualcuno che in assenza di una conclamata patologia psichica annuncia che riproverà a suicidarsi.

Infine, la tua interpretazione della Convenzione di Oviedo porterebbe al paradosso di un medico che potrebbe sempre rifiutarsi di seguire le volontà espresse del paziente, semplicemente asserendo di "averle prese in considerazione" - affermazione popperianamente inconfutabile. Questo mi fa pensare che nonostante la lettera infelice l'interpretazione della norma debba essere un po' più restrittiva.

paolo de gregorio ha detto...

Mi sembra che entrambi vi stiate accanendo su una questione totalmente secondaria: è ovvio che la legge obblighi al soccorso di una persona, ma che l'obbligo sussita solo se esso non comporti un rischio grave anche per il soccorritore. Se la persona da salvare sia un suicida o meno non conta, in questo senso. Ma questo non risolve nulla: stiamo continuando ad omettere il punto centrale della questione, ovvero determinare come agire se la persona non sia in grado di disporre liberamente del proprio corpo. Quando invece l'aspirante suicida ha libero possesso del proprio corpo, questi potrà provarci e riprovarci tutti i giorni, anche se sarà salvato.

La legge non fa altro che non prevedere come caso speciale quello in cui la vittima stia tentando il suicidio rispetto ad altri. Del resto non ne ha bisogno di fare questa distinzione, visto che salvare una persona che abbia libero controllo sul proprio corpo, anche un suicida, non vuol dire obbligare quella persona a restare viva fino alla vecchiaia contro la propria volontà. La legge non fa altro che evitare al cittadino comune di dover fare in un battito di ciglia una valutazione grave e potenzialmente irreversibile, sull'onda di una situazione concitata e priva degli elementi sufficienti per operare una valutazione oggettiva e completa. È semplicemente logico, punto.

Che si abbia diritto a morire lo si vede anche dal fatto che se uno si salva non può essere incriminato per tentato suicidio. Lo avevo già scritto altrove qui. Quindi, casomai, è da questo che si vede che io della mia vita posso disporre, dato che se attento alla mia non vengo incriminato, diversamente che se attento a quella degli altri. Quindi il fatto che la legge preveda il soccorso da parte di chi assiste è di secondaria importanza, perché nella sostanza la mia volontà rimane salvagruardata. Le leggi non sono perfette, sono empririche.

E ribadisco, perché su questo punto non ho avuto risposta, perché Michele da Itri continua a confondere le acque parlando di suicidio: il paragone da fare, casomai, è se la legge obblighi o meno un cittadino a immettere agenti esterni nel corpo di un altro cittadino, magari con la forza, palesemnte violando la volontà, in una situuazione di lucidità del "paziente". Anche in questo, qui si parla di una situazione totalmente diversa dal suicidio. Quando si potrà parlare di eutanasia allora parleremo di queste cose, intanto non sarebbe male come prima cosa districarci su altre questioni ancora più basilari ed elementari.

paolo de gregorio ha detto...

Un'aggiunta: ovviamente anche la straordinarietà della situazione ha un suo ruolo fondamentale. Non si può giudicare come normare il diritto rispetto a persone che si trovano in condizioni eccezionali facendo paragoni con persone nel pieno possesso del loro vigore e della loro libertà, come molti di noi, inclusi gli aspiranti suicidi. Trovo volgare poi ironizzare su temi come "sappiamo quando si sviluppò il concetto di vita degna di essere vissuta". Qui, miei cari, stiamo parlando della sofferenza, fisica e/o psicologica di persone in carne ed ossa, e della loro libertà di scelta.

Omettere l'eccezionalità della condizione di sofferenza dovrebbe portare tutti gli attivisti della "vita ad ogni costo" a fare una campagna per l'eliminazione delle pillole per il mal di testa, e di ogni antidolorifico, ogni lenitivo. Fino all'eliminazione totale di ogni intervento, che so, per ripristinare una mobilità perduta. Infatti, secondo quella logica che professa la non sussistenza di alcuna eccezionalità e particolarità in una vita inondata dalla sofferenza, non vi sarebbe eccezionalità alcuna in nessuna forma di dolore e menomazione. E quindi non dovremmo mai intervenire, né per riparare un arto, né per attenuare un dolore (che si badi può essere cronico).

Se si interviene per un semplice mal di testa non si sta per caso ammettendo che la condizione di sofferenza è innatuurale e da combattere? È perché quando questa è cronica e incurabile torna ad essere del tutto ovvia e baturale?

Fare grandi discorsi omettendo tutte queste particolarità è il contrario del pensare e ragionare "umano". Le norme e le leggi non sono fredde e asettiche. Anzi, caro Michele da Itri, è proprio nel fatto che distinguono tra un suicida comune e una persona in stato vegetativo persistente che mostrano il loro tratto umano, che mostrano di non essere state generate dai bit di un computer.

Anonimo ha detto...

Si continua a battere su un argomento, il suicidio, che non è in tema con quanto è in discussione. E che porta sempre più lontano dal problema, le tematiche di fine vita, la cui discussione non può che rimandare all’opportunità di comprendere nella pratica medica l’eutanasia, e all’urgenza di introdurre disposizioni legislative che prevedano delle forme di testamento biologico aventi forza di legge.
Attribuire a Eluana una richiesta di suicidio, e iniziare a discutere della liceità o della legittimità di fronte alla legge del suicidio, costituisce un proditorio tentativo di sviare il discorso, probabilmente in mancanza di argomenti migliori. Perché chi decide per il suicidio non sta a porsi il problema della liceità del suo gesto. Lo mette in pratica, e le motivazioni sono solo sue. E perché Eluana non ha mai espresso l’intenzione di suicidarsi. La richiesta di Eluana nasceva dall’eventualità, poi purtroppo verificatasi, di venire a trovarsi in una situazione patologica ben precisa. La presenza di un quadro patologico, comunque, richiede ipso facto l’ingresso in campo della figura del medico, per prendere atto della situazione e riscontrare la presenza o meno delle indicazioni per il ricorso a determinate procedure mediche. Tra queste possibili procedure noi riteniamo si debbano includere anche le procedure di eutanasia. Cui ricorrere in presenza delle relative indicazioni, la cui individuazione resta di esclusiva competenza medica. Trattandosi di procedura medica, intrapresa come ogni altra procedura medica nel miglior interesse del paziente, il parere del medico è quindi vincolante, anche se non sufficiente in assenza del consenso del paziente. O del suo tutore, nei casi in cui è previsto un tutore.
Allora la vera domanda dovrebbe essere se sia giusto, come noi riteniamo giusto, introdurre delle procedure di eutanasia nell’armamentario del medico italiano, come in quello del medico olandese per esempio. E se no, per quale motivo. E ancora, se sia giusto introdurre delle disposizioni testamentarie per chiedere, in determinate situazioni, di non essere sottoposti a trattamento medico. E se no, per quale motivo. Diverso il discorso per la sospensione delle cure, perché in quel caso il medico già adesso non ha alcuna voce in capitolo sulle decisioni del paziente, che può rifiutare qualunque terapia in qualunque momento.
Questo ci sembra più interessante e pertinente della discussione su come comportarsi in caso di intenzioni suicide, della suocera di cui sopra per esempio.

Per inciso.
L’articolo 9 della convenzione di Oviedo, così come è stato citato, sembra pennellato apposta per la vicenda di Eluana. Solo che ci sono voluti 16 anni per trovare qualcuno disposto a prenderne in considerazione “i desideri precedentemente espressi”.
Sei punti su sette della sentenza Riccio si possono perfettamente sovrapporre al caso di Eluana. Per il settimo ed ultimo, si torna all’opportunità di introdurre una legge che preveda la possibilità di redigere un testamento biologico. I cattolici integralisti sono tanto ostili anche solo a discuterne per questioni di principio, per obbedienza al dettato vaticano, per una fraintesa forma di pietà, o perché consapevoli della posizione degli Italiani, nettamente contrari alle loro ubbie e favorevoli all’eutanasia in percentuali che, nei sondaggi, oltrepassano sempre i due terzi degli intervistati?

Anonimo ha detto...

Il suicidio c'entra, eccome!

Non capisco come si possa dire che il suicidio sia fuori tema: se le parole hanno un senso è una volontà ed un'azione (o mancata azione) che porta alla morte di sé stesso. E il caso di Eulana lo si vorrebbe ricondurre proprio a questo. Poi possiamo fare i giochi di parole e cercare di dire che non sia così.

L'obbligo di soccorrere il suicida esiste ed è assoluto. Gli esempi che fa Giuseppe sono basati sull'impossibilità o la straordinarietà dei modi, come il tuffarsi da ponte Sisto o il passeggiare sui cornicioni. Ma anche (per usare le tue parole): «Quando le motivazioni invece sono note e non dipendono da uno stato mentale alterato o da un impulso momentaneo» sarà vero forse per te che «impedire il suicidio è in generale un atto immorale e una forma di violenza grave, che a mio parere dovrebbe idealmente essere sanzionata dalla legge», ma oggi se puoi salvarlo e non lo fai ti mandano sotto processo. Vedi un po' se al pronto soccorso non ti fanno la lavanda gastrica anche nelle tue ipotesi!!!

Bisogna riformare la legge? Si vedrà, ma per ora è questa.

Michele Pezza da Itri

Giuseppe Regalzi ha detto...

Michele (ma un nome vero non si potrebbe avere o uno pseudonimo meno improbabile? Maurizio, o Cristiano, o che so... Uno si sente un po' cretino a chiamarti con quel nome), sei passato dal piano etico-morale a quello giuridico, adesso. Il suicidio può riguardare il primo piano - su questo sono propenso a darti ragione - ma sul secondo non c'entra proprio nulla. Tecnicamente, l'art. 593 c.p. deve cedere di fronte a diritti costituzionali come quelli garantiti dall'art. 32 o 13 Cost.

Anonimo ha detto...

L'impressione è che non siamo noi quelli che si dedicano ai giochi di parole.
E che sfuggono alle domande, specie se precise.

...se è giusto, come noi riteniamo giusto, introdurre delle procedure di eutanasia nell’armamentario del medico italiano, come in quello del medico olandese per esempio. E se no, per quale motivo. E ancora, se è giusto introdurre delle disposizioni testamentarie per chiedere, in anticipo e in determinate situazioni, di non essere sottoposti a trattamento medico. E se no, per quale motivo...

paolo de gregorio ha detto...

Insomma quello della nostra povera Eluana è un suicidio, e noi saremmo ipocriti a voler cambiarne il nome. Straordinario a questo punto appare non solo il fatto che alcuni giudici si siano pronunciati contra legem, ma anche che un intero parlamento ricorra alla sollevazione di un conflitto di attribuzione, quando in realtà la legge già c'è ed è stata più banalmente mal applicata. Ci sono già tutte le leggi, mi pare, secondo Michele. Straordinario anche che il papa si scomodi, visto che per tante altre sentenze sbagliate non si faccia mai un gran baccano, e questa è appunto una sentenza che ha ribaltato numerosi articoli di legge già esistenti.

Per istigazione al suicidio, a occhio e croce, dovrebbero ora andare in galera un qualche milione di italiani. Tutto ciò è straordinario, mentre l'opinione di Michele è ordinaria, l'unica peraltro ad essere ordinaria.

Eluana poi, a ben vedere, in effetti di propria volontà ebbe l'incidente, e quindi sta tentando di suicudarsi, ed imperterrita lo fa ancora ora, e solo noi siamo dei cretini a non vedere ciò, come invece fa Michele da Itri. Se poi accusiamo di cinismo ideolgico questo personaggio a corto di argomenti diventiamo certamente eugenetici nazisti, o qualcosa del genere.

Ma guai a parlare dell'argomento del post. L'importante è che da trenta messaggi si parli di suicidi, per parlare d'altro. Va bene il paragone, ma qui il paragone è diventato il centro dell'argomento.

A questo punto non rimane che coprire di ridicolo una persona con cui si è tentato di ragionare. Una persona che, deduciamo dal suo silenzio sulla questione da me posta, considera tanto così poco degne di essere vissute le vite col mal di testa, tanto che egli non si ribella al fatto che una persona con questo male, con cui secondo noi si potrebbe vivere benissimo, abbia accesso a questi farmaci. Il farmacista che vende la pillolina per il mal di testa è anche chiaramente un nazista, perché considera le persone col mal di testa degli esseri inferiori.

E last but not least, il nostro Michele vedrebbe sicuramente volentieri dietro il gabbio quei criminali dei medici oncologi che acconsentono a non sottoporre a forza i propri pazienti alle chemio che, non di rado, salvano vite. E così, è chiaro, ce lo ha spiegato Michele Pezza da Itri con Fiumi di parole, essi (i medici) assistono ad un suiciodio senza intervenire. Ce lo ha spiegato Michele Pezza da Itri con argomenti sensazionali.

Anonimo ha detto...

Un minimo di comprensione, please…

Cerco di rispondere a tutti, ma il tempo è poco… provo un po' alla rinfusa come viene.

@ Regalzi: non capisco perché ti risulti difficile chiamarmi Michele… potrebbe anche essere il mio vero nome e contemporaneamente riferirsi a Frà Diavolo; sono affezionato al valore simbolico rappresentato da questo pseudonimo e desidero mantenerlo. Chiamatemi Michele, come già fate.

@ paolo de gregorio: ti lamenti che io non ti abbia risposto, credo alle considerazioni sull'eccezionalità delle condizioni. Pensavo di averlo fatto includendo l'opzione del "si può, quando si è in particolari condizioni oggettive (appunto, eccezionali)." Sull'uso perverso da parte del potere quando ha definito le vite non degne di essere vissute, non ironizzo affatto, anzi! sono preoccupatissimo, anche di fronte a casi eccezionalissimi. Mi scuso di non aver notato per la fretta che avevi individuato perfettamente il problema dell'obbligo di salvare l'aspirante suicida. Non mi riconosco e non riconosco nessuna consequenzialità logica nel vietare la pillola per il mal di testa: non sono per la vita ad ogni costo, essendo contrario come tutti all'accanimento terapeutico e si può legittimamente essere in disaccordo sul fatto che il caso di Eluana corrisponda ad accanimento terapeutico. Il buffo è che per "garantire un adeguato e dignitoso accudimento accompagnatorio della persona [sentenza Englaro]", poi si sceglie il modo più ipocrita per uccidere Eluana. Perché una modalità così assurda di ammazzare una persona? Perché la natura faccia il suo corso? Crudele e contraddittorio.
Le leggi attuali, a mio parere, non consentirebbero l'uccisione di Eluana, ma siamo qui per discutere se modificarle. Non capisco perché vogliate tutto: le leggi vanno modificate, ma quelle attuali già vanno bene… non mi sembra che funzioni. Sembra che avremo la legge sul testamento biologico entro l'anno, per cui avremo certamente la possibilità di giocare a fare i legislatori.
Ripeto che non mi è chiarissima quale sia la questione alla quale non abbia voluto rispondere, ma se me la indicherai cercherò di provvedere.

@ filippo
Suicidio, suicidio assistito ed eutanasia su richiesta dell'interessato: quale sarebbe la profonda differenza? Giochi con le parole. Eulana ha chiesto (forse) esattamente questo: di poter porre fine alla sua vita se si fosse trovata in certe condizioni e siccome in quelle condizioni non può provvedere da sola, chiede che qualcun altro provveda. Appunto. Ah! dimenticavo che è una procedura medica… allora cambia tutto! Tu vuoi una legge che introduca l'eutanasia. Se ne discuterà certamente, ma sei manifestamente d'accordo con me che con le leggi attuali non si può. Entro l'anno dovremmo avere la legge sul testamento biologico…
La Convenzione di Oviedo? Ci son voluti sedici anni per fare l'art. 9? Io direi che siamo di fronte ad un'affermazione ben ponderata! Credo, invece, di ricordare che fu esplicitamente cambiata una precedente ipotesi dell'art. 9 che prevedeva l'obbligo di rispettare i desideri precedentemente espressi. Un ripensamento estremamente significativo.
La sentenza Riccio? Anche il punto 2 non funziona per Eluana (non può esercitare il diritto di rifiuto della terapia il rappresentante legale) ed anche il 3 e il 4 sono problematici. Naturalmente il punto 7 (attualità del rifiuto) è radicalmente incompatibile con il caso di Eluana. Si cambieranno? Andiamo a zig e zag a seconda della sollecitazione del momento? Ieri era il caso Welby e andavano bene certe teorie, ora è il caso Eularo, vanno bene quelle contrarie.
Inutile dire che le conclusioni sugli oncologi sono un po' gratuite, oltre che errate.

Michele Pezza da Itri

paolo de gregorio ha detto...

"Non mi riconosco e non riconosco nessuna consequenzialità logica nel vietare la pillola per il mal di testa"

Non ci siamo capiti (in ogni caso la consequenzialità logica potrebbe benissimo esistere anche se tu fossi incappace di scorgerla): nel momento in cui reputi legalmente accettabile la pillola per il mal di testa, sancisci che la vita col mal di testa è "inferiore" alla vita senza mal di testa, questo secondo il tuo modo di ragionare. Sto solamente usando il tuo modo di ragionare quando uno mette in evidenza che casi come quello di Eluana vanno considerati come situazioni straordinarie. E di rimando evochi visioni nazistoidi, sottolineando come, secondo te, questo vorrebbe dire relegare quella vita a vita di serie B (quando dall'inizio di tutta questa discussione, da parte nostra, non si sta facendo altro che mettere in risalto la volontà delle persone, accompagnata dall'eccezionalità della situazione).

"poi si sceglie il modo più ipocrita per uccidere Eluana".
Poche righe orsono hai creato un putiferio sostenendo che stiamo in tutto e per tutto parlando di un caso di suicidio, e hai accusato di malafede chi adombrasse che non fsose vero. Adesso tu stesso parli di "uccidere". Sei un vero e proprio asociale: sei incapace di discutere con le persone senza partirtene per la tangente e chiamare in causa gli argomenti che ti pare e piace a te, modificandoli dieci volte ciascuno a seconda delle convenienze. Rileggi il post dove stai commentando da giorni e rifletti un po' se i tuoi commenti c'entrino un gran ché.

Anonimo ha detto...

Ce vo' pazienza: famo quer che semo capaci de fa'…

Caro paolo (de gregorio),
se non puoi fare a meno di assumere un tono di superiorità, per me può anche andare bene. Anche se briganti di strada, Frà Diavolo ed io non siamo facili all'offesa.

Sulla crudeltà del trattamento ad Eulana (sul quale però non ti esprimi), mi ero già espresso colloquiando con Leilani, con la quale ci eravamo trovati perfettamente d'accordo (circa tre giorni fa.) E non pare proprio che ci sia un problema logico nel definire "uccidere" l'atto con cui si dà compimento ad una richiesta di suicidio da parte di chi non può farlo in modo autonomo.

Sulle condizioni straordinarissime in cui si trova Eluana, sono d'accordissimo con te. Alla fin fine, forse siamo in disaccordo solo nel definire o non definire accanimento terapeutico il trattamento cui è assoggettata in questo momento. Posso pensare che per te lo sia, ma poi mi viene il dubbio che non sia essenziale alla tua visione delle cose: è una situazione di eccezionale sofferenza ed Eluana ha espresso (forse) la volontà di non esserne assoggettata; nell'ottica del consenso informato ciò, secondo te, è sufficiente.
Scusa se mi azzardo a spiegare il tuo pensiero a te medesimo, ma è solo uno scambio di cortesie.

In conclusione abbiamo delle difficoltà al colloquio (civile, d'altronde), non perché uno dei due sia più intelligente dell'altro, ma perché poniamo il fuoco della discussione su due punti diversi: per te sull'eccezionalità del caso e della sofferenza e per me sulla sussistenza o meno dell'accanimento terapeutico (il che non vuol dire non interessarsi alla sofferenza). Su tuo ordine ed obbedendo come Garibaldi, ho riletto quanto scritto, ed in quest'ottica non mi sembra essere stato più incoerente del solito o fuori tema. Magari solo un po' asociale, se ciò significa non essere d'accordo.

Michele Pezza da Itri

paolo de gregorio ha detto...

Asociale non vuole dire (nel caso cui mi riferivo) affermare cose su cui non tutti sono d'accordo: asociale vuole dire che mentre un gruppo di persone tentano di discutere di una cosa, si tenta costantementre di spostare la materia del discorrere, oppure ci si sceglie le domande cui rispondere (se non addirittura ci si fa delle domande cui dare risposte, alla Marzullo); oppure infine ci si diletta in sofismi stravolgendo le regola della logica o del buonsenso.

Registro ancora una volta, nel tuo pur semi accomodante messaggio, l'affermazione che nel caso in questione si stia parlando di omicidio. Al che, e lo ripeto, le leggi già esistono. Puoi fare un esposto, che so. Di certo non ha senso il tuo discorrere di testamento biologico se davvero sei convinto che questo sarebbe un caso di omicidio. L'omicidio, nel nostro paese, è punito. Non solo: omicidio sarebbe anche nel caso di cessazione di accanimento terapeutico, dato che non esplichi dove sia la differenza. Sembra quasi che ti sia fatto scienziato e giudice, e questo lo escludo, e quindi i mezzi e i titoli per stabilire che nell'un caso sia accanimento e nell'altro vita assolutamente convenzionale non li hai, né pretendi di averne, se devo dare retta alla modestia del tuo messaggio.

Al che, finalmente, si ritorna al messaggio vero del post: che ci dovresti un po' spiegare perché acconsenti all'omicidio (come da te deifnito) nel caso di cessazione dell'accanimento terapeutico, o in alternativa cosa ti faccia giungere alla conclusione che lo stato di vita di Eluana sia convenzionale in tutto e per tutto.

Anonimo ha detto...

Probabilmente il nostro amico vive in una dimensione parallela dove vige una logica diversa dalla nostra, se può permettersi in un colpo solo di mescolare in un unico gran calderone suicidio, suicidio assistito ed eutanasia, di chiedersi dove stiano le differenze tra questi termini e di affermare che saremmo noi (noi!) quelli che giocano con le parole. Un’arte questa in cui peraltro non sembra essere secondo a nessuno.
Eppure ci pareva di essere stati sufficientemente chiari nel ribadire certe elementari differenze, nel ricordare come il suicida prenda una decisione in assoluta autonomia quando ritiene che la sua vita non è più degna di essere vissuta, una decisione personale che prescinde da comitati etici, valutazioni specialistiche, disposizioni di legge e quant’altro. Mentre nell’eutanasia entra in gioco una procedura medica, il che ci porta su un altro piano di discussione, come alla fine anche il nostro amico arriva a notare, anche se con finta perspicacia e con stucchevole ironia degna di miglior causa. Se infatti un malato si suicida, non gli serve alcun parere medico, se un malato invece decide per l’eutanasia, c’è un’indicazione medica che riconosce l’appropriatezza del ricorso a tale terapia. Ma se per suicidarsi non serve il permesso del giudice, per l’eutanasia sì. Il che ci riporta al dunque, ed alle domande inevase, che pure dovrebbero costituire l’unico serio punto di discussione sull’argomento: se se sia giusto, come noi riteniamo giusto, introdurre delle procedure di eutanasia nell’armamentario del medico italiano, come in quello del medico olandese per esempio. E se no, per quale motivo. E ancora, se sia giusto introdurre delle disposizioni testamentarie per chiedere, in determinate situazioni, di non essere sottoposti a trattamento medico. E se no, per quale motivo. Eutanasia e living will. Il nostro si è dimostrato molto attento nel leggerci e nel farci le pulci sul punto 2 del processo Riccio, eppure continua a ignorare un intero paragrafo ed a evitare le risposte che ci interessano, annotando piuttosto che vorremmo l’introduzione dell’eutanasia (altra prova di notevole perspicacia!) ed informandoci che entro l’anno verrà varato un provvedimento legislativo sul testamento biologico. Non abbiamo le sue capacità divinatorie e la cosa ci appare difficile in considerazione dell’ostilità degli ambienti cattolici più retrivi anche solo alla discussione di provvedimenti in tal senso, ci accontenteremmo più modestamente della sua opinione in merito, dell’opinione presumibilmente contraria di un cattolico integralista quale egli si è definito e delle motivazioni che ritiene di poter addurre per motivare il suo presumibile diniego, a parte ovviamente l’obbedienza al dettato vaticano. Dopodiché, non possiamo certo costringerlo a rispondere, ne’ impedirgli di continuare a svicolare all’infinito parlando di suicidi, suocere con la testa nel forno ed altre amenità del genere, pateticamente ad interesse zero per noi. Ma anche il non rispondere potrebbe comunque costituire una risposta…

Precisazioni.
Sedici anni perché qualcuno si decidesse a tenere in considerazione quanto chiesto da Eluana, 16 anni di SVP di Eluana, non certo per partorire l’art in questione della convenzione di Oviedo. E su certe cantonate del nostro i commenti si potrebbero proprio sprecare…
Il forse tra parentesi su quanto chiesto da Eluana può anche fare a meno di ripetercelo in maniera ossessiva. Come già detto, non ci sono dubbi su quali fossero le volontà di Eluana, c’è una sentenza di tribunale in merito che non crediamo possa essere stata emessa sulla base di un forse. Non serve che il nostro ci ricordi ad ogni piè sospinto quale sia lo spessore della sua teca cranica e quanto misuri la sua pervicacia da fondamentalista, ci siamo già fatti un’idea…
Il punto 2 della sentenza Riccio non si adatta al caso Eluana: vedere il punto 7, e pensare qualcosa di intelligente per giustificare la mancanza della possibilità di redigere un living will.
Quali sarebbero “le conclusioni sugli oncologi un po' gratuite, oltre che errate”? Le procedure di eutanasia dovrebbero essere a disposizione del medico italiano come di quello olandese, se era questo il riferimento, non si capisce proprio in quale mondo iperuranio avremmo seminato gratuità ed errori a questo riguardo.

Anonimo ha detto...

Ma che fareste senza di me?!

Di sicuro vi annoiereste, anzi no. Ve la suonereste e ve la cantereste tra voi, tutti contenti di sentirvi dar ragione in un concerto di pensiero unico, e lo chiamereste discussione.
Se non ci fossi, mi dovreste inventare. Chissà? forse sono una quinta colonna di Regalzi per ravvivare il post…
Per fortuna c'è tanto da discutere sull'accanimento terapeutico. Appena posso provo a rispondervi e a tenervi vivi (non sono in vacanza).

Michele Pezza da Itri

paolo de gregorio ha detto...

Non capisco questo vantarsi di essere il fulcro dell'intrattenimento. A ben vedere, è ben noto che anche dello "scemo del villaggio" (nel senso di figura letteraria) in tante situazioni si sentirebbe la mancanza: quindi la cosa in sé e per sé non ha nessuna particolare valenza.

Casomai ciò che è in ballo, qui, da giorni, è la disonestà intellettuale: per esempio quella di chi continua certosinamente ad evitare di parlare del tema del post, sul quale avevo timidamente tentato di riportarcelo. Vale a dire: discutere delle particolarità delle varie situazioni, di Eluana rispetto ad altre riportate dalle cronache, e così sviscerare quale fondamentale tema viene invocato nel caso di Eluana che non ha possibilità di ripresa.

Vien da sé che come minimo ci si aspetta che il Nostro adesso risponda alle domande di Filippo, anche perché questi le ha poste mi sembra per la terza volta. Sono due domande mi pare. Spero che non interpreti questo mio intervento come l'ennesimo assist per sottrarvisi. Così lo dico chiaro quale è la mia richiesta: risponda a Filippo.

Concludendo. La smetta anche di gonfiarsi il petto credendo di far la parte dell'unico fuori dal coro: ci sono milioni di cose su cui tra noi non siamo d'accordo. La difficoltà più riccorrente, nel caso tuo ma ancor di più con altri frequentatori del blog, è riuscire a stabilire persino un linguaggio comune, formale e sostanziale, oltre che logico. Vale a dire: mentre con gli autori del blog posso dibattere dei contenuti come e quando voglio, con alcuni integralisti devo prima buttare via giornate intere solo per convenire che mela vuole dire mela, e che suicidio vuole dire suicidio. Se poi te ne vuoi fare un vanto di questa cosa fai pure! Nelle caverne però non saresti sopravvissuto, perché non ti saresti di certo fatto capire (nota a margine: noi crediamo però che la nostra Eluana comprendesse il significato delle parole, diversamente da lui).

Joe Silver ha detto...

Senza Fra' Diavolo (e tutta la simpatica combriccola di mangiaparticole che si da' il cambio su questo e altri blog) io sarei tentato dal sottovalutare la consistenza del montante rigurgito integralista nel nostro paese, illuso che i sogni di reconquista cattolica non si concretizzino oltre un invadente battage mediatico e un asfissiante lobbying politico (sebbene quest'ultimo sia tutt'altro che innocuo).

Invece non si finisce mai di imparare: incredibile, esistono davvero quegli esemplari lì, i cattolici "veri", quelli che seguono per filo e per segno tutto ciò che dice Sua Maestà Vaticana e magari ci credono pure! Per me è la scoperta di un mondo di cui fino a pochi anni fa non sospettavo l'esistenza.

Anonimo ha detto...

Mentre scrivo, così non v'annoiate

Nessuno ha mai risposto alla domanda se le modalità previste per la morte di Eluana sono da considerare illogiche, ipocrite e crudeli.

Michele Pezza da Itri

Anonimo ha detto...

Eutanasia ed accanimento terapeutico

filippo afferma diverse cose e attende che con esse mi cimenti (e con esso paolo de gregorio)

L'eutanasia, secondo filippo, è da «considerare… ne' più ne' meno che una procedura medica, disponibile nel bagaglio di opzioni a disposizione del medico, che il medico dovrebbe poter proporre quando ne ravvisa le indicazioni e che il paziente dovrebbe poter accettare o meno» per cui è evidente l'«opportunità di comprendere nella pratica medica l’eutanasia, e all’urgenza di introdurre disposizioni legislative che prevedano delle forme di testamento biologico aventi forza di legge.» La posizione di filippo sull'autonomia del medico è netta: «Trattandosi di procedura medica, intrapresa come ogni altra procedura medica nel miglior interesse del paziente, il parere del medico è quindi vincolante, anche se non sufficiente in assenza del consenso del paziente.»
Poi filippo fa una distinzione tra eutanasia e sospensione delle cure, «perché in quel caso il medico già adesso non ha alcuna voce in capitolo sulle decisioni del paziente, che può rifiutare qualunque terapia in qualunque momento.»
Ripete più volte che la distinzione tra suicidio ed eutanasia consiste nel coinvolgimento o meno del medico e del giudice: «Se infatti un malato si suicida, non gli serve alcun parere medico, se un malato invece decide per l’eutanasia, c’è un’indicazione medica che riconosce l’appropriatezza del ricorso a tale terapia. Ma se per suicidarsi non serve il permesso del giudice, per l’eutanasia sì.»

Non ho capacità divinatorie per dire che dovremmo avere una legge sul testamento biologico entro l'anno, ma è un recentissimo impegno del Parlamento su proposta del PD in occasione del dibattito sulla sentenza Eularo.

Impressionante la fiducia di filippo nelle nostre istituzioni, medici e magistrati su tutti. Naturalmente solo quando si conformano alle sue aspettative: sono assolutamente degni di fede quando sentenziano sulla volontà di Eluana di sospendere le cure, ma gaglioffi quando per anni l'hanno negata o quando fanno ricorso contro quella sentenza. Per cui continuo a usare il "forse", anche con l'appoggio di quell'altro magistrato che richiede assolutamente il consenso attuale, senza il quale non se ne può avere la certezza.

Insomma, filippo vuole che si discuta sull'istituzione di una legge sul testamento biologico chiaramente orientata a consentire l'eutanasia o, ancor meglio, sull'istituzione dell'eutanasia tout court. A mia conoscenza, ad oggi sono stati presentati almeno otto disegni di legge sul testamento biologico. Ebbene, essi escludono la possibilità dell'eutanasia o che possano essere interpretati come eutanasia camuffata e propongono il testamento biologico come strumento per evitare l'accanimento terapeutico. E' necessario, quindi, distinguere e definire l'accanimento terapeutico. Tra le diverse definizioni in circolazione, mi sembra efficace questa: si parla di "accanimento terapeutico" quando la morte risulta inevitabile e le terapie proposte non sono finalizzate a rimuoverne le cause, cosa ormai impossibile, ma sono volte unicamente ad un precario mantenimento in vita con forte abbassamento della qualità dello stato del malato. Evitare l'accanimento terapeutico, quindi, non significa scegliere la morte rispetto ad un difficile stato in vita ed agire (oppure omettere di agire) per provocarla (il che configurerebbe l'eutanasia), ma prendere atto di una situazione di vita ormai segnata da vicino dal percorso verso la morte.

filippo sembra sostenere che l'introduzione esplicita dell'eutanasia sia un progresso di civiltà. Io no. Siccome non sono integralista e sto discutendo nell'agorà pubblica e non in chiesa, non porto nessuna motivazione di ordine religioso (come sempre nei miei interventi).
Il primo problema che incontro a voler accettare l'eutanasia nasce con l'indisponibilità costituzionale della vita. Attualmente è così (sarebbe facile mostrarlo, anche con le sentenze nei casi Welby e Englaro)

Anonimo ha detto...

…continua

Volendo il nostro legislatore potrebbe modificare questo aspetto, ma per ora è ancora così. Attualmente, i sostenitori dell'eutanasia cercano di aggirare quest'ostacolo considerando d'ordine superiore il diritto alla sospensione dei trattamenti terapeutici. Non credo sia corretta l'interpretazione, ma siccome non posso discutere tutto insieme, rimando ad altro momento (se necessario).
Comunque, superato o no che sia questo ostacolo ed entrando più nel merito di cosa significhi l'eutanasia, m'imbatto in difficoltà sostanziali sulla formazione della volontà e che l' "inutile" dibattito sul suicidio ha contribuito a chiarire. Cercando di utilizzare le parole nel loro significato più neutro possibile, si può dire che siamo di fronte ad una persona che preferirebbe essere morto anziché continuare a vivere e cerca di realizzare questo suo desiderio. Oggi egli ha davanti a sé due possibilità: provvedere in proprio (suicidio vero e proprio) o chiedere ad un altro di ucciderlo (suicidio assistito od omicidio di consenziente). La prima possibilità è e sarà sempre a disposizione e senza sanzioni legali. La seconda, invece, comporta sanzioni pesanti, salvo equilibrismi giuridici (cfr. caso Riccio/Welby). Questo comporta che molti non sono in condizione di realizzare quanto vorrebbero, o perché non trovano persone disponibili o perché inabili al punto di poter esprimere la propria volontà.
L'introduzione della possibilità legale dell'eutanasia risolverebbe il problema. La cosa più ovvia e logicamente consistente sarebbe la liberalizzazione completa del suicidio assistito, su semplice richiesta. E' certamente una soluzione sostenibile con buonissimi argomenti dal momento che è in gioco il rispetto della libertà individuale. Eppure ciò ci ripugna. O almeno a me sembra che questa ripugnanza sia un sentimento diffuso e condiviso praticamente da tutti, al punto che un atteggiamento socialmente apprezzato è quello d'intervenire in tutti i modi per impedire un suicidio.
Ma a volte assistere a terribili sofferenze di qualcuno, magari di qualcuno che amiamo, ci spinge a modificare il nostro atteggiamento e a cercare di uscire da questo impasse. Nel tentativo di limitare la questione ai soli casi "tragici", mettiamo in campo la medicina. Cerchiamo un "giudice terzo" ed un criterio "oggettivo" che consenta di individuare quando si può e quando non si può consentire il suicidio di una persona. Questa soluzione ci piace perché promette di mettere tranquilla la nostra coscienza (traviata e fuorviata da duemila anni di Cristianesimo)
Ma qui cominciano i guai. Improvvisamente (nel senso che mai prima) dobbiamo decidere quando una vita "non è degna di essere vissuta". Caro filippo, non è il medico, quasi fosse un'entità metafisica "che sa", a decidere tutto ciò senza che tu ne sia coinvolto: decidere questi limiti è un fatto sociale profondo nel quale tutta la società è coinvolta, anche tu ed io. Ed affinché il meccanismo sia garantito dovremo anche mettere su un apparato burocratico che regoli e controlli (traccia scritta per verifica di abusi, comitati che diano autorizzazioni in casi dubbi, ecc.). Senza che mi accusi di terrorismo culturale con adombrare derive nazistoidi, questa è la realtà: anche se non obblighiamo nessuno a ricorrere all'eutanasia, abbiamo "qualificato" delle persone quasi inutili e con minor garanzie rispetto ad altri e non con una possibilità in più (quella di suicidarsi). I peggiori regimi immaginabili ci vanno a nozze con questa metodologia. D'altra parte, però, siccome ci è chiaro che sarebbe impossibile scrivere delle tavole che oggettivamente dicano quando l'eutanasia sia legittima e quando no (ad esempio la malattia di Welby sì ed il raffreddore no; ed a quale stadio si può intervenire con l'eutanasia e quando no?) dobbiamo ricorrere ancora una volta al medico il cui parere, secondo filippo, deve essere vincolante. Non so se la toppa sia peggio del buco: la mia vita può essere off se incontro il medico A, on se incontro il medico B.
Naturalmente i problemi s'ingigantiscono nei casi di impossibilità da parte dell'interessato di manifestare la propria volontà (cfr. il punto 7 della sentenza Riccio). Perché, per il principio di uguaglianza, saremo costretti ad "interpretare" quello che sarebbe la sua volontà, oppure non ce ne sarà bisogno, come nell'Olanda invocata da filippo, dove dal 2004 è possibile l'eutanasia su neonati e bambini (naturalmente, state tranquilli! E' previsto un protocollo rigidissimo…)
Infine, non riesco a capire perché di fronte al caso delle staminali embrionali siamo stati subissati da inni per la scienza che sta lì per risolvere tutti i nostri problemi e poi per le sofferenze terminali alziamo le braccia e non spingiamo ugualmente per lo sviluppo delle cure palliative e per sviluppo di nuove cure per le peggiori situazioni. Come la scienza medica ha creato problemi prima inesistenti, come il relativamente grande numero di persone in stato vegetativo permanente, dobbiamo sperare ed agire in modo che la stessa scienza li risolva in un futuro non lontano.

Michele Pezza da Itri

P.S. vari

Non sono riuscito a capire cosa filippo abbia da recriminare sull'evidente contraddizione tra le posizioni usate nel caso Welby (sentenza Riccio) e le tesi portate avanti adesso per Eluana.

Non mi sono mai definito integralista, ma cattolico apostolico romano (di stretta osservanza: un vezzo). Nel linguaggio politico italiano integralista ha un altro significato, nel quale non mi riconosco. Per filippo saremmo estinti, ma evidentemente non è attento ai fatti del mondo.

Giuseppe Regalzi ha detto...

"Nessuno ha mai risposto alla domanda se le modalità previste per la morte di Eluana sono da considerare illogiche, ipocrite e crudeli".

Le leggi esistenti rendono purtroppo impossibile l'eutanasia attiva, e il magistrato che ha deciso su Eluana si è rifatto alle norme attuali (nonostante quello che pensano i buffoni che hanno sollevato il conflitto di attribuzione). Quindi non vedo proprio come si possa accusarlo di illogicità o ipocrisia; l'ipocrisia casomai è di chi si dice contrario all'eutanasia, e poi ti fa capire che sarebbe meglio della sospensione delle cure. Quanto alla crudeltà, è molto relativa: Eluana è incapace di provare dolore, e sarà comunque sedata. La sua fine sarà abbastanza simile a quella sedazione terminale che qualche tempo fa un tizio su Avvenire lodava come la soluzione definitiva al problema del dolore intrattabile...

PS Vedo che è risaltata fuori "l'indisponibilità costituzionale della vita", dopo che avevamo dimostrato (senza che tu trovassi alcunché da obiettare) che la vita è indisponibile solo per il portato di leggi di rango non costituzionale...

Anonimo ha detto...

Diciamo che, sia pur dopo molto insistere, qualcosa si è ottenuto, nel senso che abbiamo ottenuto il 50% delle risposte che avevamo auspicato. Naturalmente si tratta del 50% più facile ed ovvio, di quel no ad eutanasia e testamento biologico che avevamo preventivato senza troppe difficoltà data l’area culturale “cattolica apostolica romana di stretta osservanza”di appartenenza del nostro. Che per il resto sembra aver indossato con entusiasmo i panni del dr. Azzeccagarbugli col preciso intento di disseminare di pretesti ed impedimenti vari il nostro percorso verso eutanasia e testamento biologico, guardandosi bene nel contempo dall’esplicitarci i veri motivi per cui sarebbe giusto non introdurre tali procedure nel nostro ordinamento, i veri motivi per cui sarebbe giusto limitare le libertà personali di ognuno di noi su questioni di tale importanza. Di tali motivi ci pare di non scorgere traccia nel suo ampio argomentare. Con cui vedremo comunque di misurarci.

* * * *

“Il primo problema …nasce con l'indisponibilità costituzionale della vita”. Ad essere precisi, la sentenza della Cassazione sul caso Englaro, citata a sostegno dal nostro, come la Costituzione stessa così frettolosamente tirata in ballo, sembrano dirci ben altro. Nella sentenza 21748 del 16-10-2007 con cui la Sezione I Civile della Corte di Cassazione ha annullato il precedente disposto della Corte d’Appello di Milano si legge “Deve escludersi che il diritto alla autodeterminazione terapeutica del paziente incontri un limite allorché da esso consegua il sacrificio del bene della vita… Il Collegio ritiene che la salute dell’individuo non possa essere oggetto di imposizione autoritativo-coattiva… Lo si ricava dallo stesso testo dell’art. 32 della Costituzione, per il quale i trattamenti sanitari sono obbligatori nei soli casi espressamente previsti dalla legge (Corte Cost., sentenze n. 258 del 1994 e n. 118 del 1996)”. A quanto pare, non sono soltanto i “sostenitori dell’eutanasia”, ovviamente impegnatissimi nell’aggiramento degli ostacoli legali disseminati sulla loro strada, a considerare “d'ordine superiore il diritto alla sospensione dei trattamenti terapeutici”, per usare le parole del nostro apostolico. Nel mazzo dobbiamo inserire anche la Cassazione e la Corte Costituzionale. Il che, riteniamo, ci consente di affermare che non dovrebbero sorgere problemi insormontabili qualora il legislatore decidesse di modificare le leggi vigenti, come anche il nostro amico sembra riconoscere senza troppe difficoltà anche se, verosimilmente, con qualche personale inquietudine. Che non esita a confessarci, “cercando di utilizzare le parole nel loro significato più neutro possibile”, quando ritorna alla carica con la sovrapposizione del suicidio, più o meno autonomo od assistito, con l’eutanasia, affermando che l’introduzione di quest’ultima aprirebbe la strada alla “liberalizzazione completa del suicidio assistito, su semplice richiesta”. Abbiamo già spiegato ampiamente, ripetutamente e con chiarezza di termini la differenza marcata che separa inequivocabilmente questi due termini, la procedura medica di eutanasia da una parte, il cui ricorso è giustificato dalla comparsa di una patologia con ben determinate caratteristiche di gravità ed incurabilità ed è accreditato dal parere motivato del professionista medico, e il gesto assolutamente autonomo e fuori da qualunque controllo normativo della rinuncia alla propria vita dall’altra, variamente motivato dalle vicende e dagli eventi più disparati, per cui ci permettiamo di rispondere che tale scenario di ipotetica liberalizzazione del suicidio come conseguenza della legalizzazione dell’eutanasia ci appare ridicolo.
I garbugli intanto, strada facendo, tendono ad aumentare nelle confabulazioni del nostro, un po’ come l’entropia dell’universo, per cui il medico sarebbe un’entità metafisica tirata in ballo allo scopo di deresponsabilizzarci e tranquillizzare la nostra coscienza “fuorviata da duemila anni di cristianesimo”, la mole di adempimenti burocratico-amministrativo-legali da mettere in atto farebbe l’invidia del Kafka più ispirato, immancabilmente la deriva autoritaria dello stato farebbe capolino dietro l’angolo con conseguente annichilimento del singolo, stritolato da questo scenario orwelliano in cui verrebbe “qualificato” come quasi inutile. E’ certo innegabile che l’introduzione dell’eutanasia comporta una presa di coscienza della realtà del problema creato dai limiti di trattamento di certe patologie e non può prescindere dalla volontà espressa in tal senso dal corpo sociale, volontà peraltro già presente a giudicare dai sondaggi che si susseguono con una prevalenza sempre più netta, financo eclatante, numericamente parlando, di chi si dichiara a favore della possibilità di poter scegliere e decidere come vivere e come morire, se del caso. In tale contesto il ruolo del medico più che metafisico è decisamente prosaico, essendo chiamato a tradurre in pratica un concetto altrimenti teorico. A chi altri affidarci per questo scopo? E ancora, una volta stabilita la necessità di ricorrere a tali procedure mediche e presa la decisione di modificare in tal senso le leggi ordinarie che regolano la materia in questione, dovremmo lasciarci disorientare per la mole di adempimenti burocratici necessari, per lo spettro fumoso, agitato alla bisogna, dei peggiori regimi sempre “pronti ad andare a nozze” con certe procedure o per l’incertezza della roulette rappresentata dal medico A o dal medico B che decidono della nostra esistenza? I problemi burocratici si risolvono, lo stato laico e liberale che mette il rispetto delle libertà individuali di ogni cittadino al di sopra di ogni altro valore costituisce la più alta garanzia della salvaguardia della dignità di ognuno, certo più dei deliri da fondamentalismo teocratico che provengono da oltretevere e a cui il nostro guarda con neanche troppo dissimulata simpatia ed, infine, il medico A, B o C che dir si voglia non prenderebbe certo una decisione sulla base dell’umore del momento ma rifacendosi, come per ogni altra decisione medica, alle migliori conoscenze scientifiche condivise e approvate in ambito medico. Non sappiamo “se la toppa sia peggio del buco”, ma non disponiamo di altre toppe quando discutiamo della nostra salute per una terapia farmacologica o per un eventuale intervento chirurgico, e non si vede esattamente dove stia la differenza con l’argomento in discussione. In altri termini, più che validi motivi per opporsi all’introduzione dell’eutanasia e del living will nel nostro ordinamento, queste obiezioni sembrano costituire solo dei pretesti sollevati ad arte, più o meno fondati, che non possono certo intaccare la sostanza di quanto affermato, ossia il superiore diritto di ognuno di noi a decidere in prima persona su una materia tanto delicata e personale come l’atteggiamento da tenere di fronte ad una patologia incurabile ed altamente invalidante.

Spigolature.
Il nostro, dopo averci pronosticato per due volte il varo di una legge sul testamento biologico entro l’anno, aggiungendo che ciò avrebbe consentito a tutti noi di “giocare a fare il legislatore”, col sottinteso significato che di una simile legge a suo avviso non c’è alcun bisogno, adesso si dichiara, usando parole nostre, privo di capacità divinatorie. Nel rammentargli come certi repentini cambiamenti di versione non giovino alla sua immagine, gli confermiamo che gli integralisti cattolici non vogliono neanche sentir parlare di tali proposte. A meno che da oltretevere non giunga l’eco di un mutamento di strategia.
Che la nostra fiducia nelle istituzioni, segnatamente nella magistratura, dipenda in realtà dal soddisfacimento delle nostre aspettative, è argomento che potremmo facilmente ribaltare addosso al nostro interlocutore, pazzamente innamorato del magistrato della Procura di Milano che ricorrerà nuovamente in appello, come è d’altronde previsto quando la Cassazione annulla una precedente sentenza.
Il nostro non capisce “perché di fronte al caso delle staminali embrionali siamo stati subissati da inni per la scienza … e poi per le sofferenze terminali alziamo le braccia e non spingiamo ugualmente per lo sviluppo delle cure palliative e per (lo) sviluppo di nuove cure per le peggiori situazioni”. Noi invece non comprendiamo perché, dopo aver sparato ad alzo zero contro la ricerca sulle staminali embrionali, adesso ci si ricordi del valore e delle aspettative riposte nella ricerca stessa, come se fosse lecito e possibile distinguere tra ricerca buona, col bollino vaticano, e ricerca cattiva, laicista, relativista ed irrispettosa dei totem dei fondamentalisti. E comunque, chi dice che non stiamo spingendo sulle cure palliative? Stiamo raschiando il fondo del barile in quanto a scempiaggini? E come possiamo sperare che la scienza risolva i nostri problemi, pure in un futuro non lontano, quando siamo pronti a bloccare l’attività degli scienziati se entra in collisione con le ubbie degli integralisti?
Tra i quali integralisti il nostro non si riconosce proprio. Lui infatti è un “cattolico apostolico romano di stretta osservanza”. Uno che, al primo intervento in questo blog, affermava giocondamente che abortire è come sparare ad un cespuglio dietro cui si muove qualcosa senza sapere cosa. Tanto per chiarirsi sin dall’inizio. Ci chiediamo, a questo punto, quali requisiti si debbano esibire,o quali scempiaggini si debbano proclamare, per poter a buon diritto essere definiti integralisti. Che poi gli integralisti stessi siano estinti, da parte nostra può solo, per adesso, costituire un auspicio, anche se non sono di certo numerosissimi.

* * * *

Al termine di queste simpatiche schermaglie su argomenti tutto sommato alquanto futili, tirati in ballo per precisa scelta di questo interlocutore, si ritorna a quanto accennato nel prologo, ossia alla sostanziale mancanza di motivazioni con cui puntellare questo no pronunciato dal nostro amico apostolico verso eutanasia e living will, un no che ci appare sempre più velleitario ed imposto dal rispetto per il totem della sacralità ed indisponibilità della vita. Il nostro, come ogni fondamentalista, pardon come ogni apostolico che si rispetti, ci tiene a cercare di darsi una patina di obiettività respingendo l’ipotesi di costituire niente di più che un ripetitore della radio vaticana, anche se l’impressione che rimane, dopo aver spazzato via gli esempi di varia amenità suesposti, è proprio quella di un incredibile battage montato con l’unico fine di dare risonanza alle direttive emanate da oltretevere.
Ci chiediamo solo per quale forma di istintivo pudore gli integralisti cerchino, peraltro maldestramente, di non darcelo a intendere.

paolo de gregorio ha detto...

Non potevo resistere dal commentare un punto:
"L'introduzione della possibilità legale dell'eutanasia risolverebbe il problema. La cosa più ovvia e logicamente consistente sarebbe la liberalizzazione completa del suicidio assistito, su semplice richiesta."

Non entro nemmeno nel merito se questo scenario sarebbe apocalittico, inquietante, neutrale, auspicabile, futurista o quant'altro, perché divagheremmmo troppo ed inoltre non ho nemmeno voglia di rifletterci. Ma sottolineo che ancora una volta si parla di mele e pere e devo assolutamente tirare fuori il cartellino giallo, che mi vien voglia di sventolare ogni volta quando vedo la logica presa a calci (e con essa il pensiero umano).

Allora, l'armamentario argomentativo di Fra' Diavolo gira più o meno così:
A) La mela è in realtà una pera.
B) Voi volete liberalizzare la pera.
C) Questo porterà inevitabilmente alla liberalizzazione della mela.

Ovviamente ciò è ridicolo, proprio perché, come sottolineato più e più volte, tratto distinguibile dell'integralista è proporre la valenza di A: indimostrata, anzi probabilmente falsa, certamente non condivisa. Il bello è che il castello di carte crolla proprio in virtù del fatto che l'equivalenza A non sussiste.

Un esempio: molti integralisti da qualche tempo insistono nel dire che l'aborto è un omicidio efferato in piena regola. E allora, dico io, se ciò fosse vero, vorrebbe dire che da noi l'omicidio, in Italia dico, è diventato legale trent'anni fa. E allora, si direbbe secondo il ti tipo C di ragionamento, in Italia la legalizzazione dell'aborto ha portato inevitabilmente (e "logicamente") alla legalizzazione dell'omicidio.

Ops! Non è accaduto!
Come mai?
Impossibile, inspiegabile! Illogico?

Caro Fra' Diavolo, rendere legale l'eutanasia NON porterà come immediata e automatica conseguenza la legalizzazione del suicidio assistito (anche per capriccio), come la legalizzazione dell'aborto non ha portato MAI in Italia alla legalizzazione dell'omicidio. Questo sai perché? Perché non tutti (per nostra fortuna) fanno le tue equazioni: aborto=omicidio oppure eutanasia=suicidio. Trovo ridicolo fino all'offensivo (per l'intelligenza mia, ma sono sicuro di molti) che tu pretenda di portare per argomento a difesa di una tua posizione una tua personale equazione, per dimostrare così i fantomatici "rischi" dell'intraprendere una certa linea.

Insomma, prima pretendi di ridefinire le essenze delle cose e poi, non contento, tratti quelle tue concezioni come universali proprio per presagire "quel che accadrà", come se tutti condividessero le tue definizioni di quelle essenze. La cosa assurda è che il tuo ragionamento crollerebbe anche nel caso in cui tu avessi ragione su quelle essenze (aborto=omicidio oppure eutanasia=suicidio): per farlo crollare infatti è sufficiente che molte persone (la maggioranza?) non siano d'accordo con te su quelle definizioni. Insomma, potresti anche avere ragione, ma se la gente non crede alla tua equazione tanto di guadagnato, la conseguennza C non si verificherà. In questo senso trovo più cinico che cristiano continuare a tentare di convincere la gente che hai ragione, perché qualcuno convinto da te potrebbe mettere in pratica le tue idee... nel verso sbagliato.

Tutto sommato, che la cosa sia ridicola da sé ora è abbastanza ovvio.

Anonimo ha detto...

Ma falla corta!

Se filippo la smettesse di parlare di me invece del problema in discussione, scriverebbe un decimo di quello che scrive e forse per gli altri saremmo meno stucchevoli.

Qual è la differenza tra noi? Per fortuna anche lui non accetta
1) che sia consentito che si possa chiedere l'eutanasia "per futili motivi" (definizione di comodo della manifestazione della volontà altrui);
2) che si possa procedere all'eutanasia di chiunque sia in certe condizioni (gravissime, naturalmente!).
Allora pensa che mettendo insieme due ragioni insufficienti si possa farne una sufficiente.
In realtà, la vera posizione inattaccabile sul piano logico è quella del rispetto della volontà, ma non ne ha il coraggio. Il resto sono chiacchiere degne di don Ferrante (tanto per citare anch'io don Lisander).
Se filippo analizzasse i motivi per rifiutare la "via maestra" della libera determinazione della persona, capirebbe (forse) perché bisogna dire no all'eutanasia anche in salsa medico-burocratica.

Michele Pezza da Itri

Anonimo ha detto...

@ aspirante arbitro paolo de gregorio

Per smontare una tesi bisogna capirla. La tesi non è che si arriverebbe inevitabilmente alla liberalizzazione del suicidio assistito, ma che sarebbe la soluzione logicamente inattaccabile fondandola sul principio della libera determinazione.
Anche il richiamo all'aborto non funziona: "quello" è un omicidio che abbiamo deciso di non punire. Un po' come la legittima difesa. Il resto te lo sei inventato tu.

Michele Pezza da Itri

Giuseppe Regalzi ha detto...

Michele: il principio della libera autodeterminazione può essere invocato pienamente solo nel caso del rifiuto dei trattamenti; e lì infatti, come già s'è detto, l'individuo non può essere costretto a nulla contro la sua volontà, neppure a ingoiare un'aspirina.

Nel caso dell'eutanasia attiva e del suicidio assistito (che sono pratiche molto simili), invece, siamo già al di fuori del territorio strettamente liberale. Qui l'individuo chiede l'intervento di qualcun altro, che per gli stessi principi liberali non è tenuto a corrispondere ai suoi voleri. La mia libertà, per esempio, non viene violata se lo Stato non mi trova la fidanzata o se non mi manda una squadra di psicologi in caso di un lutto in famiglia.
In quasi tutte le società liberali moderne si fa un'eccezione per le cure mediche: si stabilisce che i cittadini hanno diritto a essere curati a spese della collettività. L'eutanasia o il suicidio assistito per cause mediche sono un'estensione naturale di questo diritto; estendere la loro applicazione anche a condizioni di infelicità personale significherebbe ampliare il ruolo dello Stato in maniera che attualmente ci appare indebita - ma che ovviamente non equivale a dire che chi soffre di dolori irrimediabili ha più 'ragione' di suicidarsi di chi ha perso ogni voglia di vivere, così come il fatto che lo Stato mi paga gli integratori vitaminici e non l'agenzia per cuori solitari non significa che l'astenia mattutina è più importante del fatto di non avere una compagna nella vita.

Anonimo ha detto...

@ Giuseppe Regalzi

Desidererei essere più sicuro di averti inteso correttamente e rileggere con più attenzione, ma debbo uscire con urgenza e quindi scrivo di getto. Se necessario, mi correggerai.

Mi sembra che il problema nasca quando l'aspirante suicida che chiede assistenza trovi chi liberamente gliela offre, come nel caso del dott. Riccio per Welby. Si chiede una legge per consentire a chi collabora al suicidio di non essere perseguito penalmente. Per cui, se chiedo assistenza per suicidarmi e trovo chi sia disponibile, il principio della libera autodeterminazione può e deve essere invocato, proprio per non ampliare il ruolo dello stato.

Michele Pezza da Itri

Giuseppe Regalzi ha detto...

Michele: in effetti toccavo solo il caso dell'eutanasia o suicidio assistito amministrati direttamente dallo Stato. Mi pare tuttavia che anche il libero accordo fra due privati finisca per doversi ricondurrre a quella fattispecie: per evitare conseguenze indesiderate (omicidi mascherati da suicidi assistiti, suicidi di incapaci) lo Stato dovrebbe comunque istituire apposite commissioni - e torneremmo al caso che esaminavo; del resto la stragrande maggioranza dei suicidi assistiti sono compiuti da persone con condizioni di natura medica (non per niente citavi il caso Welby).

Comunque, così come molti commenti fa auspicavo la punibilità di chi ostacola un suicidio compiuto non su impulso e da persona capace di intendere e di volere, analogamente auspicherei la non punibilità di chi assiste un suicida nelle stesse condizioni (già oggi in casi analoghi si può invocare l'art. 62 c. 1 c.p.).
Sintetizzando:
1. suicidio assistito/omicidio del consenziente per persone affette da patologie gravi: erogato direttamente dallo Stato;
2. suicidio assistito/omicidio del consenziente per persone non in grado di intendere e di volere: ovviamente punito;
3. suicidio assistito/omicidio del consenziente per persone in grado di intendere e di volere: non punibile (la magistratura accerta le circostanze).

Anonimo ha detto...

La lunghezza degli interventi è, di solito, proporzionale alla mole di fesserie da demolire. Se l'interlocutore minimizza il volume delle fesserie per concentrarsi sull'essenziale, ci si può permettere il lusso della sintesi. Come in questo caso.

"La vera posizione inattaccabile sul piano logico è quella del rispetto della volontà". Forti di questa ammissione dell'apostolico, gli chiediamo ancora quali siano i motivi, e non i pretesti*, i veri motivi per impedire il rispetto della volontà del paziente. Immaginiamo, giusto per dargli un aiutino, che un simile no possa essere motivato solo da qualcosa di più importante della volontà della persona.
Se riesce a rispondere rimanendo nell'ambito del post, gliene saremo grati. Poi, se Giuseppe vorrà aprire un post sul suicidio**, più o meno autonomo o assistito, promettiamo di non tirarci indietro nella discussione.

* se abbiamo stabilito che il rispetto della volontà del paziente è valore preminente, eventualità quali la burocrazia opprimente, i regimi autoritari, il pendio scivoloso e quant'altro, lungi dal costituire motivi validi per negare questo diritto, dovranno essere inquadrati per quello che effettivamente sono, problemi di secondaria importanza cui trovare una soluzione, al fine di salvaguardare il valore, "logicamente inattaccabile", del rispetto della volontà.
** questo tirare a forza il suicidio parlando di eutanasia ricorda un po' i bambini che, sorpresi con le mani nel vasetto della marmellata, si giustificano dicendo che, se hanno visto Tizio metterci le mani allora, come "soluzione logicamente inattaccabile", possono farlo anche loro. Però qui si discute di eutanasia e living will. E noi chiediamo di giudicare se sia giusto o meno mettere le mani nella marmellata a prescindere da come si comporta Tizio.

paolo de gregorio ha detto...

Michele, ho capito benissimo quello che volevi dire. Insisti nel fare distinguo senza giustificarli. Le implicazioni logiche che cerchi di imporre all'essere umano e ai popoli non sussistono e l'ho spiegato molto chiaramente. Inoltre esse non sono osservate nella pratica, come tu stesso sottolinei. Conclusione: la tua"inevitabile conclusione logica" probabilmente non è né logica, certamente non inevitabile.

Dici: l'aborto è un omicidio che si è scelto di non punire. Benissimo: cosa vuole dire questo, che la conclusione logicamente inevitabile è che l'omicidio debba diventare legittimo sempre e comunque? E se non è accaduto, è per illogicità? E cosa ti auspicheresti, la logicità e quindi la legittimazione dell'omicidio? Oppure vorresti insistere che l'aborto va vietato al fine di non legalizzare altre forme di "omicidio", nonostante questo nesso non sia mai accaduto?

Come te la rigiri il mio ragionamento non cambia: l'aborto non ha portato alla legalizzazione dell'omicidio, e non si vede allora perché l'eutanasia o il testamento biologico dovrebbero portare alla legalizzazione del suicidio assistito. Se la tua è un'osservazione sulla "logicità" delle cose (da uno che confonde mele con pere...) fine a se stessa mi dispiace ma, essendo priva di conseguenze, è inutile.

Anonimo ha detto...

@ paolo de gregorio (e filippo)

Probabilmente ti ha colpito lo scritto di Giuseppe più che il mio… Per lo meno sono in buona compagnia: Giuseppe sintetizza il tutto in tre possibili casi esaustivi e, guarda caso, tutti e tre iniziano con le parole "suicidio assistito/omicidio del consenziente". Cioè, l'eutanasia NON PORTA alla legalizzazione del suicidio assistito, BENSI' E' PROPRIO la legalizzazione del suicidio assistito. Almeno sono in buona compagnia nel sostenerlo… e siamo almeno in due a leccarci la marmellata dalle dita, come dice filippo.

Del quale non capisco chiarissimamente (certamente per i miei limiti, ma prometto di leggere meglio) dove trovi pace: se nell'affermazione che il suicidio non c'entri un beneamato nulla, o nella difesa assoluta dell'autodeterminazione, suicidio assistito compreso, il quale così, cacciato dalla finestra, rientra dal portone.

Ripeto a paolo per l'ennesima volta che non ho sostenuto quanto mi fa dire. Aborto = legalizzazione dell'omicidio tout court? Oppure che debba esserne uno sbocco obbligato? Mavvìa. E nel caso assurdo trovasse un'affermazione del genere, la disconosco ipso facto come lapsus calami e mai appartenutami.

Michele Pezza da Itri

P.S. Per quanto riguarda il problema serissimo che nasce nel confronto tra autodeterminazione e obbligo di impedire il suicidio, sto cercando di provvedere nel colloquio con Giuseppe. Time out.

Anonimo ha detto...

"L'eutanasia NON PORTA alla legalizzazione del suicidio assistito, BENSI' E' PROPRIO la legalizzazione del suicidio assistito". Questo lo dice lui. Sarà vero, non sarà vero, non era questa la nostra domanda. La nostra domanda verteva sul no all'eutanasia, e sui motivi che lo giustificano agli occhi dell'apostolico. E non abbiamo ancora visto niente.
Allo stato dell'arte abbiamo solo un no che si qualifica come un'imposizione che poggia sul niente.

Anonimo ha detto...

@ Lord Philip, un vero gentleman

Ma che far play! Non ho intenzione di sottrarmi ai tuoi ordini perentori, ma abbi pazienza. Ho solo chiesto time out per rispondere ad una domanda molto impegnativa. Non te ne sei accorto? O mi sventoli anche tu un cartellino giallo?

Forse a te non interessa che l'eutanasia sia la legalizzazione del suicidio assistito, ma sarebbe bene che ti rendessi conto di non essere l'ombelico del mondo: ci sono anche altri a cui rispondere.

Michele Pezza da Itri

P.S. Grazie dell'appellativo "l'apostolico": m'inorgoglisce e non speravo in una così autorevole conferma.

Giuseppe Regalzi ha detto...

Michele, non ci innervosiamo, per favore.

Che "l'eutanasia sia la legalizzazione del suicidio assistito" non è del tutto esatto: a rigore - eutanasia attiva - si tratterebbe della legalizzazione parziale dell'omicidio del consenziente (è proprio per l'esistenza dell'art. 579 c.p. che non è possibile praticarla oggi in Italia). Il suicidio assistito è una modalità con cui può avvenire l'eutanasia in senso ampio (credo che sia così in Oregon, ma vado a memoria potrei sbagliare), e come già ampiamente dimostrato la legalizzazione in ambito medico non implica di per sé la legalizzazione in tutti gli altri casi.

paolo de gregorio ha detto...

Come sottolinea Regalzi, caro Fra' Michele, siamo al paradosso che tra i vari stati, sottostai o nazioni dove l'eutanasia è consentita (in ambito "medico") quelli dove il suicidio assistito è sempre ammesso vanno cercati un po' col lumicino. Manifestazione un po' bizzarra di una conseguenza che si vuole logicamente ineludibile.

Ma tornando per un istante all'aborto, non conta proprio nulla che tu non abbia mai sostenuto che esso porti alla legalizzazione di qualunque omicidio. Stavo solo applicando la tua "logica", senza un'unghia di modifica, a quel caso (se esso è veramente un omicidio, l'averlo legalizzato non può che portare come coonseguenza logica inevitabile alla legalizzazione di tutti gli omicidi). Tant'è che, proprio ora e quasi trasecolavo, hai ammesso che l'aborto non è un vero e proprio omicidio. Spero che in discussioni future non ritratterai questa concessione arrrivata dopo mesi di "scontri" dialettici. D'ora in poi non potrai più affermare che l'aborto è un omicidio. Io mi accontento, ho ottenuto più di quel che sperassi.

Chiosa: anche il tuo esempio in cui richiami la legittima difesa calza perfettamente. Infatti, nel distinguere tra eutanaisa e suicidio assistito liberamente concesso, si possono fare distinguo circostanziali, che sono gli stessi che consentono di considerare un crimine grave l'omicidio volontario ed un illecito non punibile l'omicidio per legittima difesa.

Anonimo ha detto...

@ paolo de gregorio

Ma quando mai ho ammesso che l'aborto non sia un omicidio? Ripeto anche in questo caso che: "Nel caso assurdo trovassi un'affermazione del genere, la disconosco ipso facto come lapsus calami e mai appartenutami"

Ho solo negato, in risposta alla tua "libera interpretazione" della mia "logica", che la decisione di non punire l'aborto, che è e rimane omicidio a tutti gli effetti, abbia uno sbocco obbligato nella legalizzazione dell'omicidio tout court, ossia di qualsiasi omicidio. La tua interpretazione è del tutto errata e applicando la mia "logica" non si può dedurre quanto dici. Infatti, per quanto riguarda l'eutanasia (pur con i distinguo bizantini di Regalzi) il problema non è nell'estensione della fattispecie (se l'eutanasia coincida o non coincida in toto con il suicidio assistito), ma nel principio utilizzato per legalizzarla, ossia il rispetto della libera autodeterminazione. Di conseguenza, il suicidio della persona capace d'intendere e di volere dovrebbe essere sempre rispettato ed anzi qualcuno (Regalzi) auspica «la punibilità di chi ostacola un suicidio compiuto non su impulso». Sul piano logico, concordo con lui.
Nel caso della legittima difesa, interviene un diritto di ordine superiore, ossia al diritto di difendere sé stessi da un'aggressione (e con forti limiti). Quando questo principio non è applicabile, allora l'omicidio è punibilissimo, senza incongruenze logiche. Al suicidio di persona capace d'intendere e di volere, invece, è applicabilissimo lo stesso principio che lo autorizzerebbe in campo medico.

Però penso sia opportuno evitare il gioco del "se hai detto questo allora avresti dovuto dire anche questo e allora io ti avrei risposto, ma siccome allora tu mi avresti detto… ecc. ecc." che non se ne esce entro l'anno.

Credo che ci dovremmo sforzare d'interpretare perché la logica ci dica una cosa ed invece gli stati dove il suicidio è sempre ammesso vadano «cercati un po' col lumicino». Ci proverò quando svolgerò il compitino che mi ha assegnato filippo.

@ Regalzi

Non mi sembrava di aver manifestato nervosismo… ma starò ancora più attento alle forme.

Accetto e concordo con la precisazione (a noi i bizantini ci facevano il solletico…) Ripeto che non ho mai affermato che dopo la legalizzazione del suicidio in ambito medico debba, NEI FATTI, verificarsi la legalizzazione del suicidio, ma solo che ne dovrebbe essere una consequenzialità. Perché poi non avvenga, cercherò di spiegarlo, soprattutto a me stesso, in altro momento.

Michele Pezza da Itri

Anonimo ha detto...

Non crediamo di recitare il ruolo dell'ombelico chiedendo delle motivazioni per il no pronunciato dall'apostolico* alla legalizzazione delle procedure di eutanasia.
Ma se dovessimo proprio giocare a fare l'ombelico, allora ci piacerebbe ripetergli una domanda già posta e opportunamente ignorata, sul cosa mai è necessario fare per poter essere definiti, a suo giudizio, integralisti anche nel "panorama politico italiano", giacchè lui rifiuta di essere definito tale, mentre a noi l'amico sembra proprio un integralista fanatico della peggiore specie. Naturalmente solo opinioni.

* Apostolico non ci sembra esattamente un complimento. Ma, naturalmente, sono sempre e solo opinioni...

Anonimo ha detto...

@ filippo

Obbedisco sempre ai tuoi ordini, per cui per ora parliamo di "integralisti".
Nella cultura politica italiana, da più di un secolo il termine integralista indica coloro che da una specifica idea religiosa o filosofica ne fanno discendere automaticamente le leggi dello stato e le regole della convivenza (un po' come fai tu).

Siccome io mi definisco un pluralista convinto, non troverai nessuna mia affermazione che ponga i contenuti della mia fede a base dei ragionamenti e delle proposte politiche (è una sfida a trovarle). Il mio sforzo è sempre stato quello di trovare una piattaforma comune su valori comuni, perfino con filippo. Ad esempio, parlando di aborto ho sempre sperato che si potesse concordare sulla necessità del rispetto assoluto verso ogni essere appartenente alla razza umana, come valore condiviso alla base della convivenza nella nostra società.
A me sembra che quello che si stia allontanando dalla nostra cultura e dai valori condivisi sia tu (tu diresti la stessa cosa con tutt'altre parole che ti presenterebbero un illuminato innovatore).

Michele Pezza da Itri

P.S. Che c'è di male nel termine "apostolico"? Probabilmente non ne hai presenti il significato e la valenza del suo uso, visto che, come affermi altrove, la teologia cristiana (non solo cattolica, questa volta) non t'interessa e quindi non la conosci. Perché pensi di poter dire qualcosa su quel che dichiari di non conoscere?

paolo de gregorio ha detto...

"il problema non è nell'estensione della fattispecie [...], ma nel principio utilizzato per legalizzarla, ossia il rispetto della libera autodeterminazione"

Adesso dimmi tu se, sostituendo "legalizzarla" con "legalizzarlo", e ritenendo per assunto l'aborto un omicidio, nel caso dell'aborto non sia applicabile questa tua stessa affermazione. Ti garantisco che davvero non capisco, non lo riesco proprio a capire perché tu non consideri la legalizzazione dell'omicidio una logica conseguenza inevitabile della legalizzazione dell'aborto. Mi sembra evidente che se un tipo di omicidio di un altro individuo può essere compiuto per la primazia della libera autodeterminazione (anche sulla vita di un altro), allora può un altro tipo di omicidio (se vale la tua forma mentis). Non sto interpretando un bel niente, sto usando le tue parole. Che tu non l'abbia detto non conta: nel momento in cui invochi un principio quando ti conviene, non puoi decidere di non applicarlo quando non ti conviene, e sbrigartela dicendo "io non l'ho detto". Se lo fai, stai per l'ennesima volta dimostrando a tutti noi che stai tentando di prendere in giro delle persone. Buon diverimento! E buona assoluzione!

Anonimo ha detto...

Dal greco απόστολος, l'inviato con l'incarico di diffondere l'annuncio, o ευαγγέλιον. In sostanza un attivista con compiti di propaganda clericale. Non male per uno che si dichiara scevro da contenuti di fede nei suoi "ragionamenti".

E' per questo, per l'ansia di non scoprirsi, per cercare di scollarsi di dosso l'etichetta scomoda di integralista e riacquisire credibilità, che sta sudando sette camicie per girare attorno all'argomento eutanasia?
Eppure sarebbe così facile, gettare la maschera e confessare che il no all'eutanasia promana da nient'altro che dal riconoscimento del superiore valore dell'indisponibilità della vita, grazioso dono del suo dio immaginario, l'unico e solo che può dare e togliere...
Ancora: la sua amata chiesa, nella quale da bravo apostolico di stretta osservanza si riconosce in tutto e per tutto, se solo potesse, se ne avesse forza e la possibilità, ci rinchiuderebbe tutti in quello stampo di società integralista a sfondo teocratico in cui divorzio, interruzione volontaria di gravidanza, contraccezione, procreazione assistita, eutanasia, libera convivenza semplicemente non esisterebbero. Uno scenario nel quale il nostro apostolico si troverebbe a suo agio, e che difende con tutte le sue forze, aggiungendovi però la sua personale, inarrivabile faccia da culo con cui asserisce di agire alla ricerca di "una piattaforma comune su valori comuni"...

P.S.: Non pensi di svicolare, siamo sempre in attesa delle motivazioni al no sull'eutanasia.

Giuseppe Regalzi ha detto...

Filippo, l'espressione "faccia da culo" non è ammessa. Non fatemi intervenire un'altra volta.

Anonimo ha detto...

Fallo di confusione!

Caro paolo, per rimanere nella parafrasi dell'arbitraggio, abbiamo fatto confusione in area di rigore. Azzero e ripeto.

--- Sull'aborto -------
Principio 1: l'omicidio è un reato e va punito.
Principio 2: l'autodifesa è un diritto di ordine superiore, per cui legittima il non rispetto del principio 1.
Corollario 1: l'aborto terapeutico "potrebbe" rientrare nella fattispecie della legittima difesa; quello "standard" no.
Corollario 2: la legge non punisce l'aborto standard e fa volutamente un'eccezione, la quale, come tutti sanno, conferma la regola.
Corollario 3: qualunque altro omicidio che non sia per autodifesa o non sia esplicitamente considerato un'eccezione dalla legge, va punito.

--- Sul suicidio assistito/omicidio del consenziente (una volta legalizzato) ---
Principio 1: (come sopra)l'omicidio è un reato e va punito.
Principio 2: l'autodeterminazione è un diritto di ordine superiore.
Corollario 1: un suicidio è sempre "coperto" dal principio 2.
Corollario 2: chi collabora ad un qualsiasi suicidio non può essere punito in forza degli stessi principi base, senza che ci sia la necessità che la legge dichiari esplicitamente un'eccezione.

--- Conclusione ---
La legalizzazione dell'eutanasia, se motivata con il rispetto dell'autodeterminazione, comporterebbe la necessità logica della legalizzazione di qualunque suicidio e dell'omicidio del consenziente (sempre nel caso del capace d'intendere e di volere). Le leggi contrarie andrebbero abrogate. Che questo non avvenga significa solo che non sempre i legislatori sono consequenziali fino in fondo.
La non punibilità dell'aborto, invece, è stabilita come eccezione esplicita (ai fini di questa discussion, siccome hai posto il problema della coerenza interna del mio sistema, non ha rilevanza se secondo te l'aborto sia o non sia omicidio).

Michele Pezza da Itri

Anonimo ha detto...

Caro filippo,

per poter dialogare ci vuole almeno la volontà di capire il significato che l'altro dà alle proprie parole, altrimenti si fa polemica sterile. Quando alla mia domanda se del termine "apostolico" «hai presenti il significato e la valenza del suo uso» ti affretti ad aprire il vocabolario per trastullarti con l'etimologia, ecco! stai facendo sterile polemica. La domanda era palese ed era se tu avessi coscienza del perché da duemila anni (limitiamoci a circa millesettecento, per fare riferimento al Concilio di Nicea) si ripete «Credo nella Chiesa una, santa, cattolica e apostolica». Puoi riprovare ad indovinare, magari informandoti prima. Se volessi usufruire del Compendio del catechismo e se accettassi un suggerimento, ti proporrei il n. 161 e segg… ah! dimenticavo che non t'interessa… però non fai che parlare della Chiesa…

Sul mio non integralismo mi pare di averti dato un ampio chiarimento che una volta tanto non contesti. Ho spiegato ampiamente che sul piano politico e sociale mi rifaccio alla tradizione popolare sturziana ed accetto totalmente l'attuale società pluralista; la qual cosa sembra ti sia un po' ostico fare anche tu. Mi dispiace darti la triste notizia che esistiamo e con noi dovrai fare i conti, ma sempre nel rispetto delle regole che ci siamo dati per il funzionamento della società, per cui evita di evocare fantasmi di visioni teocratiche che non mi appartengono. E' evidente che tu ed io propugniamo soluzioni sociali e giuridiche diverse, se no che società pluralista saremmo?

Michele Pezza da Itri

P.S. Niente paura! Entro stanotte invio la discussione che aspetti.

Anonimo ha detto...

Visioni del mondo e culture diverse

Per venire al nocciolo della questione che filippo aspetta con ansia, partire dall'evidenza che abbiamo una visione del mondo tra di noi radicalmente diversa. Sul caso specifico dell'eutanasia son convinto che sia chiaramente emerso che non ci sia più spazio per stabilire una piattaforma condivisa. Hai indovinato perfettamente il motivo per cui non considero accettabile l'eutanasia, ma era facile facile (non mi pare una grossa genialata da parte tua, visto che avevi a che fare con un cattolico dichiarato… anche se ultimamente con la dottrina non sei andato molto bene…) Per dirla con le tue parole: per l'indisponibilità della vita. Tu credi (mi butto?) che nulla sia al di sopra della tua volontà, mentre a me questo sembra una follia.
Adesso potremmo cominciare ciascuno dei due a sostenere la "nobiltà" della propria posizione e condannare senza appello l'altra: ci sveneremmo senza costrutto, perché nessuno finora ha trovato la dimostrazione per dirimere questo impasse. Penso che da questo punto di vista non ci sia niente da fare: le nostre convinzioni filosofiche, cioè come crediamo che sia fatto il mondo, siano incompatibili e non mi pare ci sia margine per trovare un terreno di convinzioni comuni di secondo livello.

Allora non vale la pena discutere? Non credo sia così. Ho continuato in questa defatigante schermaglia con te con uno scopo: evidenziare quanto la vostra visione del mondo e la cultura che proponete non sia in armonia con quella della nostra società e con le convinzioni profonde di voi stessi. Non c'è da scandalizzarsi: dico in modo diverso quel che voi stessi direste (almeno relativamente alla società), solo che vi proporreste come ammirevoli apostoli (to'! che parola esce fuori!) della libertà.

Il dibattito sul suicidio è stato rivelatore, a cominciare dal tuo rifiuto di ammettere che l'eutanasia attiva sia una forma di suicidio assistito (su questo abbiamo pestato i tasti delle nostre tastiere per giorni interi): «Si continua a battere su un argomento, il suicidio, che non è in tema con quanto è in discussione.» Alla fine, invece sembri accettarlo, anche se non mi rammento tu l'abbia detto esplicitamente.
Poi il riconoscimento che la gente, se può, salva il suicida e che la società, invece di punire il salvatore come auspica Regalzi, di norma lo premi o comunque gli riservi una considerazione positiva (se vi capita, vedetevi il film "Il coraggio", con Totò suicida che viene salvato dalle acque del Tevere da Gino Cervi. Il titolo del film è relativo alla frase di Totò che va da Gino Cervi e gli dice "Ho avuto il coraggio una volta di suicidarmi e voi mi avete salvato: chi me lo darà un'altra volta il coraggio di rifarlo?")
Poi la considerazione che quasi ovunque, anche dove l'eutanasia è legale, le leggi sul suicidio, in modo contraddittorio, rimangono repressive.
Tutto ciò indica che la società "sente" il problema in modo diverso dal tuo. Ciò ti dovrebbe inorgoglire come apostolo della libertà, ma a me fai paura.

Forse un punto su cui cercare un valore comune (ma ci credo poco) potrebbe essere costituito dalla ripulsa di classificare e definire delle vite meno degne di essere vissute di altre, cosa essenziale nella legalizzazione dell'eutanasia…

Infine, penso che in fondo dovreste essere d'accordo con me: basta dare tutta la colpa alla Chiesa cattolica che ha deformato le coscienze per duemila anni! E voi pensavate di uscirne indenni?

Michele Pezza da Itri

Giuseppe Regalzi ha detto...

"evidenziare quanto la vostra visione del mondo e la cultura che proponete non sia in armonia con quella della nostra società e con le convinzioni profonde di voi stessi".

Veramente neppure la tua visione del mondo sembra tanto in armonia con la nostra società, che tende a guardare positivamente all'eutanasia.
Sembrerebbe una situazione simmetrica, senonché hai ripreso ad affermare per l'ennesima volta che io sarei contrario al salvataggio dei suicidi, dopo che ho impiegato parecchi messaggi per spiegare perché a mio parere quasi tutti i suicidi vadano salvati (e averti ripreso già due volte perché continuavi ad attribuirmi l'opinione opposta!). Quindi quello in sintonia con la società (per quello che vale) sono io, non tu...

Anonimo ha detto...

Caro Giuseppe,

non mi sembra di poter essere accusato di aver manipolato il pensiero di qualcuno. La tua affermazione

«impedire il suicidio è in generale un atto immorale e una forma di violenza grave, che a mio parere dovrebbe idealmente essere sanzionata dalla legge»

è estremamente chiara. In seguito l'hai pure confermata altrettanto chiaramente:

«molti commenti fa auspicavo la punibilità di chi ostacola un suicidio compiuto non su impulso e da persona capace di intendere e di volere».

Ora affermi di aver affermato che «quasi tutti i suicidi vanno salvati», ma in realtà lo hai affermato solo sotto condizione d'ignoranza delle motivazioni, ossia in condizioni contingenti particolari: «nell'ignoranza sulle motivazioni del suicida è corretto tentare di salvarlo. Quando le motivazioni invece sono note e non dipendono da uno stato mentale alterato o da un impulso momentaneo [qui continui con quanto riportato prima] impedire il suicidio è in generale un atto immorale e una forma di violenza grave, che a mio parere dovrebbe idealmente essere sanzionata dalla legge».

Non mi sembra proprio di non essere stato scrupoloso nel riportare il tuo pensiero, che era chiaro e netto.

Michele Pezza da Itri

Giuseppe Regalzi ha detto...

E infatti in pratica con le limitazioni alla regola generale la maggior parte dei suicidi vanno salvati!

Anonimo ha detto...

Avviso ai naviganti

Ogni qual volta io abbia affermato o affermerò che Regalzi auspica la punizione di chi tenta d'impedire un suicidio, si dovrà sottintendere "se le motivazioni gli sono note e non dipendono da uno stato mentale alterato o da un impulso momentaneo".

Credo che chiunque abbia seguito il dibattito considerasse ovvia e sottintesa questa precisazione.

Michele Pezza da Itri

Anonimo ha detto...

@ Giuseppe Regalzi (e gli altri)

Che ci sia molta pressione verso l'eutanasia lo sappiamo bene, altrimenti non staremmo qui sul blog. Ho solo evidenziato alcune incongruenze importanti, sia personali, come il rifiuto di alcuni ad assimilare il suicidio all'eutanasia (nonostante tutti i distinguo necessari), la ritrosia ad accettare la necessità logica di non opporsi al suicidio di chiunque (con le limitazioni indicate nell'avviso ai naviganti qui sopra) e sia social-giuridiche come la non congruenza delle leggi penali anche nei paesi dove l'eutanasia è entrata nel sistema giuridico.

Tutto ciò indica che la società è in travaglio, e che la sua struttura culturale cristiana fa per lo meno resistenza. Anche dentro voi stessi.

Michele Pezza da Itri

Anonimo ha detto...

"Accetto totalmente l'attuale società pluralista", naturalmente esercitando nel frattempo tutti i mezzi possibili per approvare leggi fortemente restrittive della libertà personale dei cittadini, come nel caso della legge 40/04*, o per cancellare quelle che invece aumentano la libertà delle persone, come la 194/78 o la legge sul divorzio. Il che, ça va sans dire, non può che andare a nozze, per il nostro, con l'idea di una società pluralista dove valore principale è il rispetto delle scelte personali di ognuno. E poi gli integralisti saremmo noi**.
Il nostro amico apostolico parla di chiesa una, santa, etc...etc..., noi vediamo solo la più antica associazione a delinquere del mondo occidentale, una lobby di potere che ritiene di difendersi e di giustificare la propria esistenza imponendo urbi et orbi il proprio modello di società e di morale e sostituendo le leggi laiche con le leggi di dio. Di quel dio che vive solo nella mente sovraeccitata dei fondamentalisti. C'è qualche differenza con le repubbliche islamiche, oltre alla foggia degli abiti dei gerarchi?
Che la feccia integralista in questo paese esista, che rumoreggi per nascondere la sua consistenza numerica tendente al ridicolo, che si agiti e manovri le sue leve in parlamento per raggiungere i suoi obiettivi, consistenti nella difesa degli spazi di potere delle gerarchie ecclesiastiche, è cosa che ci è ampiamente nota, non ci servono i dispacci dell'apostolico. Che i capibastone d'oltretevere abbiano deciso di alzare il livello dello scontro in un paranoico quanto ostentato delirio di onnipotenza, è un segnale della loro segreta consapevolezza, della loro intima e corretta percezione di una realtà in cui ormai inizia a mancare loro il terreno sotto i piedi, di una realtà in cui il loro cosiddetto gregge ha smesso da tempo di seguirne le direttive potendo e preferendo regolarsi per conto proprio in tema di contraccezione, divorzio, interruzione di gravidanza, tematiche di fine vita, una realtà pertanto in cui la loro stessa presenza, la presenza di questi simpatici pagliacci con la tonaca e dei loro tirapiedi diverrà solo una molesta nota superflua. E comunque sono loro a dover fare i conti con noi e non viceversa, dovranno vedersela fino all'ultimo con chi non ci sta a subire il controllo della gerarchia sul proprio corpo, sulla propria mente, sulla propria vita e sulla propria morte.

* Si prega il nostro di astenersi dal citare, come già fatto, la legge in questione come esempio di legge liberale, in una precedente occasione al riguardo lo abbiamo già insultato a sufficienza per come si meritava.
**Comunque, se muoversi tenendo a mente la massima di JS Mill che campeggia sul frontespizio di questo blog, e che per la feccia integralista equivale ad una bestemmia, costituisce motivo per essere etichettati come integralisti, ebbene allora noi siamo l'integralismo fatta persona. E ce ne vantiamo.
* * * *
Quindi siamo al redde rationem. Intanto mettiamo all'incasso, con legittima soddisfazione, l'ammissione del nostro***. Ammissione di cui eravamo talmente sicuri da permetterci di ricordargli che anche il non rispondere avrebbe costituito una risposta. Che non si sia trattato di una "genialata" ne conveniamo. D'altronde, quando ci si trova a che fare con il catto-integralismo, la mercanzia di cui dispongono è quella. Una genialata, ad un certo punto, potrà anche esserla sembrata nel momento in cui ci siamo dovuti sciroppare un'ottantina di interventi assolutamente non attinenti al tema in discussione, infarciti con una messe di pretesti alquanto ridicoli, messi in campo solo per creare una cortina fumogena. Ancora, una genialata lo sarà divenuta nel momento in cui abbiamo dovuto reiterare la richiesta più volte, consapevoli che il continuo svicolare dell'apostolico era solo dettato dal comprensibile imbarazzo di chi si presenta come "pluralista" e poi non ha altro da offrirci, alle strette, se non la dottrina di mamma chiesa. Per cercare di distogliere l'attenzione dall'unico, vero punto essenziale del discorso, il diritto alle proprie scelte e la sostanziale assenza di alternative con cui ribattere, a parte l'indisponibilità e sacralità di cui sopra.
Il nostro afferma di avere comunque portato avanti un dibattito "rivelatore" di certe inconsapevoli ritrosie. A nostro avviso le ritrosie sono tutte sue e dei suoi degni compagni di merende, ritrosie ad ammettere a sè stessi di non avere altro da proporre ai Welby, alle Eluana, ai Nuvoli, che un argomento ridicolo e farlocco come quello della vita indisponibile. Lo vadano a dire al padre di Eluana, o a Gianfranco Ravasin, a quanti giacciono in un letto di dolore tra sofferenze inimmaginabili, costretti a condurre uno straccio di vita senza più dignità, che il rispetto della volontà di ognuno di loro, di ognuno di noi, è "follia". Per cui comprendiamo benissimo la riluttanza del nostro. La riluttanza a mostrare il cinismo incredibile e inumano di certi dinieghi, la riluttanza a svelare il volto di pietra che costituisce l'unica risposta che santa madre chiesa può offrire alle richieste di comprensione e di aiuto di quanti si discostano dalla sua dogmatica visione della morale.
Concludiamo ribadendo che il discorso sul suicidio assistito, per quanto introdotto al fine di creare uno specchietto per le allodole nell'ambito del confronto, avremmo anche potuto accettarlo e affrontarlo, giacchè non abbiamo problemi a dire al nostro apostolico che non muoveremmo un dito per impedire il suicidio di chiunque ritenessimo in possesso delle sue facoltà di intendere e volere. E che siamo inoltre pronti ad aiutarlo in qualunque momento decidesse di rompere gli indugi e di salire anzitempo "alla casa del padre". Ma certo non è nostra abitudine il farci dettare la scaletta degli interventi dagli altri, per quanto furbi possano essere, per cui questa presa di posizione non sarebbe mai giunta prima che il nostro scoprisse le carte e mostrasse il suo bluff. Perchè comunque, in discussione in questo post, c'è l'eutanasia, una procedura medica, una terapia, la cui indicazione è posta da un medico che è responsabile anche della sua somministrazione. C'è l'eutanasia e non il suicidio assistito, che resta tutt'altra cosa (mischiare mele con pere come sottolineava l'amico Paolo).
***Ammissione che ricalca pari pari quella di un troll in gonnella che abbiamo smascherato con identica procedura solo qualche giorno addietro, anche se con meno fatica in quell'occasione, bisogna ammetterlo.

Nota finale: c'è effettivamente pressione sul tema eutanasia, una pressione che l'integralismo cattolico sente per intero sulle sue spalle nel momento in cui l'opinione pubblica italiana appare, in maniera praticamente plebiscitaria, ampiamente favorevole all'introduzione di provvedimenti in direzione dell'eutanasia. Probabilmente è proprio questo tipo di pressione a bruciare il culo ai fondamentalisti, che non hanno in tasca altro da opporre che "l'indisponibilità della vita"...

Anonimo ha detto...

Stiamo all'argomento

Rispondere al torrenziale filippo è sempre un problema. Per uscirne vivi è necessario ricorrere alla semplificazione: una volta eliminati i gratuiti insulti ad alzo zero e gli argomenti fuori tema (capibastone d'Oltretevere, pagliacci e tirapiedi, feccia integralista, menti sovraeccitate di fondamentalisti, fecondazione assistita, aborto, divorzio, apostolicità della Chiesa, repubbliche islamiche, stime sulla consistenza dei cattolici che, nella personale statistica di filippo, da oltre un miliardo si riducono a pochi scalmanati, deliri d'onnipotenza e fogge di vestiari, ecc.), per fortuna rimane poco. In realtà ho scritto e riscritto diverse volte le risposte puntuali, ma voglio stare sull'argomento, però le ordinerò e le invierò con il titolo "Antropologia di un integralista". Per ora rientriamo nel merito e ripetiamo quanto il nostro sembra non recepire.

Prima un cappello obbligato: gli lascio volentieri immaginare di aver ridotto un tremebondo cattolico ad aver paura di citare la dottrina cattolica. Probabilmente filippo non rammenta (legittimamente) per quale motivo io affermi sempre in modo così esplicito il mio essere "cattolico apostolico romano di stretta osservanza". Il perché lo dissi chiaramente fin dall'inizio: per evitare false partenze nelle discussioni. Stufo di sentirmi dire dagli altri quale dovrebbe essere il mio pensiero come cattolico e constatato che nella quasi totalità dei casi mi viene attribuito un pensiero che di cattolico non ha quasi nulla (per crassa ignoranza religiosa, e filippo è solo l'ennesima conferma), ho pensato di rendere un servizio a me e agli altri suggerendo di dare un'occhiatina al catechismo: così non c'è bisogno d'inventare sbagliando e la discussione parte bene. Meno male che c'è filippo! ma come avrai fatto ad indovinare tutto da solo quale sarebbe stata la mia posizione sul suicidio e sull'eutanasia? Abbiamo tra noi un vero fenomeno paranormale!

Ancora una volta filippo parte da una premessa falsa e di comodo: secondo lui in discussione c'è «l'eutanasia e non il suicidio assistito, che resta tutt'altra cosa (mischiare mele con pere…)». Mi dispiace ammorbare gli altri con questa diatriba, ma non posso farne a meno, perché da questa premessa dipende quasi tutto il resto.

Innanzi tutto, non sono il solo a pensare che il nesso ci sia: oltre che con me, se la prenda anche con Regalzi (che mi scuserà se lo metto sempre in mezzo, ma in questo ambiente ha più autorevolezza di me) e lo legga attentamente, il quale, nonostante alcuni bizantinismi, non può non ammettere che l'eutanasia attiva corrisponda al suicidio assistito/omicidio del consenziente, fornito dallo stato.

Ma per convincersene basterebbe un minimo di capacità di astrazione: se il suicidio è l'azione che mette in atto la volontà di una persona di morire anziché vivere (mi sembra una definizione neutra e accettabile da chiunque), di cos'altro stiamo parlando? Le differenze rimangono sempre al di dentro di questa definizione: anche se agisco direttamente o per omissione, con i miei mezzi o se tramite l'azione altrui, con o senza intervento medico, a carico o non a carico del SSN… se quel che conta è la mia volontà, attuale o anticipata, sempre nell'ambito del suicidio rimaniamo. Chiamarlo in modi diversi è solo un'opportunità giuridica per adattare la legge a manifestazioni diverse che possono avere rilevanza giuridica tale da motivare normative diverse. Ma sempre suicidio è.

Come al solito mi tocca fare il lavoro semplice semplice al posto di filippo: sei davanti al computer? Butta lì una ricerchina su Google ed in mezzo a tanta monnezza, troverai anche materiale serio ed abbondante sull'argomento. Che cosa troviamo, senza neanche scrivere "suicidio", ma solo "eutanasia attiva"? Evito tutte le fonti "sospette" (cattoliche), ma tutti, alla domanda cos'è l'eutanasia introducono anche il suicidio assistito tra le diverse forme:

> UAAR (atei razionalisti): «Nella casistica si tende a far rientrare anche il cosiddetto suicidio assistito»

> Ufficio federale di giustizia e polizia svizzero (paese esemplare…). In una discussione esamina le diverse forme di eutanasia: l'eutanasia attiva diretta, attiva indiretta, passive e l'assistenza al suicidio.

> Per rimanere in Svizzera, riporto una risoluzione della Società Svizzera di Medicina e Cure Palliative: «Finché l’accesso alle cure palliative non è assicurato dappertutto in Svizzera, non dovremmo favorire l’adozione di un dispositivo legale di assistenza medica al suicidio o di eutanasia attiva diretta»

> e così via in decine e decine di documenti… che ci risparmiamo di riportare.

Ma poi, alla fine, magari per farmi contento, hai accettato la questione ed affermi che «non abbiamo problemi a dire al nostro apostolico che non muoveremmo un dito per impedire il suicidio di chiunque ritenessimo in possesso delle sue facoltà di intendere e volere. E che siamo inoltre pronti ad aiutarlo in qualunque momento decidesse di rompere gli indugi e di salire anzitempo "alla casa del padre"». E il tanto citato intervento del medico cambierebbe la sostanza della cosa? Non mi pare proprio.

Ma tu dici di essere pronto ad aiutare qualsiasi suicida di cui fossi certo della sua volontà. Bene! allora proponi direttamente la legge essenziale, abolendo gli articoli che puniscono l'omicidio di consenziente ed il suicidio assistito ed in tal modo ci semplifichiamo la vita (ops! umorismo involontario!). E contemporaneamente, non lasciare le cose a metà: devi punire esplicitamente tutti coloro che salvano un suicida, se consapevoli con certezza della sua volontà (ospedali compresi, anzi, prima di ogni cosa). E devi anche pretendere che il "salvato" possa richiedere i danni (cfr. Totò nel Coraggio). O non hai le idee del tutto chiare per fare tutto ciò?

Ma al redde rationem vorrei proprio vedere come ti comporteresti nella realtà (tanto per fare un caso pietoso che ti riguardi) davanti ad un figlio suicida, magari per una delusione d'amore (o questa volontà non ha le carte in regola?) o per una fortissima depressione (che è la causa della decisione e non la causa da rimuovere). Coraggio! filippo, dicci che gli ricacci la testa nel forno o gli dai la spintarella decisiva giù dal decimo piano! Oppure finisce che scopriresti di essere tanto egoista da non sopportarlo e lo salveresti… Ma come! proprio con le persone di cui di più dovresti rispettare la volontà, ti comporteresti come una persona qualsiasi? Cioè uno qualsiasi di questa nostra società, con qualche problema a conciliare eutanasia e civiltà?

Michele Pezza da Itri

Giuseppe Regalzi ha detto...

Michele, fare un esempio in cui sono coinvolti propri familiari suona molto come furbizia dialettica. "Ah, lei è contro la pena di morte? Immagini di trovarsi da solo con una pistola in mano davanti a uno che ha stuprato e assassinato sua figlia, e poi vediamo quanto rimane contrario!". (E comunque vorrei sapere chi non catalogherebbe come "suicidio d'impulso" quello di un adolescente lasciato dalla fidanzata...)

Anonimo ha detto...

Giuseppe, convengo con te che un esempio con i propri familiari possa sembrare quel che tu dici e me ne scuso. Ma ugualmente lo considero legittimo, per diverse ragioni. Innanzi tutto perché è sempre necessario fare i conti con le proprie emozioni e non rimanere sempre nel mondo delle idee. Poi perché non si chiede una garanzia sul comportamento reale che poi terremo, ma che si rifletta anche su queste situazioni limite e si accetti di prendere almeno una posizione coerente del tipo: "Rimango convinto che il comportamento eticamente corretto debba essere quello che mi detta la mia filosofia di vita, anche se non so se riuscirei a seguirlo in una situazione così difficile". L'esempio storicamente imponente è quello dei martiri cristiani: è facile dire bisogna essere pronti a morire piuttosto che rinnegare Cristo, ma bisogna essere convinti che anche nel caso non desiderato, la propria coscienza continui ad essere lucida, anche se poi nei fatti non ce la facessi. Ma per di più, siccome si contano più di 40 milioni di martiri per causa di fede nel solo XX secolo, possiamo permetterci di fare il paragone. Anche nel tuo esempio, debbo affermare oggi che la mia fede mi obbligherebbe a perdonare lo stupratore ed assassino di mia figlia.

Michele Pezza da Itri

Giuseppe Regalzi ha detto...

Michele, non avrei nessuna difficoltà a sottoscrivere una posizione di questo tipo: "Rimango convinto che il comportamento eticamente corretto debba essere quello che mi detta la mia filosofia di vita, anche se non so se riuscirei a seguirlo in una situazione così difficile". Questo era esattamente il mio punto.

Anonimo ha detto...

Giuseppe, per quanto riguarda il catalogare «come "suicidio d'impulso" quello di un adolescente lasciato dalla fidanzata...» ci sono due notazioni da fare: 1) non ho parlato di adolescenti; 2) chiedevo già se questa volontà non avesse le carte in regola per essere rispettata. La cosa non mi pare chiara: significa forse che tu hai un catalogo di ragioni valide per il suicidio ed altre no? Mi sembravi più aperto quando affermavi che «non equivale a dire che chi soffre di dolori irrimediabili ha più 'ragione' di suicidarsi di chi ha perso ogni voglia di vivere, così come il fatto che lo Stato mi paga gli integratori vitaminici e non l'agenzia per cuori solitari non significa che l'astenia mattutina è più importante del fatto di non avere una compagna nella vita»

Michele Pezza da Itri

Giuseppe Regalzi ha detto...

Michele: 1) in genere i figli che si suicidano per una delusione d'amore sono adolescenti (o comunque minori di età); 2) non ho un catalogo di ragioni valide. Una ragione valida è quella che causa per la persona uno stato stabilmente meno preferibile della morte. Un ragazzo manca dell'esperienza sufficiente per capire che il suo dolore del momento verrà presto superato, e può essere quindi indotto a un gesto affrettato - il suicidio d'impulso, appunto.

Anonimo ha detto...

L'apostolico è un recidivo. Accortosi che il tema dell'indisponibilità della vita gli sta stretto, perchè è roba da integralisti mentre lui è un liberal dentro, ma molto dentro, e non trovando granchè di intelligente da raccontarci, anche dopo aver infruttuosamente rovistato nel suo back ground culturale, se così vogliamo chiamarlo, decide di tornare sui suoi passi e di ammorbarci nuovamente l'esistenza col tema del suicidio. Che a nostro avviso costituisce solo un espediente per tirare a campare in questa querelle. Non insisteremo più di tanto nel ripetere che esiste una certa differenza tra una patologia invalidante e ad esito infausto e la fidanzatina che ti manda a quel paese.

Ad ogni modo, che questo malcapitato non abbia paura. Fermo restando che, coerentemente con quanto detto, “non muoveremmo un dito per impedire il suicidio di chiunque ritenessimo in possesso delle sue facoltà di intendere e volere”, e preso atto dell’opportunità, per dirla con il nostro, di “abolire gli articoli che puniscono l'omicidio di consenziente” e tutto il resto, vuol dire che cercheremo di procedere step by step: il diritto alla sospensione delle cure oggi, il diritto all'eutanasia domani (medici permettendo), per il resto si vedrà da dopodomani in poi. Promettiamo di impegnarci.
Al limite, ritroviamoci e “parliamone”.

Anonimo ha detto...

Ottimamente, filippo!

Siamo perfettamente d'accordo e sono ben soddisfatto dei tuoi impegni. L'importante è che si sappia quale sia il pacchetto che offri, nella sua interezza. Anche se poi, adottando la politica dello "step by step", o più italianamente ed efficacemente "del carciofo" speri che la gente non se ne renda conto. E' un problema di "consenso informato": voglio vedere quanti, avvertiti di cosa realmente offri globalmente, lo considereranno compatibile con la loro cultura e la loro visione del mondo. Tu pensi che avresti ugualmente un successone anche con le persone ben informate… io, penso proprio di no. Ed in fondo lo pensi anche tu, altrimenti non adotteresti la politica del carciofo, per sfruttare, per quanto possibile, l'emotività provocata da casi indubbiamente molto dolorosi.

"Parliamone" va sempre bene. In fondo, grazie a parlarne (non sempre con stile) siamo arrivati ad una valutazione comune, anche se le nostre visioni del mondo ci portano poi a scegliere strade diverse.

Michele Pezza da Itri

P.S. 1) L'indisponibilità della vita non mi sta stretta per nulla. 2) Che eutanasia e suicidio non si rimandino l'un l'altro, contrariamente a quanto troviamo in tutte le trattazioni di bioetica, è una tua fissa; chissà perché? Adesso tu ti sentirai obbligato a replicare che invece… ed io che invece… e così via… diamolo per fatto.

Anonimo ha detto...

Noi non siamo qui per convincere la gente, quella è un’occupazione degli apostolici, che hanno l’annuncio da portare in giro e debbono fare proselitismo. Noi ci siamo chiesti se era giusto rispondere affermativamente alla richiesta di sospensione delle cure avanzata da Eluana, e abbiamo risposto di sì, in nome del libero arbitrio*. Ci siamo chiesti se nel bagaglio di procedure a disposizione del medico debba esserci posto per l’eutanasia, e abbiamo risposto di sì, per lo stesso motivo. Abbiamo chiesto a chi non si trova in accordo con noi, in questo frangente nella persona dell’apostolico, di fornirci i motivi del suo diniego. Ebbene, affermare che l’introduzione dell’eutanasia aprirebbe la strada al suicidio assistito, o costituirebbe un suicidio assistito di fatto, non costituisce un valido motivo di diniego, perché non consente di spiegare perché non sarebbe giusto rispettare la volontà delle persone, un po’ come parlare di complicati apparati burocratici da mettere in opera, del rischio di derive autoritarie, pendii scivolosi ed altro che ci siamo dovuti sorbire, ed il nostro alla fine ne ha preso atto quando, visti vani i tentativi di infinocchiarci coi suoi pretesti ed incalzato da presso**, ci ha illustrato il vero motivo del no all’eutanasia, l’indisponibilità della vita. Alla luce di ciò, non vediamo quali titoli abbia per chiederci depliant illustrativi su come intendiamo convincere la gente, primo perché parliamo a titolo personale e chi ci legge è libero di trarre le sue conclusioni in merito, secondo perché, a quanto pare e sondaggi alla mano, la gente pare già essersi convinta da sola compiendo una scelta, e non è una scelta che gli integralisti possono gradire. Se ne faranno una ragione.
Comunque Giuseppe, che è più disponibile di noi in certe discussioni, ha già fornito una risposta soddisfacente, perché aggiungere altro?
* Il vero libero arbitrio ovviamente, non quello esibito dai cattolici, ricalcato sull’unico libero arbitrio di cui dispongono, quello dell’infallibile di turno.
**Se questa espressione dovesse apparire troppo aggressiva, possiamo sostituirla con vista vana la sua opera di convinzione e sommessamente anche se ripetutamente sollecitato da presso.

“L'indisponibilità della vita non mi sta stretta per nulla”. Alcune considerazioni. Intanto, se proprio non gli sta stretta, perché ha accuratamente evitato di scaraventarcela addosso di primo acchito, giacchè era l’unico motivo accampabile in suo possesso, preferendo il giochino dei pretesti di cui sopra? Secondariamente, può darsi invece che ad altri tale indisponibilità stia molto stretta, che facciamo, vogliamo mandargli i carabinieri (o le guardie svizzere…) per convincerli che se non sta stretta all’apostolico ed ai suoi maestri di pensiero, deve andar bene anche a loro? Ancora, ci piace molto il discorso di non rimanere confinati nel mondo delle idee e di scendere nel concreto, come con l’esempio del figlio che vuole farla finita per problemi di cuore: allora, concretamente, provi a contattare il padre di Eluana ed a spiegargli che non si può impedire che le care suorine continuino a spupazzarsi quel vegetale*** che una volta era sua figlia perché “l’indisponibilità della vita all’apostolico e ai suoi maestri di pensiero non sta stretta per nulla”.
***Il termine è duro, ma purtroppo ricalca lo stato delle cose.

Anonimo ha detto...

Anguillesco filippo, senza ritegno alcuno! Prima affermi che «… in discussione non era il nostro di sonno, ma casomai quello di chi prende sul serio solenni amenità del calibro della transustanziazione, del dio uno e trino…» e quando ti si fa notare che con l'accanimento terapeutico, tema del post, tutto ciò non ha niente a che fare, ti atteggi ad anima candida che può solo proporre a Giuseppe?
Guarda che qui gli scripta manent e si sa benissimo quel che hai detto!

Sarò ben lieto di partecipare a qualsiasi post interessante.

Michele Pezza da Itri




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E' d'accordo con me e non se ne accorge.

Parliamo di filippo, naturalmente,l' ultimo difensore di Fort Alamo. Stiamo ambedue affermando che siamo portatori di civiltà diverse ed ambedue abbiamo la coscienza di fare un dibattito politico, per cui ambedue abbiamo coscienza che affinché la società si muova verso quanto reputiamo il meglio è necessario che la maggioranza (almeno in democrazia) aderisca alla sua visione. Lui, da una parte sostiene che non gli interessa quel che la gente pensa, d'altra sostiene che non c'è problema perché la visione cristiana della vita è in via d'estinzione. Non ti conoscevo all'epoca del referendum sulla legge 40, ma ci scommetterei che affermavi qualcosa di analogo, salvo poi accorgerti un po' bruscamente che la tua visione della "gente" non era del tutto rispondente al vero. Vorrei notassi che non mi riferisco strettamente ai cattolici, ma al sentire diffuso degli italiani. E nel caso dell'eutanasia il film sarebbe lo stesso, a patto che l'informazione sia corretta e la "gente" sappia che il pacchetto completo prevede la sostituzione della carità cristiana verso le persone reali con un'atarassica, notarile, imperturbabile e voyeristica presa d'atto delle azioni altrui (libere, naturalmente!) Il bello è che siamo d'accordo sulla valutazione di proporre due cose profondamente diverse, ma chissà perché la butti in caciara.

E per parlare del caso di Eluana: prendi finalmente coraggio e la dichiari «quel vegetale» ed anche se il termine ti sembra «duro», devi constatare che «purtroppo ricalca lo stato delle cose.» Non hai il coraggio, però, di trarne le legittime conclusioni. Le persone umane si trattano da persone umane ed i vegetali si trattano da vegetali. Le persone umane soffrono, i vegetali no (finora nella società è un'ipotesi condivisa da quasi tutti). Le persone umane si accudiscono, i vegetali s'innaffiano (neanche questo ti va bene, visto che disprezzi le suorine - un po' dovresti vergognarti per questo - che più o meno questo vogliono fare). Insomma non mi dire che tu abbia a cuore il destino del "vegetale Eluana"! C'è una chiara sproporzione tra l'entità della battaglia e l'oggetto di essa: se lo facessi esplicitamente per un ficus d'appartamento, saresti ridicolo. Neanche un pretestuoso ricorso dialettico a «disposizioni testamentarie vincolanti» cambierebbe questa realtà: una ben misera questione quella di quale sia il beneficiario del ficus di cui sopra. La società non si accorge nemmeno dei milioni di "drammi" privati sul destino ereditario di beni trascurabili. E mi dispiace dirlo, neanche il padre dà l'idea di pensare al reale dolore di Eluana, dolore che infatti nega, ma sembra dominato dal suo, certamente atroce. Mi dispiace dire ciò, ma visto che finalmente ti sei deciso a dire le cose come effettivamente le pensi, diciamole fino in fondo, per cui, per favore, non mi si accusi d'insensibilità a causa del linguaggio.

La conclusione è di nuovo quella sulla quale non vedo perché non dovresti essere d'accordo: si vedrà se la cultura della nostra società potrà essere radicalmente negata con l'accettazione dell'eutanasia. Non lo so cosa succederà esattamente, ma il dibattito deve aiutarci a rendere chiari i termini della questione e non dobbiamo trasformarlo in una tribuna per sfoghi personali (tu hai un problema irrisolto con la religione).

Michele Pezza da Itri

P.S. Non ti sembra di essere stucchevole con la reiterazione senza fine delle stesse cose, quali "il suicidio non c'entra", oppure della questione del perché era del tutto superfluo rispondere alle tue domande retoriche di cui tutti conoscevano già la risposta, o degli insulti gratuiti ai cattolici ecc. ecc. Abbi considerazione della resistenza di chi ci legge (ma ci saranno ancora?) e di noi stessi.

Anonimo ha detto...

Come vi sarete accorti, con il copia e incolla è finito qui anche il messaggio per l'altro post. Provvedo a ripeterlo di là.

Michele Pezza da Itri

Joe Silver ha detto...

[...] d'altra parte sostiene che non c'è problema perché la visione cristiana della vita è in via d'estinzione. Non ti conoscevo all'epoca del referendum sulla legge 40, ma ci scommetterei che affermavi qualcosa di analogo, salvo poi accorgerti un po' bruscamente che la tua visione della "gente" non era del tutto rispondente al vero.

Dal che devo dedurre che la legge 40 è una "legge cristiana" o comunque ispirata ad una "visione cristiana della vita". Nulla di nuovo sotto il sole, intendiamoci, ma quanta ipocrisia, allora, per dare a bere che la legge che tutela il concepito fosse una legge laica - mentre nel frattempo i preti facevano ampia opera di propaganda durante le omelie (ma un'informazione "corretta" suppongo, corretta dal magistero a cui un intero stato si deve inchinare).

[...] il pacchetto completo prevede la sostituzione della carità cristiana verso le persone reali con un'atarassica, notarile, imperturbabile e voyeuristica presa d'atto delle azioni altrui

Dal che si evince (ma non avevo dubbi neanche su questo) l'arrogante pretesa che ogni azione umana improntata alla cura del prossimo e al lenimento delle sue sofferenze ricada sotto la giurisdizione di cristo; e che esista un'alternativa secca tra la nobilissima "carità cristiana" verso le persone reali (embrioni compresi, i quali magari sono pure un po' più persone di coloro che li ospitano) - e che comunque deve sempre cristianamente imporsi sui suoi destinatari - e un burocratico mondo senza cuore, senza compassione e cinicamente notarile, e magari pure assassino.

Poi dice che uno ha problemi irrisolti con la religione...

Anonimo ha detto...

Deduzioni improprie

Joe (grazie al cielo [si può dire?] c'è qualcun altro oltre a filippo)" che la legge 40 sia una legge «ispirata ad una "visione cristiana della vita"» è una deduzione del tutto impropria. E' evidente che tu come filippo non siate ferratissimi in dottrina cattolica, anche se non fate che parlarne sempre, ma la legge 40 NON è una legge d'ispirazione cristiana in quanto la fecondazione assistita è non legittima, perfino tra coniugi (detta omologa). Stabilito che hai diritto di essere ignorante perfino in quello di cui ti piace parlare, almeno nel dibattito di allora questa cosa ti sarebbe dovuta giungere chiaramente perché fu ripetuta apertis verbis. E se non te la ricordi, credimi che è così. Essendo la politica l'arte del possibile, tra le due alternative proposte dal referendum, da parte di molti allora si scelse la "meno peggio". Ed è esattamente quel che ho voluto dire facendo riferimento al referendum: la cultura di massa degli italiani, tra le due proposte (nessuna delle quali rispondente pienamente alla morale cattolica) ha scelto con molta chiarezza quella "a maggior contenuto cristiano", se mi si consente l'espressione. Piaccia o non piaccia, è andata così. Certo, potete dire che il popolo italiano è succube, ignorante, ecc. ecc. ed è tutta colpa dei soliti pretacci, condanna dell'Italia da duemila anni, ecc. ecc. (so che voi sapete esprimervi molto meglio di me su questo registro). Solo che continuate a non mostrare molto rispetto nei confronti popolo italiano.

Il tuo secondo quesito dipende direttamente dalle scelte filosofiche ed esistenziali su cui da sempre l'umanità s'interroga. La contrapposizione tra l'ateismo radicale e la convinzione che l'uomo sia stato creato è una discriminante che spero non vogliate considerare risolta definitivamente dall'umanità e tanto meno in questo post… né lo risolviamo lanciandoci contrapposte affermazioni apodittiche. Le due posizioni (con tutte le variabili possibili e immaginabili) portano a volte a soluzioni filosofiche e socio-politiche inconciliabili. Siccome viviamo in uno stato democratico e pluralista, non possiamo pensare di risolvere il problema con l'eliminazione o la demonizzazione dell' "avversario": cercheremo il massimo comun denominatore come base condivisa, se possibile. Quando non la si trova, ci si conta. Come è avvenuto con tante leggi (ad esempio, divorzio). Non accettare queste regole e pensare di poter accettare solo le leggi "a carta carbone" dalla propria filosofia, questo è il vero integralismo, in quanto l'integralismo è un metodo e non un aderire o meno ad un insieme specifico di leggi. Ecco perché filippo è un integralista (e mi sa che anche tu sia in odor di santità). Il punctum dolens è che non se ne rende conto: invece dovrebbe dare retta a noi che l'integralismo l'abbiamo avuto in casa e l'abbiamo conosciuto e combattuto (la vera difficoltà nell'aver a che fare con gli integralisti è che difficilissimamente si riconoscano tali: sono convinti di essere semplicemente coerenti ed impegnati). Per cui, non c'è nessuna arroganza a considerare «che ogni azione umana improntata alla cura del prossimo e al lenimento delle sue sofferenze ricada sotto la giurisdizione di [C]risto» (mi son permesso di rimettere la maiuscola a quello che è diventato un sostitutivo del nome proprio, come grammatica comanda, ed anche per non metterlo allo stesso livello di filippo). Non può che essere così per il cristiano e, mutatis mutandis, per qualsiasi filosofia religiosa; e mi meraviglio che qualcuno si possa meravigliare. Se poi si vuole additare questa come un'assurdità perversa, tale da rendere dimostrativamente impossibile l'esistenza di Dio, si può anche fare, ma costituisce una procedura filosofica infantile.

Voglio precisare ancora una volta che a differenza di filippo che si danna (ma guarda quanti termini religiosi nel parlar comune!) per tentare di dimostrare che la sua è LA posizione giusta e la mia… meglio non definirla… io mi limito a cercare di dimostrare come le convinzioni da lui sostenute siano molto poco in armonia con la nostra civiltà, che non è un concetto astratto ed è ben percepito, anche se a volte in modo confuso, nel vissuto di ciascuno. A pensarci bene, non capisco perché non debba essere d'accordo, visto che gli piace mostrarsi come un riformatore illuminato. E sì, son proprio convinto che in fondo su questo siamo d'accordo!

Michele Pezza da Itri

Giuseppe Regalzi ha detto...

«la cultura di massa degli italiani, tra le due proposte (nessuna delle quali rispondente pienamente alla morale cattolica) ha scelto con molta chiarezza quella "a maggior contenuto cristiano"»

Un esempio di come si finisce per essere vittime della propria propaganda. Gli Italiani non hanno scelto un bel niente: si sono astenuti in massa, o per furbizia o per menefreghismo. Non arruoliamo i secondi (presumibilmente la maggioranza assoluta) assieme ai primi, per favore, che ccà nisciuno è fesso...

«Siccome viviamo in uno stato democratico e pluralista, non possiamo pensare di risolvere il problema con l'eliminazione o la demonizzazione dell' "avversario": cercheremo il massimo comun denominatore come base condivisa, se possibile. Quando non la si trova, ci si conta».

Questo prima di tutto è uno Stato liberale. Quando non si trova un terreno in comune si rispettano i diritti fondamentali degli altri, primo fra tutti quello all'autodeterminazione. Ma evidentemente da quest'orecchio non volete sentire...

Anonimo ha detto...

“Ambedue … siamo portatori di civiltà diverse”. Ci andremmo piano a definirci portatori di civiltà, quando il nostro obiettivo risulta essere quello di imporre la nostra visione delle cose e della vita anche a chi non fa parte del gregge.

Sul referendum in merito alla legge burqa*: è facile arruolare abusivamente fra le truppe cammellate del cattolicesimo militante quel 75% di Italiani che ha disertato le urne. Ma resta il punto, che l’apostolico in fondo conosce e ammette quando ci ventila sotto il naso il “rischio” che la gente, come dice lui, ci procuri un brusco risveglio se debitamente informata, resta il punto di come le persone recepiscono il problema, di quale informazione riesce a raggiungerle. La sterilità di coppia è stata recepita come un problema di nicchia riguardante pochissime persone, dopodichè l’astensionismo cronico ai referendum, la peculiarità tutta italiana del quorum, la giornata estiva scelta apposta dal governo per le votazioni e, certo, anche la cortina fumogena di disinformazione e terrorismo mediatico e pseudoscientifico fatta calare dalla massiccia mobilitazione clericale (strana questa profusione di mezzi per una legge non di ispirazione cristiana) hanno fatto il resto. Quando si è trattato invece di difendere la legge sul divorzio e quella sull’IVG, pare che la gente abbia risposto all’appello. Erano tutti atei e mangiapreti, i milioni di Italiani che hanno difeso queste leggi dall’assalto clericofascista muovendo il culo e andando a votare (altro che sotterfugi astensionisti per evitare la sconfitta) o solo gente informata che comprendeva bene di trovarsi dinanzi a problemi che avrebbero potuto riguardare chiunque di loro? In quel caso che cosa ha suggerito alla gente il “sentire diffuso” di cui blatera quest’individuo?
* Questa definizione della legge 40 apparve sulla prima pagina di Le Monde all’indomani della sua approvazione, mentre il New York Times commentava con un sobrio “The Medieval Law”. Siamo diventati lo zimbello delle nazioni civili.

“Disprezzi le suorine…”. Qualcuno dovrebbe spiegare alle suorine in questione che se proprio non riescono a farne a meno, possono comprarsi una barbie al supermercato. E che Eluana non è la loro bambolina.

“Si vedrà se la cultura della nostra società potrà essere radicalmente negata con l'accettazione dell'eutanasia”. Affermazione velleitaria e patetica. Il punto è che il livello della nostra civiltà potrà solo innalzarsi con l’introduzione del testamento biologico e di modalità di eutanasia, che aumenteranno la libertà personale degli individui. E gli individui, le persone vere, si stanno già orientando in questo senso. Dato che si parla di “sentire diffuso”, questo è il sentire diffuso della gente.

“Le persone umane si trattano da persone umane”. Esatto. E se ne rispettano le volontà, anche quando fanno a cazzotti con le Verità Rivelate Immutabili e Assolute con cui alcuni decidono di riempire il vuoto delle loro esistenze. Eluana attualmente è solo un vegetale. Ma prima di ridursi così, aveva espresso a chiare lettere il suo parere. Trattatela da persona umana, invece di inseguire i vostri dogmi.

“Neanche il padre dà l'idea di pensare al reale dolore di Eluana, dolore che infatti nega, ma sembra dominato dal suo”. E’ necessario commentare? In una precedente occasione avevamo affermato che è inutile insultare questi individui, che si insultano benissimo da soli e senza aiuto. Basta starli a sentire.

“filippo è un integralista”: come già detto, “Se muoversi tenendo a mente la massima di JS Mill che campeggia sul frontespizio di questo blog, e che per la feccia integralista equivale ad una bestemmia, costituisce motivo per essere etichettati come integralisti, ebbene allora noi siamo l'integralismo fatta persona. E ce ne vantiamo”.

* * * *

Questi ultimi interventi dell’apostolico sono sostanzialmente inutili, oltre che ridicoli. Invocare il vecchio e sano buon senso popolare citando perfino, ed a sproposito, il referendum sulla legge 40, pisciare fuori dalla latrina blaterando di civiltà e rispetto delle persone ed altre piccole amenità di questo genere si rivelano per quello che sono, degli espedienti. Abbiamo spiegato perché vorremmo introdurre determinate modalità di rispetto della volontà delle persone per quanto attiene la loro vita, che è solo loro, l’amico ci ha risposto che della loro vita non possono disporre perché altrimenti il suo dio mette su un afflittissimo musetto, che altro aggiungere?
Che non perda il sonno pensando alla saggezza popolare della gente, che la gente non è scema, come probabilmente pensano le sue guide spirituali quando la definiscono “gregge”…

Anonimo ha detto...

Che strani gli italiani di Regalzi e filippo… allora, se ho capito bene, secondo Regalzi il diritto d'ammazzarsi è uno dei diritti fondamentali e dobbiamo darlo a tutti (anzi, ce l'hanno tutti). Però va utilizzato cum grano salis; e qui cominciano i veri guai, perché mica sono tanti quelli che hanno la testa sulle spalle, anzi, son così pochi che praticamente quasi tutti i suicidi vanno salvati. Insomma, questi italiani sono fonte continua di dispiaceri: c'è da votare una cosa importante e invece che fanno? Vanno al mare. L'hanno fatto pensando a quel che facevano? Macché, Giuseppe ha fatto loro circa trenta milioni di radiografie a distanza dell'anima: sono furbi e menefreghisti! Mica scelgono! Nossignori! Non superano il vaglio di maturità della premiata ditta "Regalzi & filippo". I quali, però, volenti o nolenti, devono rassegnarsi e prendere atto che il sistema valoriale degli elettori italiani era tale da farli trovare più a loro agio al mare che in cabina elettorale. Devono obbligatoriamente prendere atto che la proposta che veniva loro presentata dai referendari non era in armonia con la loro cultura + bonus tintarella. Appunto la mia tesi. E quando si perde per colpa di questo popolo bue e sottomesso, ecco Giuseppe e filippo impugnare la sferza moralistica: popolo menefregista e furbastro! Ma l'invettiva moralista serve solo a nascondere il proprio scollamento con la realtà sociale.

Preferisci denominare questo stato "liberale" invece che "democratico e pluralista"? Nulla quaestio, perché mi sembra che più o meno pensiamo che debba funzionare allo stesso modo. Ci differenziano i limiti che diamo all'autodeterminazione: pur essendo un valore enorme, tale da non vederne facilmente di maggiori, è ovvio accettare la subordinazione al colui che ti ha creato, come logico che sia in una visione religiosa della vita. Ma poi, a ben pensare, non sarei così convinto che anche voi rispettiate l'autodeterminazione quanto dite. Ci sono delle volte che sì e delle volte che no. In realtà, con la teoria della decisione che non deve essere d'impulso (sacrosanta convinzione, per carità!), si crea un recinto: chi è dentro può e chi non è dentro non può. Proprio l'esempio delle pene d'amore è rivelatore: la sofferenza deve essere di un certo tipo. Di volta in volta, a seconda del dialettico di turno, la ragione "valida" per togliersi la vita deve avere speciali caratteristiche; ad es. per Regalzi, una ragione valida deve essere stabile: «Una ragione valida è quella che causa per la persona uno stato stabilmente meno preferibile della morte.» Quindi mette in campo la durata del malessere: lui non si arroga il diritto di giudicare la gravità dello stato, ma la durata nel tempo sì, cosa assolutamente relativa e di difficile determinazione nella nostra vita precaria. Una visione originale. Tanto per stiracchiare il caso, una persona che preferisca uccidersi per non subire una tortura di poche ore soltanto (come dire, una bazzecola che poi passa), si vedrebbe negare lo status di legittimo decisore dal nostro Regalzi. Il contrario di altri che lo giustificano solo con le sofferenze atroci. Questi hanno a disposizione uno speciale metro per le sofferenze. In altre parole lo consentirebbero quando "loro" non riuscirebbero a sopportarle. Se il linguaggio risultasse duro, come dice filippo «ricalca lo stato delle cose». Il succo della questione è che alla fin fine neanche voi accettate fino in fondo la libera autodeterminazione di fronte alla volontà di uccidersi (sul dolore, mi leggerei meglio la dichiarazione dei medici svizzeri per le cure palliative). Certo, è facile, anzi praticamente obbligatorio al termine di una discussione come la nostra, affermare «non muoveremmo un dito per impedire il suicidio di chiunque ritenessimo in possesso delle sue facoltà di intendere e volere», ma non pare proprio una decisione pacifica o chiara fin dall'inizio.

Per il resto, filippo consentimi: non fai che ripeterti in continuazione! Lo so che con i duri di comprendonio bisogna fare così: repetita iuvant, ma il mio professore di latino aggiungeva "sed stufant". Il bello è, e lo ripeto, che siamo del tutto d'accordo nel considerare le nostre visioni della vita sostanzialmente diverse (ed ambedue siamo convinti che la propria sia la migliore possibile). Prendiamone atto e finiscila con il cercare di dimostrare al colto ed inclito pubblico la superiorità di un sistema filosofico sull'altro, come se fosse una cosa banale ed ovvia. Mi sembra che trovare il modo di convivere sia già un compito impegnativo. Ma forse non t'interessa. Da vero integralista.

Michele Pezza da Itri


P.S. Dov'è la logica della frase: «Eluana attualmente è solo un vegetale… omissis… Trattatela da persona umana» L'omissis (di poche parole) è di comodo, ma non tanto, almeno finché non dimostri di aver inventato la macchina del tempo…
E, coerentemente, subito dopo non ti smentisci: «Eluana non è la loro bambolina». Hai ragione: al massimo potresti definirla una pianta d'appartamento.

Giuseppe Regalzi ha detto...

Vedi, Michele, il grosso limite del tuo modo di argomentare è che ritorni in continuazione su punti che già ci siamo lasciati alle spalle. Al principio parti da un presupposto: chi mette al primo posto l'autodeterminazione dovrebbe sempre rispettare la libertà altrui, in qualunque circostanza. Quando ti si fa notare che anche il più granitico liberale di questo mondo non può lasciare che bambini, persone incapaci di intendere e di volere o persone che agiscono per un impulso del tutto momentaneo si facciano del male, sei subito pronto a convenire; ma uno si illuderebbe a pensare che sulla questione non tornerai più. Perché di lì a poco ecco che rispunta fuori: "vuoi impedire a un matto di uccidersi? Sei un finto liberale, sei caduto in contraddizione!". Come se fin lì non si fosse detto niente in proposito. Discutere così diventa molto frustrante, e un inutile dispendio di energie.

Mi accusi di arrogarmi "il diritto di giudicare la gravità dello stato [no], ma la durata nel tempo sì". Però riporti solo in parte il mio pensiero: io avevo detto "Una ragione valida è quella che causa per la persona uno stato stabilmente meno preferibile della morte. Un ragazzo manca dell'esperienza sufficiente per capire che il suo dolore del momento verrà presto superato, e può essere quindi indotto a un gesto affrettato - il suicidio d'impulso, appunto". Cosa vuol dire? Che se quel ragazzo sapesse che il dolore si supera rapidamente converrebbe con noi che non occorre suicidarsi. In genere le persone sono propense ad affrontare dolori transitori. Ovviamente di fronte a "una persona che preferisca uccidersi per non subire una tortura di poche ore soltanto" (e non dunque che pensi erroneamente che quella tortura durerà per sempre) io non posso fare altro che mettermi da parte rispettosamente, se questi sono i suoi valori. Non credo che capiti (da qui la mia frase iniziale forse troppo netta), ma se capitasse saprei rispettare anche questa ragione.

Mi accusi di aver fatto "circa trenta milioni di radiografie a distanza dell'anima" degli italiani che non sono andati a votare. Io veramente mi ero basato sull'affluenza alle urne in tutti gli ultimi referendum... Tu invece da cosa hai tratto la tua convinzione che "la cultura di massa degli italiani, tra le due proposte (nessuna delle quali rispondente pienamente alla morale cattolica) ha scelto con molta chiarezza quella "a maggior contenuto cristiano""? Li hai consultati uno a uno? Niente radiografie dell'anima, qui?

Joe Silver ha detto...

@ Fra Diavolo

Sulle "deduzioni improprie"

L'ossessione di mettere i puntini sulle "i" quando si sfiorano gli argomenti del catechismo è così forte che non puoi rinunciare a salire in cattedra, anche se la precisazione è del tutto superflua. E' successo con l'inutile pippone storico-teologico sulla paternità del concetto di libero arbitrio, e succede con la posizione della Chiesa Cattolica sulla fecondazione assistita. Premesso che sapevo benissimo che la PMA è considerata moralmente illecita, l'ennesima lezioncina non fa che confermare quanto dicevo, e cioè che la legge 40 è "ispirata ad una visione cristiana della vita":

Ed è esattamente quel che ho voluto dire facendo riferimento al referendum: la cultura di massa degli italiani, tra le due proposte (nessuna delle quali rispondente pienamente alla morale cattolica) ha scelto con molta chiarezza quella "a maggior contenuto cristiano", se mi si consente l'espressione.

Quindi, nell'impossibilità di vietare cristianamente la PMA (che sarebbe l'optimum a cui tendere), si è scelto di difendere a spada tratta una legge che rappresenta comunque un buon compromesso, tanto che programmaticamente sancisce che l'ovulo appena fecondato è titolare di diritti. Legge "a maggior contenuto cristiano", legge perfettibile (magari con il totale divieto della PMA), legge di uno stato sedicente laico ma "ispirata a una visione cristiana della vita", come testé confermato da te medesimo. Quale sarebbe la deduzione impropria?

2)

Per cui, non c'è nessuna arroganza a considerare «che ogni azione umana improntata alla cura del prossimo e al lenimento delle sue sofferenze ricada sotto la giurisdizione di Cristo» [...] Non può che essere così per il cristiano e, mutatis mutandis, per qualsiasi filosofia religiosa; e mi meraviglio che qualcuno si possa meravigliare. Se poi si vuole additare questa come un'assurdità perversa, tale da rendere dimostrativamente impossibile l'esistenza di Dio, si può anche fare, ma costituisce una procedura filosofica infantile.

A parte l'ulteriore bizzarra divagazione su "ateismo raicale", integralismo, pluralismo e presunte discussioni sull'esistenza di Dio (ma che caspita c'entrano poi con la mia «deduzione impropria»...), ribadisci chiaro e tondo che il vero cristiano non può che avocare a sé il primato sull'etica e su ogni azione improntata al bene del prossimo. E' naturale, che sia così, dici, e ciò vale per ogni religione... Ma questa non è arroganza!

Caro non credente, anzi caro non cristiano, non ti paia arrogante ciò che sto per dirti, e sia chiaro sono disposto a dialogare con te, ma vedi, il vero bene (per te, per la nostra società, per l'umanità tutta) può essere perseguito solo seguendo le orme di Cristo! Ehi, ma non è arroganza! Non fare deduzioni improprie, che diamine.

Anonimo ha detto...

Applicando la logica di Joe Silver, se si dovesse decidere tra una legge che obbligasse tutti i cittadini a firmare al commissariato il registro delle presenze tutti i giorni e un'altra che limitasse l'obbligo ad una volta alla settimana, bisognerebbe definire quest'ultima "ispirata ad una visione liberale della vita"!

E vabbè!

Michele Pezza da Itri


P.S. 1) La frase sulla "giurisdizione di Cristo" era una citazione di una frase non mia. 2) Forse anche tu hai un'etica e senza arroganza la contrapponi a quella cristiana…

Joe Silver ha detto...

1) Se vogliamo fare paragoni, facciamoli bene: in una situazione in cui viga l'obbligo di firma quotidiano, una legge che allenti la scadenza a una volta alla settimana sarebbe una legge "a maggior contenuto liberale", in prospettiva di un'auspicabile abrogazione dell'obbligo.

2) La mia etica non contempla la limitazione della libertà individuale. E nemmeno una legislazione ispirata, ad esempio, a principi islamici e tuttavia vincolante per tutti.

L'asimmetria è evidente.

Anonimo ha detto...

La differenza c'è

Joe, vedo che ora distingui tra "maggior contenuto liberale" e "ispirata ad una visione liberale della vita". Appunto la distinzione che facevo io nel caso della legge 40.

Michele Pezza da Itri

Anonimo ha detto...

Constatazioni ed interpretazioni.

Giuseppe, vorrei che considerassi con attenzione i passaggi della mia valutazione del comportamento degli italiani che non votarono al referendum sulla legge 40.

La mia valutazione del non andare a votare strettamente intesa è del tutto neutra. Ho infatti affermato che bisogna prendere atto che «che il sistema valoriale degli elettori italiani era tale da farli trovare più a loro agio al mare che in cabina elettorale». E subito dopo: «che la proposta che veniva loro presentata dai referendari non era in armonia con la loro cultura + bonus tintarella». Una semplice constatazione che prescinde da quale sia il sistema valoriale degli italiani: qualunque esso sia, questo è quanto è successo. Ma soprattutto, non interpreto le motivazioni della scelta specifica del momento.

Poi, cambiando piano del discorso e cercando di comprendere il fatto dal punto di vista storico sociologico, ci chiediamo perché possa nascere questo contrasto e quale sia questa cultura diffusa. Non è certo la vicenda della legge 40 che fa dire come questo sia un paese la cui cultura diffusa sia ampiamente quella cattolica (nonostante le campane a morto che ogni secolo ci suonano addosso). Una prova inoppugnabile? l'astio di filippo (si scherza, ma alla Pulcinella). E ripeto ancora una volta che non è solo filippo, ma lo confermano le vostre stesse parole ed il loro bersaglio preferito. Rimarrebbe inspiegabile come delle persone avvedute ed impegnate nel sociale come voi (lo dico seriamente) possano dedicare tanta parte del loro tempo e delle loro energie contro la Chiesa e la cultura cattolica. In fondo siete onestamente e convintamente nell'onda della migliore tradizione liberale, esemplificata perfettamente dall'offensiva frase di Massimo d'Azeglio verso gli italiani: «Abbiamo fatto l'Italia, facciamo gli italiani!» In realtà gli italiani c'erano già belli e fatti, peccato che fossero tutti cattolici, tranne una minoranza potente (e prepotente, ma numericamente insignificante). Per andare un po' più lontano, v'identificate gloriandovene con l'esortazione di Voltaire «Écrasez l'infame» (che, guarda caso, era proprio la Chiesa cattolica).

Ecco il mio percorso per avanzare l'ipotesi sul fatto che sia la cultura cattolica diffusa ad essere determinante. Mi pare che la differenza ci sia.

Michele Pezza da Itri

P.S. Per quanto riguarda l'altra considerazione sul riportare il discorso su un punto che si potrebbe considerare superato, voglio pensarci un attimo perché mi sembra ci possa essere qualcosa di vero, ma non mi convince. Ci penso.

Anonimo ha detto...

“Sembra che trovare il modo di convivere sia già un compito impegnativo”. Ma il nostro apostolico e i buffoni tonacati da cui trae ispirazione non si accontentano mica di convivere. Diamine, loro sono i portatori della Verità e devono fartela digerire ad ogni costo, che tu faccia parte del gregge oppure no. Non crediamo che possa permettersi di posizionarsi sullo stesso piano di chi ha scelto per la libertà personale di ognuno, perfino per la loro, perché quello che questi furboni portano avanti è solo un piano di prevaricazione mascherato da missione per conto di dio, infatti ”è ovvio accettare la subordinazione al colui che ti ha creato, come logico che sia in una visione religiosa della vita”. Più chiaro di così.
Per quanto ci riguarda, dato che abbiamo una visione liberale della vita, non ci sogneremo mai di chiedere una eutanasia forzata, la sopravvivenza forzata a qualunque costo ed oltre la volontà delle persone è invece qualcosa che questi tizi continuano a chiedere, pardon a pretendere spudoratamente.

Comunque, ci sentiamo di ringraziare l’apostolico per averci ricordato quale sia la posizione, di assoluta chiusura, dei suoi compagni di merende d’Oltretevere sulla fecondazione assistita. E per averci ricordato come a tutto oggi ci siano in circolazione su questo pianeta oltre tre milioni di persone nate da metodiche di PMA, tre milioni di persone che i suoi capibastone, se solo ne avessero avuto il potere, non avrebbero mai voluto veder nascere. Un ottimo risultato per i Campioni della Difesa della Vita ad Oltranza ed a Qualunque Costo.

Eluana è una persona umana? Che se ne rispettino le volontà. Dove starebbe il “comodo”? E si informino le suorine di comprarsi un vaso di geranio dal fioraio, se proprio hanno bisogno di qualcosa da annaffiare.

* * * *

In effetti, il nostro ci costringe a ripeterci…
Come già detto: "questi ultimi interventi dell’apostolico sono sostanzialmente inutili, oltre che ridicoli… si rivelano per quello che sono, degli espedienti. Abbiamo spiegato perché vorremmo introdurre determinate modalità di rispetto della volontà delle persone per quanto attiene la loro vita, che è solo loro, l’amico ci ha risposto [reiteratamente, anche a costo di contraddire il suo latinista del liceo] che della loro vita non possono disporre perché altrimenti il suo dio mette su un afflittissimo musetto, che altro aggiungere?
Che non perda il sonno pensando alla saggezza popolare della gente, che la gente non è scema, come probabilmente pensano le sue guide spirituali quando la definiscono gregge…"

Anonimo ha detto...

Com'è che questa "cultura cattolica diffusa e determinante" non è venuta fuori in precedenti referendum il cui esito ancora brucia le viscere delle gerarchie ecclesiastiche?
Com'è che le leggi laiche (sicuramente frutto dell'influsso nefasto del maligno) su divorzio e IVG non sono state spazzate via dal voto degli italiani, nonostante la loro "cultura cattolica diffusa e determinante"?
Com'è che per ostacolare l'accesso alla PMA, e in misura peraltro ampiamente limitata stando all'illuminato punto di vista dei mafiosi vaticani, la chiesa si è vista costretta prima a brigare coi suoi lacchè in parlamento per ottenere una legge liberticida e poi a ricorrere al trucchetto miserabile, oltre che illegale*, dell'incitamento all'astensione, se sapeva di poter contare tra gli italiani su di una "cultura cattolica diffusa e determinante"?
All'infallibile di turno non sarebbe bastato affacciarsi al balcone, come ogni dittatore che si rispetti, ed informare i sudditi che la PMA è intrinsecamente immorale per ottenere i risultati auspicati, se avesse potuto contare su una larga maggioranza di italiani ispirati da una "cultura cattolica diffusa e determinante"?
*Dpr 30 marzo 1957 n°361/art. 98, che punisce l’incitamento all’astensione nelle consultazioni elettorali, e legge 352/70 art.51, che estende tale reato anche alle consultazioni referendarie.

Forse è il caso che il nostro lasci perdere la propaganda strisciante camuffata da finte considerazioni sociologiche di quart'ordine, che non ingannano nessuno.
Perchè qui non portiamo l'anello al naso.

paolo de gregorio ha detto...

Certo che Fra' Diavolo pur di non ammettere, di fronte ormai all'evidenza, che i suoi sillogismi sono comicamente sgangherati si spinge laddove nessun uomo aveva mai osato prima. Ed è così che dopo ragionamenti che egli ritiene fini, si cava d'impaccio dalle sue stesse logiche fallaci proponendo l'aborto come esercizio analogo alla "legittima difesa". A parte il fatto che non spcifica a quale legislazione egli si riferisca: vi sono paesi ove l'aborto (solitamente entro una certa data) è legittimo senza limitazioni, sottomesso alla sola volontà della donna (aborto "volontario"). In quegli stessi paesi però l'omicidio volontario è (illogicamente secondo Michele Pezza) illegale. Stiamo ancora aspettando che ci spieghi come mai.

Ma se anche rimanessimo alla legislazione italiana, val la pena ricordare che quello che Michele Pezza sta qui proponendo è che la legittima difesa vada consentita anche a fronte di minacce solamente psicologiche. Infatti l'aborto è consentito non solo se ad essere messa in pericolo sia la salute fisica della donna, ma anche quella psicologica. E così Fra' Diavolo se la può rigirare come vuole, ma gli resterà comunque da spiegare come mai in Italia è reato uccidere qualcuno se si è vessati psicologicameente da questi. Sarebbe, questo è ovvio nella sua logica, la inevitabile conseguenza della 194, conseguenza che per motivi a noi incomprensibili (o comprensibili solo a lui) non si è ancora concretizzata.