In un post precedente avevamo dato conto della polemica nata intorno alle recenti dichiarazioni del cardinale López Trujillo, che com’è noto sostiene che la scomunica che viene automaticamente comminata a chi procura l’aborto si estenderebbe anche a chi causa la morte di un embrione generato in vitro e non impiantato. In particolare, avevamo visto come ci fossero dubbi sulla validità dell’opinione del cardinale dal punto di vista della stessa legge ecclesiastica.
Sulla questione è intervenuto anche Edward N. Peters, esperto di diritto canonico («Excommunication for deliberate embryo destruction?», In the Light of the Law, 29 giugno 2006; segnalato da Settimo cielo, segnalato a sua volta da Azioneparallela). Peters cita un intervento della Pontificia Commissione per l’interpretazione autentica del Codice di Diritto Canonico (che oggi si chiama Pontificio Consiglio per l’Interpretazione dei Testi Legislativi), che era stata richiesta di chiarire un dubbio proprio sul canone 1398 del Codice di diritto canonico, dove si commina la scomunica per chi procura l’aborto (cfr. Acta Apostolicae Sedis 80, 1988, 1818-19):
D. Utrum abortus, de quo in can. 1398, intelligatur tantum de eiectione fetus immaturi, an etiam de eiusdem fetus occisione quocumque modo et quocumque tempore a momento conceptionis procuretur.Traduco:
R. Negative ad primam partem; affirmative ad secundam.
D. Se per aborto, nel can. 1398, si intenda soltanto l’espulsione del feto immaturo, o invece anche l’uccisione del medesimo feto in qualsiasi modo e in qualunque momento dall’istante del concepimento venga eseguita.Osserva Peters che, siccome nella risposta della Commissione non si specifica mai che l’uccisione deve avvenire nell’utero per costituire aborto, ne segue che anche l’uccisione di un embrione fuori del ventre materno ricade nell’ambito del can. 1398, e che pertanto López Trujillo ha ragione.
R. Negativa alla prima alternativa; affermativa alla seconda.
E tuttavia ho ancora qualche dubbio – spero non troppo lambiccato. La parola «feto» può in certi contesti indicare un essere umano vivente al di fuori dell’utero; tant’è vero che al canone 871 dello stesso Codice di diritto canonico si legge: «I feti abortivi, se vivono, nei limiti del possibile, siano battezzati». Ora, se uno di questi feti viene ucciso dopo essere uscito dal ventre materno, mi pare evidente che l’atto non costituisca un aborto, ma bensì un omicidio. Prendere alla lettera l’interpretazione della Commissione avrebbe quindi delle conseguenze non volute; se ci rivolgiamo – secondo il canone 17 del Codice – «al fine e alle circostanze della legge e all’intendimento del legislatore» (l’interpretazione autentica della Commissione ha infatti valore di legge), e consultiamo le parole pronunciate nel 1988 dal domenicano Joseph Fox, all’epoca membro della Commissione (Greg Erlandson, «Church Authorities Clarify Legal Definition of Abortion», Voice, 2 dicembre 1988; curiosamente, l’articolo viene citato da Peters a sostegno della sua interpretazione), scopriamo che l’intendimento dei commissari era di regolare forme di aborto come quello medico (con la RU486), o come la soppressione selettiva dei feti in sovrannumero nelle gravidanze plurigemmellari, o come l’interruzione di gravidanza che si vorrebbe causata dall’uso dello IUD (cioè della spirale) o della pillola del giorno dopo. Dei problemi connessi alle tecniche di fecondazione in vitro Padre Fox non fa mai cenno, benché all’epoca queste esistessero già da dieci anni.
Mi pare in conclusione che il dubbio di diritto sia abbastanza fondato da richiedere un nuovo pronunciamento del Pontificio Consiglio per l’Interpretazione dei Testi Legislativi o del Magistero ecclesiastico, e da bollare come imprudenti le dichiarazioni del focoso cardinal Trujillo.
Aggiornamento: un breve commento di Malvino, come sempre da leggere.
Nessun commento:
Posta un commento