All’inizio di agosto il senatore repubblicano del Kansas Sam Brownback ha presentato una proposta di legge contro il suicidio assistito. Il testo afferma che usare le sostanze farmacologiche che sono controllate e permesse dalla legge per provocare la morte del paziente non è un fine medico legittimo; usarle per dare sollievo al dolore invece sì. Secondo Brownback considerare il suicidio assistito come atto medico intacca la moralità della società (verrebbe da domandare: si potrebbe legalizzarlo senza considerarlo atto medico?). L’uccisione potrebbe diventare una soluzione moralmente accettabile per i malati cronici e terminali. Secondo Brownback l’oscenità e l’inaccettabilità di questo scenario è tanto evidente da non richiedere argomenti a sostegno e nemmeno di soffermarsi a considerare se esiste qualche circostanza in cui un malato terminale potrebbe desiderare la morte, e se esiste qualche circostanza in cui questo desiderio dovrebbe essere rispettato.
E prosegue Brownback: permettere il suicidio assistito potrebbe spingere le compagnie assicurative ad incoraggiare l’uccisione dei pazienti che necessitano di assistenza sanitaria a lungo termine. Incoraggiamento, si badi, immorale ma non necessario. Non è corretto condannare la possibilità di ricorrere al suicidio assistito minacciando una possibile conseguenza; perché è questa ad essere condannabile, non quanto può provocarla.
La proposta di legge prevede l’incriminazione per i medici che usano farmaci antidolorifici per provocare la morte, affidando l’onere della prova al procuratore federale. Però non impedisce a quegli stessi medici di somministrare cure palliative anche nel caso in cui accelerano la morte (dunque, la provocano). Forse il senatore non è molto preparato sulle questioni mediche, perché altrimenti si soffermerebbe sulla difficoltà di distinguere la somministrazione di farmaci antidolorifici dalla induzione della morte del paziente. Come rendersi conto se lo scopo del medico è il sollievo che indirettamente causa la morte oppure è determinare direttamente la morte?
La Christian Medical Association, che vanta 17mila iscritti e ha lo scopo di “motivare ed educare i medici a glorificare Dio e a condurre le persone a Cristo” (MISSION: CMDA exists to motivate, educate, and equip Christian physicians and dentists to glorify God...), ha appoggiato la proposta di legge con entusiasmo. Secondo le dichiarazioni del direttore esecutivo David Stevens, il “Bill to Fight Assisted Suicide” interpreta un principio religioso millenario e indiscutibile: che nessuno può osare decidere della vita e della morte (escluso Dio). Nemmeno il diretto interessato, condannato così a subire una malattia incurabile anche contro la propria volontà.
giovedì 10 agosto 2006
Bill to Fight Assisted Suicide
Postato da Chiara Lalli alle 15:44
Etichette: Christian Medical Association, Sam Brownback, Suicidio assistito
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