Malvino analizza l’ennesima idiozia sul caso di Piergiorgio Welby (La carità di Assuntina Morresi). Riporto solo una parte del suo post, ma vale proprio la pena di leggerselo tutto. E di rispedire al mittente la carità dell’Assuntina.
Assuntina Morresi scrive che «bisogna cominciare a rendersi conto che forse Welby non sarebbe arrivato a chiedere di morire se avesse accettato di farsi sostenere non solo nella respirazione». Questo mi incuriosisce oltremodo, perché a Welby io voglio bene – ma questo l’ho già detto. In cos’altro Welby avrebbe dovuto accettare di farsi sostenere? Non sembra voler dare una risposta esplicita, l’Assuntina, ma – bontà sua – lascia voler intendere qualcosa: «Sembra proprio che la sofferenza di Welby non sia tanto fisica […] quanto “psichica”».
Guarda tu com’è bizzarra, ‘sta cosa. A me era sembrato proprio il contrario: era sembrato che la sofferenza di Welby fosse proprio fisica, non psichica. Peraltro, chissà perché l’Assuntina mette l’aggettivo psichica tra virgolette. “Psichica”, in che senso? Boh, diciamo: “psichica-per-modo-di-dire”.
Comunque, dicevo: avevo pensato che Welby stesse male soprattutto fisicamente, psichicamente tutt’altro. Ma l’Assuntina scrive che non è la carne ad esser debole – «gli hanno messo una cannula più larga e respira meglio», meno male, va’ – ma soprattutto lo spirito.
Ecco, ci sono: “sofferenza psichica-per-modo-di-dire” vuol dire “sofferenza spirituale”. Quella di Welby è una malattia soprattutto spirituale, è questo vuol insinuare l’Assuntina? Pensavo si trattasse di degenerazione neuronale e mielinica, e adesso l’Assuntina cerca di insinuare che la degenerazione di Welby è spirituale? Nella stessa giornata nella quale il Codacons gli ha dato dell’“incapace”?
Forse esagero, devo aver capito male, deve avermi portato fuori strada quel punto in cui l’Assuntina scrive: «Welby è una persona con una grande sofferenza nella psiche e nello spirito, che non riesce più a dare un senso alla propria vita». Sarei tanto curioso di sapere il senso della vita dell’Assuntina, ma anche qui, mi fermo. Sennò esplodo.
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