In questi giorni in molti hanno detto: “la politica non può rispondere alla richiesta di Welby”.
E così sono state percorse strade diverse dalla politica. Tramite il ricorso al Tribunale Ordinario di Roma, in cui si chiedeva l’autorizzazione di staccare il respiratore, di ricorrere alla sedazione totale e di allontanare la prospettiva di reato penale per il medico che si sarebbe dichiarato disponibile a eseguire il distacco.
Nemmeno l’ordinanza della magistratura ha dato una risposta soddisfacente a Welby. L’ordinanza ha riaffermato che il divieto di accanimento terapeutico è un principio solidamente basato sui principi costituzionali, nonché previsto dal codice deontologico medico, dal Comitato Nazionale per la Bioetica e da diversi trattati internazionali, in particolare dalla Convenzione Europea. Però sul piano dell’attuazione pratica del corrispondente diritto del paziente a pretendere la cessazione della respirazione artificiale in quanto accanimento terapeutico, ha individuato un vuoto normativo che lascerebbe lo spazio alla interpretazione soggettiva e sottoposta a discrezionalità. Il giudice non ha potuto (o voluto?) colmare questo vuoto.
Il ricorso è giudicato pertanto inammissibile
Nella risposta della magistratura è rintracciabile una contraddizione tra una tutela assoluta del diritto all’autodeterminazione, diritto garantito dalla carta costituzionale, e l’effettiva garanzia di questo diritto. In altre parole, un diritto fondamentale si vanificherebbe per il rifiuto di indicare i mezzi concreti per renderlo attuabile. E che ne è di un simile diritto?
Il parere della Procura, peraltro, aveva riconosciuto l’ammissibilità del ricorso: la possibilità di staccare il respiratore polmonare e la possibilità della sedazione totale. Sedazione totale che sarebbe la via per rendere concreto il diritto formale al distacco. La via per rendere meno drammatica la possibilità di staccare il respiratore polmonare, evitando la morte per soffocamento. Una morte atroce.
Piergiorgio Welby ha la possibilità di fare un reclamo entro dieci giorni, ma il tempo manca a Welby. Sono ormai passati molti giorni da quel 23 settembre, da quella dolorosa richiesta di Welby inviata al Presidente della Repubblica.
Una richiesta estrema e urgente, e che ancora una volta non ha ricevuto una risposta. Ma solo un rimando ad un indeterminato futuro.
Qui il testo completo dell’ordinanza.
domenica 17 dicembre 2006
Il Tribunale Ordinario di Roma (non) risponde a Piergiorgio Welby
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