lunedì 22 ottobre 2007

Obbligo di cura

Sembrerebbe un principio ormai largamente accettato, su cui non c’è più bisogno di discutere: un cittadino non può venire obbligato a sottoporsi a un trattamento sanitario contro la sua volontà (se non in caso di incapacità di intendere o di volere, o quando il suo rifiuto metta in pericolo la salute di altri, come nel caso di alcune malattie infettive). Un medico non ci può afferrare per farci un’iniezione, neppure se ne va della nostra vita: lo dice la Costituzione, lo dicono trattati internazionali sottoscritti dal nostro paese, lo dicono leggi ordinarie e una serie ormai nutrita di sentenze della Corte Costituzionale e della Cassazione; ed è giusto che sia così, visto che nessuno può essere miglior giudice su che cosa è bene per un individuo adulto di lui stesso. La discussione parrebbe limitata ai casi di confine: per esempio, alle persone non più in grado di intendere o di volere (come Eluana Englaro), e che quindi si potrebbero giovare di direttive redatte in passato sulle cure da rifiutare o da accettare.

Ma ecco cosa si legge in un’intervista di Ilaria Nava a Gianfranco Iadecola, ex procuratore generale della Cassazione («Eluana: la vita non si tocca, lo dice la Costituzione», Avvenire, 18 ottobre 2007). I due stanno parlando appunto della sentenza della Cassazione sul caso Englaro, e il discorso tocca a un certo punto il diritto di rifiutare le cure del paziente capace di intendere e di volere:

La rilevanza del consenso del paziente capace di esprimerlo è al centro del dibattito, ma qui la Cassazione si spinge oltre...
«Sono pienamente convinto che la questione del consenso sia tuttora irrisolta, perché coinvolge due posizioni: quella del paziente, che ha diritto a rifiutare i trattamenti, e quella del medico, che ha una posizione di garanzia nei suoi confronti. Naturalmente le scelte private del paziente non costituiscono un problema, perché ognuno è libero di non recarsi neppure dal medico e di lasciarsi morire. Il problema sorge quando tale diritto è esercitato al cospetto del sanitario, perché in questo caso il rifiuto, per essere realizzato, coinvolge necessariamente anche la sua azione».

Su questo punto la sentenza cosa afferma?
«Assolutizza il diritto di rifiutare le cure. La posizione di garanzia del medico si colloca in una posizione subordinata, è condizionata dal consenso del paziente».
Cosa significa che «il rifiuto, per essere realizzato, coinvolge necessariamente anche la sua [del sanitario] azione»? Se io rifiuto un ciclo di chemioterapia quale «azione» è mai richiesta al medico che mi sta di fronte? Rimettere le medicine nell’armadio? Archiviare la mia pratica nello schedario? Aprire la porta per farmi uscire? Ma persino se quello mi sta iniettando la prima dose, e io cambio idea solo allora, quale azione gli richiedo? Cessare di spingere lo stantuffo della siringa non è un’azione: l’azione è spingerlo! La differenza tra azione ed omissione può essere moralmente dubbia, ma dal punto di vista giuridico è fondamentale; come fa un ex procuratore generale della Cassazione a ignorarla?
Ancora: cos’è «la posizione di garanzia del medico nei confronti del paziente»? Cosa dovrebbe garantire, esattamente, visto che per Iadecola non dovrebbe essere subordinata al consenso del paziente? Questo ricorda molto la famosa «alleanza terapeutica», di cui chi la pensa come Iadecola lamenta spesso la possibile distruzione, se quegli egoisti dei pazienti pretenderanno di rifiutare ciò che il medico pensa sia bene per loro (il medico che non rispetta il volere del paziente, curiosamente, non infrange invece nessuna alleanza).

Questi umori sono più diffusi di quanto si possa pensare; basta saper leggere bene fra le righe per rintracciarli nei discorsi di molti teodem, teocon, clericofascisti, etc. Forse non arriveremo mai a un mondo in cui se varchi la soglia di un ospedale non sei più certo di poterne liberamente uscire, ma di certo ci troviamo già in un mondo in cui diritti elementari, che si credevano da lungo tempo acquisiti, sono rimessi in discussione; un mondo in cui siamo costretti a una lotta faticosa, logorante, incessante per ottenere ciò che è già nostro.

5 commenti:

Paolo C ha detto...

E' difficile dire quanto questi umori siano diffusi tra la gente. Ai sondaggi francamente credo poco. E' certo invece che in parlamento hanno la maggioranza o giu' di li'.
C'e' da temere che la deriva clericale di questo paese si trasformi in una decisa accelerazione talebana?

Anonimo ha detto...

L'unica cosa sensata che potrebbe avere inteso Iadecola è che, date le leggi attuali, il medico può correre rischi penali e civili a lasciare andare il paziente. A me è capitato personalmente di faticare molto ad uscire da un ospedale; un po' era la mentalità paternalistica del medico, un po' era una faccenda di liberatorie.

Giuseppe Regalzi ha detto...

Filter, è un'interpretazione estremamente benevola (soprattutto alla luce della seconda risposta)!

Anonimo ha detto...

E' vero, è benevolissima. E' che, come dicevo nel commento al post di Chiara, mi sembra che questi personaggi abbiamo spesso difficoltà a esprimersi.

Anonimo ha detto...

"abbiano".
Ora ho qualche difficoltà anch'io.