«Un'altra tragedia di questi microaccampamenti abusivi». Così il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha commentato l'episodio. Il sindaco durante la sua visita presso l'area dove sorge il micro campo abusivo ha sottolineato che «in questa zona già la polizia municipale è intervenuta quattro volte, aveva sgomberato e abbattuto baracche, in qualche caso, che poi sistematicamente si sono riformate. Si tratta di persone che vivono di piccoli lavori - ha aggiunto il sindaco dopo essere entrato in una delle baracche - che per non pagare gli affitti si attrezzano in questa maniera».Fuoco in una baraccopoli, diciottenne carbonizzata, Il Corriere della Sera, 28 dicembre 2009.
lunedì 28 dicembre 2009
Per non pagare gli affitti
mercoledì 23 dicembre 2009
Il perdono
"Perdono Tartaglia, purché i magistrati lo giudichino per ciò che ha fatto". Alle stesse condizioni perdonerei anche Berlusconi. [f. cocco]
Spinoza.it
(In effetti non ci dormivamo la notte).
sabato 19 dicembre 2009
Spot.Us
[...] vi parlo di monnezza, tanto per cominciare. Non di quella di Napoli, né di quella di Palermo, ma di quella che nell’oceano Pacifico copre una superficie pari a circa tre volte l’Italia. Si tratta di una vera e propria discarica galleggiante aggregata dal gioco delle correnti, in larghissima scala quel che accade negli angoli delle piscine poco curate. La cosa è di certo interesse, tanto che una giornalista americana free lance propone al New York Times un reportage. Il quotidiano si dice disponibile a pubblicarlo, ma non intende coprire le spese di viaggio, una voce consistente visto che l’area interessata si trova molto oltre l’arcipelago delle Hawaii. Lindsey Hoshaw, questo il nome della giornalista, non si perde d’animo e si rivolge a Spot.Us, un’organizzazione no profit che ha lo scopo di trovare i fondi per la realizzazione di reportage su argomenti inediti, di interesse generale, ma trascurati dai poli di informazione classici. In sostanza, sono i cittadini a sostenere i progetti da loro stessi proposti o dai reporter che hanno idee irrealizzabili senza il supporto pubblico. Come nel caso della pattumiera oceanica: la Hoshaw pubblica sul sito il suo progetto e inizia la colletta. Sulla base di una sorta di listino, viene stimato il costo per la realizzazione dell’articolo. I contributi, per inciso, sono di modica entità, normalmente pari a 20 dollari. Le regole stabiliscono che nessuno può donare somme superiori al 20% della somma prestabilita, ciò al fine di scongiurare il pericolo che soggetti spinti da interessi particolari esercitino pressioni sul giornalista. Da questa regola sono escluse solo le “news organizations”, cioè gli editori locali i quali, a fronte di coperture finanziare più corpose, che possono arrivare anche al 100%, acquisiscono diritti temporanei di esclusiva. Se invece la copertura è ottenuta solo con le sottoscrizioni dei cittadini, l’articolo che viene realizzato è ceduto liberamente per la pubblicazione a chiunque ne faccia richiesta. Il regolamento prevede ovviamente diverse fattispecie volte a tutelare i sottoscrittori per i loro contributi, i reporter per il loro impegno e le organizzazioni private che dei lavori giornalistici si avvalgono. Tra le varie possibilità previste da Spot.Us è da sottolineare quella per i cittadini di collaborare con i reporter nei casi in cui la mole di lavoro o la strategia operativa richiedano il contributo di più persone.Continua: Popolo! Cosa ti interessa davvero?, di Emanuele Costanzo, FotoCult, dicembre 2009.
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mercoledì 16 dicembre 2009
Fai agli islamici ciò che vorresti fosse fatto a te
Timothy Garton Ash risponde a uno degli argomenti più sciocchi avanzati dagli islamofobi, quello della reciprocità («I minareti e la sindrome svizzera», La Repubblica, 14 dicembre 2009, p. 31):
C’è chi ribatte che molti paesi islamici non consentono la costruzione di chiese cristiane. Perché allora i paesi europei dovrebbero permettere agli islamici di erigere minareti? È come dire beh, in America c’è la pena di morte, perché quindi in Italia non si condanna alla sedia elettrica Amanda Knox? Oppure: in Arabia Saudita lapidano le adultere, perché noi non dovremmo torturare gli arabi? In molti paesi a maggioranza musulmana è diffusa l’intolleranza verso i cristiani, gli ebrei ed altri gruppi religiosi (Bahai, Ahmadiyya ecc.) e, non da ultimo, verso gli atei, ma le nostre critiche a tale intolleranza sono credibili solo se in patria mettiamo in pratica i principi universali che predichiamo all’estero. Come disse un tempo qualcuno: fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te.Considerazioni ovvie, ma a questo siamo costretti: a ripetere l’ovvio.
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martedì 15 dicembre 2009
Ottanta anni fa
Il volantino riprodotto qui sopra (tratto da: Clara Gallini, Il ritorno delle croci, Roma, Manifestolibri, 2009, p. 71) è stato stampato nel 1926, in occasione della ricollocazione della croce (pesante cinque quintali!) nel Colosseo, e mostra Mussolini mentre saluta romanamente il crocifisso. Il testo recita:
LA CROCE che i passati Governi bandirono dalle scuole e dagli ospedali, togliendo così ai nostri Figli il culto della fede e ai morenti l’ultimo conforto fu per volere del DUCE ricollocata nelle aule e nelle doloranti corsie ed è oggi trionfalmente riportata nel Colosseo di dove cinquantaquattro anni or sono era stata rimossa. La domenica VII Novembre MCMXXVI una devota moltitudine di popolo si [parola incomprensibile] nel vetusto anfiteatro per rendere grazie alla CROCE che aveva pochi giorni avanti salvata all’Italia la preziosa esistenza del DUCE invitto. Un pio sacerdote, dopo il solenne Te Deum, pronunciava fra la più intensa commozione del popolo nobili e sante e patriottiche parole, così concludendo: LA CROCE CHE IL NOSTRO DUCE ONORA ED ESALTA È QUELLA CHE LO PROTEGGE.Il testo allude al fallito attentato a Mussolini eseguito il 31 ottobre di quell’anno dall’anarchico quindicenne Anteo Zamboni, linciato immediatamente dopo il fatto dai fascisti. Si trattava del quarto tentativo fallito in un anno, e il regime ne approfittò per inasprire la dittatura.
Interessante l’accenno del volantino al fatto che i crocifissi erano stati in precedenza rimossi da aule ed ospedali, contrariamente alla vulgata che circola attualmente, interessata (per ovvi motivi) a mettere il rilievo la continuità di quella presenza.
lunedì 14 dicembre 2009
Una occasione mancata: il silenzio
Le Usl venete assumano medici e infermieri, non preti!
Le Usl Venete hanno deciso di assumere 96 preti come assistenti spirituali per un esborso annuo di oltre 2 milioni di euro.
Saranno assunti a tempo indeterminato, su indicazione dei vescovi e parificati nel trattamento agli infermieri professionali laureati (categoria D).
Nelle Usl venete ci sono circa 500 precari tra medici, infermieri e tecnici.
Noi pensiamo che l’assistenza spirituale ai malati dovrebbe essere un atto di carità secondo l’insegnamento evangelico e non una professione.
Noi pensiamo che i 2 milioni di euro dovrebbero essere spesi per medici, infermieri e tecnici che servono negli ospedali per accorciare le liste d’attesa e curare i malati.
Noi pensiamo che la Chiesa Cattolica abbia notevoli risorse economiche, anche dall’8 per mille, per pagare, se non trova preti che lo facciano per missione, gli assistenti spirituali.
Per questo i sottoscritti cittadini chiedono che la Regione receda dall’accordo in oggetto.
Per firmare la petizione vai su www.atalmi.it
La risposta della conferenza dei vescovi.
Un diritto morale
Considerazioni estremamente condivisibili (e molto eloquenti) in margine al caso di Rom Houben, l’uomo belga vittima di un incidente 23 anni fa e rimasto da allora paralizzato e incapace di comunicare con il mondo esterno (Ann Neumann, «Why The Case of Rom Houben Resonates», Otherspoon, 5 dicembre 2009):
Ieri ho ricordato al mio rappresentante fiduciario per le decisioni sui trattamenti sanitari il luogo in cui conservo le mie direttive anticipate. Prego – sì, lo faccio anch’io – che se dovessi rimanere vittima di un incidente d’auto, come lo è stato Houben tanti anni fa, io possa essere sottratta ad ogni sostegno vitale artificiale. Non mantenuta in vita per essere accudita dalla mia famiglia e dai miei amici, non rinchiusa artificialmente in un corpo deforme, in isolamento per 23 anni, non catechizzata dai medici o dalla Chiesa o dallo Stato sul modo in cui dovrei vivere.
Questa non è una dimostrazione dei miei «pregiudizi sulla qualità della vita», non è depressione o odio di sé, non è discriminazione nei confronti di Houben o di altri membri disabili della società, non è adesione alla «cultura della morte», o negazione dell’onnipotenza divina, o compiacenza per l’allontanamento della medicina dal modello ippocratico (una colossale sciocchezza); non è paura di essere un peso o paura che un’infermiera mi pulisca il culo, non è nulla di ciò che quelli che lavorano per imporre la propria virtuosa pietà sui malati chiamano «disprezzo della vita». È un mio diritto morale. E non amo per questo di meno la vita, ogni vita.
venerdì 11 dicembre 2009
L’esperienza della Ram, medici per tutti
Andare dal dentista non piace quasi a nessuno. A renderlo ancora più sgradevole ci si mette spesso il costo dell’intervento, che per alcuni non è assolutamente sostenibile.
Negli Stati Uniti 85 milioni di persone non hanno l’assicurazione per le cure odontoiatriche e non possono permettersele. Il New York Times racconta la storia di Michael Bettis: gli mancano molti denti e il costo per rimetterli si aggira tra i 7.000 e i 15.000 dollari.
Michael racconta che la gente lo considerava ombroso e scontroso, ma che in realtà lui non sorrideva perché non aveva i denti e temeva che gli altri se ne accorgessero. Michael trova un modo per farsi curare: scopre la Remote Area Medical (RAM), una organizzazione medica di volontari che offrono cure mediche, odontoiatriche e veterinarie e assistenza di vario genere a persone e animali.
La RAM si è presa cura di migliaia e migliaia di individui dal 1985, anno della sua fondazione, raggiungendo luoghi sperduti e lontanissimi da ospedali. Lo stesso fondatore, Stan Brock, è cresciuto nel cuore della foresta amazzonica, a circa 25 giorni di marcia da un ospedale, ed è sopravvissuto alla malaria, agli attacchi di animali e ad altre disavventure. Ma quelli meno fortunati di lui sono morti perché non avevano modo di raggiungere un medico. Una delle idee fondanti della RAM è portare i medici e le cure nei luoghi più inaccessibili e alle persone che non potrebbero permettersi nemmeno di provare a sopravvivere.
DNews, 11 dicembre 2009
Postato da Chiara Lalli alle 10:12 1 commenti
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giovedì 10 dicembre 2009
mercoledì 9 dicembre 2009
Le tre leggi divine della robotica
Sono state scritte qualche anno fa (l’autore è Edwin Evans), ma non sembrano aver goduto di molta fortuna. Forse perché fanno sì sorridere, ma è un sorriso un poco amaro...
- Un robot deve essere costruito in modo da soffrire dolore fisico e psichico.
- Un robot deve essere capace in qualsiasi momento di trasformarsi in un robot malvagio, soprattutto se ciò favorisce la prima legge.
- A un robot non deve essere fornita nessuna informazione sul suo creatore se non tramite oscuri manoscritti creati da altri robot, soprattutto se ciò favorisce la prima o la seconda legge.
venerdì 4 dicembre 2009
Minareti e campanili
Alexandre Erler ha da dire alcune cose sensate a proposito del referendum svizzero sui minareti («Why the minaret ban?», Practical Ethics, 4 dicembre 2009):
The proponents of the initiative have argued that it did not infringe on religious freedom, as Muslims would still be able to practice their religion with or without minarets. But obviously this ignores the fact that the minaret ban restrains the capacity for Muslims to manifest their faith, in this case via the architectural arrangement of their places of worship, and the exercise of this capacity is partly what freedom of religion is meant to protect – which is why the compatibility of the initiative with international law has been called into question (see here and here).Da leggere anche il resto.
Schlüer and his colleagues have made the absurd claim (in their contribution to the pre-election leaflet) that minarets “have no religious function”, but are only a symbol of a claim to political power. But obviously one main function of minarets is to serve as a visible sign for Muslims of the presence of a place of worship, as church steeples signal the presence of a Christian place of worship. (The other main function of minarets is to serve as a vantage point for the call to prayer by the muezzin, which admittedly might pose a problem from a secularist perspective, but one that could in principle have been solved without a ban.) One might as well argue that church steeples have no religious function, and that eradicating them would not in any way infringe on the right for Christians to practice their religion freely, as they could go on doing so even if churches went out of existence completely.
Postato da Giuseppe Regalzi alle 18:13 1 commenti
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giovedì 3 dicembre 2009
Le dichiarazioni del cardinale Barragán
Le dichiarazioni del cardinale Barragán, raccolte il 2 novembre 2009 da Bruno Volpe per la rivista online Pontifex.Roma, meritano di essere tramandate integralmente ai posteri:
La cosiddetta pillola del giorno dopo o meglio aborto chimico, è stata al centro di valutazioni diverse ed anche polemiche. Ne abbiamo discusso con il cardinale messicano Javier Lozano Barragan, Presidente Emerito del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari, Pastorale per la salute. Eminenza, qual è il suo giudizio sulla pillola del giorno dopo?: «che è una pillola che ha effetti abortivi e come tale, l’aborto va considerato un assassinio». Il cardinale lo ripete con calma: «ogni aborto, in quanto soppressione di una vita umana, è un crimine, un delitto e merita una punizione». Si è pensato, dietro severe valutazioni, di permetterla in strutture ospedaliere: «io non mi interesso delle cose italiane o di singoli stati, ma la mia idea è che libera o dietro guardia medica, la sostanza non cambia affatto. Si tratta sempre e comunque di un mezzo abortivo e come tale, rappresenta una violazione gravissima della vita umana che è sacra ed inviolabile, che nessuno può manipolare a suo piacimento ed è un dono di Dio». Il cardinale fa un paragone: «questa storia mi sembra assimilabile a chi compra una rivoltella in un negozio. Colui il quale esce con una pistola è potenzialmente pericoloso, di fatto ha la possibilità di trasformarsi in omicida se la usa male e contro la legge. Ma è un potenziale criminale, lo diventa solo se agisce male. Chi abortisce non è potenziale, ma di fatto, in quanto ammazza. Pertanto la condotta di chi compie e pratica un aborto è sicuramente più grave di chi compra un revolver nell’armeria». Eminenza, quando inizia la vita?: «la scienza lo dice, da quando lo spermatozoo entra nell’ovulo. Allora già esiste una vita ed è sacra. Lo ripeto, sopprimere una esistenza umana, salvi i casi di emergenza, è un crimine e merita questa definizione, non ho dubbi». E se si usa in ospedale?: «non cambia nulla. È assassino chi ammazza fuori o dentro la clinica, sia che lei compia la esecuzione in caserma o nel domicilio particolare della vittima, le modalità possono solo aggravare l’evento, ma pur sempre di assassinio si tratta». Eminenza passiamo ad altro tema caldo. In che modo valuta sia la omosessualità che i trans?: «trans e omosessuali non entreranno mai nel Regno dei Cieli, e non lo dico io, ma San Paolo». Ma se una persona è nata omosessuale?: «non si nasce omosessuali, ma lo si diventa. Per varie cause, per motivi di educazione, per non aver sviluppato la propria identità nell’adolescenza, magari non sono colpevoli, ma agendo contro la dignità del corpo, certamente non entreranno nel Regno dei Cieli. Tutto quello che consiste nell’andare contro natura e contro la dignità del corpo offende Dio».Lo stesso giorno il cardinale ha «ribadito» il suo pensiero all’agenzia ANSA, che in alcuni dispacci sintetizza il contenuto dell’intervista e vi aggiunge delle «precisazioni»:
«non sta a noi condannare»; «sono comunque persone e in quanto tali da rispettare» (ANSA 13:43);L’ANSA ha rivelato anche che l’allusione a Paolo si riferiva a Romani 1,26-27.
«L’omosessualità è dunque un peccato ma questo non giustifica alcuna forma di discriminazione. Il giudizio spetta solo a Dio, noi sulla Terra non possiamo condannare, e come persone abbiamo tutti gli stessi diritti» (ANSA 13:57).
Postato da Giuseppe Regalzi alle 13:07 28 commenti
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Quando l’antiabortista fa propaganda pro-aborto
Gli integralisti sembrano avere qualche problema con le soluzioni di compromesso. Non che le rifiutino del tutto: basta considerare per esempio la legge 40 sulla procreazione assistita. Si tratta di un compromesso iniquo, pesantemente spostato da una parte, certo, ma pur sempre di un compromesso, visto che per il magistero ecclesiastico praticamente tutte le tecniche di fecondazione artificiale sono moralmente inammissibili, e non solo la fecondazione eterologa o la diagnosi preimpianto. Eppure nella percezione comune – è qui il problema di cui parlavo all’inizio – la legge 40 è espressione fedele di quel magistero, sì che probabilmente nell’opinione di molti la fecondazione in vitro, a certe condizioni, è del tutto coerente con gli insegnamenti della Chiesa cattolica.
I motivi di questa credenza diffusa non sono chiarissimi. È probabile che in parte vadano addebitati all’esito referendario, che ha rappresentato (ed è stato rappresentato come) una vittoria netta dei clericali; da questo a ritenere che anche i contenuti della legge oggetto del referendum fossero del tutto in linea con i dettami della Chiesa il passo è abbastanza naturale. Ovviamente non sono mancate le precisazioni sull’autentica dottrina cattolica in materia; ma spesso sono apparse un po’ troppo sommesse, quasi non si volesse rovinare la vittoria ottenuta mostrando di aver concesso qualcosa. E questa è forse un’altra causa dell’equivoco: chi pensa di possedere una verità assoluta ha spesso più difficoltà ad ammettere di essere sceso in qualche modo a patti con il nemico ideologico.
Qualcosa di relativamente simile sta avvenendo con la pillola abortiva. La posizione integralista coerente sarebbe naturalmente quella di rifiutare in toto ogni tecnica abortiva; ma questo non è politicamente possibile nel presente momento storico, e così l’opzione che è stata scelta è stata quella di insistere sull’incompatibilità della RU-486 con la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, e sulla presunta maggiore pericolosità dell’aborto farmacologico rispetto a quello chirurgico.
Ovviamente nessuno potrà mai pensare che le gerarchie ecclesiastiche siano a favore della legge 194 o che raccomandino l’aborto per aspirazione; in questo la situazione è diversa rispetto a quella della procreazione assistita. Ma non c’è dubbio che l’artiglieria retorica messa in campo a favore dell’adesione strettissima alla lettera della legge sull’aborto sia talvolta così possente da far apparire la 194 come una luminosa conquista di civiltà, sì da causare alla fine le smarrite rimostranze dei duri e puri.
Anche certe comparazioni fra l’aborto farmacologico e quello chirurgico (in particolare realizzato con l’aspirazione, il cosiddetto metodo Karman) sembrano a volte uscite dalla penna di qualche propagandista pro-choice degli anni ’70. Penso ad alcune pagine del libro di Assuntina Morresi ed Eugenia Roccella dedicato alle presunte nefandezze della RU-486; ma sono posizioni che tendono a diffondersi. Qualche giorno fa un commentatore antiabortista sosteneva qui su Bioetica che «l’aborto chirurgico […] non è affatto “invasivo e doloroso” come si vuol far credere perché avviene in anestesia totale», dimenticando che esiste anche il dolore post-operatorio.
Un esempio un po’ estremo si trova sul Foglio di due giorni fa («La Ru486 non offre vantaggi. Anzi sì, aumenta gli aborti facili», 1 dicembre 2009, p. 2), dove Roberto Volpi sostiene che, al contrario della pillola abortiva, «il metodo Karman non ha mai ucciso alcuna donna». Che l’aborto per aspirazione sia uno dei trattamenti sanitari più sicuri al mondo è vero, ma un’affermazione così recisa mostra subito di essere poco fondata: non esistono purtroppo metodi chirurgici esenti da rischio. Sarebbero bastati a Volpi cinque minuti su MedLine per trovare ad esempio l’articolo di P.C. Jeppson et al., «Multivalvular Bacterial Endocarditis After Suction Curettage Abortion» (Obstetrics & Gynecology 112, 2008, pp. 452-55), in cui si descrive un caso fatale (e rarissimo, è bene precisare) di endocardite batterica insorta in seguito a un aborto chirurgico per aspirazione.
Non si tratta purtroppo dell’unico decesso: negli Stati Uniti, per esempio, il tasso di mortalità per aborto legale fino ad 8 settimane di gestazione è stato nel periodo 1988-1997 di 1 su 1.000.000 (L.A. Bartlett et al., «Risk Factors for Legal Induced Abortion-Related Mortality in the United States», Obstetrics & Gynecology 103, 2004, pp. 729-37), e la maggioranza di questi aborti viene effettuata per aspirazione; non ho dati analitici, ma è estremamente improbabile che tutte le morti siano da addebitare ad altri metodi chirurgici (all’epoca negli Usa l’aborto farmacologico ancora non era stato approvato dagli organismi competenti).
Per fare un paragone, in Francia dal 1993 ad oggi la RU-486 è stata usata, in associazione con il misoprostolo e seguendo le indicazioni raccomandate dalla casa produttrice (cosa che purtroppo non è accaduta altrove), su circa 1.000.000 di pazienti, in massima parte entro la 7ª settimana di gestazione, con un unico decesso, di cui peraltro non si sa nulla (del dossier inviato qualche mese fa dalla casa produttrice alla nostra Agenzia del Farmaco si è rivelato – contravvenendo all’impegno di riservatezza – solo quel poco che poteva servire alla propaganda integralista).
L’aborto chirurgico per aspirazione e quello farmacologico, se effettuati correttamente, hanno una pericolosità (bassissima) molto probabilmente comparabile. Entrambi possono comportare effetti collaterali e complicanze, anche se in generale l’aborto chirurgico è più ‘comodo’ da gestire, per il tempo minore della sua durata e perché l’anestesia generale è più efficace nel sopprimere i dolori dell’intervento di quanto non lo siano gli analgesici che può essere necessario assumere nell’aborto farmacologico. La RU-486, oltre ad essere il metodo ideale per chi non può o non vuole affrontare un intervento chirurgico, ha un vantaggio fondamentale: potenzialmente è in grado di sottrarre l’aborto legale all’arbitrio degli obiettori di coscienza, che stanno rendendo sempre più difficile ottenerlo in questo paese. Ed è questo che gli integralisti di ogni risma vogliono impedire con ogni mezzo; se serve, persino con la propaganda unilaterale a favore di altri metodi abortivi.