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domenica 10 giugno 2007

E Massimo Introvigne scoprì Bioetica

Segnalavo, in un aggiornamento al primo post della serie «Introvigne, il cardinale e il pedofilo», alcuni interessanti mutamenti subiti dall’articolo di Massimo Introvigne (che avevo lì commentato) subito dopo l’apparizione del mio pezzo; mutamenti che, pur con qualche contraddizione, potevano lasciar pensare a una conoscenza di quello che avevo scritto: per esempio, nel mio post avevo segnalato en passant come Introvigne scrivesse sempre «Mahoney» al posto di «Mahony», ed ecco che subito dopo nel suo articolo la forma corretta sostituiva ovunque quella errata. Adesso, dopo che è uscita la seconda parte del mio articolo, Introvigne modifica ulteriormente il suo pezzo, e questa volta afferma esplicitamente di avermi letto. Riporto qui di seguito, integralmente, il passo che mi riguarda, interrotto dai miei commenti (Introvigne, da parte sua, mi cita tra virgolette solo una volta, né offre link al mio post o a questo blog).

Un certo Giuseppe Regalzi, animatore di un blog che un’amica mi ha segnalato – evidentemente esagerando, ma ogni paradosso indica sia pur da lontano una verità – come un luogo dove si consiglierebbe l’eutanasia anche a chi ha preso il raffreddore,
Qui il paradosso indica solo, temo, che Introvigne dovrebbe scegliere meglio da chi si fa consigliare, per non fare la figura di chi demonizza preventivamente l’avversario (cosa che voglio sperare lontana dalle sue intenzioni). Quando l’esagerazione travalica i limiti del buon gusto, come in questo caso, non indica più «sia pur da lontano» una verità, ma il suo esatto opposto.
si abbevera oltre che al Los Angeles Times anche a un’altra fonte piuttosto torbida: il sito americano bishopaccountability.org che, come ha almeno il buon gusto di dichiarare apertamente, ha “lo scopo di rendere più facile la chiamata in causa dei vescovi americani” accusati di favorire la pedofilia. Una vera miniera per gli studi legali che si arricchiscono chiedendo risarcimenti miliardari, molto spesso con cause a contingency, dove una percentuale non rivelata al pubblico ma in genere piuttosto importante del denaro recuperato a titolo di danno non va alle “vittime” ma rimane agli avvocati. Uno sguardo a bishopaccountability.org rivela l’uso sistematico di una vera e propria arte che può ingannare solo chi non conosca la procedura legale americana: sono pubblicati atti parziali di processi, spesso tra l’altro non distinguendo chiaramente fra le deposition, che nelle cause civili americane non sono rese davanti al giudice ma solo davanti agli avvocati, e le vere e proprie testimonianze in tribunale, che hanno un peso ben diverso. Anche un giurista alle prime armi comprende facilmente che la pubblicazione selettiva degli atti (voluminosissimi) di cause complesse permette di far dire alle famose “carte” di cui parlava anche Totò più o meno quello che si vuole.
Io non mi abbevero al Los Angeles Times, di cui Introvigne ha raccontato le presunte malefatte nel paragrafo precedente, ma che non è mai citato nei miei post: ho seguito invece da vicino nella stesura del primo articolo della mia serie un articolo di Ron Russell, comparso sul New Times. Che è un altro giornale.
Quanto al sito bishopaccountability.org, la messa in guardia di Introvigne non riesce a nascondere il fatto che il sito riporta appunto documenti processuali. La deposizione di Mahony al processo del 2004, poi, non è affatto selettiva, ma integrale. Nel suo articolo Introvigne afferma di aver dato uno «sguardo ai documenti del processo civile di secondo grado», da cui verrebbe fuori la storia di Muñoz e Camacho: ma la storia di Muñoz e Camacho è venuta fuori proprio dalla deposizione che utilizzo io (anche se il processo a cui si riferisce non è, per l’esattezza, il processo civile di secondo grado). Perché Introvigne è libero di alludere alle stesse carte che io invece, secondo lui, avrei fatto male a citare? Se poi la trascrizione è infedele, Introvigne – che ha appunto dato uno «sguardo ai documenti del processo civile» – lo potrà provare con facilità.
Tuttavia perfino qui ci sono dei limiti. Il buon Regalzi, tra un appello e l’altro per l’eutanasia, vorrebbe far credere ai suoi lettori che l’allora vescovo Mahony non sospese i sacerdoti Munoz (che nei documenti processuali e in quelli diocesani è indicato, in effetti, come Munoz e non come Muñoz) e Camacho ma si limitò a trasferirli fuori della diocesi. Ma nella stessa deposition tratta da bishopaccountability.org (con tutte le riserve sulla fonte) Mahony dichiara che, con riferimento a questi due sacerdoti, “esercitai le mie prerogative di vescovo per porre fine alle loro facoltà e al loro incarico (terminate their faculties and their assignment)”. Il riferimento alle faculties (e non solo all’assignment, che è l’incarico o mandato per uno specifico ministero nella diocesi) è evidentemente alle facoltà sacerdotali in genere. Né risulta che Camacho e Munoz abbiano cercato di esercitarle in Messico o altrove.
A quanto ne so, in spagnolo il cognome Munoz non esiste; esiste invece il cognome Muñoz, che gli americani, non disponendo nelle tastiere dei loro computer, macchine da scrivere etc. del tasto «ñ», scrivono sistematicamente come Munoz.
Massimo Introvigne (gli risparmio l’epiteto di «buon»: a ciascuno il suo stile) mi deve aver letto molto affrettatamente (o dipenderà ancora una volta dai resoconti della sua amica tendente all’esagerazione?). Così scrivevo nel mio secondo post:
Mahony agisce rapidamente: sospende Padre Muñoz dalla facoltà di amministrare i sacramenti a Stockton […]. L’«esclusione dal ministero sacerdotale» dei due messicani, poi, si riferisce soltanto alla diocesi di Stockton [corsivi aggiunti]
È vero che non risulta che i due pedofili abbiano tentato di esercitare le loro facoltà sacerdotali in Messico; ma avrebbero potuto benissimo farlo. Mahony non aveva il potere di far loro perdere lo stato clericale: per questo avrebbe dovuto sollecitare un intervento della Sede Apostolica (cioè il Vaticano). Le facoltà che ha ritirato (ritengo – ma mi posso sbagliare – a norma di Cod. Iur. Can. 193 §3 – era 192 §3 nel vecchio codice) erano quelle e soltanto quelle che lui stesso aveva concesso (trascrizione, nn. 0021-0022):
Q. Okay. And did he have Your Eminence, so the jury will understand, what are faculties as it pertains to a priest?
A. Faculties is a term used to cover certain authorizations whereby a priest can hear confessions, preach, and administer the sacraments.
Q. Okay. So he can function as a priest of the diocese; correct?
A. Yes.
Q. And you gave Father Camacho faculties; correct?
A. I think Father Camacho yes, I did.
Muñoz e Camacho continuavano a essere a tutti gli effetti incardinati nelle – nel linguaggio ecclesiastico, cioè, a far parte delle – rispettive diocesi messicane, con tutti i diritti connessi (Cod. Iur. Can. 271 §2; cfr. trascrizione, n. 0021).
Quando poi i documenti dicono esattamente il contrario di quanto sostiene Regalzi, allora evidentemente nei documenti ci devono essere degli “errori”. Così, a proposito del fatto che la polizia sia stata informata del caso Munoz, Regalzi parla dell’“errore di un avvocato”. Tuttavia, è l’avvocato che sta agendo contro la diocesi che pone la domanda se sia stata chiamata la polizia per Munoz, e il cardinale risponde con un monosillabo su cui non è facile equivocare: “Sì”. Quanto alla presunta contraddizione con un altro brano della deposition dove Mahony affermerebbe di avere informato la polizia prima del 1985 del solo caso Camacho (quindi, si sostiene, non del caso Munoz), le cose non stanno proprio così. La sequenza è: “Prima del 1985, ha denunciato un sacerdote alla polizia?” – “Sì” – “Chi?” – “Don Camacho”. Non si afferma esplicitamente che si sia trattato solo di Camacho (la retorica conoscendo l’elencazione esemplificativa e non solo quella tassativa), a prescindere dal fatto che il seguito della deposition dimostra che c’è una certa confusione fra denuncia sporta personalmente da Mahony alla polizia e denuncia sporta da altre persone della diocesi diverse da Mahony.
A me pare che la situazione avrebbe consigliato fortemente al cardinal Mahony di procedere a un’elencazione tassativa; dallo svolgimento delle domande e delle risposte mi pare anche chiaro che l’avvocato si sia confuso (prima chiede chi sia il sacerdote denunciato – e la domanda per la precisione è «ha mai denunciato un sacerdote?» – e dopo qualche minuto fa il nome di Muñoz, di cui nel processo non s’era fino ad allora mai parlato in relazione alla polizia), mentre Mahony o non si è accorto dell’equivoco, o non ha ritenuto di far notare l’errore (non era, in quel contesto, un punto fondamentale). In ogni caso, anche ammesso che Mahony si fosse rivolto alla polizia, non sarebbe stato certo per indagini preliminari tese a stabilire la colpevolezza del sacerdote messicano, come invece vorrebbe Introvigne. Dalla deposizione:
Beh, nel caso di Padre Muñoz avevamo delle vittime specifiche, non una sola ma molte, che si presentarono con i loro genitori e confermarono tutti assieme cosa era loro successo a Tijuana. Così io non... non avevo davvero bisogno di nient’altro.
Andiamo avanti:
Più importante di tutto questo è l’impressione che chi ci intrattiene dottamente su questi temi non abbia mai assistito a una deposition e la confonda con la testimonianza resa davanti al giudice di un processo italiano. Da noi il giudice “razionalizza” le parole del testimone in frasi coerenti, mentre una deposition (un atto giudiziale cui chi scrive assiste spesso negli Stati Uniti) è semplicemente registrata con mezzi elettronici (un tempo, magnetici) e sbobinata senza cambiare una sola parola. Chiunque tenga conferenze e si sia visto proporre la pubblicazione di una registrazione sbobinata avrà certamente fatto esperienza di quanto diversa sia la trascrizione del parlato da una sequenza di frasi scritte nate come tali… o ricostruite nelle cause italiane dalla mediazione di un giudice. In realtà nessuno “parla come un libro stampato”, e la trascrizione di uno scambio di battute (magari vivace e ostile come avviene tipicamente in una deposition) non ha mai la precisione della scrittura.
Considerazioni interessanti: ma cosa hanno a che fare con il tema in esame? E dove mai avrei confuso la deposition di Mahony con «la testimonianza resa davanti al giudice di un processo italiano»?
Qualche volta, poi, Regalzi sega senza accorgersene il ramo stesso su cui è seduto. Per difendere il Los Angeles Times sostiene che non poteva conoscere in un articolo del 2002 i casi Camacho e Munoz perché sono emersi nel processo in cui è stato coinvolto il cardinale Mahony solo nel 2004. Ora, la controversia sull’attendibilità del Times nasce, come abbiamo visto, dal fatto che le sue inchieste sono presentate come frutto di indagini indipendenti, mentre l’Arcidiocesi di Los Angeles sostiene che fa semplicemente da megafono ai legai che cercano di spillare strabilianti risarcimenti alla Chiesa. Nel 2002 nel mondo delle carte bollate in cui si muovono questi avvocati i casi Camacho e Munoz non erano ancora entrati. Ma nel mondo reale esistevano fin dal 1984, e – dal momento che i vescovi che fanno sparire i preti di notte e di nascosto esistono solo nei romanzi gotici dell’Ottocento – dovevano avere lasciato qualche traccia, che un “giornalista investigativo” che si rispetti avrebbe dovuto essere capace di trovare. Conclusione: nel 2002 il Los Angeles Times conduceva le sue inchieste esplorando il mondo delle carte bollate gentilmente fornite dagli avvocati e non andando a indagare nel mondo reale: che è precisamente quello che sostiene l’Arcidiocesi.
L’Arcidiocesi accusa il Los Angeles Times, mentre io – lo ripeto – mi rifacevo al New Times, il cui reporter Ron Russell ha ottenuto interviste originali da quasi tutti i testimoni principali (o almeno, da quelli che si sono lasciati trovare e intervistare). L’Arcidiocesi non ce l’aveva con lui.
Secondo esempio di autogol: si cita come scandaloso il fatto che “13 anni dopo aver lasciato la diocesi di Stockton” il cardinale Mahony non si ricordi più in una su testimonianza dei casi Camacho e Munoz (mentre se ne ricorderà in testimonianze successive, verosimilmente avendo fatto qualche ricerca nelle carte della sua vecchia diocesi). Ora, a parte il fatto che non si capisce bene perché il cardinale dovrebbe mentire su circostanze che avrebbero giocato a favore della Chiesa e non contro, è precisamente il contrario: non avendo passato tredici anni della sua vita a rimuginare sui casi Camacho e Munoz, è del tutto verosimile che dopo oltre un decennio Mahony non ricordi con precisione quei fatti. Se li avesse avuti, come si dice, sulla punta delle dita senz’altro il Times lo avrebbe accusato di ripetere una lezione ben preparata dagli avvocati dell’Arcidiocesi.
Di nuovo, Introvigne mi deve aver letto con disattenzione: ho dedicato molte righe a rispondere alla domanda sul perché «il cardinale dovrebbe mentire su circostanze che avrebbero giocato a favore della Chiesa e non contro». Nessuno, poi, pretende che Mahony ricordasse con precisione; ma che ricordasse almeno vagamente, sì.
Infine, non è ben chiaro che cosa si voglia dimostrare, dal momento che non si nega l’essenziale, e cioè che nel caso O’Grady la diocesi si rivolse alla polizia e che il documentario Sex Crimes and the Vatican omette di riferire questo fatto essenziale, preferendo insistere sul comportamento imprudente della Chiesa (senza spiegare che questo coinvolgeva anche i terapisti consultati dal vescovo e la stessa polizia) durante e dopo i fatti del 1984.
Anche di questo ho parlato ampiamente nel primo post, dove nego appunto il «fatto essenziale»: non è stata affatto la diocesi a rivolgersi alla polizia, ma lo psichiatra William Guttieri che ha raccolto la confessione di O’Grady e che per preciso obbligo di legge ha dovuto avvertire le autorità civili.

Aggiornamento: in un’agenzia della Associated Press del 24 ottobre 2006 trovo alcuni passi di due lettere scritte da Mahony ad Antonio Muñoz e al superiore di questi a Tijuana:
In a letter dated Sept. 18, 1981, Mahony wrote to Munoz at the Tijuana diocese informing the priest of his dismissal.
«For the spiritual and pastoral good of the people of the Dioceses of Stockton, please remain over there in Mexico,» the letter said in Spanish. «If you, sir, would like to visit here for whatever reason, then I would have to inform police and immigration officials».
The letter ends with Mahony urging the priest to obtain «the professional and spiritual help you need».
Mahony also wrote a second letter dated the same day to Msgr. Juan Jesus Pasadas Ocampo of the Tijuana diocese about Munoz.
«It seems best to us that he doesn’t return here ever, because there are many parents disposed to inform police about his actions,» the letter said in Spanish. «I hope that Father Munoz is not able to serve in a parish where there is the possibility to find more youngsters. He is truly (a) psychopath, and in reality he needs a lot of professional help» [corsivi miei].
Mi pare che se Mahony avesse avvisato la polizia per allertarla contro un possibile ritorno di Muñoz dal Messico (all’epoca della scoperta dei suoi misfatti il sacerdote si trovava a Tijuana), questo sarebbe stato espresso chiaramente, in particolare nella lettera a Pasadas Ocampo; a maggior ragione ciò sarebbe avvenuto se Mahony avesse sollecitato o fatto sollecitare le autorità messicane a procedere contro Muñoz.

Aggiornamento 2: Introvigne ha modificato per l’ennesima volta la sua pagina (ormai ridotta a un palinsesto illeggibile), ma solo per affermare che anche se non ho usato come fonte il Los Angeles Times, in realtà l’ho usato lo stesso. Così sia.

Aggiornamento 3: incredibile, un altro inciso di Introvigne!
né vale sostenere che chi materialmente informò la polizia era lo psichiatra incaricato dalla diocesi di esaminare O’Grady, perché dal punto di vista legale in quel momento il dominus dello psichiatra Guttieri era la diocesi, e ogni comunicazione dello psichiatra con la polizia era a tutti gli effetti una comunicazione della diocesi
I meriti vanno attribuiti agli uomini concreti, non agli enti astratti. Il vescovo e i suoi collaboratori non hanno avvertito la polizia; lo ha fatto uno psichiatra da loro incaricato, e solo per adempiere un obbligo di legge che lo riguardava personalmente. Poco tempo dopo il vescovo ha promosso il reo confesso. Tanto basta.

Aggiornamento 4: ulteriori sviluppi qui.

sabato 9 giugno 2007

Introvigne, il cardinale e il pedofilo / 2

Nella prima parte dell’articolo abbiamo ricostruito la storia dei rapporti intercorsi tra il 1980 e il 1985 tra l’allora vescovo di Stockton Roger Michael Mahony (oggi arcivescovo di Los Angeles e membro del Sacro Collegio cardinalizio) e il pedofilo Padre Oliver O’Grady, seguendo da vicino l’esposizione che Ron Russell del New Times di Los Angeles aveva fatto del caso. Nella ricostruzione del giornalista spicca però apparentemente un’assenza: che ne è dei due sacerdoti pedofili che negli stessi anni del caso O’Grady, stando a Massimo Introvigne, Mahony segnala alla polizia, e che vengono sospesi a divinis non appena i poliziotti confermano «che, dietro al fumo, c’è del fuoco»? Russell, in effetti, non ne fa parola – tanto che da qui in avanti dovremo proseguire da soli nella ricostruzione dei fatti. Siamo forse di fronte a un esempio di perfida censura laicista?
In realtà, Ron Russell non poteva sapere nulla del caso: il suo articolo è del 18 aprile 2002, mentre il cardinale Mahony rivela i fatti soltanto il 23 novembre 2004 – non durante il processo di secondo grado, come sostiene Introvigne, ma nel corso di un nuovo processo istruito grazie ad una legge statale del 2002, che aveva sollevato temporaneamente i termini della prescrizione sui casi di abusi sessuali a danno di minori (Don Lattin, «Cardinal Mahony accused of perjury in sex abuse case», San Francisco Chronicle, 11 dicembre 2004, p. B-3).
È istruttivo leggere un passo della deposizione di Mahony – condotta sotto giuramento – nel corso del processo contro O’Grady, il 12 giugno 1998:

D. Durante il periodo di tempo in cui è stato vescovo di Stockton, ci sono stati altri sacerdoti [oltre O’Grady] coinvolti in casi di abuso sessuale nei confronti di bambini?
[…]
R. Di nuovo: non ricordo alcun altro caso durante il mio periodo.
D. Beh, se ci fosse stato qualche altro caso quando lei era vescovo di Stockton l’avrebbe sicuramente saputo, non è vero?
R. Oh, certo. Ma non ricordo nessun altro caso.
D. Niente altri casi?
R. Non che io sappia.
D. Questo è stato l’unico?
R. Sì.
Da notare che chi fa le domande non è un crudele inquisitore, ma l’avvocato della diocesi, Mr Diepenbrock! Dunque 13 anni dopo aver lasciato la diocesi di Stockton il cardinal Mahony non riesce più a ricordare quello che nel corso del processo del 2004 indicherà come il suo primo caso di un sacerdote pedofilo; un caso, per giunta, di cui si era occupato in prima persona; e nessuno dei suoi collaboratori presenti al processo, come per esempio il vicario generale Cain, sente il bisogno di rinfrescargli la memoria in una delle pause. Alla richiesta di spiegazioni il cardinale così risponderà nel 2004:
Avevamo avuto molti avvenimenti nell’Arcidiocesi di Los Angeles [durante il 1998], ed ero molto preoccupato. C’era stata la visita del Santo Padre. C’erano stati i terremoti. C’erano state le rivolte. C’era stato di tutto. E io molto semplicemente non ricordavo tutto ciò che era avvenuto a Stockton molti anni prima.
Le ragioni addotte da Mahony ricordano irresistibilmente quelle che John Belushi offre alla ex fidanzata Carrie Fisher, da lui abbandonata tempo prima davanti all’altare, e che ora lo minaccia con un mitra, in una memorabile scena di The Blues Brothers:
Woman: You miserable slug! You think you can talk your way out of this? You betrayed me!
Jake: No, I didn’t! Honest... I ran out of gas. I – I had a flat tire. I didn’t have enough money for cab fare. My tux didn’t come back from the cleaners. An old friend came in from out of town. Someone stole my car. There was an earthquake. A terrible flood! Locusts! IT WASN’T MY FAULT, I SWEAR TO GOD!
Non stupisce davvero che diverse voci si siano levate ad accusare il cardinale di spergiuro...
Ma, si obietterà, se le cose stanno come scrive Massimo Introvigne, perché mai Mahony avrebbe dovuto omettere di riportare due casi che mostravano come fosse capace all’occorrenza di fare ciò che andava fatto con i pedofili? Quelle circostanze non tornavano chiaramente a suo vantaggio? La risposta, temo, è ovvia: le cose non stanno come le descrive Introvigne...

Vediamo i fatti. Nel 1981 Antonio Muñoz, un prete messicano che si trova ospite da qualche tempo della diocesi di Stockton in qualità di associate pastor, viene accusato di aver condotto alcuni adolescenti in Messico per abusare di loro. Informato della cosa dal vicario ispanico Fernando Villalobos, Mahony agisce rapidamente: sospende Padre Muñoz dalla facoltà di amministrare i sacramenti a Stockton (trascrizione, nn. 0023-0024), e gli impedisce di tornare negli Usa (il sacerdote si trovava al momento a Tijuana). Nel corso della deposizione Mahony non dice mai di avere sollecitato un intervento della polizia, anzi lo nega, dapprima implicitamente:
Beh, nel caso di Padre Muñoz avevamo delle vittime specifiche, non una sola ma molte, che si presentarono con i loro genitori e confermarono tutti assieme cosa era loro successo a Tijuana. Così io non... non avevo davvero bisogno di nient’altro.
Lo nega poi esplicitamente, quando afferma di aver denunciato per la prima volta in vita sua un pedofilo alla polizia in occasione del successivo caso Camacho (trascrizione, n. 0121; alla luce di questo la menzione di Muñoz più avanti – trascrizione, n. 0124 – è sicuramente il lapsus di un avvocato).

Nel settembre del 1983 Padre Antonio Camacho, un altro prete messicano ospite della diocesi, invita due quindicenni a pranzo. Nel pomeriggio li porta al rettorato della parrocchia di San Stanislao a Modesto; lungo la strada acquista una dozzina di birre. Chiuso nella sua stanza con i ragazzi beve a lungo; verso le 11 di sera propone ai due di rimanere per la notte (col permesso, che ottiene, di uno dei genitori). Una volta a letto tenta più volte di molestarli. La mattina dopo li riaccompagna a casa; in seguito propone loro più volte di rivedersi, naturalmente senza successo. Stavolta i due ragazzi e uno dei loro genitori si rivolgono direttamente al vescovo, il 15 febbraio dell’anno dopo. Gli raccontano che anche altri giovani della parrocchia hanno subito le medesime attenzioni da parte di Padre Camacho, e spiegano che prima di rivolgersi alla polizia hanno pensato fosse opportuno rivolgersi al vescovo. Mahony li assicura che sospenderà immediatamente Camacho; al che i suoi ospiti rispondono che non adiranno le vie legali se il prete ritornerà alla sua diocesi di origine, a San Juan de Los Lagos, in Messico.
Partiti i ragazzi Mahony convoca i vicari James Cain e Fernando Villalobos. Assieme decidono di costringere Camacho ad abbandonare immediatamente la diocesi di Stockton e gli Usa. Il prete pedofilo arriva in ufficio alle 11 della stessa mattina. Viene informato delle accuse che lo riguardano, e si lancia subito in un discorso incoerente (in cui accusa un prete della diocesi di Oakland di avergli causato un cancro alla gamba con un calcio...). Mahony gli porge una lettera di benservito, gli chiede di tornare alla sua diocesi per cercarvi aiuto spirituale, e gli comunica che l’accaduto sarà riportato al suo vescovo. Dopo che il prete se n’è andato parla al telefono con la diocesi di Oakland, per discutere – essì – del problema alla gamba di Camacho.
Il messicano si rivela però un osso duro. Comunica di non volersi recare in Messico ma bensì a Union City, in California (nella diocesi di Oakland). Fin qui abbiamo seguito un rapporto dello stesso Mahony, depositato negli archivi segreti della diocesi; il resto è ripreso dalla trascrizione del processo.
Un mese dopo, il 15 marzo, Mahony chiama il Capitano House del Dipartimento di Polizia di Modesto. Non sollecita indagini, di cui come s’è visto non ha mai sentito il bisogno, ma solo di ‘consigliare’ Camacho a tornare in patria. House parla nel proprio ufficio con Camacho e deve risultare convincente, perché il giorno dopo Mahony gli comunica con una lettera che il prete s’è deciso a partire. Manifesta la speranza che Camacho darà seguito alla decisione e che si sottoporrà alle terapie necessarie una volta in patria, e si impegna a scrivere una lettera a tutti i vescovi degli Stati occidentali degli Usa in cui consiglia di non conferire incarichi al messicano, dovesse presentarsi presso di loro. La speranza si rivela vana, perché Camacho non parte (non immediatamente, almeno; la conclusione della vicenda non è chiara). Mahony non avverte mai le vittime che Camacho si aggira ancora nella zona, né ci sono prove che abbia mai comunicato alla polizia di Union City che un molestatore si trova nella loro città (trascrizione, nn. 0085-0086).

Come si vede, la ricostruzione di Introvigne – il cui «sguardo ai documenti del processo» deve essere stato davvero rapidissimo – non trova alcun riscontro nei fatti. Non c’è nessuna «conferma» da parte della polizia che i sacerdoti accusati siano effettivamente colpevoli, né alcuna indagine o arresto da parte delle autorità civili: c’è solo l’aiuto prestato in una occasione da un detective per fare opera di ‘convinzione’ – peraltro fallita. L’«esclusione dal ministero sacerdotale» dei due messicani, poi, si riferisce soltanto alla diocesi di Stockton (tant’è vero che Mahony promette di sconsigliare agli altri vescovi di assumere Camacho); per quello che se ne sa, i due preti, una volta tornati in Messico, potrebbero benissimo aver proseguito la loro attività pastorale. Non c’è nessuna riduzione permanente allo stato laicale, e nessun processo canonico viene avviato o sollecitato.
Le differenze rispetto al caso O’Grady sono in effetti minime. Anche in quell’occasione la polizia ha un ruolo secondario, ed è essa a dipendere dalle iniziative del vescovo, non viceversa; anche nel caso di Muñoz e Camacho, inoltre, possiamo in un certo senso parlare di spostamento dei colpevoli in un’altra parrocchia, sia pure eseguito meno cerimoniosamente. E tuttavia una differenza esiste. Anche O’Grady è uno straniero, e inoltre non è – fino alla promozione del 1984 – un pastore della diocesi, ma solo un associato, non diversamente dai due messicani: per privarlo della possibilità di amministrare localmente i sacramenti non c’è bisogno di un processo canonico (come chiarisce lo stesso Mahony, trascrizione, n. 0236). Perché dunque non è stato invitato con le buone o con le cattive a tornarsene nella natia Irlanda?
È questo punto imbarazzante che, probabilmente, ha causato la «dimenticanza» di Mahony nella deposizione del 1998. Nel 2004, richiesto di spiegare la differenza di trattamento, invocherà l’incertezza sulla colpevolezza di O’Grady. Ma O’Grady – a differenza dei messicani – era reo confesso! Lo psichiatra William Guttieri, che raccoglie la confessione del sacerdote, avverte l’avvocato della diocesi, e dunque il vescovo ne doveva per forza essere a conoscenza. Nella deposizione del 2004 gli avvocati della parte lesa chiedono conto al cardinale di questo punto specifico, ma l’avvocato Woods, che assiste Mahony, si oppone recisamente all’ammissibilità della domanda (trascrizione, n. 0092).

La nostra curiosità sembra dunque destinata a rimanere insoddisfatta; ma è possibile avanzare una congettura. La differenza tra O’Grady e i messicani sembra essere tutta nel diverso comportamento delle rispettive vittime. Passivi gli Sloan, che non denunciano il molestatore di Nancy; passivi gli Howard, con una madre irretita sentimentalmente dal sacerdote e un figlio che non conferma le accuse di molestie; minaccioso invece il padre dei due ragazzi molestati da Camacho, che ventila una denuncia alla polizia, e la ritira solo di fronte all’assicurazione che il colpevole verrà deportato in Messico (nel caso di Muñoz abbiamo meno particolari, ma come abbiamo visto Mahony sottolinea che le vittime erano «molte» e che erano venute a protestare accompagnate dai genitori).
In tutti i casi, Mahony sembra attenersi al principio di minimo sforzo. Le vittime minacciano lo scandalo? Rimandiamo i molestatori al loro paese e alla loro diocesi. Le vittime sono remissive? Evitiamo le rogne di una deportazione (Camacho docet!) e limitiamoci a un trasferimento di parrocchia.


È una ricostruzione corretta? Per dirlo dovremo esaminare altri casi; perché i preti pedofili con cui ha avuto a che fare Roger Mahony non finiscono qui.

(2 - continua)

Aggiornamento: la mia replica alla risposta di Introvigne.

martedì 5 giugno 2007

Introvigne, il cardinale e il pedofilo / 1

Massimo Introvigne non sta risparmiando le forze per controbattere le tesi del documentario Sex, Crimes and the Vatican. Oltre all’articolo più noto, «Preti pedofili, le falsità del video Bbc» (Avvenire, 30 maggio 2007), ripreso con largo risalto da tutta la stampa integralista e ateo-clericale (e a cui è capitato il curioso incidente di venire sostanzialmente plagiato da un blogger privo di scrupoli, e ulteriormente diffuso in questo camuffamento dalla parte meno accorta della blogosfera cattolica), Introvigne si è cimentato in altre prove minori. In «Il documentario sui preti pedofili: tante bugie sul caso O’Grady», così scrive a proposito delle accuse mosse al Cardinal Roger Michael Mahony (che Introvigne chiama costantemente «Mahoney»), arcivescovo di Los Angeles, che dal 1980 al 1985 fu vescovo di Stockton e superiore di Oliver O’Grady, mentre questi commetteva i suoi crimini e veniva spostato di parrocchia in parrocchia invece di venire consegnato alla polizia:

Uno sguardo ai documenti del processo civile di secondo grado – dove i danni sono stati ridotti a meno di un terzo – mostra che O’Grady non la racconta del tutto giusta. Egli afferma – con evidente gioia degli avvocati – che il vescovo di Stockton (e oggi cardinale di Los Angeles) Roger Mahoney sapeva che era un pedofilo e, nonostante questo, lo aveva mantenuto nel ministero sacerdotale. La causa racconta un’altra storia. Mahoney diventa vescovo di Stockton nel 1980. Tra il 1980 e il 1984 deve occuparsi di tre casi di preti accusati di abusi sessuali su minori. Fa qualche cosa che stupirà i fan del documentario della BBC: non solo indaga, ma segnala i sacerdoti alla polizia. In due casi la polizia conferma che, dietro al fumo, c’è del fuoco: e i sacerdoti sono sospesi a divinis, cioè esclusi dal ministero sacerdotale. Nel terzo caso, quello di O’Grady, la polizia nel 1984 archivia il caso e dichiara il sacerdote innocente. Mahoney si limita a trasferirlo, dopo che due diversi psicologi che lo hanno esaminato per conto della diocesi hanno dichiarato che non costituisce un pericolo. Tutti sbagliano: non solo perché già nel 1976 O’Grady aveva “toccato in modo improprio una ragazzina” (tutto si era risolto con una lettera di scuse e, contrariamente a quanto dice l’ex prete, gli avvocati non hanno potuto provare che il vescovo lo sapesse) ma perché si trattava di un soggetto pericoloso, che finirà arrestato e condannato.
Errori? Certo. Complotti? È un po’ difficile sostenerlo, dal momento che il vescovo e poi cardinale Mahoney – uno dei “cattivi” del documentario – di fronte a tre preti accusati di abusi nella diocesi ne sospende due dal sacerdozio ma non il terzo, fidandosi in tutti e tre i casi delle indagini della polizia e del parere degli psicologi.
Di fronte a questo ulteriore reperto dell’eloquenza di Introvigne gli integralisti sono andati ancora una volta in estasi; ma è veramente giustificato l’entusiasmo?

In un articolo estremamente documentato apparso qualche anno fa sul New Times di Los Angeles («Mouth Wide Shut», 18 aprile 2002), il giornalista Ron Russell ha ripercorso le vicende del caso O’Grady e del ruolo che Mahony vi aveva svolto. Il reportage di Russell è basato sulle trascrizioni del processo, ed è confermato da numerosi resoconti giornalistici apparsi altrove. Seguirò da vicino il suo racconto, che gli ha fruttato in seguito un premio giornalistico; la sua qualità dovrebbe apparire evidente anche dalla mia modesta sintesi.
Tutto comincia nel 1976, con l’invito rivolto da un giovane sacerdote ai genitori di Nancy Sloan, 11 anni, a lasciare che la figlia trascorra quattro giorni con lui nella parrocchia della città di Lodi in California. Lusingati da tanta attenzione i due accettano con entusiasmo; ma quattro giorni dopo quella che si vedono tornare a casa è una bambina confusa e atterrita, che rivela di essere stata molestata ripetutamente dal suo ospite, Padre Oliver O’Grady. I due telefonano a un altro sacerdote, Cornelius DeGroot, che si rivolge subito a O’Grady, e gli strappa una confessione. Conduce quindi O’Grady dall’allora vescovo di Stockton, Merlin Guilfoyle; ma con grande sorpresa di DeGroot il vescovo non denuncia il pedofilo, né compie alcun passo per metterlo in condizione di non nuocere: si limita ad inviarlo da uno psicoterapeuta. Identiche cure vengono offerte alla bambina degli Sloan, che scelgono purtroppo di non denunciare i fatti alle autorità civili. O’Grady, secondo il copione più usato in questi casi, viene spostato in un’altra parrocchia. DeGroot, di propria iniziativa, riesce tuttavia a strappargli una lettera di scuse ai genitori di Nancy, una copia della quale finisce nel fascicolo di O’Grady.
A questo fascicolo il successore di Guilfoyle, Roger Mahony, aveva naturalmente accesso; eppure, afferma Introvigne, «gli avvocati non hanno potuto provare che il vescovo lo sapesse». Sembra però che i giurati dei due processi la pensassero in modo differente, vista la condanna al pagamento di ingenti risarcimenti comminata alla diocesi. E indubbiamente suona un po’ strano che il vescovo non abbia mai sentito il bisogno di consultare il fascicolo personale di un prete che si sarebbe ben presto trovato al centro di altre vicende scabrose, né che un uomo definito da uno dei suoi collaboratori come un «maniaco del controllo» (control freak) non conoscesse alcuna delle voci che circolavano sul conto di O’Grady nella diocesi.
Alla fine degli anni ’70 Oliver O’Grady ha ripreso la sua carriera di molestatore nella città di Turlock, ai danni di James e Joh Howard, che violenterà lungo i successivi 10 anni, assieme ad altri dei loro fratelli; non contento, avvierà una relazione anche con la signora Howard. Nell’ottobre del 1980 il marito della Howard, pur se separato ormai dalla moglie, segnala alle autorità della diocesi – di cui Mahony è vescovo da sei mesi – che il prete frequenta troppo assiduamente la ex moglie e che, soprattutto, si apparta troppo spesso con i figli. In particolare, protesta Roland Howard, O’Grady ha prelevato pochi giorni prima il figlio della coppia, di due anni, e ha trascorso la giornata assieme a lui, da solo.
Anche questa lettera finirà nel fascicolo riservato di O’Grady; e anche questa volta Mahony affermerà di non averla mai letta (Introvigne glissa sull’episodio – lo spazio, si sa, è tiranno...). Per la verità un collaboratore del vescovo, il vicario generale James Cain, avrebbe sì parlato a Mahony del fatto; ma disgraziatamente, si sarebbe limitato alla liaison con la signora Howard: neppure una parola – giura il vescovo – sui rapporti equivoci con i bambini. Mahony ha un colloquio con O’Grady, che nel 1982 viene trasferito a Stockton; ma le molestie continuano.
Nel 1984 le cose sembrano precipitare. In seguito a un episodio che rimane oscuro, O’Grady viene affidato alle cure del dr. William Guttieri, psichiatra (e, incidentalmente, parrocchiano della stessa chiesa di O’Grady). Durante una delle sedute O’Grady confessa le molestie a James Howard. Guttieri avverte Tom Shephard, avvocato della diocesi, e denuncia il prete alla polizia (la legge dello Stato glielo impone). Afferma Introvigne che la polizia «archivia il caso e dichiara il sacerdote innocente»; ma il rapporto del detective che si occupa del caso, Jerald Cranston, dice altrimenti.
Ann Howard, interrogata da lui, ammette che alcuni dei suoi figli hanno passato in più occasioni la notte con O’Grady; ma il piccolo James Howard non conferma di avere subito molestie. A Stockton il poliziotto riceve una telefonata dell’avvocato Shephard: l’episodio, lo rassicura questi, è un fatto totalmente isolato. A quanto pare, l’avvocato (che in tribunale negherà tuttavia la circostanza) avrebbe assicurato al detective che O’Grady sarebbe stato sottoposto a terapia e spostato ad un incarico dove avrebbe avuto a che fare soltanto con adulti.
In effetti, il prete viene inviato presso un altro psicoterapeuta, John Morris, a cui confessa la propria pedofilia. Per ragioni ignote, Morris non includerà questo fatto nel rapporto scritto inviato a Mahony, né in seguito sarà in grado di ricordare con sicurezza cosa avesse detto a voce al vescovo; ma scrive comunque:
Padre O’Grady rivela un grave difetto di maturazione. Non solo per quello che riguarda il sesso, ma – fatto ancora più importante – per ciò che riguarda le relazioni sociali; mostra inoltre di essere affetto da una seria depressione psicologica. Forse Oliver non è autenticamente vocato al sacerdozio.
(Father O’Grady reveals a severe defect in maturation. Not only in the matter of sex, but more importantly in the matter of social relationships, and shows a serious psychological depression. Perhaps Oliver is not truly called to the priesthood).
Un testimone confermerà al processo che era cosa ben nota all’epoca tra i preti della diocesi che O’Grady fosse un molestatore di bambini. Ma l’incredibile è già avvenuto: tre settimane prima dell’arrivo del rapporto, alla fine del 1984, O’Grady si trova già in una nuova parrocchia, San Andreas, piena zeppa di bambini. Non solo: Mahony lo ha anche promosso a un gradino superiore della carriera ecclesiastica. Un altro particolare sconcertante: nonostante, come abbiamo visto, Guttieri avesse avvertito l’avvocato della diocesi prima ancora di chiamare la polizia, il vescovo, testimoniando al primo processo, negherà di avere mai parlato con lo psichiatra della confessione di O’Grady. A San Andreas O’Grady continuerà e aggraverà le molestie sui piccoli Howard, e nel frattempo sceglierà nuove prede locali nelle persone di una giovane donna e dei suoi figli. Mahony, nel frattempo, sarà passato anch’egli a più alti incarichi, come arcivescovo di Los Angeles.
Nel 1986 Nancy Sloan, la prima vittima di O’Grady (prima in questa vicenda, non in assoluto), era giunta a Stockton in cerca di notizie sul destino del suo aguzzino. Le autorità della diocesi l’avevano rassicurata: O’Grady si era volontariamente sottoposto a terapia; non era stato coinvolto in altri incidenti di natura sessuale; e in ogni caso, era stato assegnato ad incarichi in cui non poteva avere contatti con bambini. Tutte menzogne, come abbiamo visto.

(1 - continua)

Aggiornamento: l’articolo di Introvigne che qui si discute ha subito poco dopo l’uscita di questo post alcuni mutamenti: Mahoney è diventato finalmente Mahony, e subito prima dell’ultimo paragrafo ne è stato aggiunto uno nuovo, in cui si discetta contro innominati personaggi che si sarebbero rifatti ai resoconti – menzogneri, va da sé, per Introvigne – del Los Angeles Times. Non credo che Introvigne sia un lettore di Bioetica, e in ogni caso qui abbiamo avuto come fonte il New Times (che non si stampa più), non il Los Angeles Times. Terremo comunque d’occhio il mutevole articolo di Introvigne, per dare conto di eventuali altri cambiamenti...

Aggiornamento 2: sono stato troppo scettico: ce l’aveva proprio con me.