sabato 15 dicembre 2007

Lettera di Claudio Bianzino al presidente della Repubblica


Al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

Signor presidente,

nonostante la grande stima che ho nei suoi confronti, mi perdonerà se, seguendo l’esempio dei miei genitori, volutamente non uso le lettere maiuscole nel rivolgermi a lei ed alle istituzioni in genere, nel tentativo di riavvicinarvi un po’, almeno simbolicamente, alla popolazione italiana.
Leggo sui giornali, con immensa gioia, che è stata finalmente presentata all’ONU la moratoria internazionale sulla pena di morte. Credo che sia una grande battaglia di civiltà portata avanti dal nostro Paese.
La vicenda di cui vorrei informarla, però, è un’altra.
Non so se ha sentito parlare di quell’uomo di 44 anni, trovato morto nel carcere di Capanne, nei pressi di Perugia, la mattina del 14 ottobre scorso.
Quell’uomo era un falegname che viveva nelle campagne dell’Umbria, nel cuore del nostro Paese, e conduceva una vita fatta di duro lavoro, amore per la propria famiglia ed i suoi tre figli, di preghiera ed amore per la natura. Quell’uomo costruiva mobili, mensole, porte, finestre, soppalchi. Era una delle persone più tranquille del mondo, quell’uomo, ed era circondato da centinaia di persone che gli volevano bene. Era un nonviolento, un “gandhiano”, e, come me, avrebbe apprezzato moltissimo l’iniziativa per l’abolizione della pena di morte in tutto il mondo. Quell’uomo la sera del 12 ottobre è stato arrestato perché nel suo orto è stata trovata qualche piantina di canapa indiana per uso personale.
La canapa, come è noto, è quella pianta che i nonni dei nostri nonni hanno coltivato e utilizzato per centinaia di anni, fino all’introduzione in Europa del tabacco, pianta che, a differenza della canapa, provoca dipendenza e causa milioni di morti in tutto il mondo.
Va da sé che se in un Paese aumentano le cose considerate illegali, il mondo dell’illegalità trova nuova linfa per alimentarsi e diventare sempre più forte. Ecco probabilmente perché, venendo incontro alla mafia, alla camorra, alla ‘ndrangheta, alle multinazionali del tabacco, nonché alla malavita in genere, la canapa è stata equiparata alle droghe ed inserita tra le sostanze illegali.
Fermo restando, comunque, che il problema della droga, quella vera, quella che si trova con gran facilità in tutte le discoteche, o quella di cui fanno uso molti uomini d’onore che siedono sui banchi di Montecitorio e Palazzo Madama, sia un problema molto serio. Ma torniamo al nostro uomo, un problema ancor più serio.
L’arresto è avvenuto al termine di una giornata di perquisizioni, a seguito delle quali, oltre alle piantine, si è scoperto che il falegname aveva soldi in casa per un valore di 30 (trenta) euro, e nessun conto in banca o in posta. È stato quindi deciso di mettere l’uomo, totalmente incensurato, in una cella di isolamento, e lasciare a casa, per un tempo indeterminato, un ragazzino di 14 anni in compagnia della nonna ultranovantenne in precarie condizioni di salute.
C’è chi dice che l’uomo sia stato scambiato per qualcun altro, forse per uno spacciatore, forse per un anarchico o chissà chi.

I fatti ci raccontano che dopo l’arresto, sono state effettuate le consuete ed accurate visite mediche e psichiatriche, attestanti che l’uomo era in perfette condizioni psico-fisiche, con pressione arteriosa e battito cardiaco ottimali. La mattina del 14 l’uomo è stato trovato morto.
I medici legali, la voce della scienza, ci dicono che dopo la prima autopsia sul corpo dell’uomo sono state riscontrate delle lesioni. Lesioni compatibili con l’omicidio. Compatibili con la tortura. Tortura che, se confermata, è stata certamente compiuta da professionisti, gente addestrata ad uccidere con metodi che non lasciano segni esteriori, ma svariate lesioni interne, riscontrabili solo tramite esami autoptici.
Ovviamente c’è un’indagine in corso, che potrà confermare o meno queste ipotesi. Ed a proposito dell’indagine, essendo lei anche il presidente del Csm, vorrei informarla di alcuni particolari. Si sa che un carcere di “sicurezza” è tenuto ad essere videosorvegliato ed a fornire le immagini di tutto ciò che succede al suo interno, 24 ore su 24. Ma le attese immagini chiarificatrici non hanno ancora chiarito nulla. Si sa anche che quando un magistrato fissa l’incidente probatorio è obbligato a convocare tutte le parti in causa. Ma anche questo non è successo. Ultima precisazione, poi, che potrebbe apparire alquanto bizzarra: il magistrato che sta conducendo le indagini è la stessa persona che ha ordinato
l’arresto dell’uomo.
È ovvio, comunque, che in un Paese civile come il nostro, un Paese che diffonde democrazia, pace e giustizia in tutto il mondo, ci si aspetterebbe che, se ci fosse qualcuno sospettato per aver commesso un simile assassinio, costui fosse quanto meno sospeso dal proprio incarico. Beh, non ci crederà, signor presidente, ma questo non è successo.
Un Paese come il nostro, che porta alta la fiaccola dei diritti umani ed urla al resto del mondo di abrogare la pena di morte, consente a propri dipendenti, sospettati di simili atrocità, di continuare ad esercitare la loro “professione” indisturbati, magari nei confronti di altri uomini o donne. Magari proprio in questo momento, mentre le sto scrivendo.
Sabato 10 novembre a Perugia c’è stata una grande manifestazione, piena di giovani e con oltre duemila persone, che chiedevano verità e giustizia per quell’uomo. Chiedevano di poter vivere in un Paese migliore, signor presidente.
Ho la speranza, signor presidente, che un giorno qualche nazione, ancora più civile della nostra, vada all’ONU a chiedere che venga fatta piena luce sulle centinaia di morti che avvengono all’interno delle carceri italiane.
Questo per sperare di poter vivere in un mondo un po’ più giusto, un po’ più libero, un po’ più vivibile.
Così come avrebbe voluto anche quell’uomo. Quell’uomo che si chiamava Aldo. E che era mio fratello.

Distinti saluti.


Claudio Bianzino

11 commenti:

Anonimo ha detto...

Sono senza parole. E' una storia incredibile.

Anonimo ha detto...

Viviamo in un posto assurdo.

Anonimo ha detto...

che vergogna.. è davvero orribile questa storia e mi fa accapponare la pelle.

Viviana

p.s. complimenti per il blog, è interessantissimo.

Anonimo ha detto...

E' un episodio gravissimo ed è gravissimo il fatto che non abbia avuto nessuna risonanza mediatica.

Anonimo ha detto...

Purtroppo temo che questo fatto non avrà mai la copertura mediatica che meriterebbe.
Questo perché stiamo passando un periodo (che temo durerà molto a lungo) in cui lo sport nazionale è diventato la gara a chi fa il più forcaiolo, da destra a sinistra, dall'alto al basso, e le voci fuori dal coro sono sempre meno.

Luca Massaro ha detto...

Per quel che può valere, ho le lacrime agli occhi.
E' inconcepibile che i media nazionali non chiedano quotidianamente "perché è accaduto questo?".
Spero davvero che il Presidente della Repubblica (il nostro Primo Servitore, e intendo questo nel più alto valore della parola Servitore dello Stato) domandi con forza la verità su quel che è accaduto ad Aldo Bianzino.

Anonimo ha detto...

Credo di aver avuto menzione di questa storia... in uno sparuto programma mattutino se ne parlò, sinceramente non ricordo quale e quando, mi si accapponò la pelle...
Ma la cosa che fa più male è che, rispetto a Perugia, si è preferito fare clamore sul caso della giovane studentessa asassinata e sul gossip che annebbiava le brame dei curiosi.
Bruttissima storia comunque, non si può morire trattati da criminali per un giudizio morale che uno stato civile mai dovrebbe esprimere nei confronti dei suoi cittadini, ma soprattutto non si può venire trattati da criminali quando completamente innocenti.
Il silenzio che aleggia su questa storia è inoltre la prova della dubbia moralità e imparzialità delle nostre istituzioni, uno schiaffo alle vittime dell'ingiustizia e della sopraffazione.
Credo che sia ora di scaldalizzarsi e di gridare con voce la nostra rabbia per la quotidiana atrocità con cui tali fatti vengono accantonati e messi nel dimenticatoio.
Mi permetto di mettere un link su questo post nel mio blog personale, affinchè quei pochi lettori che raccolgo possano condividere questa voglia di giustizia.

Anonimo ha detto...

Concordo con i commenti precedenti e ho riportato questa bella lettera anche sul mio blog. Non ero a conoscenza di questa storia, forse poco televisiva?

Anonimo ha detto...

@ Foeniculum vulgare

Scrivi:
"non si può morire trattati da criminali"
"non si può venire trattati da criminali quando completamente innocenti"

Forse hai usato queste espressioni in modo non letterale, però ti invito a riflettere su quanto segue.
Bianzino è morto dopo aver subito, presumibilmente, delle TORTURE IN CARCERE.
Non so come la si pensi, ma io credo che NESSUN INDIVIDUO, neanche il peggiore dei criminali, debba mai essere sottoposto a tortura.

O forse riteniamo che esistano dei criminali che meritino la tortura?
Peccato che cosa sia o meno criminale varia a seconda dei tempi e dei luoghi.
Evidentemente Bianzino era ritenuto dai suoi aguzzini proprio un criminale della peggior specie.
E immagino non sarebbero pochi a esser d'accordo, tra la gente che si vede camminare per strada o si incontra in autobus.
E un tempo erano ancora di più. Per chi non si immagina a cosa possa arrivare la retorica contro le cosiddette droghe, e a cosa sia arrivata nel passato, consiglio di procurarsi un vecchio libro di Szasz, "Il mito della droga" (http://www.feltrinellieditore.it/SchedaLibro?id_volume=673642), che contiene un'impressionante carellata di dichiarazioni d'altri tempi (ma nemmeno così lontani) in cui il pusher e i consumatori erano dipinti come i peggiori mostri in circolazione, cancro maligno da estirpare con ogni mezzo, anche i più feroci.

Per questo le pene verso i criminali non dovrebbero mai superare un certo limite: niente pena di morte, niente ergastolo, e ovviamente niente tortura.
Perché ieri(?) il mostro da distruggere era il drogato, domani potrebbe essere chi scrive opinioni "scomode" in rete.

Purtroppo non ci si rende conto che la deriva forcaiola e securitaria si alimenta proprio grazie all'idea che "il criminale" o "il delinquente" sia una specie a parte, un individuo nato per fare del male, qualcosa di essenzialmente diverso da "noi onesti"; peccato che proprio per perseguire quest'immagine fantasmatica e demonizzata dei "delinquenti" si allentino via via le garanzie e si aumentino i poteri e l'impunibilità degli apparati poliziesco-giudizari: ma in questo modo diventa sempre più alto il rischio per CHIUNQUE di venir bollato come "delinquente".
E' la stessa identica dinamica della caccia alle streghe del '600: per distruggere il Male si davano poteri straordinari all'apparato giudizario, che però si trasformava rapidamente in una macchina impazzita, che alla fine cominciava a schiacciare persino i suoi stessi promotori, tant'è che anche giudici e inquisitori a volte finirono sul rogo. Solo allora si pensava di fermarsi, e tornare a un livello minimo di garantismo.

La morte di Carlo Bianzino è figlia di una mentalità ossessionata dalla sicurezza, terrorizzata da capri espiatori demonizzati, e convinta che certi criminali "meritino" di essere trattati nei peggiori dei modi.

E non è un caso, allora, che questa notizia fatichi così tanto a trovare spazio nei media. Bianzino è la vittima sbagliata al momento sbagliato. Meglio nasconderla.
Meglio sbattere in prima pagina la ragazza violentata dallo straniero, dov'è molto più chiaro chi siano i Buoni e chi i Cattivi.

Anonimo ha detto...

Questa vicenda, incredibilmente, non sta ricevendo alcuna copertura mediatica. Ne ho avuto notizia qui, e da allora sto raccogliendo informazioni in proposito.
Probabilmente ci scriverò sopra anch'io, perché una simile vergogna non può passare sotto silenzio.

Anonimo ha detto...

@ Yupa

Con quelle affermazioni non volevo certo sostenere che fossi in qualche modo a favore dell'utilizzo di simili metodi da parte delle forze dell'ordine o di chiunque altro voglia estorcere alla controparte la rinuncia alla propria dignità di natura, di opinione e di appartenenza.
Conosco lo specchio per le allodole del criminale come individuo meramente bieco e in grado di compiere atti in funzione della sola cattiveria che lo pervade.
Ne sono testimone tutti i giorni, anche nella mia esperienza personale.
Ma, finchè manca l'idea di giustizia come protezione degli individui, appartenenti ad ogni comunità e consorzio umano o non, dalla lesione da parte di terzi dei propri diritti umani e assoluti, non si uscirà mai da questo labirinto punitivo.