lunedì 21 luglio 2008

Quanta ignoranza nei commenti su Eluana Englaro

Peccato che l’abitudine di commentare e giudicare sia spesso orfana di una condizione necessaria: sapere cosa si sta commentando e giudicando.
Le reazioni alla decisione dei giudici di Milano sono state caratterizzate da ambiguità terminologiche e concettuali, a cominciare dall’agitare il fantasma dell’eutanasia.
Eutanasia che ritroviamo nel titolo dell’ennesimo articolo approssimativo e ignorante (ELUANA/Il caso arriva all’Ue: la magistratura non può decidere per l’eutanasia, Sussidiario.net, 21 luglio 2008) e che annuncia una interrogazione scritta (quelle orali si facevano a scuola, viene da pensare) alla Commissione europea e al Consiglio. Mario Mauro non ci dice chi ha presentato l’interrogazione.
Ma ne illustra le ragioni e la suffraga con domande retoriche che si sarebbero sgonfiate (o che avrebbero almeno cambiato formulazione) se Mauro avesse letto almeno la sentenza – sono 62 pagine, certo, ma sarebbe bastata una lettura veloce.

La sentenza della Corte d’appello civile di Milano rappresenta un pericoloso precedente volto ad orientare fatalmente il legislatore verso l’eutanasia.
La sentenza autorizza la sospensione di trattamenti sui quali è lecito e legittimo esprimere la propria volontà (e la richiesta di Beppino Englaro è di poter essere la voce di Eluana: se esiste un aspetto complesso e controverso è quello che riguarda la ricostruzione della volontà della ragazza, non la possibilità di sospendere i trattamenti che la tengono in vita).
Approfittando di un vuoto legislativo, si arroga il diritto di decidere su chi deve vivere e chi deve morire nel nostro Paese.
Niente del genere! Si cerca di stabilire che cosa avrebbe voluto Eluana e che cosa potrebbe essere nel suo migliore interesse, considerando il suo carattere e la sua personalità (di cui Mauro si disinteressa, e come i sostenitori ciechi della vita a qualunque condizione). Mai sentito parlare di libera volontà?
Cosa sappiamo noi di quello che una persona in queste condizioni sente, cosa sappiamo di cosa c’è dentro il cuore di queste persone?
Quale esperto potrebbe dichiarare, allo stato attuale, l’irreversibilità della condizione di stato vegetativo? E soprattutto, come si può considerare la dichiarazione di un momento come parametro per presumere la volontà di Eluana? La vita va difesa fino alla sua naturale conclusione e con essa va difeso altresì il principio dell’indisponibilità della vita stessa.
Se avesse letto la sentenza, appunto, avrebbe le risposte che cerca. Ma è più fascinoso porsi e porre domande (scorrette) ma intrise di mistero: cosa penserà? Cosa vorrà dirci?
Sono molti gli “esperti” che hanno dichiarato ciò che Mauro domanda come un bambino incredulo.
Riguardo alla non attualità della espressione della volontà viene da domandare: ciò che io ho dichiarato ieri su di me oggi non è più simile a me di quanto potrebbe dichiarare oggi per oggi un medico o qualcun altro che magari non mi conosce? Se esiste qualcosa che può chiamarsi personalità o identità, è legittimo inferire che abbia una influenza sulle nostre decisioni. Beppino, la curatrice speciale, le amiche di infanzia di Eluana hanno tratteggiato un carattere volitivo, libero, intollerante alle imposizioni. “Eluana ha più volte espresso l’idea che sarebbe stato meglio per lei morire subito piuttosto che restare costretta ad un’indefinita sopravvivenza meramente biologica”; oppure “non avrebbe sopportato di sopravvivere in condizioni tali da dover dipendere dall’altrui costante assistenza o tali da renderla un semplice oggetto sottoposto all’altrui volontà”. Le sue dichiarazione e la sua intera esistenza dimostrano che “sarebbe stato per lei inconcepibile che qualcun altro potesse disporre della sua vita contro la sua volontà e le sue scelte”.
Una delle motivazioni che si danno in favore dell’eutanasia e al suicidio assistito è che servano per alleviare le sofferenze delle persone, ma spesso queste nascondono una richiesta d’aiuto contro la solitudine, contro il fatto di sentirsi un peso per gli altri.
Sa Mauro qual è la condizione di Eluana? Ha idea di come siano le sue giornate? Sembra proprio di no. E colpisce che dichiarazioni simili venivano rilasciate come risposta a Piergiorgio Welby. “Se non fosse stato lasciato solo”. Che ipocrisia! E quale strafottenza: parlare senza rendersi conto che Welby e Eluana potrebbero costituire esempi di come assistere malati in modo impeccabile.
Hanno bisogno di assistenza, di essere ascoltati, dell’affetto e della vicinanza dei loro cari e di un’équipe assistenziale per tollerare la loro sofferenza con dignità.
Le istituzioni, da chi fa le leggi a chi controlla la loro applicazione, dovrebbero quindi occuparsi del problema alla base, di aiutare chi soffre con cure sempre migliori, personale qualificato e sostenere le famiglie degli assistiti.
Il finale è intriso di quel buonismo approssimativo tanto diffuso: se chiedi di essere lasciato in pace devi per forza essere trascurato e maltrattato. Non si prende in considerazione che si possa rifiutare un trattamento o un farmaco perché hai una idea diversa da quella che vede la vita – a volte ridotta a mera sopravvivenza – diventare un dovere e una condanna.

(Persona e Danno, 21 luglio 2008).

20 commenti:

Anonimo ha detto...

In genere quando ti capita di discutere di questo caso con una manifestazione sub specie di essere umano della "mente cattolica" alla semplice obiezione "E il volere di Eluana? E quello che lei voleva per sè?" si ha come immediata reazione un attimo di attonito silenzio. Effettivamente a quella cosa lì, al fatto che ci fosse un volere della persona relativamente a sè, non ci avevano mai pensato.

Giacomo Brunoro ha detto...

"L'interruzione di procedure mediche dolorose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati ottenuti, può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'accanimento terapeutico. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o altrimenti da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente"

(dal "Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica" di Joseph Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, 28 giugno 2005)

E la cosa tragicomica, in tutto ciò, è che questo passo del catechismo è stato citato da Travaglio su Repubblica!

Anonimo ha detto...

A chi affidiamo la nostra vita?


E’ questo l’interrogativo che mi viene spontaneo ascoltando il rumore di fondo che la vicenda di Eluana ha generato.

Gia’, …..a chi la vorremmo affidare?

Ad un estraneo?
A un’entita’ esterna come lo Stato che puo’ disporre a (suo) piacimento del nostro corpo?
Che puo’ decidere, oggi, di impormi la vita (?) senza se e senza ma e, domani, anche solo per ragioni economiche, puo’ decidere di “staccare la spina”?

O, per contro, ad un caro, un parente, un amico che rispetti il mio diritto di vivere ad ogni costo?
O, per contro, ad un caro, un parente, un amico che rispetti il mio diritto di vivere fino ad un certo punto?
Solo e semplicemente perche’, oltre un certo punto, non sono disposto ad andare.
Perche’ non voglio che il mio corpo diventi un’icona della scienza o della religione.

Ascoltavo questa mattina Maurizio Lupi (CL) parlare del vicino di letto di Eluana, come di un inno alla vita (vita?). Sottintendendo che Eluana e’ un inno alla morte. Come se la morte non l’avesse reclamata a se’ gia’ 16 anni fa.
Ecco,…. con tutto il rispetto per gli inni alla vita, veri o presunti, io sto dalla parte di papa’ Beppino.
Perche’ vorrei che a decidere per me fossero i miei cari. E mai e poi mai persone estranee.
I miei cari che mi conoscono. Che sanno cio’ in cui credo e cio’ in cui non credo. Cio’ che voglio e cio’ che non voglio. Quello che accetto e quello che non sono disposto a tollerare.
Semplicemente.

Saluti
Giovanni

Anonimo ha detto...

a Giacomo B.

Dare nutrimento e idratazione che scopo ha? Far vivere una persona. Dov'è la sproporzione tra "cura" (ammesso e non concesso che siano cure) e risultato ottenuto? Forse c'è stato accanimento durante la rianimazione ma OGGI non c'è. E la vita di Eluana non ha bisogno di procedure mediche nè pericolose nè dolorose nè sproporzionate alle sue condizioni.

Eluana aveva detto "espressamente" di voler interrompere una eventuale nutrizione con sondino o (come diciamo tutti) di preferire la morte a una vita "vegetativa"? Io ci vedo una bella differenza....

Perchè non sento parole contro la rianimazione di chi subisce truami gravi?

Qualcuno vuol dire che la rianimazione di un infortunato è un'aggressione al suo corpo e un atto che interrompe il naturale corso della morte? Chissà quanti casi "Eluana" si potrebbero evitare proibendo o restringendo gli interventi di questo genere...

paolo de gregorio ha detto...

Annarosa, capisco che grande è la tentazione di coprire le contraddizioni (a tratti anche un po' isteriche dieri) del tuo capopopolo. Tuttavia la tua dissertazione sulla proporzionalità o meno dell'intervento medico è e resta un parere tuo personale che, stante il principio universale stabilito dal tuo stesso capo, può sostanzialmente differire da "coloro che ne hanno legalmente il diritto" e che sono chiamati a "prendere le decisioni".

Detto ciò, appurato che tuo personalissimo parere è che la terapia subita non sia sporporzionata in questo caso, faccio notare che questo tuo parere viene messo alquanto in crisi dalla mia seguente domanda (mi scuso sinceramente per la crudezza, che uso però a fin di bene e a fin di chiarezza): è per caso proporzionato immettere nel copro di una persona dieci e più tonnellate di soluzione liquida ottendendo zero assoluto miglioramenti? Perché la proporzione va anche misurata nel tempo e misurando i benefici: dieci, venti, trenta, cinquanta, cento anni di alimentazione artificiale senza ottenere un barlume di coscienza, un barlume di salute restituita, sarebbero per caso proporzionati?

Faccio anche notare che, a rigor di logica, se una terapia ha zero assoluto benefici essa è per definizione infinitamente sporporzionata. Nessuna quantità può essere infatti proporzionata a zero, se non lo zero stesso.

Questi sono i fatti...

paolo de gregorio ha detto...

Aggiungo a quanto appena scritto che, dato che la proporzionalità dell'intervento al beneficio non è affare scritto nella roccia, ma certamente soggetto ad una qualche variabilità interpretativa per propria natura; ma stante anche il chiaro principio enunciato riguardo chi alla fin fine abbia "legalmente il diritto" e debba "prendere le decisioni", sfugge davvero perché al Vaticano se la prendano tanto, se ad essere stati coinvolti sono stati appunto un tribunale ed il padre della ragazza. Cosa doveva fare il giudice? Telefonare al papa e chiedergli se lui era d'accordo o meno che la terapia era spoprozionata? Cos'è, una forma di diritto civile per intercessione divina? E allora che facciamo, applichiamo questo principio a tutti i nostri affari legali, talché quando un giudice è chiamato ad interpretare una circostanza deve soprassedere e interpellare il vescovo per avere il suo parere guida su tale interpretazione? Perché si fa richiamo a chi legalmente è preposto alla decisione se poi questo viene pubblicamente sconfessato?

Anonimo ha detto...

Annarosa, chi decide se una cura è proporzionata o meno? Pochi anni fa una donna ha rifiutato l'amputazione di un piede, ed è morta di cancrena. Pistorius ha perso entrambe le gambe, e si batte fino all'ultimo per andare alle Olimpiadi.
Non sarà che la valutazione è estremamente soggettiva, e che perciò ognuno avrebbe il diritto a decidere per se stesso?

Magar

Anonimo ha detto...

Annarosa,
assistere o non assistere, questo è il problema.
Abbiamo un traumatizzato, lo salviamo o non lo salviamo?
Prima che la scienza ci desse delle capacità che non avevamo, come si faceva? Il poveretto sarebbe morto.
Adesso abbiamo queste capacità, dunque lo salviamo.
Ma a quel punto il poveretto non può dire: "sul mio corpo decido io", come illustra amabilmente il titolo di questo blog.
Dunque, l'unica è permettere al poveretto di esprimersi con il "testamento bio".
Ma questo va accettato solo perchè il nostro mondo moderno è intriso di morale "cattolica"(che anche gli anti-cattolici hanno).
In verità la scelta migliore è la non assistenza....se uno deve morire, che muoia. E' solo la nostra paura della morte che ci fa negare questo approccio. E una società che vive nella paura, dove vuoi che vada? Il nostro destino è segnato. Non sappiamo vivere, non sappiamo morire. E sono proprio quelli che vorrebbero salvarci che decretano la nostra fine.
Anti-moderno.

Anonimo ha detto...

Vero, quanta ignoranza.
Riporto frammenti di due articoli scientifici internazionali pubblicati negli ultimi tempi, con scoperte notevoli per la neurologia.

(1)
ACTA NEUROLOGICA BELGICA, 2002,
102(4),177-
"Brain function in the vegetative state", Aureys et al.
[...]
Progress of medicine in general and intensive care in particular has increased the number of patients who survive severe acute brain injury.[...]Clinical practice shows how puzzling it is to recognize unambiguous signs of conscious perception of the environment and of the self in these patients. This difficulty is reflected by frequent misdiagnoses of lockedin syndrome, coma, minimallyconscious state and vegetative state (Childs et al.,1993 ; Andrews et al., 1996).
Objective assessment of residual brain function is difficult in patients with severe brain injury because their motor responses may be limited or inconsistent (Laureyset al., 2002b). In addition, consciousness is not an all-or-none phenomenon but should rather be conceptualized as a continuum between different states(Wade and Johnston, 1999). There is also a theoretical limitation to the certainty of our clinical diag-nosis, since we can only infer the presence or absence of conscious experience in another person(Bernat, 1992).
***
In sintesi, non si può essere scientificamente "certi" del loro stato di incoscienza e più di frequente si tratta di coscienza a diversi gradi.
E ancora (stesso alticolo):
***
[...] despite an altered resting metabolism, primary cortices still seem to activate during external stimulation in vegetative patients whereas hierarchically higher- order multimodal association areas do not. The observed cortical activation is isolated and dissociated from higher-order associative cortices, suggesting that the observed residual cortical processing in the vegetative state is insufficient to lead to integrative processes thought to be necessary to attain the normal level of awareness(Schiff et al., 2002). It is important to stress that these results should be interpreted at the ‘population level' and must be used with great caution regarding clinical or ethical decisions in individual persons in a vegetative state. Future studies, using more powerful techniques such as functional MRI,are needed to assess noxious and cognitive pro-cessing of individual patients studied over time.
***
Ovvero, nella paziente studiata l'attività corticale era ancora presente. Massima cautela quindi, suggeriscono gli autori, nell'estrapolare certi risultati all'intera popolazione: non si conosce ancora abbastanza, mentre sono auspicabili futuri studi protratti nel tempo, utilizzando metodi come la Risonanza magnetica Funzionale ad Immagini (MRI).
Ancora:
***
some patients who recovered from a vegetative state, improved their regional distribution of brain function rather than showing a resumption of global metabolism. This led us to postulate that certain vegetative patients remain unconscious not because of a widespread neuronal loss, but due to the impaired activity in some critical brain areas and to an altered functional relationship between them.
*****
Ovvero, lo stato di alterata coscienza potrebbe essere dovuto a interruzioni di connessione e non a mancato funzionamento delle regioni corticali.

(2)
ARCHIVES OF NEUROLOGY, 2007, 64(8), 1098-
Using functional magnetic resonance imaging to detect covert awareness in the vegetative state.
(Owens et al.)

The assessment of patients with disorders of consciousness, including the vegetative state, is difficult and depends frequently on subjective interpretations of the observed spontaneous and volitional behavior. [...]it is becoming increasingly apparent that in some patients damage to the peripheral motor system may prevent overt responses to command although the cognitive ability to perceive and understand such commands may remain intact.
***
Ovvero, per quanto possa essere impedita l'azione motoria di risposta, il paziente può mantenere la capacità di percepire e comprendere tali comandi. Ciò è stato rivelato da uno studio mediante fMRI su una paziente di 23 anni che era stata diagnosticata come in stato vegetativo persistente.
Seguono due commenti da articoli tratti dal web:
***
Joy Hirsch of New York’s Columbia University Medical Center, who is conducting similar research said the woman is not conscious. But, “it tells me that this patient’s brain is operating the essential elements for consciousness. The machinery is there and operating,” she explained.
This kind of research is difficult — there’s little funding for it, among other barriers — but Thursday’s report demands that more be done, Hirsch added.
“It raises the tension about how we treat these patients,” she said.
***
La ricercatrice americana che svolge ricerca in questo ambito lamenta la mancanza di fondi per questo tipo di ricerca, malgrado ce ne sia grave necessità.
Altro il punto di vista di Robert Burton (giornalista) che scrive un articolo sul web a commento della scoperta.
***
This is not simply an academic question applicable to a single patient. Tens of thousands of patients in a persistent vegetative state linger in long-term care facilities. The estimated annual cost of medical treatment for them is between $1 billion and $7 billion a year. Once larger numbers of patients are evaluated via fMRI, it is quite likely that we will find others with similar degrees of activation on a variety of mental tasks. Family members will be asked to understand, interpret and act on the scan reports. I cannot imagine a worse medical nightmare than being told that a clinically unconscious spouse or child has been shown on fMRI to have an active imagination and substantial self-awareness, especially when the findings don't alter the grim prognosis or substantiate the value of greater rehabilitative efforts.
***
In pratica, questi risultati sono sconvolgenti perché potrebbero dire ai familiari di tali pazienti che il loro caro/ la loro cara è ancora cosciente, malgrado non riesca ad esprimersi e ad esprimerlo e che comunque non ci sarà nulla da fare (potrebbero mantenere la inabilità per il resto della vita). L'autore ribadisce poi (in modo - a mio parere- del tutto scorrelato con l'argomento ma che rivela la sua vera preoccupazione) che il mantenimento di tali persone costa in totale (USA) da 1 a 7 miliardi di dollari. Evidentemente l'autore, e a quanto pare molti di noi, considera uno spreco mantenere in vita una persona cosciente. A fronte della sua improduttività, suppongo. Meglio non sapere la verità quindi (scarsi fondi per la ricerca)? Meglio agire prima di sapere?
C'è da tremare.

Giuseppe Regalzi ha detto...

Daniela, cito dal secondo degli studi di cui parli:

"although this technique provides a new means for detecting conscious awareness when standard clinical approaches are unable to provide that information, the method will not be applicable to all patients in a vegetative state. For example, within 6 months of traumatic brain injury (as was the case for the patient described herein), the incidence of recovery of consciousness following traumatic brain injury remains at almost 20%, with a quarter of those recovering moving on to an independent level of function. Nontraumatic injuries are considered to have a much poorer prognosis. Similarly, the likelihood of recovery is much lower in patients who meet the diagnostic criteria for being in a permanent vegetative state (the patient described herein did not). International guidelines, including those of the Royal College of Physicians in England and the Multi-Society Task Force representing 5 major medical societies in the United States, suggest that a diagnosis of being in a permanent vegetative state should not be made until 12 months after injury in cases of traumatic brain injury or until 6 months after injury in cases of anoxic brain injury. In many of these cases, standard clinical techniques, including structural MR imaging, may be sufficient to rule out any potential for normal activation, without the need for fMR imaging [corsivo mio]."

Il caso di Eluana Englaro, a leggere le relazioni mediche redatte in questi anni, sembra proprio essere uno di quelli per cui si può escludere ogni potenziale di attivazione. Dopo circa un anno di stato vegetativo persistente la corteccia cerebrale va infatti incontro a processi irreversibili di degenerazione (walleriana e transsinaptica); la paziente di cui parlano Owen e Laureys aveva subito invece l'incidente soltanto cinque mesi prima dell'esperimento, e in ogni caso pochi mesi dopo è entrata in uno stato di minima coscienza.

paolo de gregorio ha detto...

Daniela, credo che qui a tanti sfugga una questione fondamentale. Non entro nel merito di quell'articolo (la scienza è fatta di dialettica e non di testi "sacri", e quindi la letteratura sull'argomento va letta nella sua interezza): poniamo per un momento che esso rappresenti il punto più alto della nostra conoscenza sull'argomento. A questo punto la domanda è: se io fossi al corrente di tutto questo, vale ciò a impedirmi, qualora mi trovassi in uno di quegli stati, di rifiutarmi di vivere in quello stato? Ho una volontà in questo senso o vale la volontà di persone sconosciute? Detto in altri termini, la possibilità di rinunciare liberamente ad una terapia spororzionata non necessariamente dipende in modo strettissimo dalle probabilità che io sia in qualche modo cosciente, ma dalla mia volontà (eventualmente prima espressa). In altre parole ancora, non è detto che io sia disposto a trascorrere decenni in stato vegetativo solo perché potrei forse essere vagamente cosciente (cosa che forse peggiorerebbe le cose), o solo perché ho una probabiluità su un milione di "svegliarmi" dopo dieci anni di "torture".

Potrei a tal proposito postare decine di migliaia di articoli e referti che dimostrano in modo incontrovertibile che un'amputazione può impedire ad una necrosi di un arto di condurre alla morte della persona. Eppure, ciononostante, quella donna alcuni anni fa ebbe la facoltà di rifiutarsi di farsi amputare un arto. Anche in questo caso "c'è da tremare"? O non c'è forse da tremare che si imponga comunque alla gente a noi estranea di sottoporsi a supplizi che servono alle nostre coscienze avide di sacrifici umani e non alle loro volontà? Chi ti dice che la povera e sfortunata Eluana, da ragazza, non sarebbe stata ancora più terrorizzata dal rimanere nello stato in cui ora si trova e più decisa a non volervisi sottoporre se avesse letto l'articolo che hai appena posto alla nostra attenzione?

Anonimo ha detto...

Ma guarda questi eteronomi in versione googlers, si mettono lì una mezz'oretta a navigare provvisti di una chiave di ricerca o due, ti trovano un paio di articoli più o meno utili alla bisogna di dare una patina pseudo-scientifica ai propri pregiudizi e pensano così di aver ridefinito i termini del discorso. Ma c'è l'autonomia dell'individuo, dio santo, la sovranità dell'individuo su di sè. Fatevi una ricerca su internet anche su questo, tra la lettura di un articolo di neurologia e un altro.

Maurizio ha detto...

Si cerca di stabilire che cosa avrebbe voluto Eluana e che cosa potrebbe essere nel suo migliore interesse, considerando il suo carattere e la sua personalità

Suppongo che esista una posizione filosofica alternativa, che dice: è irrilevante cosa tu ritieni essere nel suo migliore interesse (considerata la sua personalità). Infatti, anche se tu giungi alla conclusione che la morte o la vita sarebbe nel suo interesse, questo non ti dà comunque il diritto di interferire con un'azione positiva, accelerando la sua morte o prolungando la sua vita.

L'unica cosa che ti darebbe questo diritto è la manifestazione esplicita di volontà di Eluana (non la tua idea di cosa è nel suo interesse): se lei ha dichiarato esplicitamente di voler morire, allora tu acquisti il diritto di terminare la sua vita. Se lei ha stabilito di voler vivere, allora tu acquisti il diritto di prolungare la sua vita (ad es. con respiratori artificiali).

Se poi tu, in assenza di dichiarazioni esplicite, decidi di accelerare la sua morte o prolungare la sua vita, che succede? In questo caso ti assumi dei rischi, di cui devi essere pronto a rispondere. Se ad esempio tu le prolunghi la vita con un respiratore, e lei si risveglia e ti denuncia perché preferiva morire, e quindi le hai causato un danno, allora hai commesso un crimine e dovrai scontare una pena. Non puoi cavartela dicendo "nel dubbio la vita".

Anonimo ha detto...

mi fate venire i brividi. siete tutti vittime della follia di welby. per uno che si uccide,ricordatevi che ce ne sono 1 miliardo che vogliono vivere.
magari non correre.
ma tornare a vivere.
qui non si tratta di agire caso per caso.
la legge deve tutelare tutti.
se poi un padre si lamenta,
non possiamo "noi" scendere nei particolari.
ma la legge, umana, deve PER FORZA tutelare tutti.

Anonimo ha detto...

io personalmente fatico a schierarmi dal punto di vista etico/ideologico sul fatto di accettare o meno che questa "eutanasia" sia applicata su Eluana e tutti i pazienti che vogliono e vorranno avere questo tipo di trattamento.tanto meno ci capisco di medicina:il confine tra accanimento terapeutico e non è labile,catalogare il nutrimento e l'idratazione come terpia o no è un argomento anch'esso dibattuto,il capire se effettivamente i pazienti in quelle condizioni hanno anche una minima coscienza di quello che stanno vivendo è ancora tutto da dimostrare.Di certezze quindi non ce ne sono,io almeno non ne vedo.Tuttavia,e concludo, sono convinto di una sola cosa: su usa tanto in questi giorni la parla VOLONTA'...volonta del paziente,ultime volontà, rispetto delle volontà.... io credo che non bisogna confondere questa volontà che ognuno di noi possiede,e che è una grande LIBERTA', con una CULTURA DELLA MORTE.a mio parere un modo come un altro di non accettare la vita, anche nei momenti più duri e dolorosi ,magari come quelli che ora sta vivendo Eluana.ma chi ci dice che quella donna non sia ancora aggrappata strenuamente alla sua vita e la desideri ancora?NESSUNO. quindi...VIVA LA VIDA MUERA LA MUERTE.in ogni istante,sempre e comunque.

Anonimo ha detto...

auguro a tutte le persone che si oppongono alla fine della sofferenza di eluana e famiglia( chiesa e politici) di ritrovarsi nella stessa situazione!!!

Anonimo ha detto...

in italia ci sono 3 governi la chiesa che pero si guarda bene di punire i suoi pedofili e isuoi nazisti,la mafia e berlusconi ,questo e il trio vincente che governa il paese piu bello del mondo ma anche il piu incasinato e cosidetto perbene dove si va la domenica a battersi il petto per chiedere perdonno.

Anonimo ha detto...

in italia ci sono 3 governi la chiesa che pero si guarda bene di punire i suoi pedofili e isuoi nazisti,la mafia e berlusconi ,questo e il trio vincente che governa il paese piu bello del mondo ma anche il piu incasinato e cosidetto perbene dove si va la domenica a battersi il petto per chiedere perdonno.

Anonimo ha detto...

Mi chiamo Chiara e vivo a Udine, lavoro tutti i giorni poco distante dalla struttura dove Eluana Englaro sta morendo di fame e di sete.
Quello che i giornali non vi stanno dicendo ve lo dico io:in quella struttura dove un gruppo di ragazzi , tra cui mia sorella appena liceale,vanno tutti i sabati da molti anni ad assistere anziani, ammalati, handicapati fisici e mentali alcuni nelle stesse condizioni di Eluana, vivono 500 persone.Vengono assistite, nutrite,visitate tutti i sabati da questo gruppo di giovani che ha deciso di passare un pomeriggio con loro e di farlgli compagnia.Sono felici di questo è un momento importante che aspettano, che gli dona gioia, felicità, avere qualcuno che gli fa compagnia, che gioca a carte con loro, che gli asciuga la bava dalla bocca, che gli considera e gli ama per quello che sono.Quello che i giornali non vi stanno dicendo e che mia sorella e i suoi amici hanno visto con i loro occhi sabato è che su tutti quasti vecchietti con l'arrivo di Eluana è arrivata una cappa di tristezza profonda.Non ridono più, non giocano a carte,alcuni di loro stanno persino smettendo di mangiare e parlo di persone che alcuni giudicano come non più in grado di interagire con il mondo, ma che sembrano aver afferrato perfettamente la situazione in cui si trovano.C'è una sensazione di angoscia tra i pazienti della "Quiete", perchè?Noi siamo determinati dallo sguardo che ci viene rivolto.Chi sta mettendo in discussione la dignità di una vita sta mettendo in discussione la dignità di tutte le vite.Loro lo hanno capito benissimo, perchè si trovano nelle stesse condizioni di Eluana, non sono più efficenti non sono più "normali".E hanno paura di essere guardati e considerati così. Venite a vedere, se non ci credete.LA VITA PERDE SENSO SOLO QUANDO NON CI SENTE PIù AMATI.

Anonimo ha detto...

Sono contento che sia stata data finalmente pace a questa sfortunata ragazza. A tal proposito ho postato un articolo riepilogativo sull'intera vicenda, vi invito a leggerlo e a commentarlo....grazie