Tutto comincia con un articolo di Vittorio Messori sul Corriere della Sera («Da Zola a Internet l’eterno duello su Lourdes», 23 febbraio 2010, p. 31), dedicato alle reazioni di tre campioni della cultura laica francese dell’Ottocento – Auguste Voisin, Émile Zola, Ernest Renan – di fronte alle guarigioni apparentemente inspiegabili di Lourdes. In particolare, scrive Messori riguardo a Zola:
Ecco ora Emile Zola, il maestro del naturalismo ateo. Deciso a smascherare «l’impostura dei preti», nell’agosto del 1892 si imbarcò sul treno dei malati del Pellegrinaggio Nazionale. Stette a Lourdes una decina di giorni, ma passò solo due ore al Bureau medico. Eppure, cosa straordinaria, in quel tempo brevissimo si presentarono due donne sanate in modo spettacolare. […] Marie Lebranchu […] si offerse come parte lesa nel processo per diffamazione contro Zola che molti chiedevano a gran voce. In effetti, le testimonianze sono unanimi: sul marciapiede della stazione di Parigi, lo scrittore l’aveva osservata sulla barella e aveva esclamato: «Se questa guarisce, io crederò». Il fatto è che «la Grivotte», come la chiamò nel suo romanzo, guarì davvero e fu portata essa pure al Bureau in quelle due ore in cui vi era Zola. Ridotta a 30 chili, tisica all’ultimo stadio, coperta di piaghe purulenti, quando fu immersa nell’acqua fu scossa una brivido impressionante, allontanò con forza le infermiere che la sostenevano e andò, sulle sue gambe, fino alla Grotta. Quando Zola la vide guarita, tutti osservarono che, divenuto pallido, barcollò. Ciò non gli impedirà di parlare […] di una assurda «guarigione nervosa», seguita poi da una ricaduta e dalla morte al ritorno a Parigi. E invece, la vera Grivotte visse ancora 30 anni, si sposò […], ebbe due figli e divenne inserviente al grande magazzino Au bon marché. Imbarazzato dalle lettere ai giornali della miracolata, che non sopportava la mistificazione, Zola andò a trovarla nella sua soffitta e le propose di pagarla bene se accettava di trasferirsi nel Belgio, smettendola con le denunce pubbliche. In quel momento, tornò il marito, solido operaio, che buttò il romanziere giù per le scale, gridando: «Va al diavolo, falso scribacchino!». I giornali riferirono la clamorosa scenata.Messori si guadagna quasi subito l’impetuosa risposta di Pierluigi Pellini (professore associato di Letterature comparate all’Università di Siena e curatore del Meridiano Mondadori dedicato a Zola), prima in forma sintetizzata sul Fatto Quotidiano («Chi ha paura di Émile Zola», 13 marzo, p. 18), poi più estesa su Nazione Indiana («Bufale dei Pirenei», 14 marzo), da cui cito:
È vero che nell’estate del 1892, durante un viaggio nel sud della Francia con la moglie Alexandrine, Zola si fermò una dozzina di giorni a Lourdes, in concomitanza con il Pellegrinaggio Nazionale, per prendere appunti in vista di un romanzo dedicato alla città di Bernadette. E tuttavia Zola e signora si guardarono bene dal viaggiare su un treno di pellegrini: la sera del 18 agosto, alla gare d’Orléans (l’attuale gare d’Austerlitz), salirono a bordo di un confortevole sleeping car del «Pyrénées-Express». Messori attribuisce allo scrittore le vicende (immaginarie) di Pierre Froment, il protagonista del romanzo Lourdes (1894): confondendo con superficialità disarmante vita e invenzione romanzesca. E condisce l’aneddoto riesumando senza alcun vaglio critico le calunnie mirabolanti diffuse da personaggi ambigui e interessati come il dottor Boissarie (il medico incaricato, a Lourdes, di constatare le guarigioni miracolose) e padre Lasserre (il primo biografo di Bernadette), e riprese con strepito dalla stampa clericale dell’epoca.Segue la piccata risposta di Messori («Ancora su Zola e Lourdes») che, con incomprensibile villania, evita persino di nominare Pellini; risposta destinata inizialmente al Corriere, e poi dirottata sul prossimo numero del settimanale cattolico Il Timone. Pellini replica sempre su Nazione Indiana («Bufale ultimissime», 11 aprile).
Delle «unanimi» testimonianze invocate da Messori non c’è traccia nei documenti d’archivio e nei libri di studiosi seri dedicati all’argomento: nell’ottima edizione del romanzo curata da Jacques Noiray per «Folio» nel 1995, nella monumentale biografia (Zola, tremila pagine in tre volumi, a tratti prolisse ma impeccabilmente documentate) pubblicata da Henri Mitterand per Fayard fra il 1999 e il 2002, nel bel libro dell’antropologa Clara Gallini (Il miracolo e la sua prova. Un etnologo a Lourdes, Liguori, 1998). Né poteva esserci: trattandosi di pure e semplici invenzioni. Messori le copia da un libro pubblicato in Francia nel 1957 e tradotto da Mondadori l’anno successivo, Cento anni di miracoli a Lourdes di Michel Agnellet: un volume apologetico, privo di qualsiasi attendibilità storico-filologica. Del resto, della favola di Zola corruttore nella soffitta di Marie Lebranchu si era già appropriato nel suo Ipotesi su Maria (Edizioni Ares, 2005), da dove la riprende un altro giornalista digiuno di metodo storico, Antonio Socci, in un pezzo intitolato La Madonna sconvolge gli intellettuali, su «Libero» del 19 febbraio scorso.
Vorrei esaminare qui un punto della risposta di Messori che Pellini non analizza nella sua replica. Scrive Messori:
C’è poi il Lourdes pubblicato nel 1999, in inglese (edizioni Allen Lane-Penguin) da Ruth Harris, docente di storia a Oxford, ebrea e agnostica, specialista di letteratura francese dell’Ottocento. A pag. 423, l’insospettabile Harris giudica «storico» l’episodio della visita di Zola.Questo punto mi ha incuriosito, perché l’unica fonte dell’episodio è ovviamente Marie Lebranchu, che non si vede bene perché considerare credibile a priori; sono andato dunque a controllare cosa scrive la Harris. La p. 423 citata da Messori è una pagina di note; quella che ci interessa è la n. 52, che riporto integralmente:
Indeed, the story told is that Zola went so far as to visit Marie Lebranchu, to take her away from her poverty-stricken circumstances and to remove her to the heart of the Belgian countryside, where her presence would not destroy his reputation. See Philippe Aziz, Les Miracles de Lourdes: La Science face à la foi, p. 209.Traduciamo:
In effetti, la storia che si raccontava è che Zola giunse al punto di far visita a Marie Lebranchu, per sottrarla alla sua condizione di povertà e trasferirla nel cuore della campagna belga, dove la sua presenza non avrebbe potuto distruggere la reputazione dello scrittore.Come si vede, non c’è qui la benché minima traccia di un giudizio di «storicità»: story, in inglese, può avere il significato di «favola», «diceria», etc., come del resto l’ha anche storia in italiano. La Harris riporta una voce, senza esprimersi in proposito. Neppure nel passo del libro cui è collegata la nota troviamo nulla in questo senso (p. 336: «As has been said, however, Marie Lebranchu did not relapse, and Catholics never forgave him for the deceit», «Come abbiamo già detto, tuttavia, Marie Lebranchu non ebbe ricadute, e i Cattolici non gli perdonarono mai la falsità»). Se proprio volessimo a tutti i costi attribuire un giudizio alla Harris (cosa che personalmente non faccio), potremmo forse collegare il mancato perdono dei Cattolici alla circolazione della «storia»...
Sarebbe bastata una lettura appena attenta per evitare a Vittorio Messori questo infortunio, piccolo eppure forse indicativo. Ma la preda era troppo succosa – una studiosa «ebrea e agnostica»! – e la prudenza ha ceduto all’appetito.
15 commenti:
Complimenti per il post e grazie l'approfondimento fatto con i solito rigore ;)
Grazie a te! ;)
Ho sempre trovato il modo di fare di Messori mellifluo e irritante, non solo per la sua supponenza mascherata da una falsa modestia, ma anche per i suo modo di affermare come verità incontrovertibili tesi palesemente personali e opinabili, come quanto a Porta a Porta in una leggendaria puntata sugli esorcismi tentava di mettere in relazione la negazione di dio con tutto il male successo nel mondo dalla rivoluzione francese ad oggi.
Non forse "incomprensibile villania", ma lucido calcolo: se la replica era stata pensata effettivamente da Messori per Il Corriere, se egli avesse fatto nome e cognome di Pellini il giornale avrrebbe quasi sicuramente dovuto pubblicare la replica (o comunque si sarebbe corso il rischio reale che ...).
Spingendomi più in là: chissà che anche questa scelta anonima non abbia convinto il Corriere che la replica di Messori non fosse seria.
Complimenti Giuseppe! Veramente un buon lavoro investigativo degno del miglior Holmes.
Grazie, ma in realtà ho solo consultato un libro. Niente di paragonabile al Maestro di Baker Street... :-)
Vorrei proporre un'interpretazione alternativa per la citata nota. Mi rendo conto che si tratta di un'interpretazione puramente teorica e lessicale, essendo io totalmente digiuno circa i fatti relativi alla vita di Emile Zola.
Non potrebbe darsi che con "where her presence would not destroy his reputation" si volesse dire che Zola non desiderava, per così dire, fare pubblicità al fatto che aveva aiutato la Sig.ra in questione, essendo - in via puramente di mia ipotesi - questa azione in contrasto con la sua (Zola) 'reputazione'?
Mi rendo conto che è un po' tirata per i capelli.
Stefano
Stefano, effettivamente mi pare difficile che il significato della nota sia quello. Tieni presente comunque che non si tratta di una fonte primaria sulla vita di Zola, ma solo di uno studio basato su altre fonti. Al massimo ci informa di cosa pensasse l'autrice quando l'ha scritto, non di come siano andati realmente i fatti.
Lo studio dei miracoli -
è sempre molto interessante osservare come Messori e compagnia si applicano a studiare i miracoli: leggono libri e articoli, e scrivono libri e articoli dove riportano cose hanno letto. Poi per approfondire, vanno a vedere a quali altri libri e articoli fanno riferimento i libri e gli articoli che hanno letto per scrivere i loro libri e articoli. E via così all'infinito.
Perchè?
Semplice, perchè se escludiamo appunto cataste di carta e inchiostro, dei tanto decantati miracoli non resta MAI NIENTE. Nulla, niente, nisba, alcunchè. Niente da misurare, verificare, controllare, esaminare. Solo, appunto, libri e articoli.
Un giorno per curiosità ho provato a cercare delle foto delle famose stimmate di Padre Pio. Costui è vissuto in un'epoca in cui la fotografia era ormai una tecnica consolidata, economica e diffusissima per documentare ogni tipo di evento. Ero sicuro che su Internet avrei potuto trovare un sacco di foto nitide e chiare di queste stimmate. Ma dopo un paio d'ore di ricerche ho rinunciato. Persino un un sito di integralisti interamente dedito a Padre Pio, con tanto di sezione "immagini delle stimmate", tutto quello che ho trovato erano le riproduzioni dei santini! A questo punto ho concluso che in 30-40 anni di interminabili chiacchiere sulle stimmate, nessuno ne ha mai fatto neanche una foto decente.
D'altra parte cosa si può pretendere, come logica e razionalità, da chi crede ai morti che resuscitano?
Auguri a tutti
@--->Paolo Garbet
Non solo, ma ho letto che immediatamente dopo la morte le c.d. stigmate sarebbero sparite. Un ottimo sistema per impedire qualsiasi seria indagine in proposito.
Inoltre, non è la stessa chiesa a dire che la fede non ha bisogno di miracoli per credere. Allora, come mai tutta 'sta kermesse di Lourdes, Fatima, Medjiugorje, Civitavecchia, San Giovanni Rotondo, ecc. ?
P.S. Complimenti a Giuseppe Regalzi per l'eccellente articolo!
Vi siete guadagnati un link su Wikipedia nella pagina di Emile Zola.
:)
Evviva! :)
@Garbert:
rispondendo alla questione del Santo di Pietrelcina, credo che i fatti debbano essere chiariti prima di formulare qualsiasi giudizio al riguardo.
Anzitutto non è esatto il fatto che le stimmate siano scomparse immediatamente dopo la morte, ma tre giorni prima, cioè nel giorno che corrisponde esattamente al 50esimo anniversario della comparsa delle stimmate. Esistono dei video della sua ultima messa in cui si vede chiaramente la mano (le mani) senza alcun segno di stigmate precedente. Se fossero volutamente procurate, dovrebbe esserci qualche segno ancora, ma dubito che per 50 anni ininterrotti un essere umano sano di mente possa farsi del male da solo procurandosi ferite alle mani, e contemporaneamente progettare e far costruire un ospedale per gli ammalati.
Inoltre vi sono molte fotografie su internet che lasciano intravedere Padre Pio con le mani ferite, ma anche qui va fatta una precisazione: è nota, infatti, la riluttanza del frate a farsi fotografare direttamente le mani. Tale decisione viene messa alla prova in occasione di un intervento all'ernia addominale che Padre Pio dovrà fare, e in cui rifiuterà di farsi anestetizzare per non permettere al medico di guardargli le stigmate durante l'effetto dell'anestetico.
Farsi operare di ernia senza anestesia deve certamente costare tanto dolore, giustificato da una motivazione che deve essere superiore a qualsiasi cosa.
Nel caso di Emile Zola, certamente Messori può aver ricamato del suo, dopotutto è il mestiere dell'apologeta che arreca con sè questa deformazione professionale, ma da qui ad arrivare a screditare tutto ciò che Messori difende - come la santità e la veridicità dei fatti che coinvolgono il frate di Pietrelcina - mi sembra oltraggioso nei confronti non tanto della fede, quanto della storia stessa.
A me pare davvero un voler spudoratamente "rigirare la frittata" davanti all'evidenza. E perché Zola avrebbe dovuto cercare Marie Lebranchu? Ai passi della Harris non possono essere attribuiti significati equivoci. Si parla di "deceit" inganno, e "reputation" la reputazione dello scrittore che evidentemente poteva essere danneggiata. E per quale motivo se non l'aver mentito? Abbiamo più di due testimoni, più di quanto necessario in un tribunale romano. Un po' di onestà intellettuale non guasterebbe.
Non ti seguo molto: chi è che avrebbe rigirato la frittata? Chi sono i testimoni, e di cosa?
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