Ovvero il potere medicale (non chiedetemi cosa sia, lo dice il nostro).
Come promesso ecco la seconda (e non ultima) parte: dopo l’introduzione di Lucetta Scaraffia il primo intervento nel Quaderno è di Louis-Vincent Thomas, La gestione del processo di morte.
Partendo dal ben noto principio che la vita vale più della morte, e che il fatto di vivere più a lungo non implica in sé alcuna contraddizione, l’atteggiamento di rifiuto dell’abbandono del paziente costituisce certamente un atto di coraggio. Esso è anche un atto di fede verso la medicina, poiché implica la ferma credenza nell’efficacia delle sue tecniche. D’altronde grazie all’impiego di queste numerosi malati, che sarebbero stati frettolosamente condannati a morte, sono ancora in vita.Ci sono alcuni passaggi oscuri qua e là. In che modo potrebbe essere contraddittorio il fatto di vivere più a lungo? L’atto di fede verso la medicina mi lascia senza fiato. Passi che sia un modo di dire, ma è proprio infelice. È poi strano che un fan della naturalità (uno degli argomenti preferiti di quanti abbracciano un atteggiamento prudente verso le biotecnologie) si trovi a incensare una incarnazione dell’artificio: la medicina. Medicina che, almeno nella sua versione moderna, anela al metodo sperimentale che poco ha a che spartire con atti di fede e credenze (intese nel senso che usa Thomas).
Anche lui non resiste al monito eugenetico: come non pensare
all’eutanasia eugenetica praticata in nome della razza o degli interessi di Stato[?]ma c’è di più:
segnaleremo di sfuggita l’eutanasia economica, «arma segreta degli economisti per risolvere i costi della sanità», la quale consiste nel lasciar morire coloro che si salverebbero a prezzo di ingenti investimenti.Il paragone con l’eugenetica è tanto frequente quanto assurdo (autonomia e scelta “dal basso” vs imposizione e scelta “dall’alto”). Quanto all’arma segreta impugnata dagli economisti sembra un miscuglio di catastrofismo e fantascienza. Tuttavia lo scenario ha una qualche verosimiglianza, ma rientrerebbe nelle conseguenze (senza dubbio condannabili) non necessarie. Sarebbe un orrore morale ma non una caratteristica intrinseca della eventuale legalizzazione della eutanasia.
Thomas poi a bruciapelo dichiara:
Non possiamo non rabbrividire se pensiamo all’iniziativa del medico britannico che poneva la sigla NBR (Not to Be Resuscited)Se ci si può risparmiare come superfluo il sottolineare la sgradevolezza di trovarsi di fronte ad una simile condizione, i brividi di Thomas sono mal indirizzati. Perché non si pone nemmeno la domanda di come e perché si sia arrivati alla decisione di non essere rianimati.
Perché non v’è cenno al paziente e alla sua volontà o al fatto che fosse una sua scelta, certo drammatica. Farebbe rabbrividire di gran lunga di più se alla tragicità della condizione di salute si aggiungesse il disinteresse per la volontà del paziente.
Possiamo pensare comunque che, per risolvere la difficile equazione durata-qualità della vita, un’assemblea di saggi, esperti e persone interessate da vicino alla questione saprebbe trovare una soluzione misurata, prudente e ragionevole.Il paziente non è compreso nella commissione di saggi. È difficile trovare un criterio in assenza della bussola della volontà soggettiva.
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