sabato 4 agosto 2007

Mettere fine al macello

Un articolo di Neil Reynolds («New recipe for sustainability: stem-cell burgers», Globe and Mail Update, 3 agosto 2007) ci aggiorna sulla tecnica della coltivazione di tessuti animali a scopi alimentari. Dalle cellule staminali si ottengono in un bioreattore masse di cellule muscolari, che crescono in un mezzo di coltura costituito da acqua e glucosio.
I primi prodotti commerciali potrebbero essere lanciati sul mercato nel 2012:

The first commercial products will be ground pork, ground beef and processed meat – hot dogs, sausage, meats used in pizzas and sauces. New Harvest, a U.S. non-profit research organization, says that complex meats – steaks – will take an additional 10 years. But University of Maryland biologist Jason Matheny believes that meat cultivation will come one day to resemble grape cultivation, with micro firms developing unique vintage meats. People will have meat makers in their kitchens, he says, right beside their bread makers. You will add your own omega-3 fatty acids to your bacon-burgers.
La carne ottenuta in questo modo avrebbe notevoli vantaggi in termini di sicurezza alimentare (le infezioni sarebbero praticamente impossibili), e potrebbe contribuire ad alleviare la pressione sulle terre coltivabili che già oggi si comincia ad avvertire a causa della crescita dei consumi di carne nei paesi che, come la Cina, stanno conoscendo un aumento vertiginoso dei redditi.
Questo non basta ad assicurare il successo di una tecnologia, naturalmente, come si è visto nel caso degli OGM; ma a differenza degli OGM, la coltivazione della carne avrà un vantaggio probabilmente decisivo: quello di potersi presentare come una tecnica etica. La possibilità di evitare il sacrificio di miliardi di animali dovrebbe essere in grado di superare le differenze dei tecnofobi e dei misoneisti, insinuando una spaccatura negli ambienti ecologisti; si potrebbe in poco tempo arrivare – se tutto va per il verso giusto – alla chiusura imposta per legge dei macelli, il cui ricordo rimarrà presso i nostri nipoti come una testimonianza della irrimediabile barbarie dei loro antenati. Speriamo che le loro bistecche siano abbastanza buone da indurli a un poco di comprensione per chi non poteva ancora estrarle dal bioreattore domestico...

1 commento:

Anonimo ha detto...

Estremamente interessante, ma...

"quello di potersi presentare come una tecnica etica."

Temo che per molti basti solo la parola "tecnica" per evocare spettri di terrore e che, nonostante in questo modo si vada a eliminare l'oneroso impatto ecologico dell'allevamento, nonché le sofferenze delle bestie allevate, nonostante ciò per i cervelli più minuti basterà l'idea di una carne creata quasi sinteticamente, all'interno di asettiche industrie, da dottori in camice bianco, per ritrarsi inorriditi e invocare a gran voce i bei(?) tempi delle caprette di Heidi belanti sui prati, quando "tutto era più umano e più vero".
Già immagino le levate di scudi, e il rapidissimo circolare di leggende metropolitane e di panici morali al primo sospetto che qualcuno possa aver contratto una qualche malattia da questa carne...

Comunque, una domanda che mi son sempre posto, e che vorrei porre a qualche vegetariano.
Ma se dall'oggi al domani diventassimo *tutti* vegetariani, cosa dovremmo farne dei *milioni* di capi di bestiame attualmente esistenti? Anzi, forse contando pollame, suini, ovini e bovini, si può parlare di miliardi.
Li curiamo & nutriamo finché non moriranno di vecchiaia?...
Ovviamente è una curiosità, quasi una provocazione, anche perché basata su un'ipotesi poco verosimile.
Un'uscita dal regime carnivoro di massa immagino sarebbe lenta e graduale, anche perché se fosse troppo brusca creerebbe masse di disoccupati (l'industria dei bioreattori creerebbe altrettanti posti di lavoro?).