venerdì 26 settembre 2014

Cugini sotto attacco

Alfredo Mantovano richiama l’attenzione su una tragica conseguenza della nuova legge sul doppio cognome, finora sfuggita all’attenzione dei commentatori («Doppio cognome, un colpo in più all’unità familiare», La Nuova Bussola Quotidiana, 26 settembre 2014):

La diversità di cognomi sarà […] probabile per cugini di ramo paterno, dal momento che il figlio cui è stato attribuito il doppio cognome può trasmetterne al proprio figlio solo uno, a scelta, ovviamente prescindendo dalle opzioni del proprio fratello.
Anche se per la precisione la legge andrà a colpire solo i cugini paterni figli di fratelli maschi (i cugini paterni figli di sorelle hanno già oggi cognomi differenti, come i cugini materni), non si può sottostimare l’entità della catastrofe che sta per colpire in questo modo la famiglia (allargata) italiana: il caos che ne risulterà – tremo solo a pensarci: cugini paterni con cognomi diversi! – porterà sicuramente a un picco di matrimoni tra consanguinei, all’incesto generalizzato (anche i fratelli potranno avere cognomi differenti!), all’approvazione del matrimonio gay e in seguito del matrimonio con i propri animali domestici, e infine al crollo della civiltà giudaico-cristiana e al trionfo dell’ISIS in Italia.

Si confermano insomma i sospetti di un altro autorevolissimo commentatore:

L’unica speranza ormai è che Mario Adinolfi voglia aggiungere quanto prima un seguito all’opera sua più fortunata, come nuovo argine alla barbarie laicista. Il titolo è già pronto: Voglio i cuginetti.

giovedì 25 settembre 2014

Famiglia, sostantivo plurale


Qualche settimana fa il capogruppo consiliare di Uniti per Assisi, Luigi Marini, ha promosso una «mozione urgente, a tutela della Famiglia naturale: Padre è maschio e Madre è femmina». La mozione vanta pregevoli collaborazioni: quella di Gianfranco Amato (giurista per la vita) e quella di Ernesto Rossi (presidente regionale del Forum delle Associazioni Familiari dell’Umbria).

LA FAMIGLIA FONDATA SUL MATRIMONIO
Nella mozione ci stanno scritte cose come «la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo ed una donna rappresenta l’istituzione naturale aperta alla trasmissione della vita e l’unico adeguato ambito sociale in cui possono essere accolti i minori in difficoltà, anche attraverso, in casi estremi, gli istituti dell’affidamento e dell’adozione» oppure «in tutto il Paese, con il pretesto di combattere “inutili” stereotipi, si stanno moltiplicando i casi di aperta propaganda contro la famiglia naturale, soprattutto nel mondo scolastico, con proiezione di film e sitcom gay, diffusione di fiabe rivedute e corrette in chiave omosessuale consegnate ai bimbi della scuola dell’infanzia e pubblicate dall’UNAR, ufficio che dipende dal Dipartimento Pari Opportunità che a sua volta fa capo al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. È legittimo e condivisibile che nelle scuole si insegni a non discriminare i gay o altre minoranze, ma questo non deve necessariamente comportare l’imposizione di un modello di società che prevede l’eliminazione delle naturali differenze tra i sessi». È legittimo non discriminare gay o altre minoranze (che concessione!), ma senza esagerare però.


OMOSESSUALISTA!
O ancora: «nel Liceo Giulio Cesare di Roma i professori hanno imposto ad allievi minorenni la lettura di un romanzo, a forte impronta omosessualista, dal titolo “Sei come sei” della scrittrice Melania Mazzucco (Edizioni Einaudi), alcuni passi del quale rivelano, in realtà, un chiaro contenuto pornografico descrivendo fra l’altro nei dettagli un rapporto orale fra due maschi». Capito? Un romanzo a forte impronta omosessualista! Addirittura pubblicato dalle celebri «Edizioni Einaudi». Indimenticabile lo striscione di protesta di Lotta studentesca Maschi selvatici! Non checche isteriche srotolato davanti all’entrata del liceo. A chi fa i complimenti al sindaco di Assisi per aver infilato «omosessualista» in un documento ufficiale, Claudio Ricci risponde: «Rispetto per Tutti» – ma diritti solo per chi diciamo noi, avrebbe dovuto aggiungere.

Next, 25 settembre 2014.

mercoledì 24 settembre 2014

Quattro buone ragioni per la selezione dei donatori di gameti

È uno dei punti più controversi nel dibattito che si è sviluppato dopo la sentenza n. 162/2014, con cui la Corte Costituzionale ha fatto cadere il divieto di fecondazione eterologa: mi riferisco alla possibilità di selezionare (nei limiti del possibile) il donatore e/o la donatrice di gameti in base alla somiglianza fisica con il genitore o i genitori inabili a contribuire alla fecondazione con il proprio sperma o i propri ovociti (più sinteticamente, ma un po’ inesattamente, si parla spesso di garantire la compatibilità delle caratteristiche fisiche del nascituro con quelle della coppia che riceverà i gameti donati). Il Ministro della Sanità Beatrice Lorenzin dichiarava così alcune settimane fa (Mario Pappagallo, «Eterologa, la linea del ministro: “Non si sceglie il colore della pelle”», Corriere.it, 6 agosto 2014):

Il discorso della compatibilità se vuole farlo, lo introduca il Parlamento. Per quanto mi riguarda sono contraria: questa si chiama discriminazione razziale. Non se ne parla, sarebbe anticostituzionale. È come se chi adotta un bambino lo potesse scegliere. Lo impedisce la legge. Mica siamo al supermercato.
Con l’usuale grossolanità è intervenuta anche Eugenia Roccella, vicepresidente della commissione Affari Sociali della Camera:
Questa si chiama selezione della razza e dei canoni estetici. Insomma, c’è stato detto che, come per l’adozione, ricorrere all’eterologa era un gesto d’amore, e che al bambino serve solo l’amore dei genitori. Un amore, però, condizionato al colore della pelle: lo amiamo solo se è bianco, se è nero non lo vogliamo?
Questi sono due esempi molto chiari di una tendenza tipica dell’integralismo cattolico: quella di attribuire a chi la pensa diversamente le peggiori intenzioni possibili. Se qualcuno desidera che il proprio figlio abbia il suo stesso colore della pelle non può che essere perché disprezza le persone di colore diverso; ogni altra ipotesi non viene non dico esaminata, ma neppure nominata.
Eppure altre ragioni per desiderare la compatibilità delle caratteristiche fisiche esistono, e non sono neppure cattive ragioni. Vediamole.

1. Proteggere la privacy

L’Italia è un paese mediamente ancora molto conservatore, e la fecondazione eterologa non è una pratica medica ancora del tutto accettata. In particolari realtà sociali (si pensi a certa vita di provincia) o familiari (in cui per esempio sia presente una componente integralista) la forza dell’altrui disapprovazione può rendere la vita difficile. Ciò che ci protegge dalla pressione sociale è il diritto alla privacy, cioè a tenere nascosti quegli aspetti della nostra esistenza che riguardano soltanto noi e a delimitare perciò un cerchio intimo di vita riparato da sguardi indiscreti. Le nostre condizioni di salute, e quindi anche le terapie ricevute, rientrano sicuramente in questo ambito (tranne ovviamente quando non sia possibile in nessun modo occultarle allo sguardo del pubblico), tanto più quando a essere interessata è la sfera culturalmente cruciale della riproduzione. È evidente però che la nascita di un bambino dalle caratteristiche fisiche incompatibili con quelle dei genitori putativi tradirebbe immediatamente l’avvenuto ricorso alla fecondazione eterologa. Naturalmente, in questo come in altri campi il coming out è da lodare incondizionatamente: i costumi alla fine cambiano proprio grazie ai coraggiosi che vanno orgogliosi di quello che sono e di quello che fanno e non lo nascondono; ma il coraggio non si può prescrivere per legge.

2. Accogliere un figlio come proprio

Il problema principale della fecondazione eterologa è psicologico: il genitore che non ha potuto contribuire alla fecondazione con un suo gamete può avere in certi casi difficoltà a sentire il figlio come proprio, e può arrivare a forme di rifiuto più o meno dirette. La legge 40/2004, in una delle sue pochissime norme ragionevoli, ha reso impossibile il disconoscimento da parte del padre non biologico in caso di fecondazione eterologa (nell’art. 9 comma 1; ovviamente all’epoca ci si riferiva a casi di fecondazione effettuata all’estero o in violazione della legge); ma il problema psicologico rimane. La soluzione consiste principalmente in un’adeguata informazione e preparazione, ma sembra ragionevole supporre che la somiglianza fisica possa contribuire a rendere le cose più facili (anche eventualmente per i familiari meno prossimi del bambino).

3. Rivelarlo al momento giusto

Sembra che nel progetto di decreto del Ministro della Salute (poi abortito) fosse previsto l’obbligo di informare la persona nata in seguito all’applicazione di tecniche di fecondazione eterologa del modo del suo concepimento una volta raggiunta la maggiore età. Il Ministro non sembrava rendersi conto che con la proibizione di selezionare i donatori molti dei nati avrebbero indovinato le proprie origini ben prima della maggiore età, semplicemente guardandosi allo specchio e paragonandosi ai propri genitori. In questo modo si sottrarrebbe ai genitori la decisione sul momento più adatto per rivelare al figlio le sue origini (non esaminerò qui se questa rivelazione sia davvero sempre desiderabile). Naturalmente è del tutto possibile che questo momento arrivi anche molto precocemente senza problemi (in situazioni particolari del resto non ci sono alternative), ma non c’è dubbio che là dove si può la flessibilità possa rivelarsi utile per facilitare le cose.

4. Evitare i razzismi inconsapevoli

Dire che esistono buone ragioni perché una persona cerchi di ottenere un figlio simile a sé non significa negare che possano esisterne anche di cattive e pessime. Se fosse imposta la proibizione di selezionare i donatori, è probabile che chi sottoscrive un’ideologia razzista sarebbe dissuaso dal tentare in caso di bisogno la fecondazione eterologa – ma va detto che questo genere di individui ha quasi sempre idee estremamente conservatrici sull’importanza della «stirpe», tale da renderlo comunque contrario a questa tecnica. Ma cosa succederebbe ai razzisti meno consapevoli, a chi proclama sinceramente di non disprezzare le persone di etnia diversa, salvo poi mostrare nei fatti dei pregiudizi inconsci ben radicati? Nel caso dell’adozione si perviene inevitabilmente al momento della verità, quando alla coppia viene presentato un bambino di un colore diverso dal suo; un momento dal quale si può fare vergognosamente marcia indietro. Ma nel caso della fecondazione eterologa – complici la bassissima probabilità di incappare in Italia nei gameti di persone di altra razza, il desiderio ardente di genitorialità e appunto la non consapevolezza dei propri pregiudizi – il momento della verità può arrivare quando ormai non si può più tornare indietro. Per i più l’esperienza di allevare un bambino basterebbe probabilmente a guarire da ogni pregiudizio; per altri le cose possono andare diversamente, e a rimetterci sarebbe in primo luogo chi non ha colpe. Con la selezione dei gameti il problema non si pone. Si può restare perplessi di fronte a una soluzione che alla fine asseconda un pregiudizio; ma trattandosi di un pregiudizio pressoché invisibile (persino a chi lo nutre) e quindi non identificabile con sicurezza in anticipo, non vedo alternative a questa.

Conclusione

Queste dunque le buone ragioni a favore della possibilità – non dell’obbligo, ovviamente – di assicurare un fenotipo simile a quello del genitore non biologico. Non so se chi si oppone le abbia mai prese in considerazione; ma viene spontaneo sospettare che qui non si tratti soltanto dell’abitudine inveterata degli integralisti a giudicare e condannare il prossimo con la massima ferocia possibile, ma anche di un tentativo estremo, sorto nell’ambiente dei consulenti del Ministro, di creare difficoltà e di perpetuare de facto la situazione precedente, pur mutata de jure, costringendo ancora le coppie a onerosi viaggi all’estero.
L’accordo tra le Regioni siglato a Roma il 4 settembre prevede che ogni «centro deve ragionevolmente assicurare la compatibilità delle principali caratteristiche fenotipiche del donatore con quelle della coppia ricevente». Speriamo che nessuno cambi questa disposizione ragionevole.

mercoledì 17 settembre 2014

No all’aborto, nemmeno in caso di stupro


Rebecca Kiessling è stata concepita durante uno stupro. Scampata all’aborto, si presenta come la voce di chi non ce l’ha, cioè di tutti i «bambini» concepiti allo stesso modo e che rischiano di essere «uccisi» («I speak internationally sharing my story of having been conceived in rape and nearly aborted at two illegal abortionist, but protected by law»). Kiessling vorrebbe vietare l’interruzione di gravidanza in qualsiasi circostanza. Per quanto improponibile sia vietare l’aborto volontario, Kiessling è almeno coerente con le sue premesse ferocemente prolife: se l’aborto è un omicidio, lo è anche in caso di stupro. La modalità di concepimento non incide infatti sullo statuto ontologico dell’embrione, considerato persona fin dal concepimento. Se uccidi tuo figlio sei sempre una assassina, e se uccidi un bambino che ha avuto origine da una violenza carnale sei forse qualcosa di peggio.

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mercoledì 10 settembre 2014

Mani in alto! Siamo l’Anonima eterologa


Pure i laici si svegliano contro la follia dell’Anonima eterologa, titola oggi Il Foglio. Come se l’essere laico fosse la garanzia di saper argomentare. Come se la distinzione rilevante fosse questa: laici e non laici. Come se la descrizione di un’appartenenza, spesso autocertificata, bastasse per non rendersi ridicoli. «Emilia Costantini sul blog 27° ora e Marco Politi attaccano la finzione che nega il diritto a conoscere le proprie origini», avverte minacciosamente l’occhiello.
Ieri avevo assistito al risveglio di Marco Politi; oggi è la volta di Emilia Costantini (il suo post è del 7 settembre, La fecondazione eterologa. E i diritti del «soggetto nato», e la 27esima ora è femmina).
È quanto hanno decretato le Regioni (in attesa che il Parlamento emani una legge nazionale), sentenziando così la condanna del figlio in provetta a non poter scoprire la propria identità. In altre parole, mentre si nega il principale diritto dell’essere umano, cioè quello di sapere chi è veramente e da dove viene. Si riconosce il diritto al genitore biologico di rivelare o meno il proprio nome e cognome. Un’aberrazione.
La mia identità? Sapere chi sono e da dove vengo? Mettiamo che mi abbiano adottato infante o che i miei genitori abbiano fatto ricorso a un gamete (sono geneticamente mezza figlia loro) o a un embrione (geneticamente non sono affatto figlia loro). Mettiamo cioè, in tutti e tre i casi, che io non abbia ricordi o esperienze dei miei «veri» genitori. La mia identità sarebbe mutilata? Sarebbe forse determinata più da uno spermatozoo o da un ovocita di quanto non lo sia dall’essere stata cresciuta, amata (o no), coccolata (o no), portata al mare (o no)? Certo, è verosimile che a un certo punto io mi senta incompleta, infelice, mancante di qualcosa – soprattutto durante l’adolescenza (durante l’infanzia sono molti a pensare di essere stati adottati: «non siete voi i mie veri genitori, i miei veri genitori mi avrebbero mandato a quella festa!»). È anche verosimile che questo vuoto possa essere colmato solo sapendo il cognome e il nome di chi ha fornito materiale genetico. Un gamete contro il resto del mondo. Certo.
A essere aberrante è che si possa essere convinti di una cosa del genere, che si decida di innalzare un pensiero discutibile e bizzarro a Verità Assoluta e che si chieda la complicità di una legge.

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martedì 9 settembre 2014

La fecondazione eterologa come finzione?


Marco Politi su Il Fatto quotidiano ha deciso di «analizzare laicamente i problemi». Se questo è il risultato forse è meglio sfidare la sorte.

«L’eterologa nasce da una finzione». I titolisti si lasciano prendere facilmente dall’entusiasmo e quindi non mi soffermo sul titolo. Non suona nemmeno male. E allora procedo. «Senza una legge del Parlamento», comincia così il pezzo sul Fatto di Marco Politi, ex vaticanista di Repubblica. Caduto il divieto dell’eterologa ci rimane la legge 40 senza quel divieto. Non ne servono altre. Sarebbe bene anche evitare di ricominciare tutto dall’inizio: dai torniamo in Parlamento, così possiamo inserire qualche altro divieto incostituzionale e ubriaco che in una decina d’anni la Corte costituzionale poi potrà rimuovere. Una prospettiva molto attraente. «Troppi sintomi di improvvisazione stanno investendo la definizione dei rapporti familiari». Improvvisazione, signora mia, come faremo? Che ne sarà delle nostre esistenze? Dei nostri valori d’una volta?
La sentenza con cui il Tribunale dei Minori di Roma ha concesso l’adozione di una bimba alla convivente della madre è un altro di questi. Non sta giuridicamente né in cielo né in terra. La bimba ha una madre, non era in stato di abbandono o disagio sociale e nulla impediva il rapporto affettivo tra lei e la partner della madre.
E chi l’avrebbe mai detto che non serva una legge per voler bene a qualcuno? Non mi sarebbe mai venuto in mente. Mai. Le ragioni della sentenza sono ovviamente altre, ma capisco che leggersela sia noioso. Con quel linguaggio da azzeccagarbugli, manco a parlarne. Ma poi perché dovresti rivolgerti al Tribunale per portare tua figlia in piscina? «Sarebbe paradossale che la legislazione sulla famiglia fosse lasciata a una ingegneria priva di chiarezza su ciò che conta». Questo processo è iniziato da lontano. Dalla fine del matrimonio riparatore e del reato di adulterio. Dall’equivalenza tra bastardi e figli legittimi. Che vergogna! Indebolire così la legislazione sulla famiglia. Poi non stupitevi se siamo finiti dove siamo finiti! «Fecondazione eterologa e omologa sono equivalenti? I figli nati nelle coppie, che fanno uso di un metodo o l’altro, hanno la medesima identità?». Ogni figlio ha una identità diversa dall’altro. Che peccato però, chissà che identità hanno i figli nati nelle coppie che guardano molta tv. Meglio quelli che vanno ai concerti? O a messa? Che implicazione caratteriale c’è tra il mangiare troppa carbonara e il liceo che sceglierà nostro figlio? «In una coppia che attua la fecondazione omologa si ha veramente una “procreazione assistita”, poiché la tecnica elimina semplicemente un impedimento al loro naturale incontro».

La fecondazione eterologa come finzione?, Next, 9 settembre 2014.

Fido è vivo e clonato!


«Gli manca solo la parola», «i cani sono migliori degli uomini», «la morte di [inserire nome del cane in genere indistinguibile da quello che potrebbe essere tuo fratello] è il dolore più grande della mia vita, molto più della morte dei miei amici». «Tanto quanto un essere umano e come un figlio». Oppure: «PER NOI QUESTI [chi minaccia, fa male o uccide un cane] SONO ASSASSINI! Assassini di affetti, assassini di esseri viventi, assassini di innocenti indifesi; questa gente per noi sono solo vigliacchi», leggevo ieri cercando tutt’altro.

Al posto del cane può esserci un gatto o un altro animale domestico o addomesticato. Alcuni trattano il proprio animale domestico come il figlio che non hanno avuto o che è ormai cresciuto. Mi ricordo la proprietaria di un levriero afgano che aveva il set di spazzole e asciugamani con il nome del cane ricamato o inciso: Yuma. Le parlava – era una «signorina», non so se anche vergine – e le chiedeva il parere su molti argomenti. Io avrò avuto 8 o 9 anni e mia madre non mi aveva mai ricamato il nome su un asciugamano. Per fortuna. Io avrò avuto 8 o 9 anni e quella signora mi sembrava un po’ suonata e Yuma mi sembrava come quei bambini infilati in un vestito inamidato che vorrebbero rotolarsi nel fango o andare a fare il bagno: «devi aspettare 3 ore dopo aver mangiato!». D’altra parte Madame Adelaide Bonfamille aveva lasciato tutti i suoi beni ai gatti di casa e Scat Cat e la sua banda suonavano il miglior jazz in circolazione. Qualche anno dopo, leggendo E l’uomo incontrò il cane di Konrad Lorenz, mi sono tornate in mente Yuma e la sua padrona leggendo: «Ma colui che, deluso e amareggiato dalle debolezze umane, toglie il suo amore all’umanità per darlo a un cane o a un gatto, commette senza dubbio alcuno un grave peccato, vorrei dire un atto di ripugnante perversione sociale. L’odio per l’uomo e l’amore per le bestie sono una pessima combinazione». Mi è sembrata anche una buona risposta alla gerarchia di dolori per la morte di un animale umano e non umano. Poi, certo, un dispiacere è un dispiacere, e come stato mentale è soggettivo e personale. Tuttavia può essere analizzato, soprattutto una volta che è stato esplicitato e accompagnato da un giudizio: «i cani sono migliori degli uomini». Che poi non si fa un buon servizio a un cane trattandolo come fosse un umano proprio come non gli si farebbe un favore trattandolo come un anfibio.

Fido è vivo e clonato!, Next, 9 settembre 2014.

venerdì 5 settembre 2014

Le unioni civili all’italiana


«Unioni civili alla tedesca», aveva promesso Matteo Renzi. In Senato stagnano alcuni disegni di legge, ché i diritti civili sono spesso rimandati perché l’economia e la disoccupazione sono questioni più importanti e più urgenti. Eccoli: Disciplina delle unioni civili (Manconi e Corsini); Modifiche al codice civile in materia di disciplina del patto di convivenza (Maria Elisabetta Alberti Casellati ed altri); Introduzione nel codice civile del contratto di convivenza e solidarietà (Giovanardi ed altri); Disciplina dei diritti e dei doveri di reciprocità dei conviventi (Barani e Alessandra Mussolini); Normativa sulle unioni civili e sulle unioni di mutuo aiuto (Alessia Petraglia ed altri); Modifiche al codice civile in materia di disciplina delle unioni civili e dei patti di convivenza (Marcucci ed altri) e Unione civile tra persone dello stesso sesso (Lumia ed altri). L’articolo 1 della prima, per esempio, stabilisce che: «1. Due persone maggiorenni, anche dello stesso sesso, di seguito denominate «parti dell’unione civile», possono contrarre tra loro un’unione civile per organizzare la loro vita in comune. 2. La registrazione dell’unione civile è effettuata, su istanza delle parti della stessa unione, e in presenza di due testimoni maggiorenni, dai soggetti di cui all’articolo 3». In tutti i casi, ovviamente, sono disegni di legge che mirano a istituire le unioni civili. A cosa servirebbero le unioni civili? «A creare diritti che oggi non ci sono, a rimediare alla presente ingiustizia» è la risposta.


Non sei uguale a me ma siamo pari
Leggendo la relazione introduttiva di Carlo Giovanardi si ha però la sensazione opposta. «La Corte costituzionale ha ribadito in una recente sentenza che la famiglia, come scolpita nell’articolo 29 della Costituzione, è «società naturale fondata sul matrimonio» fra un uomo ed una donna, come la stessa Corte ha più volte avuto modo di precisare. La Costituzione, all’articolo 31, pone tale famiglia, in particolare in presenza dei figli, in una situazione privilegiata fermo restando il principio fondamentale dell’articolo 3 che recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Tutti i cittadini sono uguali ma alcuni sono più uguali di altri. È un dubbio intrinseco in qualunque istituzione x che vale per alcuni cittadini z e non per altri. «Il matrimonio è un’altra cosa! Diritti singoli, ma non esageriamo».

Next, 5 settembre 2014.

giovedì 4 settembre 2014

La mozione urgente a tutela della «Famiglia naturale»

C’è una mozione promossa dal capogruppo consiliare di Uniti per Assisi Luigi Marini con la collaborazione di Gianfranco Amato (giurista per la vita) e di Ernesto Rossi (presidente regionale del Forum delle Associazioni Familiari dell’Umbria). È “una mozione urgente, a tutela della Famiglia naturale: Padre è maschio e Madre è femmina”. E potremmo cominciare da qui. Dalle maiuscole per “famiglia”, “padre” e “madre” e dall’idea che ci sia una famiglia naturale e che questa sia l’unico modello giusto (Giusto).
Cominciamo con il chiederci cos’è la famiglia naturale. Che suona quasi un ossimoro, considerando che la famiglia non è di certo un’istituzione naturale, bensì culturale, sociale, economica. Se poi per “naturale” si intende “ciò che esiste” c’è un altro problema: esistono tanti modelli familiari. Nessun modello unico valido per tutti. Naturalmente, secondo lo spirito della mozione urgente, la Famiglia naturale è e deve essere composta da Padre e Madre. Possibilmente, aggiungo, da figli che seguano le stesse orme.
Se la Famiglia non è formata da un profilo genetico maschio XY e femmina XX non sarà una vera famiglia. Che ne facciamo di tutte le altre? Famiglie con un solo genitore, famiglie ricomposte o allargate? I ruoli genitoriali, come le famiglie, sono un prodotto culturale. Sono realtà sociali mutevoli: sono diverse nel tempo e nello spazio. Perché il modo di intendere cosa è un genitore proposto dalla mozione dovrebbe essere quello giusto? I ruoli di genere, e con essi i ruoli genitoriali, sono cambiati. E per fortuna: se così non fosse staremmo ancora alle donne con l’istinto materno e agli uomini che difendono la grotta (il processo non è di certo compiuto).
La domanda è più o meno la stessa per le affermazioni seguenti: perché uno dei possibili modelli dovrebbe diventare l’unico accettabile. E quali danni comporterebbero tali “deviazioni”. “La famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo ed una donna rappresenta l’istituzione naturale aperta alla trasmissione della vita e l’unico adeguato ambito sociale in cui possono essere accolti i minori in difficoltà, anche attraverso, in casi estremi, gli istituti dell’affidamento e dell’adozione”.
Per la trasmissione della “vita” bastano un uomo e una donna in età fertile. Ancor meno: un gamete maschile e uno femminile. Se si vuole intendere «vita» in accezione più ampia (educazione, cura, accudimento) rimane sempre da spiegare perché questo sarebbe l’unico modello adeguato. La loro famiglia sarà aperta alla trasmissione della vita, ma quanto a semantica è davvero molto angusta.

Wired, 3 settembre 2014.

martedì 2 settembre 2014

La fecondazione eterologa? Si può fare!

Nel 2004 la legge 40 ha vietato la fecondazione di tipo eterologo, ovvero il ricorso a un gamete altrui nell’uso della fecondazione assistita. Si può aver bisogno di un gamete altrui in diverse circostanze. Nel caso di patologie come l’azospermia e la menopausa precoce, oppure dopo una chemioterapia. Se si vuole avere un figlio si deve ricorrere allo sperma o all’ovocita di un donatore. Non ci sono alternative. No, l’adozione non lo è, l’adozione è una cosa diversa e ricordarsi solo in questo caso di gridare indignati “potreste adottare invece di ostinarvi!” è sbagliato. Dovreste ricordarvelo sempre, almeno: quando non si vogliono figli, quando si sceglie di averne senza aver bisogno di ricorrere alle tecniche riproduttive. “Potreste adottare!”. L’invito sarebbe comunque bizzarro e non attinente, ma sarebbe equo. E no, nemmeno la rinuncia sembra porsi come valida alternativa.

Perché il divieto?
Ovvero: ci sono abbastanza ragioni per giustificare una coercizione legale? Non sembra, e anzi appare difficile anche giustificare una condanna morale. Le strampalate invocazioni alla “identità genetica” tra genitori e figli, l’ombra del “terzo incomodo” o dell’“adulterio genetico”, l’egoismo intrinseco nel ricorrere a un gamete altrui (egoismo mai spiegato, tanto è evidente per i detrattori), gli avvertimenti “il figlio non è un diritto!” non dovrebbero andare oltre un pensiero privato, uno di quelli che ci limitiamo a ripetere a bassa voce. Non dovrebbero cioè essere presentate come argomenti razionali e, soprattutto, sarebbero del tutto insufficienti per giustificare un divieto (il sacrosanto “io non lo farei” non può diventare una legge universale: “nessuno dovrebbe farlo”). Chi sarebbe danneggiato? Quali disastri verosimilmente e intrinsecamente ne deriverebbero? (qui e qui una raccolta di commenti dissennati all’indomani della sentenza; a cercare se ne trovano di molto fantasiosi, come il lattaio; se avete bisogno di una storia, ecco quella di Ilaria). Nonostante questo la legge 40 ha vietato il ricorso a un gamete altrui e chi non ha voluto rassegnarsi ha provato – in questi 10 anni – ad andare in un alto paese (l’hanno chiamato “turismo procreativo”).

Next, 2 settembre 2014.