giovedì 17 luglio 2008

Due argomenti sul caso Englaro

Il giornale della Cei torna oggi in prima pagina sul caso Englaro, con un editoriale firmato da Giuseppe Dalla Torre («Il diritto di poter tornare indietro», Avvenire, 17 luglio 2008). Vi leggiamo fra l’altro:

Dato e non concesso che la povera Eluana abbia davvero, sedici o più anni fa, manifestato una volontà libera, consapevole, responsabile, di interrompere non le terapie, ma la stessa alimentazione ed idratazione, rimane un nodo irrisolto: tale volontà è ancora attuale? La giurisprudenza, in particolare la Cassazione, si è in passato e più volte pronunciata a difesa dello jus poenitendi, del diritto di pentirsi delle proprie scelte ideologiche, politiche o religiose, così come delle proprie scelte di vita. Un diritto, questo, considerato come fondamentale, in quanto espressione della fondamentale libertà propria di ogni essere umano. Ma come garantire, qui ed ora, ad Eluana il diritto di pentirsi delle (asserite) scelte di allora? Perché negare proprio a lei questo diritto fondamentale? E perché negarglielo proprio nel momento in cui massima è la sua condizione di debolezza e di dipendenza? Perché soprattutto negarglielo proprio sul terreno del diritto alla vita, il più fondamentale di ogni diritto, il presupposto degli altri diritti fondamentali, il cui esercizio può essere caratterizzato dalla irreversibilità?
Il continuo insistere su una pretesa mancanza di «attualità» della volontà di Eluana è uno degli aspetti più sconcertanti delle polemiche di questi giorni – e sì che di cose sconcertanti in proposito ne abbiamo lette e ascoltate ormai tantissime. Supponiamo che Eluana avesse espresso la sua volontà diciassette anni fa, come ha fatto, ma che l’incidente stradale che l’ha ridotta allo stato attuale fosse accaduto solo il mese scorso, invece che il 18 gennaio 1992; in questo caso avrebbe un senso affermare che in questi diciassette anni la ragazza avrebbe avuto esperienze e condotto riflessioni che, in teoria, avrebbero potuto determinare un cambiamento delle sue opinioni. Si potrebbe discutere su che peso dare a questa possibilità in assenza di ogni ulteriore manifestazione di volontà diversa da quella formulata in origine, ma in ogni caso ci sarebbe qualcosa da discutere. Nella realtà, però, in questi diciassette anni Eluana non ha potuto sperimentare nulla né riflettere su alcunché; la gravità delle lesioni riportate ci porta a concludere che da quel giorno disgraziato Eluana è stata sempre completamente priva di coscienza. In effetti, se per un impossibile miracolo la ragazza si risvegliasse oggi il contenuto della sua coscienza sarebbe praticamente identico a quello del giorno dell’incidente. Per Eluana non sarebbero passati sedici anni e neppure sedici mesi o sedici settimane: il tempo soggettivo trascorso sarebbe per lei pari quasi a zero. In questo senso è del tutto lecito affermare che, in realtà, la sua opinione di diciassette anni fa è ancora perfettamente attuale: non solo non avrebbe avuto la possibilità di formarsene una diversa, ma se si risvegliasse adesso si risveglierebbe con quelle stesse idee in mente. E quest’ultima rimane comunque un’impossibilità, così com’è impossibile che Eluana possa esercitare il suo «diritto a pentirsi» di qualsiasi cosa abbia fatto o detto.

L’articolo di Dalla Torre procede ancora:
In secondo luogo, si è fondato il diritto di autodeterminazione a lasciarsi morire sull’articolo 32 della Costituzione. Il riferimento è erroneo, perché questa disposizione riguarda il rifiuto di trattamenti sanitari, mentre nel nostro caso si è davanti al rifiuto dell’alimentazione ed idratazione, che propriamente terapie non sono. Ci si dovrebbe semmai riferire all’articolo 2 della Costituzione, che riconosce i diritti inviolabili della persona e, quindi, quella sua radicale libertà che può anche indurre alla scelta – pur eticamente riprovevole – del lasciarsi morire. Ma se si vuole richiamare l’articolo 2 della Costituzione, lo si deve fare per intero; e questo articolo, nella seconda parte, richiede a tutti i consociati l’adempimento dei doveri – che con forza sono qualificati come ‘inderogabili’ – di solidarietà.
Non è dato sapere con chi se la prenda Dalla Torre quando parla di riferimento erroneo, visto che la sentenza della Corte d’Appello non invoca solo l’art. 32 della Costituzione ma anche appunto l’art. 2 (assieme al 3 e al 13); è vero però che molti commentatori – purtroppo anche di parte laica – non sono stati capaci di uscire dalla disputa in parte nominalistica e comunque del tutto irrilevante sulla natura terapeutica o meno della nutrizione ed idratazione artificiali. Dalla Torre ha il merito – malgré soi, per così dire – di rimettere la questione nella giusta prospettiva: qui non si tratta soltanto del rifiuto delle cure mediche (anche se in realtà la nutrizione artificiale è palesemente un intervento terapeutico), ma più in generale del rifiuto di ogni azione altrui sul nostro corpo. L’articolo più pertinente della Costituzione è forse il 13, che memorabilmente statuisce che «La libertà personale è inviolabile»: sarebbe assurdo e illogico limitare ai soli trattamenti medici ciò che gli altri non possono fare al nostro corpo senza il nostro consenso.
Ma se da una parte Dalla Torre sembra riconoscere un diritto a lasciarsi morire, dall’altra subito lo nega invocando il «dovere» altrui alla solidarietà. È ovvio che dire che abbiamo il diritto di fare qualcosa ma che gli altri hanno il dovere di impedircelo è un beffardo gioco di parole. Esiste oggi in Italia il diritto – tragico diritto – a lasciarsi morire di fame? Sì, se anche il Codice di deontologia medica stabilisce all’art. 53 che «il medico non deve assumere iniziative costrittive né collaborare a manovre coattive di nutrizione artificiale» nei confronti della persona che rifiuta volontariamente di nutrirsi. Questo diritto vale anche per le persone prive di coscienza? Così è implicito nell’art. 3 della Costituzione («Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge»). Se in questo ragionamento c’è qualcosa di sbagliato, per dimostrarlo serviranno argomenti più raffinati di quelli di Giuseppe Dalla Torre.

18 commenti:

Anonimo ha detto...

Giuseppe, questo post è ....mirabile ecco. Non trovo altre parole. L'argomentazione è ineccepibile...

Giuseppe Regalzi ha detto...

Grazie! :-)

Anonimo ha detto...

E che dici, mo' arrivano i papalini? So' curiosa stavolta...
;-)

Anonimo ha detto...

Risulta che Eluana avesse detto di voler morire di fame e di sete o di preferire l'essere morta al sopravvivere grazie alle macchine? Io ci vedo una differenza abissale. E', anche, il "come" morirà che angoscia molte persone, e che morirà così in nome "del popolo italiano" (come di solito vengono emesse le sentenze). Quel giorno lontano dell'incidente, forse, i medici non avrebbero dovuto insistere più di tanto nella rianimazione ma oggi Eluana morirà disidratata e i giudici hanno stabilito di "umidificarle le mucose" per diminuire lo strazio del suo corpo. Quanti di voi lascerebbero anche solo una lumachina morire così? Quanti avranno il coraggio di guardarla da vicino appassire come una pianta dimenticata?

Giuseppe Regalzi ha detto...

Eccoli! ;-)

Annarosa: ammesso che Eluana sia in grado di provare sensazioni (un'eventualità remotissima), sarà comunque sedata, e quindi l'orrore della morte per fame e per sete ci sarà solo per noi che assistiamo dall'esterno. Il modo per evitare anche questo ci sarebbe, ma visto che dell'eutanasia attiva in questo paese non si deve neanche parlare...

Anonimo ha detto...

"un'eventualità remotissima" ma neanche tu la escludi! Ripeto la mia perplessità su quanto deciso dai giudici in base a quello che aveva affermato Eluana: un conto è dire "non vorrei vivere così, preferirei morire" (e lo penso anch'io per me) ma SUBITO, lì per lì al momento dell'incidente; un'altra cosa è dire (l'ha detto?): "se mi capita di essere in SVP toglietemi la nutrizione che preferisco morire lentamente piuttosto che vivere così".

Giuseppe Regalzi ha detto...

Annarosa: è proprio per scongiurare quell'eventualità remotissima (di sensazioni dolorose, non di coscienza piena di quello che avviene) che si ricorre alla sedazione! Quanto a quello che voleva Eluana, c'è un episodio che forse non conosci. Quando il suo amico Alessandro rimase in coma in seguito a un incidente stradale, Eluana andò in chiesa ad accendere una candela e a chiedere una grazia per lui: non che riprendesse la coscienza, ma che morisse (pp. 48-49 della sentenza della Corte d'Appello). Si tratta, ne converrai, di un episodio singolare - conosci qualcuno che farebbe altrettanto in simili circostanze? - che getta una luce ben precisa sulle preferenze di Eluana.

Anonimo ha detto...

Devo dire che annarosa è davvero inquietante...Ma tocca il punto cruciale: se ci fosse una forma di eutanasia attiva possibile in Italia non si arriverebbe a questo paradosso ipocrita. Se Eluana nel 1992 avesse potuto esprimersi alla luce di questa imbecille italia odierna avrebbe chiesto l'eutanasia: che è un diritto, per chi lo chiede e fatta salva la valutazione neuropsicologica. Invece purtroppo la legge ha le mani legate anche se stasera ho apprezzato il magistrato Lamanna che ha affermato: 'prima di prendere questa decisione sofferta non dormivo la notte, invece ora dormo benissimo'. Se fosse stata possibile l'eutanasia attiva forse il magistrato si sarebbe anche risparmiato le ore insonni....
(ed Eluana quest'ennesimo affronto al suo cadavere....)

Joe Silver ha detto...

Non gliene frega assolutamente nulla delle preferenze di Eluana, ragion per cui questi cavilli sulla sua "vera" volontà sono, come al solito, speciosi.

Anonimo ha detto...

Annarosa, sono d'accordo con te.
Io propenderei per un'iniezione e una morte più dolce e pacifica, ma purtroppo in Italia è per assurdo considerato più rispettoso della vita farla morire così.

Sono contenta che nel caso specifico pare non sia in grado di accorgersene.

fabiana ha detto...

Inorridisco a leggere quell'articolo, che mi pare uscito paro paro dall'alto medioevo.
Ma questa gente lo capisce o fa finta di non capirlo, che quella sventurata ragazza non può più pensare alcunché?
Giuseppe, mi aggiungo ad Inyqua nel farti i complimenti, e aggiungo che troppe e troppo grosse ne ho sentite in questi giorni, per non essere tentata di ricorrere, per spiegare quelle affermazioni, a scenari che fanno francamente (e inevitabilmente) capo alla patologia...
In ogni caso, registro e mi annoto il silenzio che c'è qua, in confronto al clamore che (Inyqua lo sa bene) s'è alzato altrove.
Deboluccia, quell'argomentazione che si ha il coraggio di esprimere a casa propria, ma che non ci si arrischia a proporre in territorio "altrui" (che la parola "nemico" non mi piace).

Giuseppe Regalzi ha detto...

Grazie anche a te, Squitto. Dov'è l'altrove in cui si è sollevato il clamore che dici? Da Inyqua accennavi a un blog...

fabiana ha detto...

http://nihilalieno.splinder.com/post/17747890/Salmo+113#cid-47734546

ecco, è qui, più o meno da questo commento in poi...

Grendel ha detto...

@Squitto: ricorri, ricorri pure... :)
@Giuseppe: lo "Jus Poenitendi" vale anche per le fesserie di "Avvenire"?

Giuseppe Regalzi ha detto...

Grendel: direi di sì, ma chissà per quale motivo hanno deciso di non farvi mai ricorso... ;-)

Anonimo ha detto...

"Risulta che Eluana avesse detto di voler morire di fame e di sete o di preferire l'essere morta al sopravvivere grazie alle macchine? Io ci vedo una differenza abissale."
Io no, perchè non ce n'è.

"Quanti avranno il coraggio di guardarla da vicino appassire come una pianta dimenticata?"
Non so, però ci sono molti che devono trovare il coraggio di vederla nello stato terribile, senza dignità e senza speranza in cui si trova. La descrizione delle condizioni di Eluana è tremenda.

" morirà così in nome "del popolo italiano"
Per ora sta subendo una violenza insensata "in nome del popolo italiano". Anzi, in nome di santa romana chiesa, che non dovrebbe avere nessun diritto di parola in materia: non mi risulta che ne eleggiamo i politici nè che versiamo loro tasse....almeno non direttamente, perchè loro provvedono a rubarsene un bel po'.





"morirà così in nome "del popolo italiano" "
Per ora

Grendel ha detto...

Segnalo questa chicca:
http://tuespetrus.wordpress.com/2008/07/08/gianni1/

Avete presente quando si parla di "rispetto"?

Anonimo ha detto...

"un conto è dire 'non vorrei vivere così, preferirei morire' (e lo penso anch'io per me) ma SUBITO, lì per lì al momento dell'incidente; un'altra cosa è dire (l'ha detto?): 'se mi capita di essere in SVP toglietemi la nutrizione che preferisco morire lentamente piuttosto che vivere così'."

scusa ma se anche avesse potuto firmato per tempo un preciso e dettagliato testamento biologico riconosciuto dalle leggi e dai giudici oggi non staresti forse qua lo stesso a denunciare una condanna a morte in nome del popolo italiano?