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lunedì 13 ottobre 2008

Noia mortale

Il modo con cui i giornali hanno raccontato la faccenda, e le dichiarazioni rilasciate hanno dell’incredibile. Per esempio Carlo Alberto Defanti, il neurologo di Eluana, da sempre favorevole a staccarle il sondino: “Per il momento non è più a rischio di vita immediato. L’importante è che l’emorragia non ricominci”. Ma come, all’improvviso parliamo di “rischio di vita”? Non avete detto fino a cinque minuti fa che era un vegetale, una pressoché morta? E poi: perché adesso è diventato improvvisamente importante che l’emorragia non ricominci, per il medico che vuole farla morire di fame e di sete?
(Eluana Englaro è più viva che mai. Ma i giornali se ne sono accorti?, stranocristiano).
Concordo con Assuntina Morresi sulla approssimazione dei giornali (solo pochi esempi: Eluana sarebbe in coma; Eluana soffrirebbe di fame e di sete; Eluana ha reagito e così via). Ma il nostro accordo è solo formale, perché appena si entra nei contenuti l’incanto si spezza e quanto afferma (sarcasticamente o aspirando ad esserlo) la nostra è ambiguo – sembra volutamente ambiguo per approfittare della confusione.
Un vegetale è vivo, ma Assuntina è talmente distratta dalla sua reazione di scandalo da dimenticarlo. E dimentica anche di considerare la differenza tra vita biologica e vita personale (ultimamente mi sembro un disco rotto: non so se sia più impressionate leggere sempre le stesse cose o ritrovarsi a rispondere sempre le stesse cose...).
Tutto il resto è secondario, ed è lasciato alle opinione personali.
Ma se la premessa consiste nella confusione tra due livelli che devono essere distinti (il piano biologico e quello personale) è inutile proseguire nella discussione.
Siamo felici che anche Eugenia Roccella concordi, non ci avremmo dormito stanotte.

mercoledì 9 luglio 2008

Scienza e Vita ha le idee piuttosto confuse (o fa il gioco delle tre carte)

E sembra essere un eufemismo.
Come prevedibile la decisione dei giudici di Milano ha scatenato reazioni di ogni tipo. Finora la più interessante è quella contenuta in un comunicato di Scienza e Vita (già dal titolo: La società dei sani ha condannato Eluana).
Ci sarebbe molto da commentare, ma riporto un passaggio che rasenta la genialità. Secondo S&V la decisione si basa su motivazioni errate, e la più errata è

l’idea che una persona in stato vegetativo sia soltanto una vita biologica, dimenticando che fino a quando c’è vita biologica, quella è sempre e comunque una vita personale, espressione di una dignità che interpella in modo forte le coscienze e la responsabilità di tutti.
Sarebbe interessante chiedere loro cosa ne pensano del prelievo di organi. Prima di svelare il pericolo in agguato.

mercoledì 26 dicembre 2007

Il dovere della fede

La parte finale delle riflessioni di Bruno Esposito (Decano della Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università san Tommaso d’Aquino “Angelicum” di Roma) su Zenit (La legge sullaborto tra magistero della Chiesa e comunità politica) di ieri merita una lettura: in poche righe si svuotano e si adattano allo scopo di Esposito termini e concetti; i confini tra morale (per loro Verità) e legge saltano senza che ci sia bisogno di un paio di parole per sancire questa riunificazione e serpeggia un velo di ironia (parliamo – sembra dire Esposito – parliamo pure, ma tanto ho ragione io).

Ora se il Magistero non si stanca di ripetere in tutte le sedi ed in ogni occasione, anche a costo dell’impopolarità e di accuse d’ingerenza, il valore supremo ed inviolabile della vita fin dal suo concepimento, lo fa nella coscienza che questo è un suo preciso dovere. Dovere che pur nascendo ed illuminato dalla fede sa che non può rimanere relegato in essa. Tutto questo ha un significato specifico per tutti quei parlamentari che si professano cattolici. La difesa della vita non è questione confessionale, dove basta professarsi non credenti per trovare giustificazione a scelte e comportamenti che sono contro la ragione, la verità, il diritto e la giustizia.

Con la vita e la dignità della persona umana tocchiamo ambiti e decisioni che non sono soggetti al mero consenso della maggioranza per poter essere moralmente adottati. Tutto ciò esige dal Magistero ed in particolare da quei battezzati impegnati nell’amministrazione della cosa pubblica, il dovere d’intervenire nell’ambito politico evitando quel complesso d’inferiorità che spesse volte ha giocato un ruolo considerevole, con risultati nefasti, nell’impegno politico dei cattolici. Il dialogo è importante e doveroso, ma fermo restando l’importanza della ricerca della verità e della giustizia che mai potranno essere sacrificati sull’altare del compromesso, dell’opportunismo o del cinico utilitarismo, soprattutto quando su quell’altare saranno sacrificati degli innocenti.

martedì 4 dicembre 2007

Offensiva antiabortista

Rights for embryos proposed, Chicago Tribune, 12/05/2007:

activists in half a dozen states are preparing ballot referendums that would grant “personhood” and constitutional rights to embryos from the moment of conception.
Tuttavia
Anti-abortion activists face an uphill battle. Most Americans support the right of a woman to terminate her pregnancy in the first trimester, albeit with some restrictions. And many legal scholars believe granting constitutional rights to embryos would result in a host of unwanted legal consequences.

mercoledì 19 settembre 2007

Adottiamo gli embrioni (in quanto forme di vita potenziale)

Livia Turco (nella veste di Ministro della Salute) dichiara (Bioetica, Turco: sì ad adozione embrioni, hanno dignità umana, ApCom, 18 settembre 2007):

Io penso, e dicendolo spero di non suscitare scandali a sinistra, che possiamo pensare a rendere adottabili gli embrioni in esubero. Io riconosco dignità umana all’embrione. Dunque ho l’obbligo di trovare una risposta a chi mi chiede conto del destino di questa vita potenziale. Offrirla in adozione è un gesto, forse puramente simbolico, che attesta una posizione chiara.
Nessuno scandalo, magari qualche obiezione (e non a sinistra, ma da quanti hanno il dono del raziocinio). “Dignità umana” sta per “personalità morale e giuridica”? Pare di sì. Conseguenze? Ricadute giuridiche? Se c’è l’obbligo di trovare una risposta per la vita potenziale embrione, c’è anche l’obbligo di farlo per le altre forme di vita potenziale: chiedo che i miei ovociti possano essere adottati. Un gesto puramente simbolico, mica si fa sul serio. La buttiamo là, e poi torniamo a fare quanto abbiamo interrotto. Se ci fossero dubbi sulla natura effimera della proposta basta leggere poche righe più giù:
Quella di regalare ad altri un embrione che tu non puoi o non vuoi utilizzare […] mi sembra una buona idea, al di là della sua fattibilità reale.
Sulla legge 40:
Il ministro critica la legge 40 sulla fecondazione assistita: “A questa legge riconosco il merito di avere stabilito regole certe in un ambito in cui, prima, tutto era possibile. Detto questo, se mi si chiede un giudizio emotivo, dico che non mi piace. Perché sta rivelando tutti i suoi limiti. Da quando è stata varata […] la percentuale di successo degli interventi di fecondazione è diminuita e sono aumentati gli aborti spontanei, molti dovuti agli impianti plurimi. Trovo assolutamente crudele, perché rischioso per la salute della donna, l’obbligo dell’impianto di tutti gli embrioni prodotti. Un obbligo dettato dal divieto di congelarli o eliminarli”.
Lasciamo perdere le regole che prima non c’erano e la storia del Far-West. Un giudizio emotivo? Scusi, ma chi le chiede un giudizio emotivo? Ministro? Non ce ne frega molto del suo giudizio emotivo (con tutto il rispetto per la sua emotività). Cambi questa legge di merda! Ma se gli embrioni (l’ha detto poco prima) sono degni eccetera eccetera, è coerente non congelarli e non eliminarli. (A dirla tutta sarebbe coerente vietare del tutto la PMA.) Ministro?

domenica 16 settembre 2007

Parla con lei, ti ascolterà

Francesco D’Agostino commenta le dichiarazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla NIA (Nello stato vegetativo con la dignità di uomini, Avvenire, 16 settembre 2007). Commenti immaginabili. Un passaggio è illuminante sul suo modo di dimostrare una parere o una posizione:

È falso che la vita del comatoso sia solo biologica; la sua terribile malattia è parte costitutiva della sua biografia; parlargli, accarezzarlo, accudirlo, nutrirlo non sono azioni insensate e prive di un “ritorno”: ciò che si può apprendere dal prendersi cura di questi pazienti e grazie quindi a essi possiede a volte (anzi, quasi sempre) un valore incalcolabile.
Il ritorno è per chi parla, accarezza e accudisce oppure per chi è oggetto di quelle parole, carezze e accudimenti? E chi è che apprende? D’Agostino sembra confondere i soggetti in causa. Prima dice che la vita di X non è solo biologica in quanto la terribile malattia di X è parte costitutiva della biografia (sempre di X). Poi però il soggetto muta, e le esperienze di accudimento sono di incalcolabile valore per Y. Lo stesso ragionamento vale se Y parlasse, accarezzasse e accudisse un cane, un gatto, una pianta. Queste attività sarebbero per Y fonte di piacere e ricche di valore. E quindi? Da ciò che cosa deriverebbe, che il cane, il gatto o la pianta suddetti sarebbero persone?

venerdì 14 settembre 2007

Obbligo di nutrizione e idratazione artificiali

La Congregazione della Dottrina della Fede risponde ad un quesito della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti affermando che (Eutanasia, il Vaticano ai vescovi Usa. “Lo stato vegetativo è una vita da rispettare”, la Repubblica, 14 settembre 2007):

Anche se in “stato vegetativo permanente”, il paziente “è una persona, con la sua dignità umana fondamentale”. […] anche al paziente che si trovi in questa situazione “sono dovute le cure ordinarie e proporzionate, che comprendono, in linea di principio, la somministrazione di acqua e cibo, anche per vie artificiali”.
[…]
“La somministrazione di cibo e acqua, anche per vie artificiali è in linea di principio un mezzo ordinario e proporzionato di conservazione della vita”.
[…]
Tale somministrazione, spiega il dicastero vaticano, “è quindi obbligatoria, nella misura in cui e fino a quando dimostra di raggiungere la sua finalità propria, che consiste nel procurare l’idratazione e il nutrimento del paziente”. Secondo l’ex Sant’Uffizio, “in tal modo si evitano le sofferenze e la morte dovute all’indebolimento progressivo dell’organismo e alla disidratazione”.
È difficile commentare (i corsivi sono miei). L’inferenza più affascinante è quella dall’affermazione che le cure sono dovute (che ha ancora una sfumatura di non imposizione: se qualcosa è dovuto – come un tributo o un ringraziamento – ancora non è necessario legare il malcapitato per porgli il nostro sentito e sincero omaggio) all’obbligatorietà. Per il bene del paziente, ovviamente. Al quale nessuno però s’è preso la briga di domandare cosa voglia fare della sua vita (prima di scivolare nello stato vegetativo permanente, si intende).
L’idea sottostante è sempre la stessa: la vita è un dono, ma un dono particolare di cui non puoi disfarti rincartandolo e infilandolo sotto l’albero, non puoi disporne, il tuo vero intento (e comunque quello cui devi conformarti) è di prolungarla il più possibile, anche se non capisci più un cazzo di niente e non c’è nessuna speranza di miglioramento, pertanto rassegnati ad essere nutrito e idratato artificialmente (il tuo parere non conta), il Sant’Uffizio sa meglio di te cosa è giusto e cosa sbagliato. Fine della discussione. Anzi, non la cominciamo proprio, la discussione. La Verità mica si discute. Che siete duri d’orecchie?
Ah, Benedetto XVI ha ordinato la pubblicazione del testo contenente le disposizioni sullo stato vegetativo.
(Non è un argomento razionalmente cristallino, ma non posso fare a meno di ricordare, all’invocazione del rispetto di una vita ormai meramente organica, quante esistenze nel senso pieno del termine siano calpestate da questi fantocci vestiti di nero, con la benedizione di altri candidamente vestiti).
(Grazie a Destynova per la tempestiva segnalazione).

venerdì 9 marzo 2007

L’interruttore della vita 2

Il mio precedente post L’interruttore della vita ha ricevuto un commento di Eraldo Ciangherotti:

Chiamo il feto “bimbo non ancora nato” perché tale è; apprendo da Lei con vivo interesse che anche in America ci sia una simile sensibilità, come vede non si smette mai di imparare, ma ciò non toglie che la mia scelta lessicale sia appropriata e dimostrata da un dato scientifico: quel feto non è ancora nato ma potrebbe nascere prematuro rispetto ai nove mesi (si veda la nascita di Amillia Sonya Taylor a 21 settimane di gestazione) e quindi quel feto è degno di essere chiamato al di là degli aspetti emotivi, un bimbo non ancora nato, nel senso, ben si intende, che nascerà.
Se con “bimbo non nato” vuole intendere che (a certe condizioni) il feto diventerà un bambino siamo d’accordo. Ma, temo, che il nostro accordo si sciolga come neve al sole chiarendo il diverso significato che usiamo.
Io intendo “bimbo non nato” allo stesso modo di “girino non (ancora) rana”. Da questo non ritengo si possa inferire che oggi quel girino sia già una rana (l’essere dentro o fuori dall’utero materno non è un dato moralmente rilevante). In ogni modo è utile ricordare che le definizioni concepito, embrione, feto o bambino sono convenzioni linguistiche. Che certo si basano sull’embriologia e che rispondono a una concezione filosofica (così come adolescente, ragazzo, maggiorenne, adulto, vecchio). Riguardo alle decisioni di inizio e di fine vita la distinzione fondamentale è tra “persone” e “esseri umani” (qui intendo: “non persone”). Le possibilità sono due:

1. che gli esseri umani siano sempre anche persone;
2. che gli esseri umani non siano sempre anche persone (e qui entrano in ballo i criteri per individuare l’emergenza o il dissolvimento dell’essere persona).

Su Amillia Sonya Taylor (nonché sul recente caso di aborto che lei stesso nomina in chiusura di questo commento e che D. mi ha invitato a trattare) tornerò presto con una riflessione specifica. Abbia la pazienza di rimandare la mia risposta ad allora.
Quanto alla differenza tra la vita biologica e quella personale la sua tesi quanto la mia possono essere attaccate e controbattute, noi preferiamo lasciare l’ultima parola alla coscienza della Ragione per arrivare alla verità, senza falsi pregiudizi ideologici.
Il significato di “lasciare l’ultima parola alla coscienza della Ragione per arrivare alla verità, senza falsi pregiudizi ideologici” non mi è chiaro. Se quello che intende dire è che in ultima analisi dovrebbero essere le singole coscienze a decidere siamo perfettamente d’accordo. Le ricordo però che sostenere che la vita personale abbia inizio all’incontro tra i gameti non lascia spazio alcuno alle singole coscienze! Perché se all’organismo che si forma con l’incontro di un ovocita e di uno spermatozoo si attribuiscono i diritti di cui godiamo io e lei (e tutti quelli che sono indubitabilmente persone) allora le conseguenze sono nitide. E spesso molto drammatiche (solo per farle un esempio riferendomi ancora alla Unborn Victims Violence Act: una donna che durante la gravidanza fumava crack ha partorito un neonato morto. Nonostante nessun medico abbia potuto dimostrare la connessione tra l’assunzione di crack e la morte (lei sa meglio di me quanto sia spesso difficile accertare la causa della morte di un feto agli ultimi stadi di una gravidanza) la donna è stata condannata a 12 anni di reclusione per omicidio. Omicidio. E molte donne, nonostante i loro bimbi siano nati e godano di perfetta salute, hanno subito processi per abuso e maltrattamento infantile, nonché per spaccio di sostanze stupefacenti. La strada per la criminalizzazione di molti comportamenti delle donne durante la gravidanza è pericolosa. Soprattutto se lo strumento usato è una legge. Questo non significa che durante la gravidanza non sia consigliabile e preferibile un comportamento prudente: ma criminalizzare la gravidanza è qualcosa di molto diverso).
La legge n°194/78 è il trionfo della donna, non certo dell’uomo o della coppia, e di questo me ne dispiaccio perché ho sempre apprezzato nell’altro sesso tante qualità tra le quali il dono assoluto, e non relativo, della maternità come una prerogativa squisitamente femminile! Ogni volta che viene attaccata l’applicazione di questa legge, la prima voce che “esce dal silenzio” è quella certa “femminista” che dopo il ‘68 ha cominciato la sua battaglia per la “libertà” attraverso l’aborto legalizzato. Vada a rileggersi tutti i fascicoli inerenti la presentazione del disegno legge del 1978 e troverà che questa goliardica visione dell’“utero è mio e lo gestisco io” ha trovato ampia applicazione nella legalizzazione dell’aborto. Quanto ai numeri di aborti praticati in clandestinità, al nostro Convegno nella 29a Giornata per la Vita, è stato ampiamente dimostrato quanto i dati all’epoca inerenti le statistiche fossero falsificati e falsati in maniera inaccettabile oggi, quasi da farci convincere che gli Italiani si siano lasciati motivare nella scelta referendaria dai tanti zeri incolonnati, come fossero il temibile spauracchio della finanziaria di governo; se non crede a me, si metta in contatto con il Giudice Pino Morandini, che ha tenuto il suo discorso su questo argomento in maniera schietta e senza controbattute da nessuno in sala.
Non sarò io a parlare in nome di chi ha fatto battaglie al grido “l’utero è mio”. Posso soltanto ribadire che la possibilità legale di fare ricorso all’interruzione di gravidanza è legittima e moralmente ineccepibile. Foss’anche la 194, poi, stata sostenuta per proteggere 1 sola donna finita a provocarsi un aborto. Quanto alla eventuale manipolazione di dati: lei dice che le relazioni annuali dell’Istituto Superiore di Sanità riportano dati sballati?
Leggerò senz’altro le sue indicazioni ed eventualmente le risponderò.
Ci tengo a segnalarle un dato: “la Fondazione “International Planned Parenthood” ha resto pubblico il proprio studio che stima in 19 milioni le donne e ragazze al mondo che rischieranno quest’anno un aborto non sicuro e in più di 70.000 il numero di coloro che moriranno di tali aborti” (Fonte: Reuters, 6 febbraio 2006). Ma forse hanno falsato anche loro questi numeri. Chissà.
Tuttavia ci tengo ad anticipare e a chiarire una possibile obiezione: non è il fatto che esistono aborti clandestini (e tutte le terribili conseguenze) che rende la possibilità di interrompere una gravidanza moralmente ammissibile. Questo elemento è un dato aggiuntivo (altrimenti potremmo spostare il ragionamento ai furti e dire: dal momento che i furti esistono (e magari hanno pure conseguenze sgradevoli per il ladri) allora legalizziamo i furti!).
Quanto al “Coscione” voglio ben augurarmi sempre per l’autorità che il sito Le accredita, che Lei sappia andare oltre un errore di scrittura tra una “e” ed una “i” e Le auguro che davvero il termine coscione, che Lei mi accredita e sicuramente ad onore della mia performance atletica, non sia anche un po’ “suo” per ragioni plastiche; a tal proposito Le basti questo per comprendere che la mia stima per l’Associazione Coscioni si esaurisce nel rispetto per la morte di Luca come essere umano e non certo per le irragionevoli posizioni su cui dice di battersi tutto lo staff ad esso legato. Peraltro, a tal ragione, Le invio il mio articolo pubblicato su un autorevole giornale a titolo “Le nuove pompe funebri del terzo millennio”, per completarLe il quadro del mio giudizio.
“Ragioni plastiche”? Il “Coscione” era un po’ una burla (e le mie di cosce non c’entrano davvero nulla). Io credo che le battaglie che sono state di Luca Coscioni hanno poco di irragionevole. Quanto al suo intervento Quel marketing con obiettivo la morte (leggibile nel commento), se dovessi rispondere a tutti gli spunti non mi basterebbe l’intero finesettimana, e domani vado alla manifestazione a piazza Farnese. Perciò mi limito a qualche riflessione (lungi dall’essere una arringa difensiva di Maria Antonietta Coscioni che non credo ne abbia bisogno).
Il “protocollo d’uscita” non è una imposizione. La volontà della persona e del paziente è inviolabile. E come tale anche quando chiede qualcosa di tanto drammatico come di morire. O lei è d’accordo nell’imporre a qualcuno di vivere nonostante non voglia più?
Luca Coscioni ha rifiutato la trachetomia: rifiuto legittimo e protetto dalla Costituzione. Ognuno di noi ha la possibilità di rifiutare qualsiasi trattamento medico anche se questo rifiuto comporta la morte.
Mario Riccio ha rispettato la volontà di Welby, al contrario di quanti si sono barricati sulla sacralità della vita.
Le ricordo che l’Associazione Coscioni si batte da tempo per garantire ai malati la migliore assistenza possibile, il diritto di voto ai disabili, le tecnologie per migliorare la loro esistenza devastata da malattie terribili, l’assistenza domiciliare, le cure palliative. E si batte anche per il totale rispetto delle loro volontà.
Soffocando la libertà non si offende la vita che tanto difende? In uno scambio acceso tra il protagonista di Mare Dentro e il prete che sostiene “La libertà che elimina la vita non è libertà”, Ramòn risponde “E la vita che elimina la libertà non è vita”.
La conclusione naturale sarebbe già arrivata per i tanti malati in assenza delle tecnologie che li tengono in vita: perciò non ha molto senso invocare la “morte naturale”. Nel rispetto della vita è incluso il rispetto per la volontà oppure no?

giovedì 8 marzo 2007

Ma il girino non è già una rana!

Massimo Zambelli risponde al mio post L’interruttore della vita con Eppur c’è notte.
A mia volta rispondo, almeno su alcuni punti fondamentali.

Una prima risposta mi fa dire che se non è possibile stabilire con l’ausilio di metodiche scientifiche l’inizio della vita umana, allora occorrerà affidarci alla convenzionalità di una decisione, presa, si spera, democraticamente. E quindi, se nel nostro Stato si è deciso che la vita umana comincia con la fecondazione, cioè con l’ingresso del gamete maschile nell’ovulo, tale è la verità da accettare. Punto, non si discute. La decisione è stata presa. La legge 40 ha definito il concepito un soggetto. Il referendum che voleva dimostrare che il popolo non era d’accordo ha fallito. Era un bluff. Il popolo non era lì frebbicitante a voler far cadere l’Orribile e Oscura Legge. Le pretese masse che avrebbero stabilito una nuova e legittima convenzionalità non si sono trovate. Erano latitanti. I sondaggi che strombazzavano i dati del 60% di adesione di favorevoli a eliminare la legge 40 si sono rivelati falsini. Secondo le regole democratiche (si sarà in grado di accettarle sempre?) la scelta è compiuta. Il resto sono chiacchiere da perdigiorno.
La prima mia obiezione riguarda il modo di prendere una decisione. Non concordo sul fatto che il modo giusto sia quello democratico. Mi spiego: se ci fosse un plebiscito a sostegno del creazionismo (o della schiavitù o di quello che vi pare) saremmo disposti a sostenere che il creazionismo è una ipotesi più convincente dell’evoluzionismo? Io dico di no. Questo non significa che le persone non possano legittimamente credere nel creazionismo (ma la legittimità di una credenza non attribuisce necessariamente forza alla credenza in questione).
La forza di una argomentazione sta altrove. In estrema sintesi: nella sua coerenza interna, nel fare riferimento a informazioni corrette e nel non fare salti logici illegittimi.
Rispetto alla validità del referendum sulla Legge 40 ci siamo già espressi (quel famoso 75%).
Però qui si inizia a contestare e ad autocontraddirsi: la scelta è sbagliata, si dice, e il concepito non è un essere umano. Ma come lo si dice e in base a quale ragionamento? Affermando che non si può stabilire quando inizia una vita umana. C’è una gradualità che rende indefinibile il confine di un prima e un dopo. Ma, ripeto, se non esistesse accertabilità scientifica allora tutto è convenzionale, e se tutto è convenzionale si deve accettare quello che è stato deciso. Si può obiettare solo a partire da una pretesa veritativa. Si può dire che il concepito non è ancora (ma allora quando? Si saprà dirlo senza gradualismi?) un essere umano solo sapendo quando lo è e quando lo diventa. Quindi i contestatori, se continuano a polemizzare nonostante la decisione presa, pretendono di sapere quando inizia la vita umana. Peccato che solo loro vogliono saperlo e che impongono agli altri di non poterlo sapere.
Io non ho mai detto che il concepito non sia un essere umano. Bensì, che non è una persona. E ho aggiunto che persona è un concetto filosofico. Convenzionale, certo, ma sostenuto da alcuni argomenti che mi sembra superfluo ribadire (il blog ne è pieno zeppo). La “pretesa”, pertanto, riguarderebbe i criteri per l’esistenza di una persona (ripeto, non di un essere umano).
Il sistema biologico di un nuovo individuo ha nella fecondazione e nella graduale fusione dei gameti il suo inizio accertabile biologicamente. Pensa la Lalli che se si spostasse alle prime trentadue ore di vita dell’Ootide (neologismo per dire l’inizio dell’embrione) cambierebbe qualcosa per la possibilità di manipolarlo? Proprio la gradualità, che si può intendere anche come continuità, dimostra che non vi sono salti tra stadi di sviluppo. La diagnosi preimpianto, che oggi è solo selezione eugenetica e che a testare la “conformità” dell’embrione alle primissime fasi del suo sviluppo, testimonia che siamo in presenza di un soggetto umano. Se non ci fosse infatti continuità tra il soggetto adulto e il soggetto nei primi momenti del suo crescere, non avrebbe senso testarne la salute. Scarto oggi l’embrione con alcune caratteristiche non gradite perché quello che è oggi si svilupperà immancabilmente nel tempo. È lo stesso individuo. Gradualmente e quindi con continuità manifesterà quello che oggi è presente in modo latente. La gradualità tra l’embrione e il bambino o il ragazzo o l’adulto, indica la presenza dello stesso soggetto. Ad usare l’argomento della gradualità per relativizzare la possibilità di decidere e per imporre arbitrariamente la propria decisione, pone anche dei lievi disguidi ontologici, quali ad esempio l’impossibilità di definire l’essere umano rispetto a uno scimpanzé o a un altro animale: in fondo la vita è talmente graduale che non si possono distinguere. Con queste idee il razzismo era acqua di colonia rispetto a quello che se ne può dedurre.
La gradualità non ci permette di attribuire oggi diritti a X in nome di quello che sarà domani (pur nella continuità dello sviluppo). Altrimenti saremmo autorizzati ad anticipare il diritto di voto ad un bambino di 4 anni perché tra 14 sarà maggiorenne (è una analogia, questa, che mira a evidenziare che il fatto che vi sia gradualità non basta a cancellare le distinzioni esistenti). Quanto al confine tra specie siamo d’accordo. Ma questa realtà mina lo specismo e il razzismo, non li fonda. L’inesistenza di “salti” tra specie e tra fasi (non-persona/persona) non esclude le distinzioni, ma le rende difficoltose e ci pone di fronte a vaste aree chiaroscurali (il girino che diventa una rana; la crisalide che diventa farfalla: tuttavia non possiamo sostenere che il girino sia già rana, e la crisalide sia già farfalla. O che la rana sia già principe prima del bacio! Ma quella era una magia...). Quanto all’ootide ho detto altrove quello che penso (una breve sintesi qui; la versione lunga qui).
Verissimo che il concetto di persona è filosofico e non biologico. Ma la capacità di scoprire la verità mediante ragionamento filosofico è ben superiore alla lettura dei dati offerti da tutte le scienze empiriche. C’è sempre un ragionamento dietro a una teoria. I puri dati senza la filosofia e il ragionamento sono lettera morta. Ciò detto, è proprio il ragionamento a stabilire l’unitarietà di uomo e persona. Separare Dire uomo riferito alla dimensione corporea dell’individuo, e persona per indicare certe condizioni psichiche significa tranciare l’unità psico-pneumo-corporea e discriminare inevitabilmente tra chi è uomo ma non persona da chi lo è. Per persona si intendono chi è dotato di qualità come l’autodeterminazione e l’autocoscienza. Ci si rende conto che così facendo si escludono bambini, pazzi, distratti e dormienti? Se si è persona quando l’autocoscienza-determinazione è in atto ci si accorgerà che si sarà persona per particelle di tempo all’interno di un intera esistenza. Chi dorme o è distratto non è persona. Ma lo diventa appena si sveglia o appena si rende conto di sé, si obietta. Anche l’embrione lo diventa, basta aspettare il suo tempo di sviluppo. L’essere umano è persona in quanto essere umano. È la peculiarità della sua natura ad avere la qualità personale. Perciò, appena siamo in presenza di un individuo della specie uomo lì c’è persona. Dove c’è uomo c’è persona, non viceversa. «La persona è una sostanza individuale di natura razionale», dice Boezio. Di natura razionale. Per natura siamo persone. Dove appare un individuo della specie umana c’è una persona. Altrimenti regna l’arbitrio delle attribuzioni e delle negazioni di questo attributo naturale.
Non vorrei rispondere elencando (per contrastare Boezio) i tanti che sostengono la distinzione tra essere umano e persona (gli argomenti per autorità non mi convincono molto). La presenza dell’autocoscienza come requisito personale funziona anche per i dormienti i pazzi etc. (ci tornerò).
La condizione necessaria ma non sufficiente per rilevare la presenza di una pur primitiva coscienza e autocoscienza è costituita dalla presenza e dal funzionamento del sistema nervoso centrale: inesistente nelle prime fasi dello sviluppo embrionale e negli individui morti cerebralmente (perché distrutto). Se si vuole chiamare arbitrio la gradualità della formazione del sistema nervoso (e quindi l’emergenza della persona) si chiami pure arbitrio. Basta intendersi su quello che si vuole denotare.
Ciò che vale per l’inizio vale anche per la fine. Non è la fine di certe caratteristiche a far finire la persona. Ma la sua morte. Finché c’è vita umana c’è persona. Con la morte cerebrale c’è la fine dell’unità sistemica della vita di un individuo umano e perciò della sua persona. Affermare che «l’omicidio riguarda le persone e non gli esseri umani» è totalmente irrazionale e arbitrario. Oltre che terribilmente pericoloso. Se chi dorme non è persona in atto (lo sarà , certo, al risveglio, ma intanto non lo è!) allora uccidere un dormiente non è reato, perché si sarebbe ucciso “solo un uomo” e non una persona... È l’uso degli stessi termini a tradire l’illogicità: “omicidio” è letteralmente uccisione dell’uomo, non della persona; in questo caso si dovrebbe dire persocidio.
A questo ho già risposto. Con la morte cerebrale c’è la morte dell’organo (cervello) ritenuto caratteristica fondamentale: quando si espiantano gli organi non lo si fa da un morto, ma da un essere umano (da un corpo) che ha perduto quanto lo rendeva anche persona. (Personicidio andrebbe meglio di persocidio, ma i motivi per i quali si usa omicidio sono lunghi e al momento per me inelencabili.)
Quanto all’espianto di organi, spero che i medici amici dell’ideologia di Bioetiche aspettino la morte del paziente prima di procedere all’espianto. Perchè anche mentre si è sotto anestesia non si è persona in atto, non si ha auto-coscienza-determinazione. Non essendoci più persona potrebbero pensare che di far cosa gradita alla lista dei malati “svegli” razzolare quel che serve. Quando sopravviene la morte cerebrale si pone fine allo sviluppo dell’individuo (uomo, persona), punto che chiamiamo morte, perciò l’espianto è legittimo. O forse, anche la morte ha una gradualità tale da risultare impossibile definirne l’arrivo, con qualche problema in più per l’anagrafe e per il sistema previdenziale che terrà in sospeso l’erogazione delle pensioni fino a data da destinarsi.
I medici aspettano la morte cerebrale. Non mi soffermo a commentare scenari terrifici che non mi appartengono e che non sono una inferenza corretta delle mie affermazioni. Credo che sarebbe più corretto dire che Bioetiche (che poi sono io e Giuseppe Regalzi e non un impersonale blog) propone idee non condivisibili, esagerate etc. etc.; ma non ideologia. Ideologia proprio no.
Quando la gradualità non è sinonimo di continuità dell’unità psico-pneumo-somatica diventa l’alibi per il comodo crepuscolo permanente. Cioè potere non decidere per avere mani libere. Con una consistente contraddizione logica. Se la gradualità posta all’inizio sposta sempre in avanti l’inizio della persona, allora la stessa gradualità posta alla fine impedisce di stabilire quando finisce una persona (lasciando perdere quando la persona sia poi, finalmente, iniziata). Non si dovrebbe mai fare espianti o eutanasia di persone in coma, perché come la vita anche la morte non ha un confine precisabile. Un eterno crepuscolo. Eppure, a ben guardare, ci sono dei vivi e dei morti. C’è il giorno e c’è la notte.
L’analogia tra inizio e fine vita è corretta finché siamo in presenza di un processo di distruzione del cervello. Quando però la distruzione è compiuta, la persona non c’è più. Il fatto che il giorno muti gradualmente nella notte non annulla di certo la differenza tra il giorno e la notte. Ho mai sostenuto questo? Il crepuscolo è la zona di incertezza. Non si può però nemmeno sostenere (come fa Zambelli) che la notte sia già il giorno e viceversa (lo sostiene per essere umano e persona, ma vale per gli altri esempi).
In chiusura ci tengo a rivelare come la penso sul rapporto mente-cervello, che Zambelli rende triadico come psico-pneumo-soma. Esistono 2 sostanze o realtà (e non 3 come suggerisce Zambelli): una è quella materiale del cervello; l’altra è quella della mente (pur sempre materiale; ma qui ci addentriamo in problemi di filosofia della mente che andrebbero fuori tema...).

Aggiornamento: Ivo Silvestro interviene in questo scambio analizzando alcuni passaggi rilevanti di Zambelli. Di questo lo ringrazio, io avevo tralasciato qua e là...
Scienza e filosofia: siamo uomini o persone?

martedì 6 marzo 2007

L’interruttore della vita

Lo so benissimo e per dirla con le parole di mia nonna: “Te le cerchi!”.
Vero, è quasi irresistibile. Oggi trovo questa lettera di Eraldo Ciangherotti, Presidente Centro Aiuto Vita ingauno, Vicepresidente Movimento per la Vita Liguria, Il Centro Aiuto Vita ingauno risponde alle dichiarazioni del comitato “Usciamo dal silenzio”, Il Vostro Giornale, 5 marzo 2007.

Lascio a lui l’onere di raccontarcene il pretesto.

Leggiamo con stupore le “scontate” considerazioni che il neo comitato “Usciamo dal silenzio” di Albenga ha proposto in un articolo del periodico locale “Ponente”, in merito alla Tavola rotonda del 04/02/2007 organizzata dal Centro Aiuto Vita Ingauno dal titolo: “La legge n°194/78 sulla tutela della maternità e sull’aborto: storia, applicazioni e limiti” con ospite relatore il Senatore Rocco Bottiglione. Stupore non tanto per la sostanza delle dichiarazioni, peraltro già da quaranta anni trite e ritrite di un esasperato femminismo codificato nel DNA di un simile Comitato, quanto invece per i tempi ritardati con cui arriva la sua controrisposta.
Per scivolare nel cuore del problema. È abbastanza evidente che la scelta lessicale di bambino non ancora nato rispecchi una posizione concettuale che identifica l’essere umano con la persona e che riecheggia una scelta analoga statunitense: unborn child, sostenuta (loro sono più avanzati di noi) da una legge federale che si chiama Unborn Victims of Violence Act (ove le unborn victims sono gli embrioni, non soltanto quelli aggrediti dalle interruzioni di gravidanza volontarie).
Noi del Centro di Aiuto alla Vita ingauno siamo decisamente “per la vita del bambino non ancora nato insieme alla madre” e non contro la madre e contestiamo la Legge 194/78, che ci auguriamo subisca presto una reale modifica, semplicemente perché, con l’apparente intenzione di eliminare la clandestinità onerosa degli aborti, ha istituito la legalità dell’interruzione volontaria della gravidanza con una troppo facile procedura che spesso si limita ad un certificato medico rilasciato alla madre dopo una settimana di possibile “ripensamento”, e tutto questo per garantire alla donna la libera scelta di essere madre a discapito però di un bimbo non ancora nato e soprattutto indifeso. A questo Comitato appena nato, che esce dal silenzio a scoppio ritardato, desideriamo ricordare che la biologia dimostra senza dubbi come la vita di un nuovo essere umano abbia inizio con la fusione dei gameti maschile e femminile, rispettivamente prodotti dal padre e dalla madre, e che dal momento del concepimento l’embrione umano si sviluppa mediante un processo di crescita coordinato, continuo e graduale. Il Comitato “Usciamo dal silenzio”, insieme ai Radicali italiani, all’Associazione Luca Coscione e a quanti sostengono l’aborto come un vero trionfo della donna, chiama “conquista civile” la triste soglia di aborti che annualmente procede al ritmo di 130.000 aborti procurati e che solo in Albenga ha raggiunto i circa 200 aborti solo nell’anno 2005.
Noi desideriamo ricordare in risposta che il fatto che manipolare concetti quali la vita biologica richieda una qualche cautela, spesso coincidente con una elementare informazione. Parlare di inizio della vita è abbastanza insensato (non esiste, nella vita biologica, un inizio così evidente come invece nel caso della creazione). La fusione dei gameti, come ogni processo biologico, è graduale. Sfido io chiunque a indicarmi dove (l’esatto momento in cui) il giorno sfuma nella notte. Stesso problema per la fusione dei gameti: un processo, nessun interruttore (off: non vita, on: vita). Anche se si riuscisse ad aggirare questo ostacolo, ce ne troviamo davanti un altro: la differenza tra vita biologica e vita personale e l’impossibilità di affidarsi alla biologia per dirimere la questione (filosofica, ahimè).
Non mi piace parlare a nome di qualcun altro, ma suggerirei al Ciangherotti di non liquidare in blocco il giudizio sulla legge 194 come il trionfo della donna (che si diverte a abortire con tanto di coccarde e festicciole più o meno improvvisate). La conquista civile assumerebbe altri connotati se il Ciangherotti fosse informato sui numeri delle morti e delle complicazioni implicate dalla clandestinità (forse gli verrebbero i brividi nel sapere cosa succede nei Paesi in cui non esiste una 194). Coscione, poi, sarà lei, caro Ciangherotti. Perché Luca e l’omonimo Associazione volgono al plurale: Coscioni, con la “i” finale.
È possibile per noi anche arrivare a comprendere, come dichiara il Movimento “Usciamo dal silenzio”, che le donne negli anni settanta avessero l’onesta pretesa di mettere al centro della vita sociale la maternità e che non chiedessero morte del feto ma diritti per la donna. Altrettanto però ci sembra indiscutibile che questa loro battaglia, anziché aver procurato servizi sociali alla maternità realmente utili per la donna, abbia semplicemente mantenuto e segnato il traguardo di tanti aborti praticati. Per noi invece, e ci auguriamo anche per le quattromila famiglie che riceveranno in Albenga in questi giorni il nostro giornalino trimestrale “Il Chicco di Grano”, l’immagine di Amillia Sonya Taylor, la bimba nata prematura a 21 settimane di vita intrauterina e oggi, dopo 4 mesi di incubatrice, già in condizioni di vivere a casa con la famiglia, è la testimonianza più significativa e autentica che lo sviluppo del feto è lo sviluppo di un essere umano, di una persona che resta, unica e sola, indifesa di fronte alla scelta di una donna di interrompere la gravidanza per qualunque ragione, materiale o psicologica. E nella cultura della gente fortunatamente comincia a diffondersi questa verità, che l’embrione è già un essere umano fin dal concepimento, che l’aborto di conseguenza è l’omicidio volontario di un essere umano, innocente e indifeso e che all’aborto possono essere trovate valide alternative sul piano sociale. Ecco perché applaudiamo all’iniziativa della Regione Lombardia, che nella persona del Presidente Roberto Formigoni, ha compiuto il primo passo verso il riconoscimento dell’essere persona all’embrione, istituendo e regolamentando per il feto abortito la sepoltura obbligatoria nel cimitero e non lo smaltimento assieme con i rifiuti speciali degli ospedali.
Tralascio l’avvio di questa terza parte della lettera del Ciangherotti limitandomi a ribadire che la “verità” che l’embrione è un essere umano nessuna persona ragionevole metterebbe in discussione. Ma l’omicidio riguarda le persone e non gli esseri umani. Basta ricordare al proposito che la definizione di morte celebrale permette di espiantare organi da esseri umani che non sono più persone, perché il loro sistema nervoso centrale è totalmente e irrimediabilmente distrutto. O sarebbe disposto il Ciangherotti a definire gli espianti come omicidi?
Gran bella conquista, poi, quella di attribuire personalità (giuridica e morale) all’embrione tramite la celebrazione del suo funerale! Conquista sia logica che umana.

sabato 3 marzo 2007

È vita umana? Ai posteri l’ardua sentenza

Dalla lettera di alcuni studenti di Comunione e Liberazione a Elena Cattaneo.

C’è qualcosa che sta più in profondità di qualsiasi brevettabilità futura, che è più originale di qualunque possibile applicazione, pur importante che sia: è l’oggetto del nostro studio, che detta sempre il metodo al nostro lavoro. Per questo siamo usciti molto preoccupati, forse anche un po’ sconcertati, dal convegno pubblico che lei ha organizzato nella nostra Facoltà. È possibile fare ricerca, senza porsi la domanda principale: che cosa ho di fronte? Nella fattispecie: che cosa è l’embrione? È vita umana?
Inutile che i sostenitori di questa iniziativa (nonché gli stessi firmatari) si ostinino a dire che domandare è lecito, che questa missiva è un buon esempio di espressione democratica, che i fanciulli sono alla ricerca di un dialogo.
Certo che domandare è lecito e certo che è possibile: sarebbe tuttavia augurabile non inciampare in goffe dichiarazioni (seppure seguite dal punto di domanda). Se si vuole essere presi sul serio bisogna formulare correttamente le domande.
Passi la frase iniziale, in cui serve un fine esegeta per capire che secondo loro esiste qualcosa di profondo e originale che si pone come ostacolo e brevetti e a applicazioni (il sacro come muro contro la tecnologia e la sua arroganza). Ma la domanda centrale è del tutto fuori bersaglio. Avranno mai letto qualche cosa di diverso dalle dichiarazioni di Scienza & Vita? Perché saprebbero che la questione non è questa. Perché la risposta alla suddetta domanda non è affatto controversa: l’embrione umano (andrebbe messo qui l’aggettivo umano) è umano, banale no? Appartiene alla specie umana, sfido io qualcuno che abbia un po’ di sale in zucca e dire il contrario. Che cosa avrebbero dovuto domandare allora i nostri ciellini? Se questo embrione umano che è vita umana è anche qualche altra cosa: ovvero una persona. Suggeriamo pertanto di riformulare la domanda. (La mia risposta dovrebbe essere immaginabile, ma sono disponibile a ripeterla e a offrire argomenti a sostegno.)

venerdì 2 febbraio 2007

Il dilemma dell’embrione sepolto

La Regione Lombardia ha approvato un nuovo regolamento per le Attività Funebri e Cimiteriali.
Un buon risultato: si potranno disperdere le ceneri anche di chi è morto prima dell’entrata in vigore della nuova legge, nell’autunno scorso. Chi è stato cremato prima della legge e tumulato ora potrà essere disseppellito e le sue ceneri disperse nel luogo preferito. Sarà possibile chiederlo a partire dal 12 febbraio, presso l’ufficiale di stato civile del Comune dove è avvenuto il decesso (da Lombardia: anche i feti avranno il funerale, vita.it, 31 gennaio 2007).

E un risultato piuttosto discutibile: il regolamento varato dalla regione Lombardia prevede la sepoltura per tutti i feti, compresi quelli che provengono da aborti sotto i cinque mesi. O meglio, lo impone. Perché nel caso in cui la donna o i genitori non siano interessati o si rifiutino di celebrare il funerale, sarà la struttura ospedaliera a garantire degna sepoltura (nei fatti: ci saranno delle barette? artigiani specializzati in piccoli funerali?).

Pessimo gusto a parte, i problemi sono: in primo luogo l’imposizione. Se fosse stata una possibile scelta della donna o dei genitori sarebbe stato accettabile (ripeto, di pessimo gusto ma non è giusto proibire il pessimo gusto); ma rendere obbligatorio il funerale è grottesco e insensato.
Inoltre: il funerale quanto costerà (a pagare è la Regione, le Asl)? Questione concettualmente non dirimente, ma sicuramente la lista delle possibili destinazioni dei fondi che saranno usati per questo ridicolo rituale è lunga.
Infine (e forse il punto più importante): davvero è un colpo ben assestato alla affermazione della personalità dell’embrione? (Sono indecisa al momento.)

Roberto Formigoni dichiara: “Per la prima volta in Italia si riconosce al feto il rispetto che merita”. E non avevamo dubbi sul pensiero del presidente lombardo.
Il regolamento regionale riconosce che “anche i feti sotto le venti settimane sono prodotti del concepimento, non più rifiuti speciali” (letteralmente è vero che i feti siano prodotti del concepimento; non è questa la questione, ma se quei prodotti siano titolari di diritti: se quei prodotti siano persone).
Secondo Flamigni questi sono solo “problemi dettati dall’ideologia religiosa che spingono il Paese verso la dittatura dell’embrione”.
(Aborto: Flamigni, Sepoltura Feti Apre Strada a ‘Dittatura Embrione’, 31 gennaio 2007, AdnKronos Salute)

Per Flamigni, la scelta di dare sepoltura ai feti è anche rischiosa: “Per quale ragione si deve fare di un pezzo di placenta il punto di riferimento delle preghiere? Per una donna che ha abortito – sottolinea – significa dare ancora più corpo al dolore, amplificare un evento che già viene vissuto come un lutto”. La scelta della Regione Lombardia non nasce dal nulla. Secondo Flamigni, qualcosa di simile era già nell’aria da tempo: “Quando nella scorsa legislatura, una parlamentare di Forza Italia aveva proposto di dare un nome a tutti gli embrioni – ricorda Flamigni – pensavo si trattasse di uno scherzo. A quanto pare la Regione Lombardia ci ricorda che non è così”.
Ognuno dovrebbe fare quello che gli pare: se una donna vuole celebrare il funerale a un pezzo di placenta, che lo facesse. Le preghiere, d’altra parte, vertono sulle questioni più strambe. E rivolgersi a un pezzo di placenta non è tanto più strano di rivolgersi a un pezzo di legno, pure se a forma di croce. La storia del lutto abortivo ha già suscitato una polemica infinita, e non vorrei rianimarla... Però è decisamente semplicistico legare indissolubilmente l’aborto al vissuto di dolore e di lutto. Non aggiungo altro, per carità.
La proposta di dare un nome a tutti gli embrioni era geniale, bisogna riconoscerlo. Una proposta ioneschiana.

giovedì 11 gennaio 2007

Il disegno (intelligente?) di una persona

Anche l’embriologia può tornare utile all’ideologia; basta usare la fantasia (In nessun momento siamo massa informe, Avvenire, 11 gennaio 2007).
La scoperta della presenza di cellule staminali nel liquido amniotico (“amniotic fluid-derived stem cells”) offre una buona occasione per affermare lo statuto personale del concepito (e quindi di tutte le fasi successive dello sviluppo umano. Lo slogan più o meno è: si è persona dal concepimento!).

“Il “progetto” di un embrione è già definito 24 ore dopo il concepimento. Quando lo zigote, la prima cellula nel nuovo organismo, si è moltiplicata appena due volte, già ha un asse che resterà riconoscibile nell’asse di sviluppo dell’individuo. E già è definito esattamente da quali cellule si svilupperà la nuova creatura, e quali invece formeranno la placenta”.
Ebbene? È in agguato il seguente ragionamento: siccome è presente l’asse individuale (unico e irripetibile) allora quell’asse è intoccabile, e siamo di fronte alla dimostrazione incontestabile della presenza della persona (che diventerà). Ecco la prova che metterà a tacere chi nega la personalità agli esserini umani fin dal concepimento! E adesso è inconfutabile che dall’incontro dell’ovocita e dello spermatozoo ci sia un individuo che merita tutela e rispetto. Di più: che sia una persona, titolare di diritti fondamentali.

Eccoci qua confortati nella nostra interpretazione:
L’annuncio di Cambridge assume un altro valore: nei mammiferi, e dunque nell’uomo, l’embrione non è, nemmeno nelle primissime duplicazioni, massa amorfa, non è materia grezza in attesa di essere organizzata. Non è “cosa”, ma – fin dal principio – disegno.
Verrebbe da chiedere, a voler essere puntigliosi, che cosa diavolo implica essere un disegno; ma è abbastanza chiaro che un disegno si oppone agli scarabocchi fatti durante una conversazione telefonica e che vengono subito dopo gettati via e dimenticati. Un disegno no. Si conserva, si rispetta. E allora se l’embrione è un disegno...
Che non sia “cosa” è evidente: chi ha mai sostenuto che il concepito sia una cosa? Forse qualcuno che non capisce nulla di embriologia; o meglio uno che proprio non capisce nulla. Che ipotesi sarebbe? Il concepito è inizialmente una “cosa” e poi magicamente diventa un omino? Prima è una cosa e poi diventa materia organica, vivente, pulsante di vita e di disegni? Che è, Pinocchio?
Ma eccoci alla più stupida delle opposizioni: il disegno che si oppone alla “casualità di una natura cieca”. E abbiamo anche il parere autorevole di Magdalena Zernicka-Goetz usato allo scopo: “C’è la memoria della prima scissione cellulare, nella nostra vita”. E quindi? Forse la spiegazione viene ora (è anche poetica):
“Già nell’oscurità profonda dell’inizio, un disegno unico, mai ripetuto né più ripetibile. Quattro cellule e dentro, pronto a dispiegarsi, il cervello, le mani, gli occhi di un figlio. 
Gli uomini, in questo buio di cui ancora sanno così poco vanno a mettere le loro mani orgogliose: tolgono, manipolano, selezionano. Come se fosse “roba”. Come se fosse un niente. Mentre c’è tutto, lì dentro, nascosto in un microscopico infinito: un altro uomo, dunque un mondo intero. C’è una scienza, oggi, che dopo la pretesa arrogante comincia a dirci: eppure, il primo giorno già c’è un disegno. Commuove, una scienza capace di essere così grande, e umile insieme. Ma che già tutto fosse scritto, il primo giorno e, crediamo anzi, fin dal primo istante, altri uomini l’avevano intuito. «Non ti era occulto il mio essere/ allorché io fui formato nel segreto/ ed ero intessuto nelle profondità della terra», cantava un ignoto salmista ebreo, forse tremila anni fa”.
Disegno? Ancora con il disegno? Ma perché non vi dedicate all’educazione artistica? Educazione a parte, se anche volessimo preferire a disegno qualcosa come potenzialità o prevedibilità di un certo sviluppo, non potremmo mai sostenere che quanto accadrà in futuro sia già presente oggi. (Se anche fossimo disposti ad ammettere che Les Demoiselles d’Avignon fossero già preesistenti nelle mani e nella testa e nei pennelli di Picasso, questo non significherebbe che nel 1906 esisteva già un quadro. Magari c’era un disegno, quello sì. Certo, che sciocca che sono.)
L’incontro di uno spermatozoo e di un ovocita, pur avviando un percorso predefinito (calcare troppo questo aggettivo denota ingenuità; non ho voglia di spiegare oltre) e unico, non crea una persona. L’unicità non è poi un valore che abbia un senso intrinsecamente: anche un lombrico è unico e irripetibile, ma non significa che sia una persona.
E il fatto che prima o poi una persona esisterà non ci autorizza a sostenere che quella persona esiste già oggi. Al concepito non possono essere conferiti i diritti delle persone; non può essere considerato né trattato alla stregua delle persone; si può scarabocchiare all’infinito ma non è possibile cavarne il profilo di una persona.

giovedì 7 settembre 2006

Michael Tooley: infanticidio e attribuzione di un serio diritto alla vita all’embrione

Come promesso riprendo la discussione sullo statuto dell’embrione proponendo la tesi di Michael Tooley.

Secondo Michael Tooley (Michael Tooley, 1983, Abortion and Infanticide, Oxford, Oxford University Press) le più accettabili teorie sull’aborto sono quelle più estreme. La teoria che attribuisce al concepito un diritto alla vita è, senza dubbio, una teoria estrema. Anche se non si dichiara direttamente sull’aborto, prende posizione su una questione che costituisce il cuore del dibattito sulla legittimità dell’aborto (e di tutte le tecniche che coinvolgono l’embrione): il problema della definizione di persona come titolare di diritti.
Tutti i sostenitori della legittimità dell’aborto devono sostenere che persona si diventa ‘ad un certo punto’, e prima di quel punto, di quella soglia, è moralmente ammissibile intervenire per interrompere una gravidanza, dopo no, a causa del fatto che l’aborto si trasformerebbe nell’interruzione della vita di una persona, quindi in omicidio. Il problema della soglia è il problema di indicare una differenza moralmente rilevante tra i diversi stadi dello sviluppo di un essere umano, dallo zigote al neonato. Tale decisione non trova e non può trovare una soluzione ‘fattuale’, dal momento che nessun cambiamento fisiologico è intrinsecamente rilevante dal punto di vista morale, e che lo sviluppo prenatale è costituito da una linea continua e senza fratture. La linea di sviluppo concepito-persona è immaginabile come un segmento ove l’estremità sinistra è costituita dal concepimento, mentre l’estremità destra è delimitata dalle condizioni che definiscono un organismo come persona. È evidente che, per i sostenitori della teoria estrema della vita, tale segmento si contrae fino a diventare un punto (il concepimento e la vita personale prendono avvio nello stesso momento); per i sostenitori della distinzione tra concepito e persona, l’estremità di destra sarà collocata tanto più lontano da quella di sinistra quanto più l’emergenza delle caratteristiche proprie di una persona sarà collocata in uno stadio avanzato dello sviluppo (in un momento t precedente alla nascita, in un momento t coincidente con la nascita, in un momento t posteriore alla nascita).

La difficoltà di scegliere e di dimostrare la collocazione temporale di una soglia non indebolisce la distinzione tra pre-persona e persona. La difficoltà, se non l’impossibilità, di stabilire quando (l’esatto momento in cui) dall’infanzia si passa all’adolescenza o dalla giovinezza all’età adulta, rende la scelta del punto di passaggio arbitraria e non sostenuta da evidenze biologiche e psicologiche. Questa impossibilità non insinua comunque il dubbio o la tentazione di sostenere che non ci sia differenza tra uno stadio evolutivo e l’altro. I ‘più onesti’ e i più scrupolosi sarebbero disposti a indicare una fase di dubbio, che richiede precisazioni e aggiustamenti, ma che costituisce lo spartiacque tra pre-persona e persona: un segmento piuttosto che un punto esatto di discrimine.
Qualunque sia il momento in cui un ‘concepito’ diventa persona, quel momento è determinato dall’acquisizione di alcune caratteristiche, che permettono di attribuirgli un diritto alla vita e di parlare di inviolabilità di tale diritto. Prima di tale momento si può parlare solo un processo biologico complesso che, se non interrotto, evolverà in persona umana (cui indubitabilmente si attribuisce un diritto alla vita). Ammettiamo, per ipotesi, di conferire un diritto alla vita alla farfalla ma non al bruco (né alla crisalide) e di non poter indicare l’uscita dal bozzolo come il punto critico di passaggio da bruco a farfalla, non ritenendo tale evento come moralmente rilevante (allo stesso modo in cui non accettiamo che la nascita sia moralmente rilevante e costituisca il momento in cui un concepito diventa persona umana). Saremmo costretti a individuare determinate caratteristiche tali che l’organismo X possa essere definito farfalla e non più bruco: un certo grado di formazione delle ali, lo sviluppo di antenne sensibili, un certo accrescimento del corpo. È evidente che tali caratteristiche non insorgono in un momento t bensì si sviluppano lungo un certo periodo di tempo (una fase di dubbio, in cui è difficile decidere se X sia ancora bruco o già farfalla) e non insorgono neanche al momento della ‘nascita’ (la farfalla all’uscita del bozzolo è già farfalla). Nonostante queste difficoltà, continuiamo a distinguere concettualmente e fisicamente il bruco dalla farfalla (nonché lo stadio intermedio di crisalide), pur non riuscendo ad indicare l’esatto momento in cui avviene la trasformazione.

La posizione di Tooley acquista vigore dal confronto con la dottrina che sostiene che si è persone fin dal concepimento, abbracciata ad esempio dai cattolici e dai conservatori.
‘Dal momento che esistono le persone umane – ciò è indiscutibile – o lo si è da subito oppure mai’, sostengono i fautori di questa teoria estrema della vita, trascurando di specificare almeno una premessa che renderebbe più comprensibile la suddetta affermazione: poiché non si verifica mai, nello sviluppo prenatale, un evento individuabile come cruciale per la trasformazione di un grumo di cellule in persona. Secondo Dionigi Tettamanzi è l’unità sostanziale tra lo zigote e la sua continuità ontologica con il neonato la dimostrazione che fin dal concepimento esiste un uomo in senso proprio. “Il fatto che, dal punto di vista psicologico e sociale, la persona si realizzi come personalità in un lungo cammino di relazioni e di apporti culturali non toglie, anzi esige, che dal punto di vista ontologico, l’individuo umano possegga ciò che consente il suo realizzarsi come personalità fin dall’inizio della vita embrionale e pertanto debba ottenere il rispetto dovuto alla persona. Di conseguenza […] la dignità di persona va riconosciuta e attribuita a ogni individuo umano fin dal momento della fecondazione” (Dionigi Tettamanzi, 2000, Nuova Bioetica Cristiana, Casale Monferrato, Piemme, pp. 248-249). In base a questo ragionamento, si è persone da subito, ovvero, a partire dal concepimento, perché l’altra possibilità, che non si è mai persone, non è ovviamente neanche da prendere in considerazione (riprendendo l’esempio del bruco e della farfalla, si direbbe che si è da subito farfalle, oppure mai). Il problema è che la continuità ontologica tra lo zigote e il neonato è proprio ciò che si doveva dimostrare, mentre Tettamanzi la considera una premessa innegabile e ne inferisce la conclusione tautologica: il concepito è persona.
Ramón Lucas Lucas sostiene che “c’è una profonda ragione metafisica per cui la vita biologica dell’embrione è e deve esser già vita personale. […] La vita umana è la vita di uno “spirito incarnato”. Dunque una vita vegetativa d’un embrione umano è una vita personale umana perché il suo principio vitale unico è l’anima spirituale” (Ramón Lucas Lucas, 2001, Antropologia e Problemi Bioetici, Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, p. 84, il corsivo è mio). Un’analisi anche superficiale lascia emergere che, messe da parte le affermazioni riguardanti lo spirito incarnato e l’anima spirituale, non c’è nessuna argomentazione razionalmente accettabile a favore della necessità di considerare una vita vegetativa come una vita personale. La vita di un grumo di cellule è la vita di una persona in virtù della presenza (e delle proprietà) dell’anima. È superfluo sottolineare che tale (presunta) spiegazione è da rifiutare allo stesso modo in cui la spiegazione delle pestilenze rifiuta la credenza che fossero gli untori a scatenare l’insorgenza del male (al massimo potremmo concedere una corresponsabilità della diffusione agli untori se e solo se erano appestati, allo stesso modo in cui erano corresponsabili della diffusione tutti gli appestati). Il richiamo a Dio o all’anima come una soluzione al dilemma dello statuto giuridico dell’embrione somiglia, come si dice, al tentativo di risolvere il mistero tramite un altro mistero, magari più autorevole ma pur sempre un mistero. Inoltre non può fare appello a un accordo unanime, perché è razionale affermare che sebbene alcuni individui accetterebbero l’argomento di Dio, molti lo rifiuterebbero. Per questo motivo non può offrire una dimostrazione né può essere utilizzata come premessa: coinvolgere Dio significa far tacere la discussione oppure farla retrocedere al problema dell’esistenza di Dio.

La posizione conservatrice è meno ingenua: dal momento che è sbagliato distruggere un neonato, lo è anche distruggere uno zigote o un qualsiasi stadio intermedio nello sviluppo dell’essere umano; se si afferma che è sbagliato distruggere un neonato ma non uno zigote o un qualsiasi stadio intermedio nello sviluppo dell’essere umano, così come sostengono i fautori della distinzione tra pre-persona e persona, si deve specificare una linea divisoria non arbitraria tra ciò che è moralmente ammissibile distruggere e ciò che non lo è.
In questa posizione è possibile distinguere concettualmente due argomenti: quello della difficoltà nell’indicare una soglia e quello della potenzialità. Al primo ho già risposto; il secondo merita una breve trattazione.
L’argomento della potenzialità dice che è moralmente inammissibile distruggere qualsiasi stadio intermedio nello sviluppo dell’essere umano in virtù del fatto che l’esito di questo sviluppo sarà una persona. L’embrione è un soggetto moralmente e giuridicamente rilevante perché ha la potenzialità di acquisire caratteristiche moralmente e giuridicamente indiscutibilmente rilevanti, cioè quelle attribuite alle persone.
La prima obiezione consiste nel rilevare che la possibilità che un organismo acquisisca in futuro caratteristiche che lo rendono diverso dallo stato attuale, non è affatto una buona ragione per trattarlo come se avesse già acquisito quelle caratteristiche. Altrimenti, come suggerisce John Harris, dal momento che tutti noi siamo potenzialmente morti, dovremmo trattarci come se lo fossimo già (le analogie sono innumerevoli: sani/malati, giovani/vecchi, etc.). Il fatto che l’attribuzione di diritti attuali sia derivato da future proprietà sia un errore commesso esclusivamente nel dibattito che riguarda lo statuto embrionale, sembra suggerire una certa disonestà di questa argomentazione. Nessuno accetterebbe, infatti, di attribuire il diritto di voto a un dodicenne, soltanto perché egli è un ‘potenziale votante’ e tra sei anni godrà di quelle proprietà che sono indicate come necessarie all’attribuzione del diritto di voto; tale diritto ora è solo potenziale, e non può essere reso attuale (Joel Feinberg).
La seconda obiezione consiste nel sostenere che l’argomento della potenzialità impone di difendere e garantire tutte le potenzialità umane, e questo richiederebbe tempo e energie quasi illimitati. Oltre all’embrione, infatti, anche lo spermatozoo e l’ovulo nel loro insieme, anche se non ancora uniti, sono potenzialmente un essere umano in senso pieno. Tutto ciò che potenzialmente è un embrione è anche potenzialmente un essere umano in senso pieno. Tutti gli anelli della catena causale che conducono alla persona sono potenzialmente persona: anche lo spermatozoo e l’ovulo considerati singolarmente hanno la potenzialità di contribuire alla fecondazione, e dunque di essere persona.

Tooley intende confutare la tradizionale obiezione etica contro l’aborto, che consiste nell’attribuzione di un diritto alla vita all’embrione e al feto (attribuire un diritto alla vita al feto determina, a seconda dell’assolutezza di tale diritto, la condanna di immoralità anche della sperimentazione embrionale, della diagnosi preimpianto che non sia meramente conoscitiva, della soppressione o della crioconservazione degli embrioni). Le questioni da discutere diventano quella di (1) quali proprietà deve possedere un organismo per avere un serio diritto alla vita, e (2) qual è il momento nello sviluppo di un membro della specie umana a partire dal quale si possiedono tali proprietà. In altre parole, cosa rende un organismo una persona e quando un organismo diventa una persona. Il concetto di persona è puramente morale, e deve essere distinto dal termine descrittivo ‘essere umano’: come tale accolgo l’uso da parte di Tooley dell’enunciato ‘X è una persona’ quale sinonimo dell’enunciato ‘X ha un (serio) diritto alla vita’. Spesso nelle discussioni vengono usati i termini ‘persona’ ed ‘essere umano’ come sinonimi, ma le conseguenze di questa interscambiabilità sono filosoficamente confuse. Per evitare confusione il termine ‘essere umano’ può essere sostituito dall’espressione ‘membro della specie homo sapiens’, evitando l’ambiguità di umano e lasciando soltanto una caratterizzazione in termini fisiologici di un certo tipo di organismo biologico.
La risposta di Tooley alla prima questione è il requisito dell’autocoscienza: “un organismo possiede un serio diritto alla vita solo se possiede il concetto del sé come soggetto continuo nel tempo di esperienza e altri stati mentali, e crede di essere una tale entità continua nel tempo” (Michael Tooley, 1972, Abortion and Infanticide, “Philosophy and Public Affairs”, 2, 1, pp. 37-65; ora in Giampaolo Ferranti, e Sebastiano Maffettone, 1992, (a cura di), Introduzione alla Bioetica, Napoli, Liguori, p. 33). La tesi sottostante al requisito dell’autocoscienza è che vi sia un rapporto tra attribuzione di un diritto e un desiderio corrispondente. Tooley espone inizialmente una versione semplificata del suo argomento dell’autocoscienza, i cui passaggi fondamentali possono essere riassunti come segue. (1) ‘A ha diritto a x’ significa approssimativamente che ‘se A desidera x, allora gli altri devono astenersi da azioni che possano deprivarlo di x’. È necessario chiarire cosa si intenda per desiderio e chi sia in grado di provarne; perciò (2) ‘A ha diritto a x’ diventa sinonimo di ‘A è soggetto di esperienza e altri stati mentali, A è capace di desiderare x, e se A desidera x, allora gli altri devono astenersi da azioni che possano deprivarlo di x’. A questo punto l’analisi deve essere applicata a un diritto specifico, ovvero al diritto alla vita: ove ‘vita’, si badi, non significa ‘mera esistenza di un organismo biologico’, ma ‘esistenza da parte di un soggetto di esperienza e altri stati mentali’. Allora (3) ‘A ha diritto alla vita (=diritto a continuare a esistere come soggetto di esperienza e altri stati mentali)’ è sinonimo di ‘A è soggetto di esperienza e altri stati mentali, A è capace di desiderare di continuare a esistere come tale, e se A desidera continuare a esistere, allora gli altri hanno un obbligo a non impedirgli di fare ciò’. L’ultimo passo dell’argomento di Tooley è rappresentato dalla definizione dei requisiti tali che qualcosa possa avere il desiderio di continuare a esistere come soggetto di esperienza e di altri stati mentali (il possesso del concetto di soggetto di esperienza e altri stati mentali e la credenza di essere un soggetto del genere), e dalle eccezioni all’inferenza desiderio-diritto e soprattutto al suo opposto non desiderio-non diritto. È possibile violare il diritto di x di un individuo anche se costui non desidera x (coma, sonno, turbamento emotivo), e per questo Tooley deve introdurre una rettifica all’iniziale argomento semplificato: “il diritto di un individuo a x può essere violato non solo quando egli desidera x, ma anche quando desidererebbe ora x se non fosse per una delle seguenti ragioni: (i) si trova in uno stato emotivamente squilibrato; (ii) è temporaneamente privo di coscienza; (iii) è stato condizionato a desiderare la mancanza di x” (pp. 37-38).
Chiarita la natura del requisito dell’autocoscienza, Tooley afferma che l’embrione e il feto non posseggono un simile requisito, e quindi non godono di un serio diritto alla vita che deve essere tutelato; in altre parole, non sono persone. È evidente che non possa essere considerato come una persona nemmeno il concepito, e questo è quanto mi interessa sostenere in questa sede. L’onere della prova pesa, adesso, sulle spalle di coloro i quali intendono sostenere il contrario. (Per concludere il ragionamento di Tooley, la dimostrazione che il feto e l’embrione non sono persone rappresenta una potente difesa della libertà di abortire sulla base di un forte principio morale. Il carattere estremo della posizione di Tooley è determinato dal fatto che l’attribuzione di quelle caratteristiche di autocoscienza necessarie per l’emergenza della persona non sia contemporanea alla nascita, ma successiva ad essa: un neonato non può avere la capacità di desiderare di esistere come soggetto di esperienze ed altri stati mentali. Il fatto che l’attribuibilità dell’autocoscienza si manifesti solo in seguito alla nascita rende moralmente equivalenti il neonato e il feto per un certo periodo di tempo e moralmente ammissibili sia l’aborto che l’infanticidio. A me basta, lo ripeto, affermare che il momento dell’acquisizione dello statuto di persona non sia coincidente con il concepimento né con la fase iniziale della sviluppo embrionale, ma occorra in seguito.)

Se si accoglie la posizione di Michael Tooley, si accetta che l’embrione non è una persona (intendendo con questo il possesso di un serio diritto alla vita), e la più forte obiezione contro l’aborto cade – e così contro la manipolazione degli embrioni. Ma vi sono molti che rifiutano tanto la conclusione che l’argomento usato e, sebbene non siano capaci di provare l’erroneità di un simile argomento, considerano l’embrione alla pari di una persona. Senza concedere loro nulla gratuitamente, desidero indagare la questione come se all’embrione fossero attribuiti dei diritti, tra questi anche il diritto alla vita, il più controverso di tutti. In altre parole, intendo rispondere alla seguente domanda: quali sono le implicazioni del conferire all’embrione lo statuto morale e giuridico di una persona, dell’attribuirgli un serio diritto alla vita?
L’eventuale attribuzione di diritti all’embrione implica una potenziale violazione dei diritti di un’altra persona (la madre). Attribuire all’embrione un diritto alla vita, determina inevitabilmente un contrasto con il diritto alla vita (incontrovertibile) della madre. Attribuire un serio diritto alla vita all’embrione implica, in primo luogo, un indebolimento o l’annullamento della libertà di abortire. L’aborto sarebbe accettato se e solo se la vita della madre fosse in pericolo in caso di non interruzione della gravidanza (ma solo nel caso in cui il diritto alla vita di questa fosse ritenuto più forte del diritto alla vita del nascituro; nel caso in cui il diritto alla vita del feto fosse considerato più forte del diritto alla vita della madre, è evidente, l’aborto diventa in ogni caso inammissibile). Inoltre l’attribuzione di un diritto alla vita all’embrione delinea uno scenario in cui i diritti di due persone possono entrare in conflitto: un comportamento volto a non danneggiare lo sviluppo prenatale, ad esempio, potrebbe essere imposto per legge (e non soltanto essere ritenuto morale e consigliabile), pena la violazione di un diritto di un soggetto di diritti (il concepito durante tutta la gestazione), e dunque punibile. Un caso estremo del conflitto tra i diritti dell’embrione e i diritti della madre è rappresentato da un fatto di cronaca della primavera 2001: negli Stati Uniti Regina McKnight, il cui comportamento è giudicato la causa della nascita di un bambino morto, è accusata di omicidio e condannata a scontare dodici anni di carcere. Nel 1996 la Corte Suprema di uno degli Stati roccaforte del movimento anti-abortista, il South Carolina, approva una legge che considera persona il feto che abbia raggiunto l’autosufficienza, la possibilità cioè di sopravvivere fuori dall’utero (a viable fetus is legally a person ). Nel 2001 viene approvata una legge federale che vuole tutelare tutti i cittadini, compresi quelli non ancora nati: l’Unborn Victims of Violence Act.

Su Regina McKight e l’Unborn Victims of Violence Act torneremo.

lunedì 21 agosto 2006

Il problema della definizione di ‘persona’: qualche riflessione filosofica

Mi intrometto nel dibattito avviato da un post di qualche giorno fa. Con un accenno riguardo alla definizione filosofica di persona e ai problemi sollevati dalla distinzione essere umano-persona-individuo. A questo post ne seguirà presto un altro sulla posizione estrema di Michael Tooley, che offre spunti interessanti per la discussione.

Persona
La questione di quando si comincia ad essere persone è una questione squisitamente morale. Anche Charles Darwin ne aveva una lucida consapevolezza: la possibilità di indicare il punto in cui ha inizio una vita umana non si dà nella natura (qualunque cosa stia ad indicare ‘natura’: biologia, fisica, genetica), ma è una questione di valore. Non c’è alcuna speranza di scoprire un segno rivelatore, un salto nei processi vitali dotato di un qualche valore. “Abbiamo bisogno di tracciare linee; abbiamo bisogno di una definizione della vita e della morte per molti obiettivi morali importanti. Gli strati di dogmi preziosi che si accumulano, per difesa, attorno a questi tentativi fondamentalmente arbitrari sono ben noti, ed eternamente bisognosi di aggiustamenti” (Daniel C. Dennett, 1995, Darwin’s Dangerous Idea. Evolution and the Meanings of Life, New York, Simon and Schuster; trad. it. L’idea Pericolosa di Darwin. L’Evoluzione e i Significati della Vita, Torino, Bollati Boringhieri, 1997, p. 656). Questi aggiustamenti non richiedono il perfezionamento di strumenti o l’avanzamento della conoscenza scientifica, ma implicano una scelta morale, tanto più accettabile quanto più razionalmente argomentata. “Non esiste un modo “naturale” di segnare la nascita di un’“anima” umana, non più di quanto esista un modo “naturale” di marcare la nascita di una specie” (Dennett 1995, pp. 656-657). E allora, prosegue Daniel C. Dennett, qual è la scelta peggiore, prendere misure “eroiche” per mantenere in vita un neonato con gravi malformazioni, oppure compiere il passo eroico (sebbene non celebrato) di fare in modo che il neonato abbia una morte più rapida e indolore possibile? Il pensiero darwiniano non è in grado di offrire soluzioni, ma almeno può annientare l’illusione di risolvere tali questioni con un algoritmo morale.

Accettare che un agglomerato di cellule possa essere definito come persona appare difficilmente comprensibile. Al fine di sciogliere questa incomprensibilità filosofi come John Harris (John Harris, 1989, The Value of Life, London, Routledge and Kegan Paul e John Harris, 1992, Wonderwoman and Superman, Oxford, Oxford University Press; trad. it. Wonderwoman e Superman, Milano, Baldini & Castoldi, 1997) e Joel Feinberg (Feinberg, Joel, 1980, Rights, Justice, and the Bounds of Liberty: Essays in Social Philosophy, Princeton, Princeton University Press) propongono una distinzione tra pre-persona e persona. Il termine pre-persona comprende lo zigote, l’embrione e il feto (il concepito) fino a un certo momento. L’emergenza di alcune caratteristiche permette di individuare lo stato di persona, determinato dall’autocoscienza e da una rudimentale intelligenza, quindi dalla capacità di apprezzare la propria esistenza. Non è possibile stabilire l’esatto momento in cui una pre-persona acquisisca tali caratteristiche (alla nascita? In un tempo t prima della nascita? In un tempo t dopo la nascita?). Risulta inevitabile ammettere una zona chiaroscurale, tuttavia tutti i sostenitori della distinzione tra pre-persona e persona ritengono possibile distinguere un momento in cui i concepiti sono inequivocabilmente pre-persone, e un momento in cui sono persone.
Al contrario, i sostenitori della teoria estrema della vita sostengono la coincidenza temporale e concettuale del concepimento e dell’inizio della vita personale; tale coincidenza viene inoltre presentata come la soluzione alle difficoltà che lo stabilire una soglia implica – indicare cambiamenti moralmente rilevanti in un processo continuo quale lo sviluppo e l’evoluzione di un grumo di cellule in una persona umana.
Ma l’affermazione che la vita umana comincia nel momento dell’incontro tra un ovulo e uno spermatozoo è problematica. In un certo senso tale affermazione è addirittura falsa, in quanto sia l’ovulo che lo spermatozoo sono già vivi prima del concepimento. Si può facilmente concedere ai sostenitori di tale posizione che vogliano intendere che il concepimento sia l’inizio di un nuovo essere umano specifico: ma anche questa tesi può essere criticata.
In primo luogo ci si trova di fronte a un possibile inganno, perché sono molte le cose che possono incominciare al concepimento. L’ovulo fecondato diventa una massa cellulare che si divide in due componenti principali, l’embrione e il trofoblasto; quest’ultimo si sviluppa fino a diventare la porzione fetale della placenta e il cordone ombelicale, e alla nascita viene espulso. Tale suddivisione cellulare è particolarmente interessante: vi sono due cose, uguali geneticamente, vive e umane ma solo una è considerata degna di essere protetta.
In secondo luogo, un ovulo fecondato non è ancora un ‘singolo nuovo essere umano’, perché fino a due settimane dopo il concepimento può incorrere in una divisione gemellare, che può dare origine a due individui, invece che ad uno. Come intendere, allora, un’esistenza di un individuo che ha la durata di due settimane e che può poi trasformarsi in due individui? Come può un singolo essere umano diventare due o più esseri umani con il passare di qualche giorno?
Vi è infine una terza questione: se l’ovulo fecondato in vitro di Louise Brown (nella foto insieme ai genitori) è considerato già Louise Brown, anche l’ovulo non fecondato era Louise Brown, dal momento che si sapeva che l’ovulo sarebbe stato fecondato di lì a poco. Infatti l’ovulo non-ancora-fecondato è vivo, è un antecedente causale di Louise, è nessun altro che Louise, e allora esso non è altro che Louise Brown. Se qualcuno avesse rovesciato in laboratorio la provetta contenente l’ovulo non ancora fecondato di Louise, avrebbe interrotto la vita di Louise Brown.
Determinare l’esatto inizio della vita personale è evidentemente difficoltoso; abbracciare la tesi secondo la quale ha inizio con il concepimento sembra implicare il rischio di dover considerare persone ovuli umani non fecondati, spermatozoi, un tessuto, una cellula, il cordone ombelicale e di dare loro lo stesso peso giuridico di un individuo adulto.
Un altro cattivo argomento sostegno dell’attribuzione dello statuto di persona al concepito consiste nell’invocare Dio come garante di questa verità indiscutibile, un po’ come lo si invocava quale dimostrazione definitiva dell’immortalità o dell’esistenza dell’anima. Garante e allo stesso tempo padrone di ogni esistenza. Secondo questa tesi è Dio che decide l’avvio di ogni nuova esistenza caratterizzata da un’anima e da una identità precisa, in altre parole è già vita personale inalienabile.

martedì 18 aprile 2006

Leon R. Kass e i pericoli delle biotecnologie

Per fortuna che Leon R. Kass ci mette in guardia verso i pericoli della moderna tecnologia biomedica. Come se servisse un’altra Cassandra, tra le tante cui la modernità ha regalato anche il dono di essere credute dalla massa (Leon R. Kass advierte del peligro de las modernas técnicas biomédicas, Aceprensa, 10 aprile 2006).
Il tono è quello adatto alle profezie infauste, e gli argomenti più o meno pure. La tecnologia biomedica ci sta disumanizzando: questo il cuore del monito kass(andr)iano. L’utilizzo delle cellule staminali embrionali produce due effetti secondo Kass: distrugge gli embrioni e corrompe la nostra natura.
Come contorno, Kass specifica che gli embrioni sono esseri umani. Ma dimentica che questo non è che una asserzione banale e descrittiva: gli embrioni appartengono alla specie homo sapiens, nessuna persona ragionevole si oppone a tale verità. Il problema è: e allora? Essere un essere umano cosa implica? Per rimanere nel discorso di Kass, non implica che sia anche una persona. Il passaggio (e il giochetto) cruciale si radica nella relazione tra essere umano e persona. Coincidenza? Diversità? È sufficiente appartenere alla specie umana per essere una persona? No.
Il consunto argomento sventolato da Kass è inservibile. “Anche io sono stato un embrione e se mi avessero usato per la sperimentazione non starei qui a sostenere questa conversazione”.
Che mi si passi il dubbio che in termini di somma totale della felicità umana forse non ci sarebbero state drammatiche conseguenze per una simile carenza. Ma, soprattutto, il ragionamento non dimostra che l’embrione-Kass era una persona. Ma soltanto che se non fosse qui ora a parlare, non sarebbe qui a parlare. E non ci sarebbe oggi la persona Kass. Quando Kass ha cominciato ad essere persona? Secondo Kass (e secondo molti altri) dal concepimento, però non fornisce alcuna ragione intelligibile.
Se mia nonna non avesse girato a destra sul corso del paese, non avrebbe incontrato mio nonno, e non sarebbe nata mia madre, e non io starei qui a parlare. Un po’ come Ritorno al Futuro, scomparirei risucchiata dalle innumerevoli altre possibilità (mia nonna girava a sinistra, mio nonno era omosessuale, mia madre partiva per il Canada, etc.). Tutto questo, però, non dimostra che io ero una persona nel fatidico momento dell’incontro tra i miei nonni, non più di quanto lo fossi al momento del mio concepimento, né qualche settimana più tardi, quando ero embrione.