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lunedì 1 dicembre 2014

800 861 061: a cosa serve il Telefono Verde AIDS



L’Unità Operativa Ricerca psico-socio-comportamentale, Comunicazione, Formazione si colloca all’interno del Dipartimento di Malattie Infettive, Parassitarie e Immunomediate dell’Istituto Superiore di Sanità e svolge attività di ricerca, prevenzione, formazione, consulenza e coordinamento di network. Il Telefono Verde AIDS e IST si colloca nell’area prevenzione. Anna Maria Luzi, direttore dell’Unità Operativa, Matteo Schwarz, consulente legale, e Anna Colucci, ricercatrice, ci raccontano la storia del telefono e a cosa serve.


800 861 061

«Il Telefono nasce nel 1987, cioè negli anni in cui l’epidemia era devastante» dice Luzi. «C’erano 5 linee telefoniche, passate poi a 6. Quanto agli orari, all’inizio il servizio era attivo dalle 13 alle 17, poi fino alle 18, dal lunedì al venerdì. Rispondono esperti in diverse discipline: medici, psicologi, legali, specialisti in comunicazione sanitaria. Il servizio è offerto non solo in italiano ma anche in altre lingue: inglese, francese e portoghese. Nell’ultimo anno, l’attività di HIV/AIDS/IST counselling telefonico è stato integrato da un sito, Uniti contro l’AIDS, risultato di un progetto promosso e finanziato dal Ministero della Salute per divulgare informazioni scientifiche relativamente all’HIV e alle infezioni sessualmente trasmesse (IST) in modo corretto e diretto a chi usa internet per cercare informazioni riguardo alla propria salute». Dal primo luglio il Telefono ha anche una copertura internazionale con un account Skype. Si può, infatti, telefonare dall’estero e accedere così al servizio, con la garanzia della privacy (Skipe è in modalità solo voce). Oggi 1 dicembre, Giornata mondiale per la lotta all’AIDS, il Telefono Verde dell’Istituto Superiore di Sanità sarà attivo dalle 10 alle 18.

Next, 1 dicembre 2014.

giovedì 1 dicembre 2011

HIV +



Keith Haring, John Holmes e Gill Scott Heron hanno una cosa in comune: sono morti di Aids come milioni di altre persone dall’inizio dell’epidemia. Oggi, grazie ai farmaci, se contrai l’Hiv puoi condurre una vita quasi “normale”, ma la colpevolizzazione e la discriminazione sono ancora molto diffusi.

“All’inizio stava solo perdendo peso, si sentiva solo un po’ acciaccato, Max disse a Ellen, e non chiamò il suo medico per prendere un appuntamento, secondo Greg, perché stava cercando di continuare a lavorare più o meno allo stesso ritmo di sempre, ma smise di fumare, Tanya sottolineò, cosa che suggerisce che fosse spaventato, ma anche che volesse, anche più di quanto potesse rendersi conto, essere in salute, o più in salute, o forse solo recuperare qualche chilo, disse Orson”.
Quella paura che non basta a spaventarti, perché “ammalarsi gravemente era qualcosa che accadeva agli altri, una allucinazione normale, fece notare a Paolo, se uno ha 38 anni e non s’è mai preso una malattia grave”.
E poi non è detto che quel malessere sia qualcosa di grave. In fondo “le persone ancora si beccano malattie banali, di quelle brutte, perché ipotizzare che debba essere proprio quella”.

Iniziava così un articolo di Susan Sontag sul “New Yorker”. Era il 24 novembre del 1986. The way we live now. Da pochi anni si era diffusa una malattia spaventosa e carica di condanne moraliste. Una malattia che avrebbe cambiato il nostro modo di guardare il mondo.
Nel giugno 1981 il Morbidity and Mortality Weekly Report (“al contempo il migliore e peggiore nome mai inventato per una pubblicazione”, commenta Amy Davidson molti anni dopo sempre sul “New Yorker”) annuncia che 5 uomini si sono ammalati in modo inconsueto. Quel giugno di 30 anni fa il report descriveva “una polmonite da Pneumocystis carinii (ora P. jiroveci) in 5 uomini omosessuali di Los Angeles, California, USA, documentando per la prima volta quella che sarebbe stata poi conosciuta come sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS). L’editoriale introduttivo suggeriva che la patologia potesse essere collegata al comportamento sessuale degli uomini. Un mese più tardi, il MMWR segnalò ulteriori diagnosi di polmonite da P. carinii, di altre infezioni opportunistiche (OIs) e di sarcoma di Kaposi (KS) in uomini omosessuali a New York City e in California. Questi articoli furono i primi segnali di quella che diventò una delle peggiori pandemia della storia, con oltre 60 milioni di infezioni, 30 milioni di morti, e nessun accenno di una fine” (Reflections on 30 Years of AIDS, Emerging Infectious Diseases, Vol. 17, No. 6, June 2011). Era il debutto dell’Aids.
Come viviamo oggi, a molti anni di distanza dal report e dalla descrizione di Sontag?

IL GIORNO X
Non ho mai amato gli anniversari perché in molti casi sembrano essere una scusa per relegare una questione in un ambito con confini netti e precisi (il giorno x), evitando di pensarci il resto del tempo. Una riserva da cui non si può fuggire.
Non mi sono nemmeno mai piaciuti perché somigliano a una pianificazione della contentezza, a un obbligo di festeggiare - nel caso in cui sia l’anniversario di qualcosa di positivo.
Però non mi piace nemmeno che - una volta stabiliti - passino nel silenzio e nella indifferenza. Magari si può protestare e eliminare il giorno x, ma fare finta che non esista è la scelta peggiore.
E poi ci possono essere molti modi per ricordare. Un anniversario può essere usato per un buon fine, per esempio cercando di rompere quegli angusti confini temporali. Cercare di prolungare quel giorno x per quanti più giorni possibile.

Sono passati 30 anni dai primi casi di Aids. Questo trentennale è passato quasi sotto silenzio sulla stampa italiana. E se la ricorrenza è indubbiamente dolorosa, non è un buon motivo per fregarsene e poi si può anche metterla in modo diverso: 30 anni fa - o anche 20 anni fa - vivere con l’Hiv era molto più disagevole di oggi. La scoperta dell’infezione era spesso una ineluttabile condanna a morte.
Almeno dal punto di vista medico lo scenario è molto cambiato. Si sarebbe potuto ricordare, infatti, che è anche il quindicesimo anniversario della terapia antiretrovirale.
Oggi i farmaci, se presi regolarmente e dopo una diagnosi tempestiva, permettono di condurre una vita che potremmo definire normale, se questo aggettivo non fosse tanto connotato moralisticamente. E questo è un dettaglio positivo. Naturalmente il contesto in cui si vive è fondamentale e la differenza tra paesi è profonda.
Quello che non è molto cambiato è la percezione dell’Hiv - o meglio (e questo potrebbe essere un primo passo?) la percezione rispetto alle persone che hanno l’Hiv. Non è cambiata l’educazione. Quel poco che si muove in Italia si muove sulla prevenzione rispetto alla trasmissione - ma non è abbastanza. Né sulle modalità di trasmissione - basta consultare i sondaggi sulle informazioni sessuali per capirlo - né in un panorama meno angusto, in cui si considera l’esistenza di una persona con l’Hiv nella sua interezza: rapporti sociali, lavoro, genitorialità.
Non siamo un Paese ridicolo che ha deciso di bloccare l’albo di Lupo Alberto perché vi si nominava il luciferino preservativo? Che si nasconde nella ipocrita visione che chi contrae l’Hiv è un reietto che in fondo se l’è cercata e quindi deve scontare la pena senza infettare gli altri né pretendere di non essere discriminato? Abbiamo addosso quella visione manzoniana degli untori, una visione ingenua e carica di moralismo. Di ignoranza.
Tutto quel mondo che può renderti la malattia più leggera o può caricarla di una sofferenza assurda e evitabile - e forse per questo ancora più intollerabile.
Fate una prova con voi stessi: come reagireste se sapeste che il cuoco del vostro ristorante preferito ha l’Hiv? O la tipa che fa ginnastica proprio vicino a voi? O la maestra di vostro figlio?
Non barate e non fatevi questa domanda se avete una conoscenza abbastanza approfondita - e quindi fate parte di una microscopica minoranza.
Questa cosa si chiama stigma ed è brutta anche la parola, figuriamoci trovarsi a subirlo. E tu devi già ricordarti di prendere i farmaci, devi pensare se dirlo e come (questioni fortemente legate alla percezione altrui: la malattia come punizione per qualcosa), devi reimpostare la tua vita e imparare a conviverci. E devi bure beccarti le occhiate di traverso, e le discriminazioni e la disattenzione. E, ancora una volta, la vergogna è la migliore alleata della violazione dei propri diritti. Eppure non c’è nulla di vergognoso nell’avere una patologia.

GLI INSOSPETTABILI
Trentenni rampanti e quarantenni giovanili; mariti e padri; persone convinte della fedeltà del proprio partner; mogli e fidanzate. Lontani dal luogo comune del malato di Aids, eppure infetti.
Il 5 gennaio 2010 una ragazza invia una lettera al Corriere della Sera: Io, 21, anni, bocconiana, sieropositiva. Non chiudete gli occhi sull’Aids. “Ho 21 anni e vivo a Milano, studio all’università Bocconi, [...] appaio come una ragazza «normale». Eppure c’è un però, sono sieropositiva, e l’ho scoperto qualche mese dopo aver compiuto i miei 18 anni. [...] Due milanesi al giorno si infettano, e questi non sono ragazzini di 16 anni, ma sono padri di famiglia, che tradiscono le proprie mogli e che le infettano, e che rovinano la vita dei loro familiari”.
I ragazzini però non stanno messi meglio quanto a precauzioni. Il sondaggio “Sei maturo per il sesso sicuro?”, condotto lo scorso giugno dalla Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo) su 1.130 maturandi, disegna un panorama poco rassicurante.
Solo 1 su 3 porterà in vacanza i preservativi anche se il 64% pensa che avrà rapporti sessuali occasionali. Il 32% ha rapporti prima dei 15 anni, nella metà dei casi in estate. Il 42% degli intervistati ha già avuto da 2 a 5 partner, il 10% da 6 a 10 e il 9% più di 10. In pochi usano regolarmente i contraccettivi: il 19% non li usa perché non li ama, il 23% li dimentica e solo il 16% delle donne prende la pillola.
Un altro sintomo è: incontro un tipo, mi piace, facciamo l’amore, le prime volte gli faccio mettere un preservativo perché sono una tipa attenta alla salute, poi dopo un paio di mesi che ci frequentiamo non ci faccio più caso, perché poi fare l’amore senza preservativo è meglio e ormai ti conosco. Chi non c’è mai caduto?

IL DENTISTA
Nel forum della LILA, la Lega italiana lotta all’Aids, un utente racconta di un colloquio svoltosi con un amico-collega.

amico: come stai?
io: sto bene.
amico: la salute come va?
io: bene.
amico: bene?
io: cosa sai?
amico: lo so.
io: allora sto male.
amico: perché non me lo hai detto?
io: perché non avevo molta fiducia nella tua capacità di comprendere questa situazione.
amico: comprendo benissimo.
io: questa malattia ha dei risvolti sociali non indifferenti in termini di discriminazione.
amico: sciocchezze.
(silenzio)
amico: lo hai detto al nostro amico dentista che sei sieropositivo?
(silenzio)
io: gli ho detto che ho l’epatite e le precauzioni che con me deve prendere per l’epatite sono le stesse per l’hiv.
(silenzio)
io: e comunque un medico deve conoscere e applicare le regole sulla profilassi a prescindere dalla comunicazione del paziente.
(silenzio).

Come si legge nella sezione Info Aids della Lila, infatti, la decisione di informare o meno il medico di famiglia o il nostro dentista spetta a noi. “Non tutti i medici di base sono aggiornati rispetto all’evoluzione continua dei dati riguardanti questa infezione; se però hai con lui o con lei un buon rapporto di fiducia, il suo supporto potrebbe esserti di aiuto. Anche verso gli altri specialisti, ad esempio i dentisti, non ti devi in nessun modo sentire in obbligo di comunicare la tua condizione. Per legge hanno l’obbligo di adottare norme igieniche generali che proteggono i medici e gli operatori sanitari dal rischio di contrarre infezioni, a prescindere dalla conoscenza dello stato sierologico di chi hanno davanti.
Queste norme sono importanti perché proteggono sia loro che te stesso dal rischio di contrarre nuove infezioni.”
Già non avere bisogno di ricordarlo potrebbe essere un vantaggio. La prossima volta che andate dal dentista fate caso a come è vestito.

IL SILENZIO
Scrive marcomilano il primo giugno scorso.
“Gironzolando qua e là su questo forum, noto che il consiglio unanime di tutti gli iscritti è quello di PORTARSI QUESTO ENORME SEGRETO FIN DENTRO LA TOMBA... Le ragioni sono ovvie e più o meno condivisibili...
discriminazione, ignoranza, paura, volontà di non dare dispiaceri ai cari...
beh... io mi porto questo flagello solo da un mese e voi, seppur gentili, disponibili, discreti, ma pur sempre a me sconosciuti, siete le uniche persone ad esserne a conoscenza...
finora ho quindi seguito il consiglio...ma mi sento di scoppiare! Vorrei poter gridare al mondo che ho l’HIV e che non me ne vergogno...che lo ereditato inconsapevolmente da un atto d'amore... che ho comunque la voglia e la forza per affrontarlo... ma anche che mi sentirei più forte con la comprensione di chi mi sta vicino...
Sono già stanco di mentire... di inventarmi balle quando sparisco per andare in ospedale... di nascondere la mia preoccupazione...”.
In molti consigliano di tacere o almeno di procedere con molta calma, di non cedere alla tentazione di sfogarsi.
Y38 per esempio scrive: “Non dirlo a nessuno! Lo stigma sociale è così grande (e così pure il dispiacere e la preoccupazione che puoi dare a quelli che ti vogliono bene davvero) che vale la pena tenersi per sé questo stato”.
Qual è l’effetto dell’essere costretti a tacere? È facile fare una prova “per difetto”: scegliamo qualcosa che ci preoccupa o ci angoscia e immaginiamo di non poterlo dire a nessuno, di non poter chiedere aiuto o consigli, di non poter manifestare la paura o la rabbia. Che effetto fa?

QUANDO DIRLO?
Nel forum di Anlaids, è Gioia a domandarlo (il 25 ottobre 2007, “Quando dirlo ad un uomo”). Le risposte sono varie: subito, dipende dal rapporto, mai.
La risposta di Gioia, il 17 marzo 2008, descrive il dilemma: “su questo siamo d’accordo ma come fai a sapere a priori se una persona la frequenterai 1 - 10 -100 - 1000 volte o tutta la vita? Si certo è che a priori si capisce se uno ti piace e può nascere qualcosa oppure no, ma in genere se decidi di uscire con qualcuno (almeno parlo per me) vuol dire che ti piace e una volta visto non sai come andrà a finire. Il problema è molto più profondo, perché, indipendentemente da come tu lo dica, dicendolo subito si rompe la magia perché questa è sempre una notizia che raggela! E se non lo dici subito, poi ti dovrai giustificare in mille modi, ma c’è che si potrebbe arrabbiare... Secondo me questa problematica è alla base di ogni rapporto! Per quanto ci si possa presentare come rassegnati, comunque decisi a vivere la propria vita fino in fondo, è un gran caos. Anche perché va bene voler essere corretti fin da subito, ma non si può dire una cosa così personale a tutto il mondo! E inoltre ogni volta che lo si dice è un pò come riviverlo!
Io ci ho provato due volte ed è stata una tragedia. Alla fine mi sono trovata a dover consolare l’altra persona perché sono rimasti tutti scioccati. Che stress! Da allora non l’ho più detto, ma ho nemmeno frequentato quasi nessuno per più di una/due volte! Il mio stato psicologico non mi permette di lasciarmi andare, e nemmeno questo è giusto!”.

Lo scenario sarebbe diverso se ci fosse una maggiore informazione sull’Hiv? È verosimile pensare che sì, perché la discriminazione si fonda essenzialmente sulla ignoranza. E l’ignoranza confonde i confini e sovrappone la prudenza all’isterico terrore. L’ignoranza ci rende temerari, indifferenti ai rischi, e allo stesso tempo ingiusti verso chi vive una condizione patologica. Vogliamo relegare gli infetti in un ghetto rassicurante (per noi) e immaginare che l’Hiv sia come un tratto somatico facilmente rilevabile. Così possiamo scartare i pezzi difettosi. Nello spazio di poche pagine non possiamo che accennare alle complesse questioni che riguardano l’Hiv e l’Aids, che comprendono questioni mediche, scientifiche, di salute e di opinione pubbliche. Però il primo passo è davvero banale: se avessi l’Hiv come vorrei essere trattato? Ah, ma tanto non può mica succedere a me.

Su Il Mucchio Selvaggio di settembre.

martedì 30 agosto 2011

HIV +


All’inizio stava solo perdendo peso, si sentiva solo un po’ acciaccato, Max disse a Ellen, e non chiamò il suo medico per prendere un appuntamento, secondo Greg, perché stava cercando di continuare a lavorare più o meno allo stesso ritmo di sempre, ma smise di fumare, Tanya sottolineò, cosa che suggerisce che fosse spaventato, ma anche che volesse, anche più di quanto potesse rendersi conto, essere in salute, o più in salute, o forse solo recuperare qualche chilo, disse Orson”. Quella paura che non basta a spaventarti, perché “ammalarsi gravemente era qualcosa che accadeva agli altri, una allucinazione normale, fece notare a Paolo, se uno ha 38 anni e non s’è mai preso una malattia grave”. E poi non è detto che quel malessere sia qualcosa di grave. In fondo “le persone ancora si beccano malattie banali, di quelle brutte, perché ipotizzare che debba essere proprio quella”.
Iniziava così un articolo di Susan Sontag sul “New Yorker”. Era il 24 novembre del 1986. Da pochi anni si era diffusa una malattia spaventosa e carica di condanne moraliste. Una malattia che avrebbe cambiato il nostro modo di guardare il mondo.
Nel giugno 1981 il Morbidity And Mortality Weekly Report (“al contempo il migliore e peggiore nome mai inventato per una pubblicazione”, commenta Amy Davidson molti anni dopo sempre sul “New Yorker”) annuncia che cinque uomini si sono ammalati in modo inconsueto. Quel giugno di trent’anni fa il report descriveva la polmonite da pneumocystis carinii in cinque uomini omosessuali a Los Angeles, in California, documentando per la prima volta quella che sarebbe divenuta nota come sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS). L’editoriale che lo accompagnava suggeriva che la malattia potesse essere collegata alle abitudine sessuali degli omosessuali.
Un mese dopo il MMWR rilevò nuovi casi di polmonite da pneumocystis carinii, altre infezioni e il sarcoma di Kaposi nei gay dalla California a New York. Questi articoli furono i primi accenni a
quella che diventerà una delle peggiori pandemie della storia con oltre 60 milioni di malati, 30 milioni di morti e nessuna soluzione in vista. Era il debutto dell’Aids. Come viviamo oggi, a molti anni di distanza dal report e dalla descrizione di Sontag?

Su Il Mucchio Selvaggio di settembre.

mercoledì 24 agosto 2011

La Casa Famiglia “Sisto Riario Sforza” di Napoli rischia di chiudere


Da un anno e mezzo le ASL non pagano. Il Don Guanella, il 14 agosto, intima di saldare il debito entro il 31 agosto, altrimenti la Casa chiuderà. Nessuno interviene.

Nel 2003 nasce la Casa Famiglia Cardinale Sisto Riario Sforza dal progetto Caritas “Aids e vita”. È una delle due case alloggio Hiv/AIDS operanti nel vasto territorio campano (l’altra è la Casa Alloggio Masseria Raucci).
La Casa Famiglia accoglie persone affette dal virus HIV e in AIDS conclamata, fino a un massimo di dieci, ed è gestita da 3 organismi religiosi. L’Opera Don Guanella segue gli aspetti amministrativi e giuridici; la Caritas diocesana di Napoli si dedica alla formazione del personale; le Figlie della Carità gestiscono la Casa e coabitano con gli ospiti. Lo stabile è di proprietà delle suore carmelitane dato in comodato d’uso al Don Guanella.
Dalla nascita della Casa Famiglia sono stati effettuati 85 ingressi, con vissuti e profili personali complessi e dolorosi: disturbi psichiatrici, dipendenze, violenze familiari.

LA VITA NELLA CASA FAMIGLIA - I 5 operatori e la suora responsabile si trovano a gestire quotidianamente la diffidenza e la paura derivanti da una esistenza di deprivazione e malattia; problemi sociali e relazionali; isolamento culturale e patologie incurabili. Sono stati elaborati percorsi educativi individuali - che includono anche la formazione professionale in vista di un reinserimento nel tessuto sociale - e sono state avviate collaborazioni con i servizi territoriali per evitare che quell’isolamento diventi assoluto e irrimediabile una volta varcata la soglia della Casa Famiglia. Nelle situazioni di malattia conclamata e terminale, gli operatori hanno anche il doloroso compito di assistere gli ospiti fino alla morte. Tra gli ospiti della Casa c’è una madre con una figlia di poco più di due anni: in questo caso gli operatori hanno seguito anche i difficoltosi passaggi per l’affido e l’adozione.

MEDIATORI DEL TEMPO - L’Hiv, che è la ragione emergente dell’accoglienza, si aggiunge insomma a un quadro clinico e sociale già estremamente travagliato. È ben immaginabile quanto sia difficile accettare una situazione di patologia cronica e quanto questo aspetto vada a pesare su uno scenario già deprivato di un futuro, a volte anche del presente. “Ci ritroviamo a essere mediatori del tempo, tra quello cronologico e quello vissuto, tra il tempo burocratico - penso ai tempi di una pensione di invalidità - e l’urgenza di vivere un presente abbozzando un futuro che è reso labile non soltanto dalla malattia ma anche dalle incognite delle politiche sociali e dei vari dispotismi di potere come quello che la nostra Casa ha subito nell’ultimo anno e mezzo”, raccontano gli operatori della Casa Famiglia. In equilibrio precario in questo tempo sospeso ci sono anche due signore, che cucinano e si prendono cura della Casa, e una suora volontaria.

IL FANTASMA DELLA CHIUSURA - Già, perché da un anno e mezzo la Casa vive una situazione di assoluta precarietà. Nell’aprile del 2010 il Don Guanella, a causa di gravi ritardi nel pagamento da parte delle ASL, ha manifestato l’intenzione di cedere il servizio: l’onere economico è troppo forte e serve un cambio amministrativo. Da allora parte una trattativa tra gli ordini religiosi. La chiusura è un fantasma spaventoso che la Casa cerca di allontanare in tutti i modi (ricordiamo che la struttura è una delle due uniche Case di accoglienza a Napoli per persone affette da Hiv o AIDS).
Nel giro di qualche giorno lo scenario peggiora: nessuna soluzione sembra essere realizzabile e da Don Nino Minetti, guanelliano Superiore della provincia di Roma, arriva il divieto alla Casa di accogliere nuovi ospiti. La Casa è in stallo e le nuove richieste di ingresso devono essere respinte: dall’aprile 2010 ad oggi sono arrivate circa 15 domande di accoglienza scritte - e rimandate al mittente - e quasi altrettante telefonicamente.

Continua su Giornalettismo, L’Asl non paga: chiude la Casa famiglia.

mercoledì 13 luglio 2011

Il paese che dimentica l’Aids

Ieri si è svolto il Forum Italiano della società civile sull’Hiv/Aids in attesa della Sesta Conferenza IAS su Patogenesi, Trattamento e Prevenzione (6th Conference on HIV Pathogenesis, Treatment and Prevention IAS2011) che si terrà a Roma dal 17 al 20 luglio prossimi.
Organizzato da numerose associazioni (Actionaid, ANLAIDS, Arcigay, Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli, Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute, Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza, Gruppo Abele, LILA, Nadir, NPS Italia Onlus, Osservatorio Italiano sull’Azione Globale contro l’AIDS, Movimento Identità Transessuale, Villa Maraini), il Forum si inserisce nel progetto Verso Roma 2011 dell’Istituto Superiore di Sanità e denuncia il non mantenimento delle promesse del governo italiano in materia di lotta all’Hiv/Aids e le molte altre carenze che ancora oggi affliggono i tentativi di contrastare il diffondersi dell’infezione e di garantire una qualità di vita decente alle persone con Hiv/Aids.

L’ITALIA PEGGIO DI 30 ANNI FA - In Italia i problemi sono molti e sembrano essere peggiorati rispetto ad alcuni anni fa, a cominciare dal mancato versamento della quota annuale al Global Fund dal 2007/2008.
Le criticità e le proposte per affrontare una situazione tanto difficile sono sintetizzate da un documento che il Forum ha stilato e discusso: la Dichiarazione di Roma, che si può sottoscrivere ancora per qualche giorno e che sarà presentata allo IAS e poi inviato alle istituzioni italiane.
Ora più di allora!, è forse la parola chiave della dichiarazione. Ora, cioè, più di 30 anni fa è necessario incentivare la ricerca, la prevenzione, la cura e i diritti. Perché ora, dopo 30 anni, non esiste ancora una cura definitiva per l’infezione da HIV e la ricetta per arrestare e gestire questa epidemia deve passare da consolidate politiche di prevenzione, da un’assistenza socio-sanitaria adeguata, dalla disponibilità dei farmaci e della diagnostica per tutti, dalla difesa dei diritti e la lotta contro lo stigma in ogni contesto” - così comincia la Dichiarazione di Roma.
Il documento propone una fotografia del fenomeno e poi elenca le mosse necessarie alla lotta alla infezione e alle implicazioni sanitarie e sociali. Discriminazione, violazione della privacy, stigma sociale sono piaghe ancora diffusissime e che vanno ad esasperare una condizione già gravata dalla patologia.

Continua su Giornalettismo.

mercoledì 24 novembre 2010

«Il Papa ha torto»

Prime reazioni a quella che si è rivelata alla fine, dopo varie incertezze, una sorprendente – seppur parzialissima e non magisteriale, cioè non specialmente autorevole – apertura del papa sui preservativi; reazioni, in particolare, dei bioeticisti cattolici, per i quali le parole di Benedetto XVI vanno contro la tradizionale dottrina della Chiesa che ha fin qui dichiarato illecita la scelta del male minore. Le riporta il New York Times di ieri (Rachel Donadio e Laurie Goodstein, «After Condom Remarks, Vatican Confirms Shift», 23 novembre 2010):

“We’re in a new world,” said the Rev. Jon Fuller, a Jesuit priest and a physician at the Center for H.I.V./AIDS Care and Research at Boston Medical Center. The pope is “implicitly” saying, he said, “that you cannot anymore raise the objection that any use of the condom is an intrinsic evil.”
Catholic conservatives who believed Catholic teaching against contraception to be inviolable were reeling. “This is really shaking things up big time,” said Dr. John M. Haas, the president of the National Catholic Bioethics Center in Philadelphia, who serves on the governing council of the Vatican’s Pontifical Academy for Life.
Dr. Haas, a moral theologian, said he had seen an embargoed copy of a new book in which the pope conceded there might be extreme cases in which there were grounds for the use of condoms. “I told the publisher, ‘Don’t publish this; it’s going to create such a mess,’” he added. […]
Indeed, Dr. Haas, of the National Catholic Bioethics Center, could barely countenance Father Lombardi’s comments that broadened the debate to include women. “I don’t think it’s a clarification; it’s a muddying of the waters,” he said. “My opinion is that the pope purposely chose a male prostitute to avoid that particular debate.”
And if Benedict was in fact opening that debate? “I think the pope’s wrong,” Dr. Haas added.

martedì 23 novembre 2010

Contrordine, fratelli: le prostitute sono comprese

Una sorpresa dalle agenzie:

Città del Vaticano, 23 nov. (Apcom) – È indifferente parlare di “prostituta”, come indicato nel testo italiano, o di “prostituto”, al maschile, secondo la versione originale tedesca, in merito all’affermazione del Papa sull’uso del preservativo per persone infette da aids: lo dichiara il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, precisando di aver parlato della questione direttamente con Benedetto XVI dopo le discussioni suscitate dalla apertura al condom contenuta nel libro-intervista al Papa ‘Luce del mondo’.
“Ho chiesto al Papa se c’era problema serio di scelta nel maschile piuttosto che nel femminile”, ha spiegato Lombardi nella conferenza stampa di presentazione del volume. “Lui mi ha detto di no”.
“Il punto – e per questo non vi ho fatto alcun riferimento nella nota di domenica – è il primo passo di responsabilità nel tenere conto del rischio della vita dell’altro con cui io sono in rapporto. Se si tratta di un uomo o di una donna o di un transessuale è lo stesso”. Il Papa “non è ingenuo, sapeva cosa era successo dopo le sue frasi nel viaggio in Africa, sapeva che ci si sarebbe rimessi a parlare di questo tema, e lui lo ha fatto. Ha avuto il coraggio di rispondere. Perché ritiene che la questione è seria per il mondo di oggi e lui ha dato il suo contributo all’umanizzazione della società e alla responsabilità che interessa tutti in tutte le condizioni, specialmente quelle di povertà”.
In base a quanto scrivevo ieri, dunque, l’affermazione del papa riguardo l’uso del profilattico si prospetta ora davvero come clamorosa (benché comunque non rivoluzionaria): se anche una prostituta può chiedere ai propri clienti di usare il preservativo, in modo da proteggersi dall’infezione da Hiv a spese della «finalità intrinseca» procreativa dell’atto sessuale, la tradizionale ripulsa cattolica del principio del male minore vola via per la finestra. Le conseguenze, al di là del profilattico, potrebbero essere abbastanza profonde; cito di nuovo, e in maniera più completa, il passo di Elio Sgreccia che portavo ad esempio ieri:
Quando si tratta di due mali morali, l’obbligo è di rifiutarli entrambi, perché il male non può essere oggetto di scelta e ciò anche quando, rifiutando quello che si presenta come il male minore, si provocasse un male maggiore.
L’esempio più frequente è quello del medico che si trova di fronte al dilemma posto dalla paziente che richiede la prescrizione dei contraccettivi altrimenti prospettando l’idea dell’aborto (male maggiore rispetto alla contraccezione). L’eventualità dell’aborto non sarebbe imputabile al medico, specialmente quando questi avesse istruito la paziente che è male sia l’una che l’altra cosa e che esistono vie per evitare entrambe le situazioni.
È chiaro che se a una prostituta è permesso come male minore l’uso di quello che rimane in ogni caso un mezzo contraccettivo per proteggere la propria vita, a maggior ragione lo stesso dovrebbe essere concesso a una coppia decisa a ricorrere all’aborto in caso di gravidanza (per esempio perché portatrice di gravi malattie genetiche trasmissibili al feto), e non disposta a seguire i cosiddetti metodi naturali o a ridursi all’astinenza: c’è anche qui in gioco – per la Chiesa – una vita umana.

Difficile capire come una novità del genere potrà essere digerita dalle gerarchie ecclesiastiche: il tentativo di evidenziare come il papa non parlasse ex cathedra (e quindi in modo infallibile), già compiuto dallo stesso Padre Lombardi in una precedente nota stampa, alla lunga sarebbe insostenibile, evidenziando solo l’imbarazzante situazione di un papa che dice nei suoi discorsi informali cose diverse dal magistero su una materia tanto centrale per la Chiesa come la morale sessuale. A questo punto non si può allora escludere un intervento magisteriale di Benedetto XVI, forse adombrato dalle oscure frasi sulla Humanae vitae che riportavo sempre ieri. Ci attendono tempi interessanti?

(Rimane irrisolto un dettaglio minore ma misterioso: perché mai il papa è andato a fare l’esempio peregrino di un prostituto maschio, se ciò che diceva si applicava a uomini e donne ugualmente?)

Aggiornamento 24/11: le prime reazioni alla nota di padre Lombardi del popolo tradizionalista, che aveva riposto più di qualche speranza in Benedetto XVI, si possono cogliere nei commenti a questo post del blog Messa in latino. In buona parte sono assai poco tenere nei confronti del papa.

domenica 21 novembre 2010

Prostituto o prostituta?

Sta destando un certo scalpore la pur timidissima apertura ai preservativi compiuta dal papa in un libro-intervista curato dal giornalista e scrittore Peter Seewald, Luce del mondo, che uscirà il 23 novembre in 18 lingue (in Italia sarà pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana).
Ecco il passo nella traduzione italiana, come riportato dall’Osservatore RomanoIl Papa, la Chiesa e i segni dei tempi», 21 novembre 2010; corsivo mio):

Concentrarsi solo sul profilattico vuol dire banalizzare la sessualità, e questa banalizzazione rappresenta proprio la pericolosa ragione per cui tante e tante persone nella sessualità non vedono più l’espressione del loro amore, ma soltanto una sorta di droga, che si somministrano da sé. Perciò anche la lotta contro la banalizzazione della sessualità è parte del grande sforzo affinché la sessualità venga valutata positivamente e possa esercitare il suo effetto positivo sull’essere umano nella sua totalità.
Vi possono essere singoli casi giustificati, ad esempio quando una prostituta utilizza un profilattico, e questo può essere il primo passo verso una moralizzazione, un primo atto di responsabilità per sviluppare di nuovo la consapevolezza del fatto che non tutto è permesso e che non si può far tutto ciò che si vuole. Tuttavia, questo non è il modo vero e proprio per vincere l’infezione dell’Hiv. È veramente necessaria una umanizzazione della sessualità.
Qui si apre però un giallo. Come nota lo Independent di oggi (David Randall e Genevieve Roberts, «Pope signals historic leap in fight against Aids: Condoms can be justified»), nelle versioni inglese, francese e tedesca del libro viene usata l’espressione «un prostituto», al maschile. Sul New York Times (Rachel Donadio e Laurie Goodstein, «In Rare Cases, Pope Justifies Use of Condoms», 20 novembre), che afferma esplicitamente di aver avuto accesso a una copia della traduzione inglese, il pensiero del papa viene riportato così:
there may be a basis in the case of some individuals, as perhaps when a male prostitute uses a condom, where this can be a first step in the direction of a moralization, a first assumption of responsibility.
Lo stesso in francese («Pour la première fois, le pape admet l’utilisation du préservatif», Le Monde, 20 novembre):
Il peut y avoir des cas individuels, comme quand un homme prostitué utilise un préservatif, où cela peut être un premier pas vers une moralisation, un début de responsabilité permettant de prendre à nouveau conscience que tout n’est pas permis et que l’on ne peut pas faire tout ce que l’on veut.
La concordanza fra le versioni inglese e francese, e soprattutto il vecchio principio filologico difficilior lectio probabilior, indicano che l’originale doveva avere la forma maschile e non femminile. Siccome intervistatore e intervistato sono entrambi tedeschi, bisognerebbe dunque cercare una fonte in questa lingua; ma qui purtroppo la cosa diventa un po’ oscura. La frase completa si trovava infatti solo sul sito Kreuz.netDer Papst läßt sich von den Kondom-Kriegern weichklopfen», 17 novembre); si trovava, perché l’articolo non sembra più disponibile, ed è reperibile al momento solo nella cache di Google. In ogni caso troviamo anche qui il maschile:
Es mag begründete Einzelfälle geben, etwa wenn ein Prostituierter ein Kondom verwendet, wo dies ein erster Schritt zu einer Moralisierung sein kann, ein erstes Stück Verantwortung, um wieder ein Bewußtsein dafür zu entwickeln, dass nicht alles gestattet ist und man nicht alles tun kann, was man will.
La data dell’articolo è il 17 novembre, e questo ci assicura che non si tratta di una retroversione da fonti in altre lingue, che come abbiamo visto risalgono praticamente tutte a ieri o oggi. Le altre fonti tedesche parlano invece di Prostituierte, al plurale, che è ambiguo (può significare «prostituti» o «prostitute»), ma al di fuori della citazione testuale.

Ma è tanto importante la differenza fra prostituto e prostituta? Direi proprio di sì: se il papa avesse parlato di prostituta, al femminile, ci troveremmo di fronte a una radicale innovazione nel magistero ecclesiastico, che finora ha sempre condannato il profilattico e gli altri mezzi anticoncezionali in quanto impediscono all’atto sessuale di raggiungere la sua «finalità intrinseca» (cioè la procreazione), senza mai porsi il problema del male minore. Sembra chiaro che ciò che si applica alle prostitute dovrebbe a maggior ragione applicarsi anche alle coppie sposate, e che dunque l’uso del profilattico sarebbe adesso considerato tollerabile per prevenire l’Aids: una vera e propria rivoluzione, per la Chiesa. Ma se, come sembra, il papa ha parlato di prostituti, al maschile (e riferendosi, beninteso, alla prostituzione omosessuale), ci troviamo in un caso in cui di procreazione non si può assolutamente parlare, e l’apertura papale diventa assai marginale.
Ci si può chiedere però quanto potrà capire l’opinione pubblica, anche cattolica, di queste finezze da vecchia casuistica; nei prossimi giorni sentiremo probabilmente discettare a lungo, e dottamente, di prostituti e prostitute (e forse all’Osservatore o alla Libreria Editrice Vaticana qualcuno riceverà una bella lavata di capo), ma alla fine il messaggio che rimarrà sarà che il papa ha dato il via libera ai preservativi per prevenire l’Aids. Ancora una volta il papa ragiona ad alta voce, senza rendersi conto che lo ascoltano tutti.

Aggiornamento: la discrepanza tra le versioni è stata notata e discussa anche da altri, naturalmente. In ordine di apparizione: Phastidio, Language Log, Paferrobyday, Figleaf’s Real Adult Sex.

Aggiornamento 2: a quanto pare avevo visto giusto. L’Ansa, poco fa (via Paolo Ferrandi):
Una svista. Chi ha potuto vedere in Vaticano il testo tedesco, peraltro l’unico approvato dal Pontefice, rileva che a questo è dovuta la discrepanza, nel passaggio sull’uso del condom, tra l’edizione italiana che parla del caso di «quando una prostituta utilizza un profilattico», mentre nell’originale tedesco Ratzinger fa riferimento al maschile «ein Prostituierter», cioè «un prostituto». Nessun «giallo» quindi, quanto piuttosto un’imprecisione nella versione italiana del libro, dovuta probabilmente alla fretta nei lavori di traduzione, e rimasta anche, a differenza di altre che sono state corrette, nell’anticipazione pubblicata dall’Osservatore Romano.

venerdì 19 marzo 2010

Preservativi il perbenismo e la sicurezza


L’installazione di distributori di preservativi nel liceo Keplero di Roma ha suscitato le prevedibili critiche da parte del Vaticano. D’altra parte il papa aveva dichiarato, durante una visita in Africa, che il preservativo non risolve il problema dell’Aids, perciò è coerente non essere felici per la distribuzione di oggetti non risolutivi! Inutili in effetti per chi predica la castità, ma indubitabilmente utili e consigliabili per chi ha rapporti sessuali.
L’associazione di studenti Scuola zoo.com ha lanciato l’iniziativa dei “distributori di sicurezza” a fine gennaio e con lo slogan: “se vuoi amare fallo con la testa”.
La Lega italiana lotta all’Aids (LILA) partecipa al progetto con la campagna Yes we condom, finalizzata a informare e a prevenire le malattie sessualmente trasmissibili. L’uso del preservativo, infatti, protegge dalla trasmissione di varie patologie, tra cui l’Hiv. Informazione e prevenzione sono proprio le parole chiave per la lotta contro queste malattie, che l’Organizzazione mondiale per la Sanità considera una delle priorità di salute pubblica. Eppure l’informazione difetta e il perbenismo ha spesso la meglio sulla salute e la sicurezza. È impressionante che dall’ultimo sondaggio tra quasi 600 studenti dei licei emerga che circa la metà pensa che l’Aids si trasmette con un bacio o con una puntura di zanzara, e un quarto non sa che ogni rapporto senza preservativo è a rischio.

DNews, 19 marzo 2010.

giovedì 18 febbraio 2010

Anonimato

Il test per l’Hiv è anonimo nel nostro Paese solo in poco più di un caso su tre: nei restanti, viene richiesta la ricetta medica o un documento di identità. È il dato che emerge da un’indagine dell’Istituto Superiore di Sanità e della Consulta delle Associazioni per la Lotta all’AIDS sull’accesso ai test in Italia. Nei centri diagnostico-clinici pubblici intervistati è garantita la gratuità nel 76,2% dei casi, ma l’anonimato appena nel 37% e il colloquio di counselling pre e post Test, giudicato «prezioso» per l’approccio psicologico del paziente, nel 44,5% dei casi.
Test Aids: in Italia anonimato assicurato solo per un test su tre, Il Corriere della Sera, 17 febbraio 2010.

giovedì 30 aprile 2009

Un argomento incontrovertibile

Peter Robinson, lettera al Sydney Morning Herald, 20 aprile 2009:

Se il papa ha ragione sull’efficacia dei preservativi, allora i chirurghi dovranno abbandonare i guanti di lattice per ridurre la probabilità di trasmettere germi. Se il lattice non funziona su un singolo fallo, che possibilità ha di funzionare su dieci dita con tanto di unghie sulla punta?

giovedì 9 ottobre 2008

Persone normali

Ditelo a Chiara Atzori e a quelli come lei.

mercoledì 8 ottobre 2008

Segnalazione

Riceviamo da razionalismo e volentieri postiamo (in attesa di scrivere un commento alla dottoressa (??) in questione).

Il mio misero canale YouTube (che contiene pure video su Darwin, evoluzione, il libro di Rosa Giannetta Alberoni e le farneticazioni di RadioMaria) è stato segnalato allo zelante staff di YouTube per via di un video in cui si sentono le opinioni deliranti della dottoressa Atzori, immunologa presso l'ospedale Sacco di Milano, riguardo al virus HIV e la sua ulteriore diffusione nel caso venissero approvati i DICO, CUS, DiDoRe, chiamateli come volete...

Ecco il video incriminato:
http://www.dailymotion.com/razionalismo/video/x6zhy5

Il video è stato prontamente rimosso e il canale è a minaccia di chiusura se chi ha segnalato il video innocente ne segnalasse anche solo un altro entro 6 mesi (e di sicuro avverrà!)

Scusate lo sfogo, ma intendevo rendere pubblica questa offensiva integralista in rete.

mercoledì 23 aprile 2008

Il cattolicesimo e la libera scelta a volte convivono

Si chiamano Catholics for a Free Choice e questo basterebbe a suscitare stupore, abituati come siamo a considerare un ossimoro libera scelta e appartenenza al cattolicesimo.
La sorpresa aumenta nel leggere i principi ispiratori di questa organizzazione nata a Washington nel 1973: ricerca scientifica e riconoscimento (anche legale!) alle persone omosessuali, bisessuali e transessuali – solo per fare un esempio.
In occasione della visita di Joseph Ratzinger in terra americana pubblicano un dossier che analizza gli effetti disastrosi della condanna clericale della contraccezione dalla Humanae Vitae (1968) in poi. L’analisi è spietata: Catholics for Choice accusa l’enciclica e la politica vaticana di essere responsabili del grave conflitto personale che molti credenti vivono, combattuti tra l’obbedienza e i propri desideri e bisogni. La Chiesa si ostina a difendere un insegnamento già “indifendibile 40 anni fa”, oggi aggravato dall’emergenza Aids.
Secondo il dossier la Humanae Vitae ha inciso drammaticamente sulla salute di cattolici e non cattolici in tutto il mondo; il Vaticano ha alimentato la disinformazione sull’efficacia del preservativo contro la diffusione dell’Hiv.
Il mancato riconoscimento dell’importanza del preservativo (vero e proprio imperativo morale secondo gli insoliti Catholics) è un comportamento gravissimo soprattutto nei riguardi delle popolazioni più disagiate. E di quei Paesi, come l’Africa, in cui la diffusione dell’Hiv e di altre malattie virali è una piaga sanitaria e sociale.
La gerarchia cattolica, secondo il dossier, è “il principale ostacolo alla lotta conto l’Hiv/Aids”.

(DNews, 23 aprile 2008).

giovedì 22 novembre 2007

Ingenuità

L’Aids è spesso frutto di un concetto sbagliato di matrimonio, parola di papa.
E io che pensavo fosse qualcosa che avesse a che fare con le malattie la medicina la prevenzione. No: con un concetto sbagliato di matrimonio!

martedì 14 agosto 2007

Non funzionano

Nicholas Bakalar, «Adolescence: Abstinence-Only Programs Not Found to Prevent H.I.V.», New York Times, 14 agosto 2007:

Abstinence-only programs for H.I.V. prevention do not work, according to a review of randomized, controlled trials. The analysis, published in the August 4 issue of The British Medical Journal, covered 13 studies involving more than 15,000 young Americans.
Most of the programs were based in schools and directed at children in grades five through eight. One was intended for adults ages 18 to 21. There were various control groups, including some in modified programs and in some cases in no program at all. Compared with those control groups, abstinence-only programs had no significant effect in either decreasing or increasing sexual risk behavior.
Seven of the trials tracked sexually transmitted infections, finding no significant short- or long-term benefit to abstinence-only programs. None of the programs made any significant difference in preventing pregnancy, reducing unprotected sex, or delaying sexual initiation.
“We hope our review encourages a closer look at the empirical research regarding H.I.V. prevention programs,” said Kristen Underhill, the lead author and a research officer at the University of Oxford. “It appears that this evidence base is frequently neglected in debates over abstinence-based prevention.”

martedì 7 agosto 2007

Ossimori e cattolici (Good Catholics Use Condoms)

Si chiamano Catholics for a Free Choice, e già questo desta una certa sorpresa.
Nelle prime righe della sezione About Us si legge:

Catholics for a Free Choice (CFFC) was founded in 1973 to serve as a voice for Catholics who believe that the Catholic tradition supports a woman’s moral and legal right to follow her conscience in matters of sexuality and reproductive health.
Da qualche tempo nella home page si può firmare una lettera contro il divieto e la condanna morale del preservativo indirizzata a Benedetto XVI: Ask Pope Benedict to Lift the Ban on Condoms! (Il punto esclamativo è d’obbligo).
La richiesta si inserisce in una vera e propria campagna educativa sugli effetti dell’Aids (Condoms4life Campaign), ricordandone i numeri (18 milioni di morti, oltre 15 milioni di donne infette nel 1999 e 2,3 milioni di nuovi contagi, più di 34 milioni di persone malate nel 1999, 3,8 di orfani, e così via), gli effetti e affrontando anche i problemi di coscienza e di fede per i cattolici (A Guide fo Catholics).
Soltanto la campagna meriterebbe attenzione.
Per firmare l’appello. Non c’è una guida da distribuire ai nostri per diventare cattolici così?

martedì 10 luglio 2007

La verità sull’uso e l’utilità dei preservativi (istigatori di costumi sessuali osceni e di diffusione dell’AIDS)

Patrizia Pelosi ha un curriculum invidiabile. Prima di rivolgerle alcune domande, infatti, viene presentata come “Dirigente Fisico Medico dell’Unità Operativa di Radioterapia dell’Azienda ospedaliera G. Rummo di Benevento. Specializzata in Bioetica e Scienze Ambientali, ha studiato Missiologia, e ha partecipato in qualità di relatrice alla seconda Assemblea dell’Associazione Internazionale dei Missiologi cattolici a Cochabamba (Bolivia) nel 2004” (Intervista a Patrizia Pelosi, coautrice di un manuale missionario, Zenit, 9 luglio 2007).

Poi possiamo alle domande e alle risposte di Pelosi che, tra le altre scempiaggini, a domanda “In che modo le Missioni possono contrastare i programmi di riduzione delle nascite, le sterilizzazioni, la diffusione di aborti e pillole abortive?” risponde:

La propaganda dell’ideologia contraccettiva è divenuta un fenomeno incontenibile, soprattutto in Asia e Africa, in particolare per l’incidenza del contagio dell’AIDS. I giovani ritengono l’unico principio che il contraccettivo li rende liberi e protetti. In particolare il confronto, soprattutto delle ragazze, con le giovani che lasciano la scuola per matrimoni precoci o per maternità inattese, situazione più che frequente in Asia e Africa, spinge l’opinione pubblica a considerare il contraccettivo come la soluzione rapida che consente di sfuggire ad una vita di basso stato sociale aprendosi all’opportunità di un futuro promettente.

I Paesi in Via di Sviluppo sono il bersaglio di elezione per la diffusione dei contraccettivi, usando come pista d’ingresso la nota teoria del sovraffollamento. Inoltre in ampie regioni dell’Africa e dell’Asia la piaga della propagazione dell’AIDS ha reso quasi obbligatoria l’introduzione del condom, accusando tutti coloro che si oppongono a questa strategia di ledere la salute dell’intera società.

Il fallimento di questa scelta è prevedibile. La mentalità contraccettiva porta in sé un disvalore che è contro la vita e non potrebbe essere risolutiva per una problematica così complessa. Anzi l’uso diffuso e consigliato di contraccettivi accentua un disordine sociale che ben si presta ad una maggiore diffusione dell’AIDS. Non si tratta di fare una politica della privazione ma della coerenza: di orientare le scelte sociali per il bene di tutti attraverso il bene del singolo. La scelta dell’astinenza prematrimoniale e della fedeltà fanno da battistrada per restituire alla società una ricchezza di valori e riferimenti ormai smarriti nella ricerca della insaziabile soddisfazione sessuale personale.

(I corsivi sono miei).

martedì 19 dicembre 2006

Condanna a morte per i 6 della Libia

Libia, a morte 5 infermiere e 1 medico, Il Corriere della Sera, 19 dicembre 2006:

La giustizia libica ha condannato a morte le cinque infermiere bulgare e il medico palestinese accusati di aver inoculato il virus dell’Aids a centinaia di bambini libici. Lo ha annunciato oggi il tribunale di Tripoli. In aula, gli accusati sono scoppiati in lacrime alla lettura del verdetto poi sono stati condotti all’esterno, dove le famiglie dei bambini, morti o malati, hanno accolto la sentenza con danze e canti. I condannati hanno ora la possibilità di ricorrere in appello presso la Corte Suprema.
La condanna è arrivata nonostante i pareri scientifici abbiano smontato l’accusa.

Qui il web focus di Nature, con le notizie e i rapporti sulla vicenda.

giovedì 14 dicembre 2006

Fedeltà e astinenza contro la diffusione dell’Aids

Parola di Papa.
Le analogie potrebbero essere molte.
Stare in casa contro la diffusione dell’influenza.
Essere eremiti contro le delusioni amorose.
Digiunare contro le indigestioni.
Tacere contro il rischio di dire stronzate.
(Quest’ultima è interessante...)