lunedì 5 gennaio 2009

Perché il referendum non va bene

Luca e Francesco Cavalli-Sforza hanno scritto, qualche giorno, un articolo: Quando si nega il diritto a morire, la Repubblica, 1 gennaio 2009.
Seppure condivisibile per la posizione (la libertà, cioè, di scegliere della propria esistenza), in molti punti le argomentazioni mi hanno lasciato perplessa.
A cominciare dal coma di Eluana Englaro che non è in coma ma in stato vegetativo persistente e permanente, per finire alla sovrapposizione del diritto (o della libertà) di suicidarsi e delle cosiddette decisioni di fine vita. Entrambi legittimi, si intenda, ma credo che sarebbe stato più opportuno distinguere meglio il suicidio vero e proprio dalla richiesta di morte formulata in ambito sanitario.
Ciò che mi trova maggiormente in disaccordo è la soluzione referendaria.
I Cavalli-Sforza scrivono:

Bisognerebbe chiedere ai cittadini se il testamento biologico è ammissibile. Può l'individuo decidere, in piena consapevolezza, quale deve essere la sua sorte se dovesse perdere coscienza per un tempo illimitato, o se non fosse più in grado di esprimere la propria volontà? Può lasciare scritto: "Staccate i tubi"; oppure: "Tenetemi in vita comunque, finché possibile"; o ancora, poniamo: "Tenetemi in vita per sei mesi, poi lasciatemi morire"? Non si può pretendere che i cittadini si esprimano per referendum su temi che richiedono competenze speciali, come l'ingegneria genetica o le strategie energetiche, ma a chi spetta, se non a loro, decidere se chi è nato è libero di scegliere la propria morte? E sperabile credere che vincerebbe il parere: "Io sono padrone della mia vita".
Pur se le risposta alle domande è, anche per me, affermativa, lo strumento referendario si presta ad una sgradevole ambiguità: che una libertà debba passare il vaglio della maggioranza.
Mi spiego: una legge liberale (qualsiasi sia l'oggetto specifico) permetterebbe ai cittadini di scegliere. La libertà individuale non dovrebbe essere messa ai voti come la scelta del colore delle tende in una riunione di condominio.
Non solo perché esiste il rischio, di fatto, che quella libertà sia schiacciata dalla indifferenza o da altre ragioni; ma per una questione di principio. Un principio che dovremmo contribuire a sostenere e a ripristinare in uno Stato che voglia ancora dirsi liberale e civile.
L'assenza del Parlamento sui diritti civili è imperdonabile. Il clima illiberale e paternalistico è osceno e gravemente lesivo della libertà. Si capisce che il richiamo al referendum potrebbe essere, nelle intenzioni degli autori, una estrema risorsa. Ma è davvero - o meglio, dovrebbe essere - proprio l'ultima spiaggia. Chissà, forse non voglio rassegnarmi a pensare che ci siamo già, ma continuo a pensare che non sia la strada giusta da percorrere. Certo quella parlamentare non sembra promettere meglio...

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Ma soprattutto: in Italia il referendum non è solamente abrogativo (o consultivo in caso di modifiche costituzionali)?
Lo sanno, i proponenti della norma, che in Italia non si può approvare una legge via referendum?
Mah...

Weissbach ha detto...

Non solo perché esiste il rischio, di fatto, che quella libertà sia schiacciata dalla indifferenza o da altre ragioni; ma per una questione di principio.

Importantissima puntualizzazione.

Tutavia puntualizzo anch'io:
il fallimento dovuto all'indifferenza - nelle condizioni attuali - non è un rischio: è una certezza.

E dobbiamo tenere conto anche della strumentalizzazione che si farebbe dell'astensione.
Un film già visto:
"75% astenuti = Italiani, popolo maturo".

paolo de gregorio ha detto...

Stesso pensiero di Yupa: il referendum può solo essere abrogativo.

In linea di principio sono d'accordo con il commento di Laura. Ma va detto che a mio parere anche in occasione del referendum sulla legge 40 ci si è trovati di fronte ad una situazione simile: in ballo c'erano diritti che, a norma di principio, non sarebbero dovuti essere nemmeno materia di legge (almeno limitatamente ad alcuni di essi, che rientravano del diritto alle cure e cozzavano col dettato costituzionale che prevede la rimozione degli ostacoli alla realizzazione della persona). Quindi, se esistesse una legge limitante di alcuni diritti costituzionalmente garantiti il referendum potrebbe anche essere uno strumento arraffazzonato di correzione, fermo restando che la vera battaglia dovrebbe essere in senso civico, di responsabilizzazione dei politici e, se necessario, fatta di ricorsi alle corti di giustizia opportune. Perché sono d'accordissimo che la maggioranza non può determinare la rimozione di un diritto, nemmeno se quel diritto riguardasse un singolo cittadino.