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domenica 14 settembre 2008

La Royal Society e i creazionisti

Già il titolo ti procura un tuffo al cuore: «Scandalosa Royal Society, la casa di Darwin apre al creazionismo». Il testo dell’articolo, poi, ti lascia costernato:

La notizia è in grado di far crollare il falso clivage evoluzione/creazione. La Royal Society, il tempio della scienza fondato nel 1660, la crème de la crème della filosofia positivista anglosassone, apre al creazionismo e alla teoria del disegno intelligente e chiede d’inserire questa “visione del mondo” nei curricula scolastici inglesi, in quanto “legittimo punto di vista”. Michael Reiss, religioso e biologo all’Università di Londra nonché pezzo da novanta dell’istituzione in campo educativo, durante il festival della scienza a Liverpool ha esposto la nuova rivoluzionaria posizione ufficiale dell’istituzione. Immediate le reazioni di gran parte della comunità scientifica anglosassone. “Il creazionismo è basato sulla fede e non ha niente a che vedere con la scienza”, è il commento di Lewis Wolpert della College Medical School, mentre il biologo di fama John Fry afferma che “il creazionismo deve essere discusso come posizione alternativa sulle origini dell’uomo”.
[…] Ieri l’Accademia ha precisato che il pensiero di Reiss rappresenta quello del presidente, Lord Rees di Ludlow, e dei ventuno Nobel affiliati alla Royal Society.
A questo punto ti chiedi sgomento come una istituzione così venerabile possa cadere così in basso; e stai per passare a qualche amara considerazione sulla decadenza dei tempi, quando ti sovviene un dubbio. Su che giornale è apparsa la notizia? Sul Foglio (13 settembre, p. 2). E chi è l’autore del pezzo? La firma è «gm», che starà, quasi certamente, per Giulio Meotti. Ah, ti dici. Forse la Royal Society non è ancora perduta.

Cominciamo con l’identificare la fonte della notizia. Sono diversi i quotidiani britannici che l’hanno riportata, ma sembra che il Foglio si sia basato essenzialmente sul Times: il commento “il creazionismo deve essere discusso come posizione alternativa sulle origini dell’uomo” si ritrova in questa forma unicamente – secondo Google News – nell’articolo di Lewis Smith e Alexandra Frean, «Leading scientist urges teaching of creationism in schools», pubblicato il 12 settembre, un giorno prima di quello del Foglio. Ed è proprio con la frase citata che cominciano i guai: non tanto perché a pronunciarla non è stato John Fry ma John Bryant – questi sono errori che capitano – ma perché il nostro «gm» non l’ha riportata per intero. Subito dopo Bryant aggiunge infatti: «However, I think we should not present creationism as having the same status as evolution» («Tuttavia, penso che non dovremmo presentare il creazionismo come se avesse lo stesso status dell’evoluzione»).
L’omissione dà l’idea del metodo all’opera, ma non è, di per sé, gravissima; molto grave è invece una seconda omissione. Subito dopo aver riportato il sostegno della Royal Society a Reiss, che leggiamo anche nel Foglio, il Times prosegue infatti con le parole testuali del portavoce della Società:
«Teachers need to be in a position to be able to discuss science theories and explain why evolution is a sound scientific theory and why creationism isn’t».
(«Gli insegnanti devono trovarsi nella posizione di poter discutere teorie scientifiche e spiegare perché l’evoluzione è una teoria scientifica fondata mentre il creazionismo non lo è»; corsivi miei.)
Non stupisce di non trovare traccia di queste parole nell’articolo italiano, visto che ne minano alla base l’assunto: la Royal Society non sta in nessun modo avallando la credibilità scientifica del creazionismo.

Le colpe, bisogna ammetterlo, non sono tutte del disinvolto «gm». Anche il Times, a leggere bene, risulta alquanto contraddittorio: da un lato apre il pezzo scrivendo «Creationism should be taught in science classes as a legitimate point of view, according to the Royal Society» («Il creazionismo dovrebbe venire insegnato nelle ore di educazione scientifica come un legittimo punto di vista, secondo la Royal Society»), dall’altro riporta questa dichiarazione dello stesso Reiss: «Just because something lacks scientific support doesn’t seem to me a sufficient reason to omit it from a science lesson» («Solo perché qualcosa manca di prove scientifiche non mi sembra una buona ragione per ometterla da una lezione di scienze»; corsivi miei). Si noti però il contributo creativo di «gm» ad intorbidare le acque: «legittimo punto di vista» riceve nel suo articolo le virgolette, come se rappresentasse una citazione diretta della Royal Society, mentre in realtà è una frase solo del Times; dell’ultimo giudizio di Reiss non c’è ovviamente traccia, mentre più avanti nell’articolo sul Foglio, in una parte che non ho riportato, «gm» ne cita uno in cui lo studioso sembrerebbe dire l’opposto:
«Alcuni insegnanti di scienza pensano che il creazionismo e il disegno intelligente sono scientificamente invalidi e questo significa che chiunque li sostenga è un tantino stupido».
Qui la manipolazione raggiunge vette virtuosistiche. L’originale si trova sul Telegraph, sempre del 12 settembre (Aislinn Simpson e Richard Gray, «Creationism should be taught in science classes, says expert»):
«some science teachers think that because creationism and intelligent design are scientifically invalid, that means anybody holding them is being a bit stupid».
(«Alcuni insegnanti di scienze pensano che dato che il creazionismo e il disegno intelligente sono scientificamente invalidi, questo significa che chiunque li sostenga è un tantino stupido».)
Basta togliere un «dato che» e aggiungere un «e» per far dire a Michael Reiss una cosa un po’ diversa da quella che ha effettivamente detta...

Al di là delle falsificazioni con cui è stato presentato in quest’occasione, l’intervento di Reiss si prestava in effetti ad essere male interpretato, e infatti ha sollevato aspre polemiche anche in Gran Bretagna. Il 12 settembre – troppo tardi perché al Foglio ne prendessero contezza? – la Royal Society ha dunque emesso un comunicato stampa in cui fa giustizia delle interpretazioni errate e/o interessate delle sue posizioni:
The Royal Society is opposed to creationism being taught as science. Some media reports have misrepresented the views of Professor Michael Reiss, Director of Education at the Society expressed in a speech yesterday.
Professor Reiss has issued the following clarification. “Some of my comments about the teaching of creationism have been misinterpreted as suggesting that creationism should be taught in science classes. Creationism has no scientific basis. However, when young people ask questions about creationism in science classes, teachers need to be able to explain to them why evolution and the Big Bang are scientific theories but they should also take the time to explain how science works and why creationism has no scientific basis. I have referred to science teachers discussing creationism as a ‘worldview’; this is not the same as lending it any scientific credibility.”
The society remains committed to the teaching of evolution as the best explanation for the history of life on earth. This position was highlighted in the Interacademy Panel statement on the teaching of evolution issued in June 2006.
L’onore della Royal Society è salvo; quello di certi giornalisti italiani è affondato da tempo senza speranza.

Aggiornamento 16/9: Michael Reiss si è dimesso:
Some of Professor Michael Reiss’s recent comments, on the issue of creationism in schools, while speaking as the Royal Society’s Director of Education, were open to misinterpretation. While it was not his intention, this has led to damage to the Society’s reputation. As a result, Professor Reiss and the Royal Society have agreed that, in the best interests of the Society, he will step down immediately as Director of Education a part time post he held on secondment. He is to return, full time, to his position as Professor of Science Education at the Institute of Education.
The Royal Society’s position is that creationism has no scientific basis and should not be part of the science curriculum. However, if a young person raises creationism in a science class, teachers should be in a position to explain why evolution is a sound scientific theory and why creationism is not, in any way, scientific.
Mi chiedo se queste dimissioni siano una scelta saggia. L’intenzione di Reiss era chiara e nel complesso condivisibile – anche se se ne poteva discutere. Ora si corre il rischio che diventi un martire nel fervido immaginario creazionista...

Aggiornamento 19/9: Il Foglio fa marcia indietro...

lunedì 21 agosto 2006

Il linguaggio con cui Dio ha creato la vita

Ci è voluto un intero fine settimana per digerire un articolo di Giulio Meotti (Il guru del genoma alla caccia del linguaggio scientifico di Dio, Il Foglio, 19 agosto 2006) su un eroe moderno quale Francis Collins.
Si incomincia con una idilliaca e arcadica ricostruzione dell’infanzia di Francis Collins.

È cresciuto in una “sporca fattoria” di novanta acri della Virginia senza impianto idraulico. Si viveva di lavoro duro nei campi, un teatrino estivo e tanta musica. Figlio di un professore di letteratura attivista sociale e mangiapreti, Francis Collins, istruito a casa dalla madre letterata, aveva di fronte un brillante avvenire come scrittore (a nove anni rielaborò il “Mago di Oz”). I pochi contatti con Dio li teneva attraverso il coro di una chiesa episcopaliana: “I miei genitori mi mandavano in chiesa perché pensavano che fosse un buon posto per imparare musica”.
E poi l’agiografia prosegue con la descrizione delle conversioni (eh sì, non gli bastava una conversione).
Alla fede dice di essere arrivato con la lettura di C. S. Lewis e grazie a un amico che nel 1978 lo accompagnò in una chiesa metodista. “Capii che i miei argomenti contro la fede erano quelli di uno scolaretto. Nel mio ventisettesimo anno divenni un ‘born again’. La fede in Dio è più razionale della miscredenza. Agostino, Tommaso e Lewis hanno spiegato che la fede in Dio è plausibile. La legge morale descritta da Lewis è una caratteristica umana universale”.
Può anche essere che i suoi argomenti contro la fede fossero quelli di uno scolaretto, ma forse solo perché non ne aveva trovati di validi. Gli argomenti di Collins non esauriscono di certo tutti i possibili argomenti (validi) contro la fede (contro la fede come forma di razionalità o come verità scientifica). Il fatto poi che la fede sia più razionale della miscredenza è piuttosto divertente, e guarda caso non supportato da ragioni (perché non ce ne sono? perché sono tanto evidenti da essere superflue?).
Collins era un ateo indefesso prima di una gita alle Cascade Mountains. “La maestosità e la bellezza della creazione di Dio superò la mia resistenza. Come girai l’angolo e vidi una cascata, capii che la ricerca era finita. Il mattino successivo mi inginocchiai quando sorse il sole”. Da allora non è stato più lo stesso. Poi ci fu quella domanda inquietante, rivoltagli da una paziente su un lettino della North Carolina University: “In cosa credi?”. La sua conversione, narrata in un libro degno delle migliori biografie scientifiche, coincise con i momenti più alti della sua carriera.
Sarebbe interessante approfondire il paragone con le migliori biografie scientifiche. In che senso il libro che narra la confessione di Collins sarebbe degno...? Magari dal punto di vista stilistico? Senza dubbio sono belle le Cascade Mountains (vedi foto), ma che fossero addirittura in grado di scatenare tutto ciò chi l’avrebbe immaginato?
“Mi spaventa la visione deterministica della cultura popolare e del vocabolario. Dio può intervenire, sono i miracoli. Il genoma ci dice quali componenti sono necessarie per costruire un organismo che ha le proprietà biologiche di un essere umano a partire dal singolo embrione. Ma la nostra ‘umanità’ è molto più di questo. Sulle grandi domande interessanti, come ‘perché siamo qui?’, o ‘perché gli esseri umani bramano per la spiritualità?’, trovo la scienza insoddisfacente.
La visione deterministica, criticata da moltissimi scienziati che tuttavia non ricorrono ai miracoli, non può costituire la ragione per invocare Dio. Sulle domande cui la scienza non può rispondere ci si può rivolgere altrove, non necessariamente alla divinità.
Quando scopro qualcosa sul genoma umano, faccio l’esperienza di un senso di timore per il mistero della vita e dico a me stesso, ‘wow, solo Dio lo sapeva prima’. È una sensazione bellissima che mi aiuta ad apprezzare Dio. Dio ha reso tutto questo possibile. E la scienza diventa qualcosa di più di una scoperta”.
Non si poteva direttamente domandare a Dio invece di affaticarsi in ricerche complesse e costose e magari destinare quei soldi alla carità? Che fa Dio, ci prende in giro? Si diverte a nasconderci la verità? Come un bambino dispettoso nasconde i giocattoli preferiti?
I suoi eroi sono l’ebreo Maimonide e sant’Agostino, “lo scettico convertito che sentiva la visione evoluzionistica dell’essere umano in accordo con la Genesi. Dio usa il processo dell’evoluzione per creare l’uomo. Il Dio della Bibbia è il Dio del genoma. Può essere venerato nella cattedrale e nel laboratorio. Anche Albert Einstein vide la povertà di una visione del mondo naturalistica. Isaac Newton scrisse più interpretazioni della Bibbia che opere di matematica e fisica”. Luminare della terapia genica, non ha problemi a credere che la resurrezione di Cristo sia “il personale interesse di Dio negli esseri umani”. La musica sacra è l’epifania della natura divina nell’uomo: “Alla morte degli atleti israeliani a Monaco ’72, la Filarmonica di Berlino suonò il lamento in c-minore di Beethoven allo stadio olimpico, mescolando nobiltà e tragedia, vita e morte. Per alcuni attimi fui sollevato dalla visione materialistica in una dimensione spirituale indescrivibile”.
Ben interessante interpretazione dell’evoluzione umana. Dio del genoma? Venerato in laboratorio?
Collins è un argine, nella comunità dei genetisti americani, alla valanga di richieste di sperimentazione umana: “Mi oppongo all’idea di creare embrioni e farci degli esperimenti. Non siamo molto distanti dal periodo di devastante eugenetica del secolo scorso. Quando la tecnologia della diagnosi preimpianto sarà sempre più diffusa andremo incontro a una eugenetica fatta in casa”. A spaventarlo di più è “la precipitosa fuga in avanti del riduzionismo, la corsa febbrile consiste nell’attribuire tutto, persino i tratti della personalità, al Dna”. Durante una conferenza, un giornalista liberal gli chiese: “Crede nella Vergine Maria?”. E lui, senza battere ciglio e magari pensando ai leucociti rispose: “I do”.
1. Riguardo all’eugenetica ci siamo già pronunciati. 2. “La precipitosa fuga in avanti del riduzionismo” non ha come unica alternativa la credenza religiosa. Attribuire ‘tutto’ al DNA è sbagliato, ma contestabile anche sulla base di principi scientifici e razionali (evitando, così, il misticismo e le false credenze). 3. Credere nella Vergine Maria non è una risposta alla questione del riduzionismo e a nessuna altra questione scientifica. È solo una risposta personale (più o meno condivisibile; e comunque non dimostrabile). Perché mai Collins si opponga alla sperimentazione embrionale è lecito solo immaginare. E l’immaginazione rischia di allontanarsi dalle ragioni (ammesso che ve ne siano) date per scontate dal nostro.

giovedì 3 agosto 2006

La superbia del Pretino / castigata è da Malvino

Povero Pretino Superbo! Ma del resto, uno che scrive questo (Giulio Meotti, «Il corpo è traditore», Il Foglio, 3 agosto 2006, p. IV):

Ma è comunque meglio l’inferno appassionato della concupiscenza del paradiso inerte e slavato che ci presentano i nuovi mistici del gene. Solo chi ragiona in modo sferico può pensare di produrre in vitro esseri umani e destinarli all’azoto liquido, a duecento gradi sotto zero, fabbricando solo deportati dell’Applicabilità. È il dominio dello spermatozoo postumo, l’uomo-massa di Ortega con membro erettile che ingravida anche dalla tomba. … Il nuovo biologismo, come prima il marxismo, non vuole riconoscere che noi esseri umani dopo il peccato originale siamo quello che siamo e tenta di far nascere un “uomo nuovo” completamente diverso. La concupiscenza è sostituita dalla procreazione cosciente, la fecondazione sotto stronzio radioattivo, il mattatoio sadista dei nuovi dottor Moreau che presumono di fare un uomo. Non più uomini e donne, icone della creazione e della propria concupiscenza, ma corpi, solo corpi.
si merita abbondantemente questo.

martedì 20 giugno 2006

La tirannia molecolare (ovvero della perversione di Strasburgo sugli embrioni)

LA DEMOCRAZIA DELLA RAGIONE CONTRO LA “TIRANNIA MOLECOLARE”.
La tossicità della scienza che degrada gli embrioni a potenziali cadaveri.
WILLIAM HURLBUT, BIOLOGO E CONSIGLIERE DI BUSH, SPIEGA PERCHÉ L’ITALIA NON DOVEVA RITIRARE LA FIRMA A STRASBURGO (Il Foglio, 20 giugno 2006).

Ah, finalmente. Ci sediamo comodamente e incominciamo a leggere l’articolo di Giulio Meotti.
Dopo dettagli professionali e privati di Hurlbut (sarebbe uno dei più famosi biologi americani, insegna a Stanford con la moglie Erica e un figlio disabile), entriamo nel merito di embrioni e tiranni.

Secondo Hurlbut la decisione italiana di allinearsi agli altri paesi europei è doppiamente perversa. “Ignora un risultato referendario importantissimo e unico al mondo. E poi per preservare la comunità dei vivi dobbiamo affermare il valore della vita umana nascente in ogni circostanza”.
Ecco. Svelate le ragioni della perversione della decisione comunitaria riguardo alla possibilità di finanziare ricerche su cellule derivate da embrioni. Mi rifiuto di commentare per l’ennesima volta l’assurda argomentazione del risultato referendario (quel famoso 75%...). Sulla seconda ragione ho qualche difficoltà a comprenderne il senso. Provo ad azzardare che un modo (il modo?) per preservare i vivi è di rispettare tutti i vivi, e pertanto anche lo spermatozoo che ha appena incontrato l’ovocita. La vita. Dovrebbe valere per tutti gli esseri viventi allora: piante e ratti compresi. Vita. Anche quella è vita, no? Chi oserebbe affermare il contrario? In questo caso fanno bene i jainisti, e mi piacerebbe proprio sapere se il celebre biologo e l’illustre giornalista si adeguano alle indicazioni della dottrina suddetta. Ma andiamo oltre.
Se la ricerca contro l’embrione verrà confermata, in futuro entreremo in ospedale con un senso di nausea morale sul trattamento che stiamo per ricevere”.
Cambierà anche il significato della medicina, verrà abbandonata la dimensione nobile per un puro utilitarismo tecnoscientifico. “Non possiamo costruire il futuro degradando l’umanità che vogliamo medicare. È il pericolo di una reificazione delle qualità umane. A Francis Collins, il capo del progetto genoma umano che ha scoperto il gene della fibrosi cistica, ho chiesto se avesse mai avuto in cura un solo paziente di cui, disse, avrebbe voluto impedire la nascita. Rispose di no. La tecnologia dello screening e del setaccio può opprimerci di aspettative e terrore, facendoci sapere del futuro più di quanto vogliamo.
È una conoscenza tossica. Dobbiamo guardare in faccia il pericolo della chimerizzazione umano-animale e delle promesse seduttive dell’autotrasformazione tecnologica.
Dobbiamo ricordarci infine che poco più di sessant’anni fa questa scienza era al servizio dell’eugenetica”. Abbiamo bandito la schiavitù, ora dobbiamo avere il coraggio di opporci a questa nuova forma di “tirannia molecolare”, come la chiama Hurlbut. “L’uso di embrioni come fonte scientifica e medica corrode il significato profondo della vita umana. Nessuno di noi è un cadavere potenziale. Abbiamo la capacità di morire. Altra cosa è dire che siamo molecole. Siamo in grado di cessare di essere, ma non siamo cadaveri. Siamo, semmai, una rivoluzione della natura”.
Miodio, mi ci vorrebbe la notte intera per controbattere tutte le idiozie riportate. Procedo disordinatamente (e forse incompiutamente). Notare il disprezzo nell’utilizzo di utilitarismo e tecnoscientifico (di contro alla nobiltà). Accoppiati, poi, raddoppia la condanna. Bene. Perché nessuno ce lo dice? No.
La reificazione è un argomento molto battuto. Ricorda Richard Lewontin (facciamo a gara di fama? No, lasciamo stare) che molte azioni umane sono reificate, in molte circostanze veniamo reificati (le braccia lavoro, l’idraulico che aggiusta il rubinetto e di tanto in tanto si diletta in fecondazioni eterologhe naturali, come ci avverte la Alberti Casellati... pardon, il lattaio). Dobbiamo decidere se accettare la presenza della reificazione, oppure rifiutarla in blocco e allora le conseguenze sono pesanti.
È una conoscenza tossica. Dobbiamo guardare in faccia il pericolo della chimerizzazione umano-animale e delle promesse seduttive dell’autotrasformazione tecnologica. Queste righe farebbero impallidire Deleuze e Lacan e tutti gli altri ciarlatani come loro.
Ecco poi di nuovo l’eugenetica (Hitler e l’ideologia sterminatrice) buttata come sabbia negli occhi. E ancora una spericolata analogia: la schiavitù (tradizionalmente intesa) e la tirannia molecolare (bella espressione però, davvero notevole!).
Quanto al cadavere potenziale, caro Hurlbut, mi dispiace, ma non siamo che questo. Morti potenziali. Cenere potenziale. Che significherebbe ‘capacità di morire’? Che significa che sono capace di morire? Siamo destinati a morire, in un senso ben poco metafisico di destino. Non possiamo sottrarci alla morte. Questo è quanto. Certo che non siamo (adesso) cadaveri, non staremmo qui a scrivere. Sempre che la premessa condivisa sia che i cadaveri non scrivono. Ma chissà, vista la diffusa convinzione di equivalenza delle opinioni (idea tanto stupida quanto perniciosa), non è bene dare per scontato nulla.

ps
Quanto alle gare, non ho resistito. Le occorrenze su Google.it per Hurlbut sono 37.100; per Lewontin 110.000.

mercoledì 19 aprile 2006

L’essenza di Giulio Meotti

Sul Foglio di oggi Giulio Meotti chiosa il testo di monsignor Angelo Comastri che ha accompagnato la Via Crucis di venerdì 14, scrivendo tra l’altro («L’anti-disegno e l’essenza dell’uomo volatilizzata nel processo evolutivo», p. III dell’inserto):

Comastri ha denunciato … il processo che pretende di “reinventare l’umanità modificando la grammatica stessa della vita”. Per capire facciamo un passo indietro. Era un pomeriggio di sessant’anni fa. Il biofisico Francis Crick si avventa dentro l’Eagle, un pub di Cambridge: “Abbiamo trovato il segreto della vita”, esclama il futuro Nobel. Da allora si è detto che è il Dna ad aver creato la vita, che lì tutto inizia e finisce, seme di destino e discrimine per la vita o la morte. Ma la ragione ci suggerisce il contrario: la vita ha creato il Dna. Contemporaneamente alla scoperta di Watson e Crick, una visione riduzionista del pensiero scientifico ha preteso, infatti, che si conoscesse sempre meno cos’è un uomo. Comastri parla di un “anti-disegno”, … pone radicalmente in discussione l’idea neo-evoluzionistica per cui le specie viventi discendono da specie precedenti sempre più semplici, fino ad arrivare agli organismi unicellulari, riducendo la vita a fanghiglia informe, materia inanimata. … “Anti-disegno” significa che l’essenza originaria dell’uomo si è volatilizzata nel carattere passeggero e lunatico del processo evolutivo.
Verrebbe facile ironizzare sull’informazione approssimativa (la data sbagliata, il Dna che ha «creato la vita» – forse Meotti avrà orecchiato qualche notizia di terza mano sull’ipotesi del mondo a Rna) e sulla filosofia dozzinale (l’anti-riduzionismo che presuppone proprio il riduzionismo che dice di combattere: se la vita ha avuto origine dalla «fanghiglia», allora la vita non è che fanghiglia...). Ma quello che colpisce di più è l’adesione esplicita (ancorché vagamente sibillina) a quella teoria del Disegno Intelligente che ha passato una verniciata di scienza sul vecchio creazionismo dei fondamentalisti americani: «la ragione ci suggerisce il contrario: la vita ha creato il Dna».
Se Meotti fosse più informato (o più sincero?) sostituirebbe la parola «ragione» con «ideologia»: perché la reazione anti-scientifica non prende le mosse da obiezioni razionali, ma – soprattutto nella sua versione italica – dal desiderio tutto ideologico di ancorare l’uomo a una pretesa essenza originaria e immutabile, in modo da legittimare vecchie forme di dominio, ed altre più nuove che da quelle a loro volta cercano legittimazione. Essere il bersaglio degli ideologi sembra del resto il destino della Teoria dell’Evoluzione; il caso più eclatante risale, com’è noto, all’Unione Sovietica degli anni Trenta – anche se il paragone sarebbe sicuramente rigettato con sdegno dai tanti Lysenko in sedicesimo che oggi imperversano.

lunedì 27 marzo 2006

Il Protocollo di Groningen e la bêtise

Dopo la performance ad Otto e Mezzo del 22 marzo, i giornalisti e i collaboratori del Foglio sono tornati l’altro ieri a parlare del Protocollo di Groningen e dell’eutanasia pediatrica in Olanda dalle colonne della casa madre.
Cominciamo da un editoriale non firmato a p. 3, «Non è eutanasia, è eutanazia», che attribuirei a Giulio Meotti: i lettori lo ricorderanno con la sua faccia da pretino superbo mentre snocciolava cifre a Otto e Mezzo, sotto lo sguardo paternamente orgoglioso del suo direttore. Ritorna qui la cifra di 600 bambini la cui morte nel primo anno di vita «è preceduta da decisioni dei medici sull’interruzione della vita»: così a sentire l’articolista confesserebbe l’articolo di Eduard Verhagen e Pieter J.J. Sauer sul New England Journal of MedicineThe Groningen Protocol — Euthanasia in Severely Ill Newborns», NEJM 352, 2005, pp. 959-62). La cifra è girata ossessivamente anche in Tv, sbattuta in faccia ad europarlamentari olandesi e a segretari di partito italiani come dato oggettivo e testimonianza irrefutabile dell’olocausto infantile in corso nei Paesi Bassi: 600 bambini sono molti, e questo vorrebbe dire che l’eutanasia olandese non si applica solo ai casi più disperati. Già nel Foglio del 9 marzo, in un articolo sempre non firmato (ma attribuito durante la trasmissione al Pretino Superbo), si proclamava («L’Olanda ora vuole anche il primato dell’eutanasia infantile», p. 3):

Nell’articolo Verhagen spiega che «dei 200 mila bambini nati ogni anno in Olanda, circa mille muoiono nel primo anno di vita. Per 600 di loro, la morte è preceduta da una decisione medica sulla fine della vita». Tradotto: il 60 per cento della mortalità infantile in Olanda ha un’origine intenzionale. Ritradotto: è in corso un olocausto medico sul quale l’Unione europea fa finta di niente.
A proposito di traduzioni, cominciamo col notare che in questo primo articolo si usava un più neutro «fine della vita», mentre ieri si era già passati a parlare di «interruzione della vita». Noi di Bioetica siamo andati a leggerci l’articolo dei due medici olandesi (ringrazio Fabrizio F. per la collaborazione): ci sono questi 600 bambini eutanasizzati all’anno? Ovviamente, no. Ecco cosa dice l’originale inglese:
Of the 200,000 children born in the Netherlands every year, about 1000 die during the first year of life. For approximately 600 of these infants, death is preceded by a medical decision regarding the end of life. Discussions about the initiation and continuation of treatment in newborns with serious medical conditions are one of the most difficult aspects of pediatric practice. Although technological developments have provided tools for dealing with many consequences of congenital anomalies and premature birth, decisions regarding when to start and when to withhold treatment in individual cases remain very difficult to make. Even more difficult are the decisions regarding newborns who have serious disorders or deformities associated with suffering that cannot be alleviated and for whom there is no hope of improvement.
La parola chiave qui è «preceded»: la morte di questi 600 è preceduta, non (necessariamente) causata da una decisione medica sulla fine (eh sì, è «fine», non «interruzione») della vita. Tradotto: nella cifra di 600 sono compresi anche i casi in cui si decide di sospendere o non intraprendere un trattamento medico ritenuto ormai inutile, in vista della fine imminente. Ritradotto: sono compresi cioè anche i casi in cui si decide di non praticare l’accanimento terapeutico, secondo quelli che sono i dettami anche della Chiesa (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2278); è quello che si fa correntemente anche in Italia, per esempio con i prematuri minori di 21 settimane. La frase di Verhagen e Sauer è ambigua? Lo possiamo concedere; ma quel che segue lo è molto di meno: «Discussions about the initiation and continuation of treatment», «decisions regarding when to start and when to withhold treatment». Ancora non soddisfatti? Andiamo un po’ più avanti:
Infants and newborns for whom such end-of-life decisions might be made can be divided into three categories. First, there are infants with no chance of survival. This group consists of infants who will die soon after birth, despite optimal care with the most current methods available locally. These infants have severe underlying disease, such as lung and kidney hypoplasia. … Deciding not to initiate or to withdraw life-prolonging treatment in newborns with no chance of survival is considered good practice for physicians in Europe and is acceptable for physicians in the United States. Most such infants die immediately after treatment has been discontinued.
Chiaro, no? Ma allora che cosa hanno letto il Pretino Superbo e gli altri della sua parrocchia?
Quanti sono, dunque, su quei 600 i casi di vera e propria eutanasia, cioè di attiva terminazione della vita di un infante? Diamo di nuovo la parola ai due dottori olandesi:
there are infants with a hopeless prognosis who experience what parents and medical experts deem to be unbearable suffering. Although it is difficult to define in the abstract, this group includes patients who are not dependent on intensive medical treatment but for whom a very poor quality of life, associated with sustained suffering, is predicted. … A national survey of neonatologists in the Netherlands has shown that each year there are 15 to 20 cases of euthanasia in newborn infants who would be categorized in the third group.
Tra i 15 e i 20 casi, dunque. Non 600. Esiste però una categoria intermedia, che rimane non quantificata:
Infants in the second group have a very poor prognosis and are dependent on intensive care. These patients may survive after a period of intensive treatment, but expectations regarding their future condition are very grim. They are infants with severe brain abnormalities or extensive organ damage caused by extreme hypoxemia. When these infants can survive beyond the period of intensive care, they have an extremely poor prognosis and a poor quality of life. … Neonatologists in the Netherlands and the majority of neonatologists in Europe are convinced that intensive care treatment is not a goal in itself. Its aim is not only survival of the infant, but also an acceptable quality of life. Forgoing or not initiating life-sustaining treatment in children in the second group is acceptable to these neonatologists if both the medical team and the parents are convinced that treatment is not in the best interest of the child because the outlook is extremely poor.
Si tratta in altre parole di bambini con una prospettiva di sofferenza non mitigabile, alla cui esistenza non viene posta fine in maniera attiva, ma piuttosto sospendendo o non iniziando cure intensive, e lasciando fare alla natura il suo corso; anche se – a differenza del primo gruppo – la morte non sarebbe una prospettiva ineludibile. Il nome di questa pratica varia, a riprova del suo carattere di caso di confine: rifiuto dell’accanimento terapeutico, eutanasia passiva, etc. Non si tratta affatto di un’esclusiva olandese, come dimostrano le parole dell’articolo (cfr. anche Marina Cuttini et al., «The European Union Collaborative Project on Ethical Decision Making in Neonatal Intensive Care (EURONIC): findings from 11 countries», Journal of Clinical Ethics 12, 2001, 290-96).
Tanto per far capire fino in fondo lo scrupolo documentario dell’autore dell’editoriale, esaminiamo quest’altra sua affermazione:
Se passasse il Protocollo, citando Verhagen, la medicina non dovrebbe più solo tenere in vita il bambino, «ma anche assicurare una qualità di vita accettabile». Per 22 nuovi nati con spina bifida questa frase ogni anno si traduce in morfina inoculata nelle vene.
A parte la citazione vagamente tendenziosa (già sentita a Otto e Mezzo dalla bocca del Pretino Superbo; nell’originale sono le cure intensive, non la medicina, a dover assicurare una qualità della vita accettabile), la cifra di 22 nuovi nati all’anno con spina bifida eutanasizzati contraddirebbe quella fornita nello stesso articolo di 15-20 casi totali di eutanasia infantile. E infatti:
Twenty-two cases of euthanasia in newborns have been reported to district attorneys’ offices in the Netherlands during the past seven years. … They all involved infants with very severe forms of spina bifida [corsivo mio].
Eppure l’inglese non è una lingua così difficile...

Nello stesso numero del Foglio, a p. 4, troviamo una lettera di Loris Brunetta, segretario dell’Associazione Ligure Thalassemici, che comincia così:
Solidarietà a Carlo Giovanardi per quanto ha avuto coraggio di affermare riguardo alla crudezza e brutalità della legge olandese sull’eutanasia. Spesso nelle valutazioni che si fanno riguardo a questo delicatissimo argomento si tiene poco conto delle sensibilità che vanno a toccare, soprattutto quella delle persone malate, che rientrerebbero in molti di quei parametri che sono indicativi per il giudizio di «essere non meritevole di continuare a vivere». Certe cose fanno veramente rabbrividire.
«Essere non meritevole di continuare a vivere» è virgolettato, ma ovviamente non c’è traccia di questa espressione nell’articolo di Verhagen e Sauer né in qualsiasi altro documento legato alla questione; essa appartiene – sia detto con tutto il rispetto – ai fantasmi personali di Brunetta. Ma com’è possibile un simile travisamento della realtà?
Il fatto è che i sostenitori dell’eutanasia infantile usano talvolta parlare di «vita non degna di essere vissuta»; e questa espressione viene spesso tradotta – soprattutto dal pubblico prevenuto – in un’altra simile, ma niente affatto equivalente: «persona non degna di vivere». Una persona non degna di vivere è qualcuno non conforme a un canone morale e/o estetico, presunto oggettivo: una persona che con la sua stessa esistenza macchierebbe un’astratta ‘perfezione’. Una vita non degna di essere vissuta, al contrario, è una vita soggettivamente intollerabile, in cui la quantità di sofferenza di chi la vive soverchia e anzi rende impossibile ogni residua esperienza positiva, tanto da far ritenere preferibile la non esistenza all’esistenza.

Ritroviamo un equivoco molto simile sotto la lettera di Brunetta, in un articolo scritto da Christian Rocca, un blogger che collabora col Foglio («Da radicale dico: la linea radicale sull’eutanasia olandese è cialtrona»). Dopo un’interminabile introduzione, in cui Rocca enumera le proprie credenziali di progressista, liberale, radicale e laico (che curiosamente non gli impediscono di manifestare una certa propensione a votare Forza Italia alle prossime elezioni), e nella quale si trova comunque una battuta degna di essere riportata («Considero Antonio Socci il più brillante intellettuale italiano del XIII secolo»), eccoci finalmente al punto:
La questione, al di là di come la si pensi sull’eutanasia e al netto delle stupidaggini di Giovanardi, è questa: è vero, come dicono i radicali, che in Olanda sperimentano e discutono una legge sull’eutanasia come forma compassionevole per non far soffrire i neonati sofferenti destinati comunque a morire? … Ma, al contrario, se fosse vero ciò che dicono Meotti, Giovanardi e Ferrara, la questione sarebbe ben diversa e negarlo un trucchetto da treccartari. Cosa dicono Meotti, Giovanardi e Ferrara? Dicono che il caso olandese non riguarda soltanto i neonati sofferenti destinati a morte certa, ma anche handicappati gravi. Fosse vero ciò che dicono si tratterebbe di legalizzazione di pratiche di soppressione della razza impura. I radicali negano. Allora sono andato a leggere il protocollo di Groningen, sulla base del quale in Olanda si sperimenta l’eutanasia nei confronti dei neonati. Bene. Parla di bimbi che non hanno chance di sopravvivenza, come dicono i radicali, ma anche di neonati con gravi lesioni cerebrali o danni agli organi vitali che però «possono sopravvivere», malgrado le «aspettative circa le condizioni future» non siano invitanti. C’è anche un terzo caso, «più astratto» e «più difficile da definire», di neonati incurabili la cui esistenza non dipenderà da trattamenti intensivi, ma che a giudizio di genitori e medici avranno «una pessima qualità della vita». Mi dispiace, ma questa volta i propagandisti sono i miei amici radicali.
La lettura compiuta da Rocca è stata, evidentemente, molto selettiva: come abbiamo già visto l’articolo originale aggiunge una specificazione importante: «this group includes patients who are not dependent on intensive medical treatment but for whom a very poor quality of life, associated with sustained suffering, is predicted». E ancora, a p. 959: «must infants with disorders associated with severe and sustained suffering be kept alive when their suffering cannot be adequately reduced?». E ancora, nella tabella n. 2: «Requirements that must be fulfilled: Hopeless and unbearable suffering must be present» (i corsivi sono tutti miei). La parola «suffering» ricorre 20 volte nel testo; e anche là dove si parla solo di «pessima qualità della vita», il riferimento è sempre palesemente alla presenza di sofferenze insopportabili, come è reso esplicito dalla tabella n. 1, in cui compare la dicitura «Extremely poor quality of life (suffering)». Cosa abbia a che fare questa considerazione pietosa per le sofferenze intollerabili di pochi bambini (tra i quali non si trovano né down, né sordomuti, né ciechi, checché ne farnetichi Giovanardi) con le «pratiche di soppressione della razza impura», è un mistero che neppure lo stesso Christian Rocca saprebbe risolvere.
Fortunatamente, a risollevare l’onore della blogosfera ci pensa Federico Punzi, che in un post ben meditato («Risveglio dagli incubi su Groningen. Gli olandesi non sono nazisti», stamattina su JimMomo) fa un po’ di necessaria chiarezza sulla questione.

Rimane infine un quesito a cui rispondere: ci fanno, o ci sono? Abbiamo di fronte una banda di treccartari – il Pretino Superbo, il blogger ‘liberale’, il loro oh-così-intelligente direttore – che sta mentendo spudoratamente per ragioni di cinica propaganda elettorale, contando sul fatto che l’articolo originale è difficilmente reperibile? Oppure si tratta solo di poveracci, letteralmente incapaci di leggere due parole di fila, che riescono a trovare in un testo solo quello che si aspettano già di trovarci? La verità, forse, sta nel classico mezzo: questa è gente che – paradossalmente – si serve della propria incapacità, del proprio gusto per l’approssimazione come arma; è gente che sa bene che a una lettura appena meno affrettata le cose apparirebbero differentemente, ma che decide consapevolmente di non farla, di accontentarsi della prima, superficialissima impressione, quella che conferma i loro pregiudizi. E tanto peggio per chi tenta di trovare soluzioni il più possibile umane a problemi tragici: è un criminale, a cui non si deve neppure il favore elementare di leggerlo con un po’ di attenzione.