martedì 20 giugno 2006

La tirannia molecolare (ovvero della perversione di Strasburgo sugli embrioni)

LA DEMOCRAZIA DELLA RAGIONE CONTRO LA “TIRANNIA MOLECOLARE”.
La tossicità della scienza che degrada gli embrioni a potenziali cadaveri.
WILLIAM HURLBUT, BIOLOGO E CONSIGLIERE DI BUSH, SPIEGA PERCHÉ L’ITALIA NON DOVEVA RITIRARE LA FIRMA A STRASBURGO (Il Foglio, 20 giugno 2006).

Ah, finalmente. Ci sediamo comodamente e incominciamo a leggere l’articolo di Giulio Meotti.
Dopo dettagli professionali e privati di Hurlbut (sarebbe uno dei più famosi biologi americani, insegna a Stanford con la moglie Erica e un figlio disabile), entriamo nel merito di embrioni e tiranni.

Secondo Hurlbut la decisione italiana di allinearsi agli altri paesi europei è doppiamente perversa. “Ignora un risultato referendario importantissimo e unico al mondo. E poi per preservare la comunità dei vivi dobbiamo affermare il valore della vita umana nascente in ogni circostanza”.
Ecco. Svelate le ragioni della perversione della decisione comunitaria riguardo alla possibilità di finanziare ricerche su cellule derivate da embrioni. Mi rifiuto di commentare per l’ennesima volta l’assurda argomentazione del risultato referendario (quel famoso 75%...). Sulla seconda ragione ho qualche difficoltà a comprenderne il senso. Provo ad azzardare che un modo (il modo?) per preservare i vivi è di rispettare tutti i vivi, e pertanto anche lo spermatozoo che ha appena incontrato l’ovocita. La vita. Dovrebbe valere per tutti gli esseri viventi allora: piante e ratti compresi. Vita. Anche quella è vita, no? Chi oserebbe affermare il contrario? In questo caso fanno bene i jainisti, e mi piacerebbe proprio sapere se il celebre biologo e l’illustre giornalista si adeguano alle indicazioni della dottrina suddetta. Ma andiamo oltre.
Se la ricerca contro l’embrione verrà confermata, in futuro entreremo in ospedale con un senso di nausea morale sul trattamento che stiamo per ricevere”.
Cambierà anche il significato della medicina, verrà abbandonata la dimensione nobile per un puro utilitarismo tecnoscientifico. “Non possiamo costruire il futuro degradando l’umanità che vogliamo medicare. È il pericolo di una reificazione delle qualità umane. A Francis Collins, il capo del progetto genoma umano che ha scoperto il gene della fibrosi cistica, ho chiesto se avesse mai avuto in cura un solo paziente di cui, disse, avrebbe voluto impedire la nascita. Rispose di no. La tecnologia dello screening e del setaccio può opprimerci di aspettative e terrore, facendoci sapere del futuro più di quanto vogliamo.
È una conoscenza tossica. Dobbiamo guardare in faccia il pericolo della chimerizzazione umano-animale e delle promesse seduttive dell’autotrasformazione tecnologica.
Dobbiamo ricordarci infine che poco più di sessant’anni fa questa scienza era al servizio dell’eugenetica”. Abbiamo bandito la schiavitù, ora dobbiamo avere il coraggio di opporci a questa nuova forma di “tirannia molecolare”, come la chiama Hurlbut. “L’uso di embrioni come fonte scientifica e medica corrode il significato profondo della vita umana. Nessuno di noi è un cadavere potenziale. Abbiamo la capacità di morire. Altra cosa è dire che siamo molecole. Siamo in grado di cessare di essere, ma non siamo cadaveri. Siamo, semmai, una rivoluzione della natura”.
Miodio, mi ci vorrebbe la notte intera per controbattere tutte le idiozie riportate. Procedo disordinatamente (e forse incompiutamente). Notare il disprezzo nell’utilizzo di utilitarismo e tecnoscientifico (di contro alla nobiltà). Accoppiati, poi, raddoppia la condanna. Bene. Perché nessuno ce lo dice? No.
La reificazione è un argomento molto battuto. Ricorda Richard Lewontin (facciamo a gara di fama? No, lasciamo stare) che molte azioni umane sono reificate, in molte circostanze veniamo reificati (le braccia lavoro, l’idraulico che aggiusta il rubinetto e di tanto in tanto si diletta in fecondazioni eterologhe naturali, come ci avverte la Alberti Casellati... pardon, il lattaio). Dobbiamo decidere se accettare la presenza della reificazione, oppure rifiutarla in blocco e allora le conseguenze sono pesanti.
È una conoscenza tossica. Dobbiamo guardare in faccia il pericolo della chimerizzazione umano-animale e delle promesse seduttive dell’autotrasformazione tecnologica. Queste righe farebbero impallidire Deleuze e Lacan e tutti gli altri ciarlatani come loro.
Ecco poi di nuovo l’eugenetica (Hitler e l’ideologia sterminatrice) buttata come sabbia negli occhi. E ancora una spericolata analogia: la schiavitù (tradizionalmente intesa) e la tirannia molecolare (bella espressione però, davvero notevole!).
Quanto al cadavere potenziale, caro Hurlbut, mi dispiace, ma non siamo che questo. Morti potenziali. Cenere potenziale. Che significherebbe ‘capacità di morire’? Che significa che sono capace di morire? Siamo destinati a morire, in un senso ben poco metafisico di destino. Non possiamo sottrarci alla morte. Questo è quanto. Certo che non siamo (adesso) cadaveri, non staremmo qui a scrivere. Sempre che la premessa condivisa sia che i cadaveri non scrivono. Ma chissà, vista la diffusa convinzione di equivalenza delle opinioni (idea tanto stupida quanto perniciosa), non è bene dare per scontato nulla.

ps
Quanto alle gare, non ho resistito. Le occorrenze su Google.it per Hurlbut sono 37.100; per Lewontin 110.000.

11 commenti:

Anonimo ha detto...

Finché sarà diffusa l'opinione che ognuno di noi viene concepito secondo un 'disegno', sarà dura uscire da questa situazione.

Saluti

Anonimo ha detto...

Sì, ci pare esattamente una differenza da poco.
L'appartenenza alla specie umana non è intrinsecamente rilevante. Vorresti forse abbracciare lo specismo senza sforzarti di cercare altri argomenti validi?

Chiara

Anonimo ha detto...

Inutile girarci attorno: certa gente è talmente attaccata alle paure da Gattaca che oramai non sa più cosa dire. O meglio, sa bene cosa dire ma purtroppo è sempre la solita 'solfa', imperneata in un antropocentrismo di stampo religioso, non ragionato, infecondo.

Forse il sig. William Hurlbut è stato importunato per strada da un qualche transumanista estremo... Tuttavia se credeva di dare argomentazioni sensate, a mio parere non ha fatto altro che tirarsi la zappa sui piedi.

Inoltre la riproposizione faziosa del referendum sulla p.m.a. denota, oltre ad una certa ignoranza tecnica, anche le fonti della propria disinformazione.

Anonimo ha detto...

"Gattaca" è un gran film in parte lo condivido anche nei contenuti...
il problema non è tanto definire ciò che è vita o meno, giustametne come leggo nel post è vita anche l'ortaggio chemangio nella banana o il tonno (o delfino) che mangio quando apro la scatoletta, è vita a pieno titolo anche l'embrione, il problema non è definire la vita ma quando per un sistema (in questo caso la nostra società) è giusto darle un importanza giuridica e qunidi difenderla

Giuseppe Regalzi ha detto...

«Ma una vita umana non è abbastanza importante per essere difesa? Che cos'altro è necessario?»

Il discorso sarebbe lungo, ma ci provo. Come sai, la legge – ma anche la morale corrente – consente l'espianto degli organi da persone che si trovano in stato di morte cerebrale. Eppure queste persone sono sicuramente esseri umani, e sono allo stesso tempo biologicamente vivi: non solo tutte le loro cellule (a parte quelle cerebrali) sono ancora vive, ma i loro corpi respirano e hanno un cuore che batte, fino alla fine dell'espianto. Com'è allora che è possibile ‘ucciderle’, e che nessuno ha nulla da ridire in proposito? Certo non perché sono in procinto di morire: non posso narcotizzare qualsiasi moribondo per prelevare i suoi organi! La ragione vera è che quelle persone non esistono più: la loro mente è svanita per sempre. E noi siamo, in un certo senso, la nostra mente: esistiamo in quanto esseri pensanti. Persino il nostro corpo esiste per noi solo come insieme di eventi mentali: un prurito al naso, un giramento di capo, un male al tallone, sono tutte sensazioni che provengono dal nostro corpo, ma che noi sperimentiamo come percezioni della nostra mente.
Ma allora un embrione e un feto, fino circa alla ventesima settimana, non sono persone, anche se sono esseri umani viventi: non hanno una mente, non ci sono.

Giuseppe Regalzi ha detto...

Caro Embrione, con lo stesso ragionamento si potrebbe dire a chi ha già quattro figli di non privarsi del quinto, né del sesto, né del settimo... O a un prete che non ne ha nessuno, si potrebbe rimproverare di negare una possibilità ai suoi molteplici, possibili figlioli (e ai loro figli, e ai nipoti, e così via). Non sono progetti di vita anche quelli? Magari più sfumati del tuo (che comunque è meno completo di quanto ti vogliano far pensare), ma già con molti punti fermi. E comunque, chi danneggio se interrompo un progetto di vita? L'embrione no, perché (a parte la tua notevole eccezione) non è una persona; il futuro essere umano nemmeno, perché non è che morto l'embrione quello – puff! – scompare dal futuro, come in un film sui paradossi del viaggio nel tempo. Danneggio l'anima che aspetta nel Limbo di incarnarsi? Andiamo, su...
Oh, niente di personale, beninteso.
Ciao.

Anonimo ha detto...

Secondo me è una catena di eventi dettati dal caso se un embrione si trova in un utero e si prepara al suo (possibile) sviluppo o è 'destinato' alla ricerca scentifica.
In più direi che anche le cosiddette scelte arbitrarie fanno parte di questa catena.

Marcoz

Giuseppe Regalzi ha detto...

Scusa, Embrione, ma «questa storia del “progetto di vita”» l'hai tirata fuori tu, non io. Quando ti si dimostra che non sei una persona, tu dici che sei una possibilità di persona; quando ti si fa notare che parlare di possibilità genera solo paradossi, allora torni a essere una persona... E se ti decidessi, una buona volta?

Giuseppe Regalzi ha detto...

Caro Embrione, grazie a te per le tue gentili parole: anch'io, di solito, dai tuoi amici percepisco soltanto insofferenza e, al limite, disprezzo.

Quanto al diritto di vivere il futuro: io rivendico questo diritto perché ho un interesse cosciente a continuare ad esistere, perché voglio continuare ad esistere, o più semplicemente perché desidero cose che so poste nel futuro, e che posso ottenere solo a condizione di continuare ad esistere. I tuoi fratelli embrioni, invece, non hanno desiderio, interesse cosciente o volontà di esserci domani o doman l'altro. Tu mi potrai rispondere che hanno comunque l'interesse oggettivo a svilupparsi in un adulto. Sembra intuitivo, sì, ma se io ti dico che l'interesse dell'embrione è invece quello di dissolversi dopo una settimana e di tornare a unirsi al grande ciclo della materia, cosa mi puoi rispondere? Su che base determiniamo il suo interesse, se lui non può dirci qual è? Sulla natura? Ma la natura ne spreca moltissimi, di embrioni, così come spreca a piene mani la vita dei già nati... E comunque, perché non concedi a ogni modesto gamete umano lo stesso diritto allo sviluppo?

Caro Embrione, sei generoso: proietti sui tuoi fratelli la tua natura unica di embrione pensante. Ma è e resta, appunto, una proiezione, e nulla più.

Giuseppe Regalzi ha detto...

Allora, cerchiamo di riassumere:

1. un embrione non ha interessi coscienti, perché non è un essere cosciente;

2. non esiste un interesse della persona futura a venire al mondo, perché ammettere questo comporterebbe troppi paradossi;

3. non esiste un interesse della natura a completare i propri processi, proprio perché, come dici tu, esiste una differenza fra caso e responsabilità umana: da quando l'uomo è uomo, ha sempre ‘alterato’ i processi naturali a proprio vantaggio.

A questo punto, caro Embrione, ti chiedo: in che senso, nonostante questo, tu hai un interesse a diventare grande? Non è che per caso sarai tu ad essere un po' dogmatico?

Ciao.

Giuseppe Regalzi ha detto...

Bentornato, Embrione, è un po' che non ci si sentiva: cominciavo a temere che per il gran caldo ti fossi scongelato...

Tu dici: «Se tu mi fermi compi un danno, privi il mondo di un nuovo individuo». La premessa, qui, è in buona parte condivisibile: una vita umana porta – almeno in generale – ricchezza e varietà al mondo, e se è degna di essere vissuta aumenta la quantità totale della felicità umana. È dunque un bene; solo che nessuno può essere obbligato a compiere il bene. L'unico obbligo è quello di astenersi da azioni che possano danneggiare gli altri (non uccidere, non rubare, etc.); invece, intraprendere un'azione che porta beneficio agli altri (donare il sangue, donare un rene, andare in un lebbrosario africano a curare gli ammalati, correre i rischi di una gravidanza e dedicare anni ad allevare un figlio, etc.) è sicuramente raccomandabile moralmente, ma non può essere reso obbligatorio per legge.
Per inciso, dovresti chiedere ai tuoi amici che sono fieramente contrari alla fecondazione eterologa, se davvero ritengono che sarebbe stato meglio per i 100.000 bambini, generati in Italia in questo modo prima che la legge 40/2004 lo proibisse, non essere mai nati. Ti risponderanno probabilmente che hanno risparmiato a quei bambini il dolore di non potere mai conoscere il loro padre genetico; ma davvero questo avrebbe reso le loro vite non degne di essere vissute? E come mai quegli stessi tuoi amici sostengono a tutti i costi che non si deve impedire di venire al mondo a persone che saranno affette da gravissime malattie?

Dici anche: «Io vedo che nella “natura” tutto mira a fecondare ovuli, a far avanzare altri miei colleghi embrioni», e «osserviamo almeno l'ambiente che ci circonda, e responsabilmente rispettiamolo.
Mettendo un limite alla nostra ossessione manipolatoria». D'accordo, gli spermatozoi sono determinatissimi a fecondare gli ovuli; ma anch'io sono determinatissimo a non lasciarglielo fare. Perché la mia determinazione dovrebbe valere meno di quella dei piccoli bastardi? Forse che io sono meno «naturale» di loro? E perché mai? E anche se fosse? Forse che in natura esistono solo processi mai interrotti e determinazioni mai frustrate? Non credo proprio: la gazzella è determinatissima a vivere – finché non arriva il leone e se la mangia. Forse che lo spermatozoo o l'embrione o la Natura soffrono per non essere riusciti a perseguire le proprie finalità? Lo considero sommamente improbabile, mentre invece la mia sofferenza nel trovarmi a dover sostentare un quarto, quinto o sesto figlio è più che certa.