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mercoledì 14 marzo 2012

I veri pro-life

Vera Schiavazzi, «Quei duemila bambini in provetta nati grazie alla Corte costituzionale», La Repubblica, 13 marzo 2012, p. 21:

Almeno duemila bambini in più nascono ogni anno nell’Italia del calo demografico, grazie a una sentenza della Corte Costituzionale, quella che nel 2009 ha scardinato i paletti della legge 40. Sono questi i dati che il ministro della Salute Renato Balduzzi ha sul suo tavolo da fine febbraio, quando l’Istituto Superiore di Sanità glieli ha consegnati. Il governo voleva sapere che cosa era accaduto nel 2010 e nel 2011, gli anni nei quali i centri di procreazione assistita hanno potuto lavorare di più e meglio, aumentando del 20% i propri successi. E le risposte dei centri specializzati non si sono fatte attendere. «Otteniamo una gravidanza in più ogni 5-6 trattamenti – spiega Filippo Maria Ubaldi, direttore del Centro di medicina della riproduzione Genera, a Roma – È una percentuale enorme, che aumenta se si considerano le pazienti al di sotto dei 39 anni: non si può generalizzare, per questo è impossibile calcolare se le nascite in più siano duemila, o se il numero sia assai più grande. Nel caso delle giovani la percentuale di gravidanze a termine rispetto al numero di ovociti che otteniamo con le normali stimolazioni sale fino al 17 per cento in più rispetto agli anni nei quali la legge 40 era applicata nella sua versione originale».

venerdì 9 settembre 2011

Francesco Agnoli perde la Bussola

È la crema (qualcuno – non io – potrebbe dire: la schiuma) dell’integralismo italiano quella che trova ospitalità nella Bussola Quotidiana, «quotidiano cattolico di opinione online». Così, per esempio, nel numero di oggi Massimo Introvigne ci spiega perché sia stata buona e giusta la censura operata dalla Rai, che ha omesso di mandare in onda l’episodio di una serie televisiva in cui veniva rappresentato un matrimonio tra omosessuali («Suore e gay, un ciclone alla RAI», 9 settembre 2011). Sempre nel numero di oggi, una vecchia conoscenza dei lettori di Bioetica, Francesco Agnoli, illustra in un articolo gli «inganni e danni collaterali» della fecondazione eterologa. Scrive Agnoli (corsivi miei):

La fecondazione eterologa prevede che una donna venda i suoi ovuli che serviranno ad un’altra al fine di concepire. […]
La prima domanda da porsi è questa: cosa accade alla venditrice? Si tratta di una vendita qualsiasi, come quella di un oggetto esterno, che non è parte della persona, o di qualcosa di profondamente diverso?

Sembra inevitabile rispondere nel secondo modo. Infatti la venditrice viene sottoposta ad una iperstimolazione ovarica particolarmente violenta, cioè viene bombardata di ormoni al fine di produrre non un ovulo, come avverrebbe in natura, ma molti di più (a seconda dell’etica e delle previsioni del medico). Sentiamo a tal proposito cosa può provocare la iperstimolazione ovarica dalle parole di un esperto come il dottor Carlo Flamigni, noto per la sua apertura alle pratiche di procreazione medicalmente assistita (PMA). Flamigni, nel suo “La procreazione assistita” (il Mulino, 2002), afferma che l’iperstimolazione ovarica sulla donna, preliminare a qualsiasi operazione di PMA, è “una sindrome pericolosa persino per la vita” (p. 29), “una complicanza abbastanza pericolosa” (p. 36). Infatti “l’ovaio cresce in modo anomalo fino a raggiungere un volume pari a quello di un grosso melone. Successivamente, e soprattutto se l’iperstimolazione è grave, si forma un’ascite e compaiono raccolte di liquido nelle cavità pleuriche e nel pericardio. Il sangue si ispessisce e perde proteine e la funzionalità renale diminuisce pericolosamente. A causa di grossolane anomalie della coagulazione si possono determinare trombosi e tromboflebiti, talché esiste addirittura un rischio di vita nei casi più sfortunati” (p. 63-64).
Anche il lettore completamente all’oscuro delle tecniche di procreazione medicalmente assistita non può fare a meno di notare una stranezza in questo brano: com’è possibile venire sottoposti a una «complicanza» o a una «sindrome»? E com’è possibile definire una «complicanza» qualcosa che sarebbe «preliminare a qualsiasi operazione di PMA»?
Il fatto è che, contrariamente a quanto crede Agnoli (con molta tenacia, visto che scriveva le stesse identiche cose già anni fa: «Il rischio tumore per le donne che accedono alla fiv», Libertà e Persona, 19 luglio 2009), «preliminare a qualsiasi operazione di PMA» non è l’iperstimolazione ovarica, ma semplicemente la stimolazione ovarica; l’iperstimolazione è appunto una complicanza che può far seguito a questa procedura – per fortuna sempre più raramente: nella seconda edizione del libro citato da Agnoli (2011, p. 64), Carlo Flamigni scrive che «oggi questo tipo di complicazione sta diventando sempre più raro (0,45% in italia nel 2008), a testimonianza di un continuo miglioramento complessivo delle tecniche».
Come è stato possibile per Agnoli confondere stimolazione con iperstimolazione, visto che la distinzione è chiarissima nel libro di Flamigni che cita (e nella stragrande maggioranza dei testi di informazione elementare sull’argomento)? La risposta potrebbe stare nel fatto che nella letteratura medica si trova talvolta usata l’espressione «iperstimolazione ovarica» (o «iperstimolazione ovarica controllata») per indicare non la sindrome ma la procedura di stimolazione dell’ovulazione. È un uso disorientante, e perciò abbastanza raro, che può forse spiegare lo svarione di Agnoli – ma che comunque non lo condona: la stimolazione rimane ovviamente cosa del tutto diversa dalla complicanza, anche se qualcuno le chiama con lo stesso nome.

Un po’ più difficile spiegare con un equivoco quello che Agnoli scrive di seguito al passo citato sopra:
A ciò si può aggiungere che l’iperstimolazione in vista della PMA comporta anche un rischio tumore, ai genitali o alle mammelle, magari nel lungo periodo (“Le Scienze”, Settembre 2004).
Andiamo dunque a cercarci l’articolo delle Scienze; si tratta di «Sterili per legge», di Nora Frontali e Flavia Zucco (Le Scienze n. 433, settembre 2004, pp. 58-63). A p. 62 leggiamo (corsivi miei):
Per accertare gli effetti a lungo termine è invece necessario seguire le donne per molti anni dopo il parto. Studi simili sono stati intrapresi, ma non hanno prodotto ancora conclusioni certe: si sospetta infatti che l’intenso trattamento con ormoni a cui sono sottoposte le donne per il prelievo degli ovociti possa provocare un aumento di tumori del tratto genitale o della mammella. Uno studio su larga scala condotto in Olanda a 5-8 anni dalla gravidanza non ha però rilevato alcun aumento del rischio di cancro della mammella o dell’ovaio in donne che erano state sottoposte a FIVET, a confronto con donne subfertili che non avevano ricevuto il trattamento.
Mi astengo da qualsiasi commento, lasciando le conclusioni al lettore. Aggiungo solo che appena sopra il passo citato, le due autrici delle Scienze notano che
poiché la crioconservazione degli embrioni non è considerata ammissibile dalla nuova Legge [n. 40/2004], la donna sarà costretta [a] ripetere ogni volta il trattamento ormonale, rischiando nuovamente la sindrome da iperstimolazione ovarica e gli altri disturbi.
Si tratta della stessa legge che Agnoli magnifica per aver ridotto le complicanze... (fortunatamente, la sentenza con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la drastica limitazione che la legge 40 imponeva al numero di embrioni da crioconservare ha riportato le cose a posto).
Quanto al (molto ipotetico) rischio di contrarre il cancro in seguito all’applicazione delle tecniche di PMA, l’articolo più recente in materia è tranquillizzante (anche se non chiude ovviamente la questione): B. Källén e colleghi dell’Università di Lund hanno studiato un ampio campione di donne svedesi che si sono sottoposte alla fecondazione in vitro («Malignancies among women who gave birth after in vitro fertilization», Human Reproduction 26, 2011, pp. 253-58). Queste donne mostrano sì un rischio più alto di cancro rispetto alle donne del campione di controllo, specialmente per il tumore alle ovaie, ma prima di praticare la FIV; questo si spiega con il fatto che la malattia o la chemioterapia rendono spesso la donna sterile. Dopo la FIV, il rischio appare inferiore rispetto alle donne della popolazione generale che abbiano avuto un figlio, grazie soprattutto alla diminuzione del cancro al seno e alla cervice dell’utero (gli autori, prudentemente, ascrivono questo fenomeno un po’ sorprendente allo screening intensificato in queste donne, che può portare a eradicare all’esordio forme precancerose). Il rischio di cancro alle ovaie è ancora maggiore che nel campione di controllo, ma minore del rischio precedente alla FIV. Chissà se Francesco Agnoli parlerà mai di questo studio – e in quali termini...

Se la Bussola Quotidiana selezionasse con più cura gli autori, farebbe un favore ai propri lettori, e anche a se stessa. Ma non accadrà.

mercoledì 19 gennaio 2011

Avvenire eugenista

Sergio Bartolommei, «Fecondazione e confusione», L’Unità, 19 gennaio 2011, p. 23:

Il quotidiano Avvenire dovrà mettersi d’accordo con se stesso. In due articoli apparsi sullo stesso numero (13 gennaio) dell’inserto settimanale È Vita si sostiene una cosa e il suo contrario anche se, in entrambi i casi, la pretesa di verità è identica. Da una parte si biasima il mettere al mondo nuovi individui ispirandosi all’idea arrogante di “qualità della vita”; dall’altra si lamenta che il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (Pma) pregiudica la qualità di chi viene alla luce perché espone ad accresciuti rischi di nascere prematuri, sottopeso, con deficit visivi, cerebrali e respiratori, malformazioni e malattie genetiche. Non entriamo nel merito delle tesi dei due articoli, specie del secondo, che sembra trascurare completamente le ampie smentite che vengono dalle altissime percentuali di nati sani fra i milioni di individui venuti al mondo negli ultimi trent’anni grazie alla fecondazione assistita. Ci preme solo osservare che, da parte di chi dichiara di ispirarsi all’etica cattolica rivendicandone interna omogeneità e coerenza, occorrerà decidersi. O si è a favore dell’idea di buone nascite” o si è contro l’idea di “qualità della vita”. Tertium non datur. Nel primo caso occorrererebbe lasciar cadere l’accusa di eugenica rivolta con atteggiamento ostile e liquidatorio contro chi opta per favorire, con la fecondazione assistita, il miglior controllo del processo riproduttivo, la diagnosi pre-impianto degli embrioni, l’eventuale selezione embrionaria. Nel secondo caso non si dovrebbe viceversa fare ricorso all’argomento dei rischi che (presuntivamente) corre chi nasce tramite Pma perché farlo significherebbe optare per il controllo “eugenico” della riproduzione e per il metodo più efficace per dare un buon avvio alla vita (il migliore!) a chi nasce. Si dirà che entrambe le versioni qualcosa hanno in comune, ed è il vantare i presunti meriti della modalità “naturale” di nascere. Così è, in effetti, ma ciò non scioglie la tendenza ai paradossi dell’etica cattolica. Al contrario, essa ne esce accresciuta. Ci si dovrebbe infatti ulteriormente intendere su quale significato di natura sia quello “buono” per il giornale della Cei: in un caso la natura è lo spazio della spontaneità, del caso e della imprevedibilità opposti a quello della “qualità” e del “ben fatto”. Nell’altro è il luogo della “qualità” e del “ben fatto” opposti alla imprevedibilità delle tecniche e dei loro effetti. Farà piacere se Avvenire vorrà dare un contributo a chiarire termini e questioni importanti e delicate, spesso all’origine di aspre battaglie politiche e legislative che vedono il giornale dei vescovi italiani rivendicare l’importanza di principi e valori “non negoziabili”.

mercoledì 21 aprile 2010

Di Pietro e Tavella: io non capisco

Beach Cow
Qualche giorno fa un articolo di Susanna Tamaro ha avviato un dibattito sul femminismo e sulle libertà delle donne. Non voglio affrontare il dibattito per intero o provare a rispondere alla questione se oggi le donne siano più o meno libere di un tempo oppure quanto siano libere.
Ma voglio commentare il pezzo di due nostre vecchie conoscenze: Alessandra Di Pietro e Paola Tavella, La libertà femminile e il fallimento delle istituzioni, Il Corriere della Sera, 21 aprile 2010. Sottotitolo: Negli altri Paesi d’Europa i movimenti libertari hanno coinvolto larghe fasce della popolazioni, in Italia no.
Le autrici sembrano contente del fatto che

Negli altri paesi d’Europa i movimenti libertari hanno coinvolto larghe fasce della popolazioni, attraversato partiti e istituzioni, ammodernato mentalità, pratiche politiche, e anche legislazioni che sono state sentite e attuate.
Continuano elencando le conquiste che, nonostante questo non sia accaduto in Italia, le donne italiane hanno ottenuto: dalla legge sui salari ai congedi parentali (pur nella loro imperfetta applicazione) ai profondi cambiamenti delle mentalità.
Le leggi hanno funzionato solo in parte, eppure in altri e decisivi livelli dell’esistenza femminile avvenivano cambiamenti radicali che hanno innovato gli stili di vita di tutti, uomini donne e bambini. Famiglie allargate, libertà di scelte sulla salute, percorsi spirituali, imprenditoria femminile, formazione, difesa della scuola, integrazione degli stranieri, volontariato, cura della terra e dell’ambiente sono tutti settori della vita individuale e sociale dove la libertà è misurabile ed è superiore a quella di vent’anni fa. L’hanno allargata e coltivata le donne, senza leggi che lo comandassero, e si è trasformata in un vantaggio per tutti.
Condivisibile o no la loro interpretazione. Ma ancora non è questo il punto. La questione è la posizione di Di Pietro e Tavella nei confronti della legge 40 e soprattutto del referendum che ne è seguito.
Come può conciliarsi la legge 40 con la libertà delle donne? Una legge che le tratta come povere sceme perché decide al posto loro e elenca molti divieti, ingiustificati e ingiustificabili. Ma la posizione di Di Pietro e Tavella è molto lontana. In Madri Selvagge (qui la mia recensione al libro) descrivono le tecniche di riproduzione assistita come «una galleria di orrori, [...] storie di donne che subiscono ogni sorta di tortura pur di avere figli» (pp. 6-7). Avvertono il pericolo di non riconoscere il nemico patriarcale insito nella separazione tra riproduzione e corpo femminile (p. 7), ricordano la definizione delle biotecnologie come olocausto per le donne (p. 8), denunciano la congiura maschile volta a prendere il controllo della riproduzione riducendo il corpo femminile a ‘carne da riproduzione’ (p. 8). Paragonano la procreazione assistita alla lotta armata: entrambe renderebbero vittime le donne. Esprimono il proprio sospetto verso la legge 40 in nome dell’inimicizia per le leggi sul corpo delle donne: ma viene da domandare a Di Pietro e Tavella, esiste forse una legge che invade tanto il corpo delle donne quanto la legge sulla procreazione medicalmente assistita? Una legge tanto paternalista? Illiberale?
Quanto scrivevano nella lettera in cui spiegavano le ragioni dell’astensionismo al referendum suddetto (che non raggiunse il quorum) rende ancora meglio il profilo delle due femminste libertarie. Io non capisco come una legge che tratta le donne come incapaci di capire e di decidere e impone loro sofferenze evitabili possa essere difesa.
E in effetti non compare nell’elenco delle conquiste. Lo avevano anticipato però:
ci rassegniamo temporaneamente alla legge 40 perché, sia pure attraverso un percorso che non condividiamo, è cauta quanto noi siamo caute e limita pratiche che ci inquietano.
Capito? Loro non condividono e sono inquiete. Noi ci teniamo la legge 40.

mercoledì 3 giugno 2009

Fecondazione: padre per obbligo

Circo 17 maggio 2009 067
Sarebbe giusto “obbligare” qualcuno a diventare genitore? Sarebbe moralmente ammissibile calpestare il desiderio e il conseguente diritto di non diventare genitore? Sembra proprio di no, eppure in Italia si delinea uno scenario in cui esiste il rischio di diventare padre contro la propria volontà, con tutte le gravi implicazioni morali e giuridiche che ne conseguono.
Andiamo con ordine. La sentenza n. 151/2009 della Corte Costituzionale, lo scorso maggio, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di un nodo fondamentale della legge 40. L’obbligo di «un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre» è così caduto e, conseguentemente, è divenuto ammissibile crioconservare quegli embrioni che non sono usati al primo tentativo di impianto. Oppure crioconservare tutti quelli prodotti se, per qualche ragione di salute, il medico ritiene opportuno rimandare l’impianto.
La sentenza ha rimediato a una delle ferite più dolorose provocate dalla legge sulla riproduzione artificiale.
Ma ha anche esasperato un grave rischio, già presente nella legge 40, ma che oggi prende corpo in modo più consistente. Il rischio è insito nelle modalità di consenso dei potenziali genitori alle tecniche di procreazione assistita.
L’articolo 6 della legge 40 stabilisce che il consenso debba essere scritto e debba essere espresso dopo una accurata informazione – proprio per questo si chiama consenso informato. Niente di sorprendente, almeno fino alla parte finale del comma 3: «La volontà può essere revocata da ciascuno dei soggetti indicati dal presente comma fino al momento della fecondazione dell’ovulo».
L’impossibilità di cambiare idea dopo la produzione dell’embrione è in linea con l’attribuzione di diritti al concepito, ma contrasta con altri diritti fondamentali (si consideri che la legge 40 è l’unica legge al mondo a permettere di cambiare la volontà solo fino alla fecondazione dell’ovulo e non fino all’impianto dell’embrione nel corpo materno).
Per capire la portata del divieto di revocare il consenso una volta che l’ovulo sia stato fecondato, faremo ricorso a un esempio, adattato a prima e a dopo la sentenza.
Anna e Mario, felicemente sposati, si rivolgono a un centro medico e dopo aver firmato il consenso producono un certo numero di embrioni. Prima della sentenza gli embrioni erano al massimo 3 e l’impianto era contemporaneo alla produzione, tranne in circostanze di “causa di forza maggiore” non meglio identificate. Il tempo tra produzione e impianto era perlopiù molto breve e cambiare idea nel giro di poche ore era altamente improbabile, anche se teoricamente possibile.
Dopo la sentenza il numero degli embrioni non è stabilito rigidamente e, soprattutto, il tempo tra la produzione e l’impianto può dilatarsi indefinitivamente. Anna e Mario si rivolgono al solito centro medico e firmano il consenso. Sono sempre felicemente sposati e producono 7 embrioni: 2 vengono usati per il primo tentativo; gli altri 5 sono crioconservati. Il primo tentativo fallisce e per ragioni di salute è necessario rimandare il secondo. Passano alcuni mesi, Anna e Mario litigano e si lasciano. Mario non vuole più diventare padre genetico di figli insieme ad Anna, ma la legge 40 non gli permette di revocare il consenso. Se Anna lo vorrà, Mario sarà costretto a diventare padre.
Le conseguenze più dannose del divieto di cambiare consenso, una volta che gli embrioni siano stati prodotti, ricadono inevitabilmente sugli uomini. Perché nel caso sia Anna a non volere procedere all’impianto è inverosimile ipotizzare un impianto coatto: il presunto diritto dell’embrione a nascere non potrebbe vincere su quello della donna a non subire una coercizione all’impianto.
Per Mario però non vi sarebbe coercizione fisica né obbligo a un trattamento sanitario: sarebbe ignorato solo il suo diritto a non diventare padre genetico, cui sembra avere rinunciato firmando il consenso alle tecniche di riproduzione.
Questo pericolo, depotenziato dalle circostanze precedenti alla sentenza, oggi si presenta senza più alcun paravento. Non è una soluzione fare finta che non esista.
Potrebbe invece essere utile volgere lo sguardo ad alcuni precedenti: uno dei casi più interessanti è quello tra Natallie Evans e il suo ex marito. Sono cittadini inglesi e litigano sul destino dei loro embrioni crioconservati: lei vuole impiantarli; lui no. La legge e i tribunali inglesi giudicano più forte il diritto di non diventare padre di quello di diventare madre. Natallie non si arrende e ricorre alla Corte di Strasburgo, invocando la Convenzione per la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali. In particolare l’articolo 2, il diritto alla vita, che Natallie (e la legge 40) vorrebbe estendere agli embrioni. I giudici respingono la sua richiesta e negano che si possa attribuire sensatamente agli embrioni un diritto alla vita.
Che cosa accadrebbe se la contesa avesse come riferimento normativo la legge 40? Che ne sarebbe del diritto a non diventare padre del nostro Mario? Probabilmente sarebbe lui a doversi rivolgere alla Corte di Strasburgo, cercando un rimedio per una violazione già compiuta.

(l’Altro, 3 giugno 2009)

giovedì 2 aprile 2009

Ritorna la diagnosi preimpianto?

(Adnkronos/Adnkronos Salute) Roma, 2 apr. - […] la diagnosi preimpianto non è vietata nel nostro Paese, «perché il Tar del Lazio ha annullato le vecchie linee guida sulla legge 40 – ha puntualizzato Sebastiano Papandrea, avvocato del foro di Catania – fino a oggi, dopo aver conosciuto il risultato, bisognava comunque impiantare tutti e tre gli embrioni. Con la sentenza della Consulta la diagnosi potrà essere eseguita. E laddove il trasferimento degli embrioni, non per forza tre, comporti un rischio per la salute della donna, è consentita la crioconservazione, in attesa magari di terapie geniche che possano curare l’embrione o il bambino stesso una volta nato». […]

Ancora Ceccanti sulla legge 40

(Adnkronos) Roma, 2 apr. - «Fermo restando che le motivazioni della Corte ci aiuteranno a capire meglio la sentenza sulla legge 40, vanno fin d’ora chiariti due equivoci, a prescindere dai giudizi di valore». Lo dichiara il senatore del Pd Stefano Ceccanti che spiega: «Il Parlamento, se crede, ha il diritto di intervenire di nuovo sulla materia, ma non ha nessun obbligo di farlo. La legge può funzionare con le disposizioni eliminate dalla Corte e con quella introdotta che consente la crioconservazione a favore della salute della donna». «Il governo, dal canto suo – aggiunge – non solo non ha, con lo strumento delle linee guida, in alcun modo la possibilità di reinserire disposizioni giudicate incostituzionali in una legge, ma neanche quello di ripristinare il divieto di analisi pre-impianto. Se lo volesse fare, l’esito sarebbe già scritto: una sentenza di illegittimità della magistratura. La precedente sentenza del Tar del Lazio che ha fatto saltare il divieto ha infatti chiarito che le linee guida sono soltanto un “atto amministrativo di natura regolamentare” che non può violare la riserva di legge “sull’oggetto della procreazione medicalmente assistita”». «Su questo giudizio di illegittimità la sentenza della Corte non aggiunge niente. Essa si è mossa dandolo naturalmente per presupposto. Il divieto di analisi pre-impianto potrebbe, in astratto, essere quindi reinserito solo con legge, ma – conclude Ceccanti – a quel punto sarebbe comunque esposto al giudizio negativo della Corte costituzionale».

mercoledì 1 aprile 2009

Ceccanti sulla decisione della Consulta

(ANSA) - ROMA, 1 APR - «La Corte costituzionale si è pronunciata direttamente solo su due commi, il 2 e il 3, dell’art. 14 della legge 40 del 2004; sulle altre parti che erano state impugnate non si è pronunciata, non le ha dichiarate costituzionali, ma semplicemente irrilevanti nei casi in questione. Quindi sono state esaminate solo due norme e sono cadute entrambe per incostituzionalità». Così il senatore del Pd Stefano Ceccanti, analizza la sentenza della Consulta sulla legge in tema di procreazione assistita. Il costituzionalista del Pd sostiene che innanzitutto «vanno precisati i contenuti. Nel comma 2 la Corte ha eliminato il vincolo numerico alla creazione di un massimo di tre embrioni e quello temporale a impiantarli tutti contemporaneamente, lasciando il limite a non crearne in numero superiore a quello strettamente necessario e rinviando quindi implicitamente alla scelta del medico il numero di embrioni e il numero degli impianti, tenendo conto delle condizioni di salute della donna. Nel comma 3 – aggiunge Ceccanti – la Corte ha proceduto a integrare direttamente la norma con una sentenza cosiddetta additiva, cioè aggiungendo parole alla legge, senza bisogno di un ulteriore intervento del Parlamento, evitando così il vuoto legislativo. Una tecnica che si adotta quando la soluzione che discenderebbe dalla sentenza sarebbe obbligata». «L’aggiunta del vincolo di procedere senza pregiudizio della salute della donna – evidenzia Ceccanti – significa concretamente ampliare i casi in cui è consentita la crioconservazione degli embrioni, anche in vista di impianti successivi. Una scelta strettamente conseguente a quella operata nel comma 2». «Anche se conosciamo solo il dispositivo» il costituzionalista del Pd ipotizza anche le motivazioni: «la Corte dovrebbe aver riconosciuto la fondatezza dei richiami dei giudici alla violazione di almeno tre articoli della Costituzione: il secondo (dignità della persona, lesa perchè la normativa rigida portava con sè trattamenti invasivi e a basso tasso di efficacia); il terzo (uguaglianza perchè trattava irragionevolmente allo stesso modo donne diverse, con parti trigemini per le giovani e trattamenti inefficaci per le più anziane), il 32 (diritto alla salute rispetto ai rischi per la donna in relazione a trattamenti pericolosi) della Costituzione». Ceccanti evidenzia infine «un insegnamento di metodo: contro leggi incostituzionali non si promuovono referendum, si attende che la giustizia costituzionale faccia il suo corso, evitando un passaggio inutile».

Ultim’ora

(ANSA) - ROMA, 1 APR - La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 14 comma 2, della legge 18 febbraio 2004, n. 40, dice una nota della Consulta, «limitatamente alle parole “ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre” embrioni». La Corte ha anche dichiarato incostituzionale il comma 3 dello stesso articolo «nella parte in cui non prevede che il trasferimento degli embrioni, da realizzare non appena possibile, debba essere effettuato senza pregiudizio della salute della donna». La Consulta ha infine dichiarato inammissibili per difetto di rilevanza nei giudizi principali le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 6, comma 3, e 14, commi 1 e 4.

lunedì 2 marzo 2009

IVF mothers can name ANYONE as 'father' on birth certificate

Già, ecco quello che succede in Inghilterra: IVF mothers can name ANYONE as 'father' on birth certificate, Daily Mail, 02nd March 2009.
In sintesi:

The new rules state: 'The women receiving treatment with donor sperm (or embryos created with donor sperm) can consent to any man or woman being the father or second parent.' The only exemption is close blood relatives.
Apriti cielo! (qui la notiziola in sintesi su Il Corriere della Sera di oggi).

venerdì 20 febbraio 2009

Coma e procreazione assistita: dov’è il problema?

La vicenda della donna che vorrebbe avere un figlio dal marito in coma, e che ha quindi fatto prelevare un campione di liquido seminale dall’uomo per tentare la fecondazione in vitro, sembra non comportare dilemmi etici rilevanti (la legge 40 proibisce forse un intervento di questo genere, ma non mi pronuncio qui sui problemi legali).
Supponiamo che sia possibile ricostruire la volontà dell’uomo, espressa in passato, di avere (o eventualmente non avere) un figlio: in questo caso non esisterebbe palesemente nessuna difficoltà, e si tratterebbe soltanto di rispettare l’autodeterminazione dei due sposi. Che quella volontà non sia stata messa per iscritto non dovrebbe essere importante, almeno finché non esista un obbligo giuridico in tal senso; del resto, una volontà espressa oralmente può essere talvolta più sicura di una affidata alla carta. Credo in ogni caso che non si dovrebbe nemmeno pretendere una certezza suffragata da prove granitiche: fino a prova contraria l’uomo (che è morente per un tumore al cervello) non potrebbe ricevere nessun danno da questa paternità, né potrebbe riceverlo nessun altro (a meno di complicazioni patrimoniali ed ereditarie, che però a quanto ne so non si danno in questo caso).
Alcuni sembrano convinti che l’intera procedura costituisca un affronto alla «dignità» dell’uomo; ma non si vede francamente come ciò possa essere. Siamo ben lontani dallo stupro sull’individuo inconsapevole adombrato dalle infami dichiarazioni del Presidente del Consiglio di poco tempo fa, a proposito di Eluana Englaro. E da quando in qua avere un figlio costituisce un affronto alla propria dignità?
Nel caso di un eventuale passato rifiuto della paternità si dovrebbe infine valutare se esso fosse assoluto o legato a un’indisponibilità a occuparsi in prima persona di un figlio, indisponibilità che nelle condizioni presenti non avrebbe più senso.
Se invece la volontà dell’uomo non si può ricostruire, allora la decisione spetta a un tutore (che è stato in effetti già nominato, nella persona del padre). Questi dovrebbe ricostruire cosa avrebbe potuto decidere l’uomo (se fosse stato messo di fronte a questa scelta quando era ancora nel possesso delle sue facoltà), in base a quanto sa dei suoi valori: se per esempio l’uomo fosse stato un integralista cattolico, contrario a ogni forma di fecondazione non naturale, la condotta più corretta sarebbe di lasciarlo morire senza prole. In caso di dubbio perdurante sarebbe lecito, anzi forse doveroso, prendere in considerazione anche gli interessi e i desideri della moglie.

Ma che dire degli interessi del bambino che nascerà? Alcuni sostengono che non dovrebbe essere permesso far nascere una persona che sarà orfana fin dalla nascita. Ma anche qui la risposta è abbastanza ovvia. Per prima cosa, la vita di un orfano è in generale degna di essere vissuta: non si tratta di un inferno insostenibile di sofferenza. Certo, può essere in media una vita peggiore di quella di chi ha un padre; ma nel caso in esame non ci sono facili alternative. È vero, si potrebbe dire a quella donna che se proprio vuole un figlio allora dovrebbe risposarsi; ma voglio sperare che nessuno sia così inumano da fare in queste circostanze un discorso simile, sprezzante di ogni diritto più sacro (e assumendo oltretutto una conclusione che non si può dare per scontata). Quindi in realtà l’argomento dell’orfano si riduce a questo: meglio che non ci sia nessun bambino piuttosto che ci sia un bambino orfano. Argomento mostruoso, che potrebbe essere usato anche per negare ai poveri il diritto di fare figli, visto che in media un bambino povero sembra avere una vita peggiore di chi nasce in una famiglia ben provvista economicamente.
Meglio una vita non perfetta a nessuna vita; strano doverlo ricordare a chi, quando si trova di fronte a qualcuno che voglia risparmiare a un innocente una vita di disabilità gravissime e di sofferenze esse sì inenarrabili, è sempre pronto a straparlare di ricerca nevrotica della perfezione.

venerdì 19 settembre 2008

Sempre più single, sempre più giovani

Un interessante articolo del Guardian (Viv Groskop, «“I wanted a child more than a man”», 17 settembre 2008) ci informa del numero crescente di donne single eterosessuali che nel Regno Unito ricorrono all’inseminazione artificiale per concepire un figlio; cosa più importante, la loro età media è inoltre in diminuzione: mentre questa scelta era tipica in precedenza delle quarantenni, è adesso sempre più diffusa fra le donne attorno alla trentina. È chiaro che ha qui un ruolo l’accresciuta consapevolezza della diminuzione della fertilità dopo i 35 anni. La tendenza non è esclusiva del Regno Unito: conosco personalmente donne che hanno fatto ricorso a questa possibilità o che la hanno considerata seriamente.
Se per ora le madri single sono donne che per qualche motivo hanno avuto difficoltà a trovare un partner adatto e nelle quali il desiderio di avere un figlio è particolarmente forte, c’è da chiedersi se non stiamo assistendo all’inizio di una tendenza a larga scala. Esiste una discrepanza sempre più netta fra la durata tipica di una relazione sentimentale e il tempo – che si misura in decadi – che deve essere dedicato a un figlio; è possibile che questo porti sempre di più alla considerazione della maternità come un rapporto esclusivamente madre/figlio, ora che l’emancipazione economica delle donne è una condizione sempre più normale e lo stigma sociale che accompagnava in passato le madri singole è in via di sparizione? Esistono problemi, ovviamente, come il maggiore impegno (alleviato eventualmente da reti di amici e parenti) e la difficoltà a trovare partner per chi ha già un figlio; ma la tendenza sembra quella.

venerdì 1 febbraio 2008

Scenari moralmente inquietanti

Si annuncia una scoperta (Fecondazione, l’ultima sfida: presto sperma dal midollo osseo delle donne, Il Corriere della Sera, 31 gennaio 2008) di cui parla New Scientist:

Scienziati inglesi dell’università di Newcastle Upon Tyne, avrebbero trovato un modo per trasformare le cellule staminali del midollo osseo femminile in spermatozoi. [...] Il professor Karim Nayernia, che guida l’equipe, sarebbe pronto a iniziare gli esperimenti entro i prossimi mesi, a patto, ovviamente, di avere le necessarie autorizzazioni, e si dice certo di potere produrre le prime cellule spermatiche femminili entro due anni.
Poi senza dilungarsi in spiegazioni o in tentativi di spiegazioni, si delinea lo scenario terrorizzante e probabilmente molto immorale:
PROSPETTIVE INQUIETANTI - Ma gli scenari aperti da questa scoperta, anche a livello etico, possono diventare inquietanti: le ricerche potrebbero consentire a una donna di aver un bambino «tutta da sola», grazie allo sperma prodotto dalle cellule del proprio midollo osseo e ai propri ovuli. E la cosa potrebbe verificarsi anche per un uomo, che potrebbe produrre similarmente le cellule uovo dal proprio midollo osseo. In entrambi i casi si tratterebbe di ipotesi ad lato rischio di anomalie genetiche.
A quale altro livello sarebbe inquietante? E perché moralmente sarebbe inquietante? Non si sa. Eppure è il Corriere della Sera, non Avvenire o Il Foglio.

domenica 8 aprile 2007

Perché in Danimarca si fanno più figli?

La Danimarca, a differenza della maggior parte degli altri paesi europei, ha un tasso di nascite elevato, pari a 1,9 figli per donna, prossimo al tasso di rimpiazzo di 2,1; e questo nonostante che anche lì l’età a cui le donne partoriscono stia progressivamente alzandosi. Secondo un’analisi presentata pochi giorni fa a New York da Tomas Sobotka e colleghi in occasione di un incontro della Population Association of America, di cui ci informa New Scientist (Rachel Nowak, «More IVF keeps the birth rate up», n. 2598, 7 aprile 2007, p. 13), una parte del merito potrebbe andare alle tecniche di riproduzione assistita, che in Danimarca godono dell’approvazione sociale e di grossi sussidi statali; tanto che la percentuale di bambini nati grazie ad esse è stata del 4,2% nel 2002, contro l’1,4% del Regno Unito e l’1,2% degli Usa. Sobotka ha elaborato delle proiezioni, che mostrano come senza quelle tecniche il tasso di nascite per donna diminuirebbe nei prossimi anni di oltre il 5%.

lunedì 12 marzo 2007

I frutti della legge 40

Ieri su Repubblica (Maria Cristina Carratù e Maria Novella De Luca, «Bimbi in provetta, crollano le gravidanze tornano le scorte di embrioni congelati», 11 marzo 2007, p. 14):

il panorama della situazione arriva dalle statistiche fornite dai maggiori centri italiani, che coprono il 20% del totale di tutti i trattamenti effettuati nel nostro paese. I dati sono stati presentati ieri a Milano da Enrico Ferrazzi, direttore della Fondazione Cure, nel corso del convegno su “Riproduzione assisita: obiettivo per la vita”.
Ecco il bilancio: nelle coppie con infertilità maschile, il numero di gravidanze portate a termine con successo si è ridotto dal 35,7 al 23,5% (circa il 10% in meno sul totale). Nelle gravidanze in generale, il divieto di impiantare più di tre ovociti ha causato, per le donne con più di 35 anni, una riduzione del numero di gravidanze del 5-10%. Nelle donne sotto i 28 anni, il divieto di congelare gli embrioni ha costretto gli operatori, per avere più garanzie di successo, a impiantare insieme i tre consentiti dalla legge. Questo ha incrementato i parti gemellari dal 14 al 22% e i parti trigemellari dal 2 all’11%. Globalmente poi il rischio di aborto è aumentato del 5-6%.
Sarebbe interessante sapere se l’incremento dei nati grazie alla procreazione assistita, vantato dagli integralisti fino a poco tempo fa come conseguenza della legge 40/2004, sia stato dovuto in realtà all’aumento dei parti plurimi. Per avere un quadro chiaro bisognerà comunque aspettare la relazione al Parlamento del ministro della sanità, prevista entro giugno di quest’anno.

mercoledì 24 gennaio 2007

Procreazione artificiale per rinoceronti

Mamma Lulu, rinoceronte bianco meridionale (Ceratotherium simum) ha 27 anni e pesa due tonnellate e mezzo di peso. Annusa il suo piccolo appena nato allo zoo di Budapest dopo una fecondazione artificiale in collaborazione con zoo tedeschi e austriaci. È la prima volta che nasce un rinoceronte in seguito a fecondazione artificiale.

giovedì 3 agosto 2006

La superbia del Pretino / castigata è da Malvino

Povero Pretino Superbo! Ma del resto, uno che scrive questo (Giulio Meotti, «Il corpo è traditore», Il Foglio, 3 agosto 2006, p. IV):

Ma è comunque meglio l’inferno appassionato della concupiscenza del paradiso inerte e slavato che ci presentano i nuovi mistici del gene. Solo chi ragiona in modo sferico può pensare di produrre in vitro esseri umani e destinarli all’azoto liquido, a duecento gradi sotto zero, fabbricando solo deportati dell’Applicabilità. È il dominio dello spermatozoo postumo, l’uomo-massa di Ortega con membro erettile che ingravida anche dalla tomba. … Il nuovo biologismo, come prima il marxismo, non vuole riconoscere che noi esseri umani dopo il peccato originale siamo quello che siamo e tenta di far nascere un “uomo nuovo” completamente diverso. La concupiscenza è sostituita dalla procreazione cosciente, la fecondazione sotto stronzio radioattivo, il mattatoio sadista dei nuovi dottor Moreau che presumono di fare un uomo. Non più uomini e donne, icone della creazione e della propria concupiscenza, ma corpi, solo corpi.
si merita abbondantemente questo.