Massimo Adinolfi dedica oggi un post eccellente a un articolo di Gaetano Quagliarello sull’eutanasia («I comunisti non mangiano più i bambini, ma i vecchietti», Azioneparallela, 23 novembre 2006; l’articolo commentato è «Eutanasia. L’ideologia della morte», Il Giornale, 22 novembre, pp. 1.39):
Molto si discute di eutanasia. Ma nessuno era ancora arrivato a sospettare che […] il problema fosse il comunismo […] l’illustre senatore Gaetano Quagliariello, tra le tante cose che avrebbe potuto dire, sceglie di dedicare la sua verve intellettuale prima ai tempi di discussione (perché diavolo stanno tutti lì a parlarne, perché questa urgenza di legiferare? Meglio sopire, meglio tacere) poi a quel “residuo culturale” di “mentalità comunista”, “che vorrebbe imporci oggi felicità per altra via: se non possiamo esser felici perché tutti uguali, quanto meno cerchiamo di esserlo mettendo nelle mani dell’individuo [lo vedete il comunismo?] il diritto di agire senza limiti sull’origine e sulla fine della vita”.Per parte mia, aggiungo un esempio prezioso di ciò che passa per la mente del senatore-professore (già consigliere – apprendo solo ora – per gli Affari Culturali del precedente Presidente del Senato della Repubblica: adesso capisco meglio certi exploit...):
Si sta edificando sotto i nostri occhi una nuova «presunzione fatale» non meno pericolosa di quella che è stata sconfitta nel 1989, perché proietta la stessa esigenza di onnipotenza a un livello, se è possibile, ancora più alto. Per questo, quanti lavorano all’intrapresa, non avvertono come contraddizione dirsi favorevoli, contemporaneamente, all’accanimento terapeutico e all’eutanasia. Entrambe queste pratiche auspicano, in un certo senso, l’abolizione della morte come fenomeno naturale.Mi permetto di suggerire una spiegazione alternativa a Gaetano Quagliarello: «quanti lavorano all’intrapresa» non avvertono la contraddizione, perché nessuno di loro è favorevole all’accanimento terapeutico. Ci pensi, caro senatore-professore, compulsi gli archivi: oserei dire che finirà per darmi ragione.
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