Su Slate un bell’articolo di William Saletan («The Conscience of a Carnivore», 27 maggio) ci ricorda l’incoerenza morale di chi mangia carne:
You munch a strip of bacon then pet your dog. You wince at the sight of a crippled horse but continue chewing your burger. Three weeks ago, I took my kids to a sheep and wool festival. They petted lambs; I nibbled a lamb sausage.Come se ne esce? Semplice: con le colture cellulari in vitro di tessuti animali. Se ne stanno occupando tre università olandesi e un’organizzazione senza scopi di lucro americana, New Harvest: da una singola cellula, lasciata moltiplicare, si potrebbe ricavare in teoria tanta carne da soddisfare i bisogni dell’intera popolazione mondiale: carne più sana di quella che esce dai macelli, e ottenuta con un procedimento meno inquinante, meno dissipatore di risorse naturali e, soprattutto, moralmente ineccepibile.
Certo, le questioni morali a volte hanno la sgradevole tendenza a ripresentarsi in qualche altra forma. C’è un’ovvia estensione del concetto, di cui Saletan – saggiamente – non parla, ma di cui suppongo sia consapevole, come chiunque altro abbia ragionato un minuto sulla questione; un’estensione che provocherà dibattiti etici a non finire, c’è da giurarci. Forse il primo a cui l’idea si sia presentata è Arthur C. Clarke, che in un racconto del 1964, «The Food of the Gods», immaginava una tecnica simile a quella oggi allo studio, e il suo, uhm, cattivo uso. Ma in definitiva, sufficit diei malitia sua: ce ne occuperemo quando sarà tempo...
1 commento:
Vado ad innaffiare il mio vasi di bistecche.
Bello.
Antonio
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