Scrivevamo quattro giorni fa, a proposito della RU486:
essa garantisce comunque una privacy che sottrae le donne che lo vogliano alla pressione sociale e culturale del loro ambiente, particolarmente acuta in questo periodo; ed è per questo, in realtà, non per la tanto sbandierata mortalità, che la pillola abortiva incontra ancora tanti nemici accaniti.E due giorni dopo, il 14 maggio, ecco arrivare una inattesa conferma: in una lettera ad Avvenire («La pillola abortiva non è una conquista», p. 35), Giuseppe Benagiano (direttore della Prima Scuola di specializzazione in Ginecologia e Ostetricia dell’Università La Sapienza di Roma) scrive:
Sono convinto che noi cattolici dovremmo avere il coraggio di dichiarare che il vero motivo per cui non siamo favorevoli al suo [cioè della pillola abortiva] impiego non è né la “semplificazione dell’aborto” (che non esiste con questo metodo) né la sua “pericolosità” (che è, tutto sommato, modesta). Il vero motivo è il fatto che, se si procede di questo passo, si può immaginare un giorno in cui vi saranno in commercio pillole che la donna potrà assumere su sua esclusiva decisione, senza doverne rendere conto a nessuno. In altre parole è possibile che si giunga all’autodeterminazione in fatto di interruzione della gravidanza. Se non si accetta il fatto che l’aborto è un diritto della donna, non si può neppure accettare che sia solo lei a decidere, al di fuori, di qualsiasi regola o ausilio che l’aiuti a riflettere su quanto sta per fare. Mi rendo conto che si tratta di un argomento scomodo, politicamente scorretto, ma io credo che questa sia l’unica vera caratteristica che distingue, non oggi ma in prospettiva, l’aborto medico da quello chirurgico. Ecco perché vorrei che avessimo il coraggio di parlare chiaro.Ringraziamo allora il professor Benagiano per il suo coraggio (qualcuno direbbe: il suo candore), che ci permette di prenderci il piccolo lusso di usare una formula classica e un po’ altisonante: quod erat demonstrandum.
2 commenti:
Questione complessa.
Ciò che afferma Benagiano potrebbe essere condivisibile o meno a seconda del significato che vuol dare DAVVERO alle sue parole.
Per esempio, io potrei essere d'accordo che non sia auspicabile che si possa arrivare ad un punto in cui non ci sia NESSUNA mediazione tra una donna che vuole abortire e la possibilità di farlo.
Una donna che vuole abortire potrebbe trovarsi in una situazione di disagio psicologico, o in un periodo confuso, per cui potrebbe essere utile che ci sia COMUNQUE un esperto, sia medico, o psicologo oppure operatore di consultorio, che possa aiutarla a maturare la scelta migliore per lei.
Ma è questo che si vuole? O si vuole fare passare il concetto che , alla fine, una donna non abbia il diritto di decidere di portare avanti una gravidanza, perchè nel momento in cui rimanesse incinta la sua volontà dovrebbe passare in secondo piano rispetto al diritto assoluto( e prevalente nei confronti della volontà della donna ) del " concepito " di nascere?
La questione è effettivamente complessa – tra l'altro, quella di Benagiano è una semplificazione un po' estrema: è improbabile che arrivi mai il giorno «in cui vi saranno in commercio pillole che la donna potrà assumere su sua esclusiva decisione». Ma la RU486 tende comunque in quella direzione (puoi vedere in proposito questo vecchio post), e la paura degli antiabortisti è tutta qui.
Detto ciò, io penso che una donna che abbia intenzione di abortire non sia ipso facto incapace di intendere e di volere. Se sente il bisogno di un aiuto, è giusto che possa cercarlo e riceverlo; ma senza imposizioni di sorta.
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