giovedì 13 luglio 2006

Scegliere l’embrione migliore

Un particolare rischia di passare inosservato nella contro-replica di Assuntina Morresi alla lettera (ovviamente mai pubblicata, e della quale la nostra Stranacristiana si guarda bene dal dare l’Url) che uno dei consiglieri dell’Associazione Luca Coscioni ha inviato al Foglio per commentare un articolo della stessa Morresi:

scegliere l’embrione migliore, come chiedono i radicali, è fare selezione genetica del genere umano. Non è una novità, ci hanno provato in Germania cinquant’anni fa, non è stata una bella storia.
Stranacristiana si riferisce a questo passo della lettera di Domenico Danza:
[Il] SET (single embryo transfer) … , “repetita iuvant”, si esegue ottenendo molti embrioni e poi scegliendone uno tra i migliori e congelando gli altri, e non invece, ottenendone uno solo alla volta, nel qual caso, è bene sottolinearlo, si tornerebbe agli scarsi risultati dell’epoca pionieristica che risale a circa 30 anni or sono.
Scegliere uno degli embrioni migliori significa davvero «fare selezione genetica del genere umano»? L’accusa di «eugenismo» viene lanciata ormai con sempre maggiore disinvoltura e sempre meno a proposito da integralisti e teocon, ma in questo caso rischia doppiamente di passare inosservata, vista la possibile confusione con la diagnosi genetica di preimpianto, che però palesemente non è ciò di cui sta parlando Danza. Leggiamo cosa dice a proposito un manuale di ginecologia, Clinical Gynecologic Endocrinology and Infertility, di Marc A. Fritz e Leon Speroff (7ª ed., Philadelphia, Lippincott Williams & Wilkins, 2004), a p. 1242:
Systems for grading the quality of embryos vary among programs, but the morphologic features on which grading is based are similar and include cell number, symmetry and shape of the blastomeres, the extent of cytoplasmatic fragmentation in the perivitelline space, and the rate of cleavage. The ideal day 3 cleavage stage embryo has 6-8 blastomeres of equal size and no cytoplasmatic fragmentation. Embryos of lesser quality may exhibit fewer cells, blastomeres of unequal size, or varying degrees of fragmentation.
È facile indovinare, sotto la coltre del linguaggio tecnico, che qui non si parla affatto di diagnosi genetiche ma di analisi osservazionali. Inoltre lo scopo non è quello di ottenere figli sani – ammesso che ci sia qualcosa di riprovevole in questo umanissimo desiderio – ma di massimizzare le probabilità che l’embrione si impianti nell’utero: un’esigenza cruciale, se si vuole implementare con successo la tecnica del trasferimento singolo (per un’analisi approfondita della questione rimando a E. Van Royen, «Embryo selection for elective single-embryo transfer», in Assisted Reproductive Technologies: Quality and Safety, a cura di Jan Gerris, Francois Olivennes e Petra De Sutter, Boca Raton, Parthenon, 2004, pp. 63-79). Per inciso, una volta adottato il trasferimento singolo, l’esigenza di selezionare gli embrioni resterebbe intatta anche qualora la vitrificazione degli ovociti, tanto osannata dalla Morresi, sostituisse del tutto il congelamento degli embrioni.

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