lunedì 13 agosto 2007

Samek Ludovici e la Bomba

Qualche giorno fa Giacomo Samek Ludovici commemorava a modo suo la ricorrenza del lancio della bomba atomica su Nagasaki («Diamo un orizzonte d’umanità alla straordinaria e tragica scienza», Avvenire, 8 agosto 2007):

Era il mattino del 9 agosto 1945 quando un bombardiere B-29 sganciò su Nagasaki una bomba nucleare, come quella già lanciata il 6 agosto su Hiroshima. Le due bombe ebbero effetti devastanti e produssero ovunque distruzione e morte: morirono, all’istante o in seguito, per le radiazioni, tra sofferenze atroci, circa 150.000-200.000 persone, in maggior parte civili inermi. La ricorrenza di quest’ignominiosa sconfitta dell’umanità dovrebbe fare riflettere in questi tempi in cui, per fare solo pochi esempi, in Italia è ripreso il dibattito sulla fecondazione artificiale, in Inghilterra il rapporto parlamentare per la revisione della legge circa le pratiche procreative chiede che si possano produrre embrioni umani per avere pezzi di ricambio, e in Spagna, Belgio, Svezia, Giappone, Australia, Israele, Corea, Singapore e nella stessa Inghilterra è stata già approvata la clonazione terapeutica. Se la storia è magistra vitae, l’indicazione ricavabile dalla distruzione delle due tristemente note città giapponesi è quella della necessità di una limitazione etica e legislativa della scienza. Invece, sono sempre più numerosi gli scientisti che reclamano l’immunità per la scienza e rifiutano che il suo esercizio sia disciplinato; tutt’al più, alcuni ritengono che, se una limitazione dev’esserci, non deve avvenire tramite leggi dello Stato, bensì solo mediante un’autoregolamentazione degli scienziati. Ma che tale autolimitazione sia tutt’altro che scontata lo dimostra appunto la vergognosa pagina scritta a Hiroshima e Nagasaki.
Samek Ludovici trasforma dunque Hiroshima e Nagasaki in due esperimenti scientifici. Il presidente Truman, il segretario alla difesa Henry L. Stimson, il generale Leslie Groves, la guerra stessa, impallidiscono e quasi scompaiono, lasciando sulla scena solo un gruppo di mad scientists, che decidono autonomamente di far scoppiare due bombe atomiche per «vedere l’effetto che fa», respingendo con sdegno ogni limitazione alla libertà di ricerca.
Nessuno nega, naturalmente, il ruolo decisivo degli scienziati nella costruzione delle bombe, e anzi anche nella decisione di avviare il Progetto Manhattan, a partire dalla lettera di Einstein e Szilárd a Roosevelt; ma come tutti sanno – tranne Samek Ludovici – questo coinvolgimento era stato determinato dal timore che la Germania nazista sviluppasse per prima armi atomiche (timore che si rivelerà poi infondato, ma soltanto a guerra finita); non a caso, molti degli scienziati impegnati erano ebrei esuli dall’Europa invasa dai tedeschi. La curiosità scientifica avrà anche avuto un ruolo, ma questo praticamente scompare di fronte alle esigenze militari e politiche dell’epoca: quella di Samek Ludovici è la visione allucinata di un moderno cacciatore di streghe.

Ancora più di questa falsificazione della storia, tuttavia, dà da pensare l’equivalenza morale che il nostro (come tanti dei suoi compari) instaura fra la morte atroce di centinaia di migliaia di persone innocenti e le moderne pratiche procreative. Il culto dell’embrione dà qui il suo frutto ultimo e più avvelenato: se, al fine di contrastare aborto e fecondazione in vitro, si fa della morte di ogni embrione un assassinio, allora il fatto che con la morte di una persona scompaiono anche le sue speranze, i suoi sogni, i suoi affetti, la sua coscienza, diventa necessariamente irrilevante, visto che l’embrione non possiede nulla di tutto ciò. La morte viene ridotta a puro fatto biologico, semplice interruzione del metabolismo, unico denominatore comune fra l’ovocita fecondato e lo scolaro morto a Hiroshima; e al medesimo modo viene ridotta a puro fatto biologico la stessa umanità. Il culto dell’embrione, con i suoi sacerdoti e i chierichetti alla Samek Ludovici, rappresenta oggi senza ombra di dubbio il massimo pericolo per l’umanesimo.

3 commenti:

Chiara Lalli ha detto...

Poveretto, gli regalerei il mio sussidiario - se lo trovassi in qualche scatola polverosa in fondo a una cantina. Se qualcuno è disposto a fare uno sforzo per uscire e comprarlo, potremmo comprargli un bignami. Anche quello "la storia universale del mondo in 150 pagine".

Anonimo ha detto...

Il lancio delle due atomiche su Hiroshima e Nagasaki è stato dovuto soprattutto a motivazioni politiche.
Non quelle retoriche ripetute al tempo e anche ora, cioè la necessità di "salvare le vite di tanti soldati americani" che avrebbero dovuto sacrificarsi in un'eventuale invasione di terra del Giappone: il Giappone era già sul punto di negoziare la resa ai primi di agosto del '45, e questo è un fatto storico acclarato. Il mito dell'irriducibilità nipponica e della devozione fanatica all'imperatore ha un suo fondo di verità, ma viene spesso gonfiato e drogato con sfumature anche un po' razziste...
In realtà gli Stati Uniti avevano il forte bisogno di lanciare un "messaggio" all'Unione Sovietica e al Baffone (Stalin). Un doppio messaggio:
1) Quello di non azzardarsi a metter piede sul suolo nipponico; il rischio sarebbe stato quello di un Giappone spaccato in due tra USA e URSS (come la Germania), cosa che per Washington sarebbe stata troppo scomoda (e così l'URSS si accontentò delle Curili)
2) Quello, più generico, di dimostrare la soverchiante potenza della nuova arma che, nel '45, solo gli Stati Uniti possedevano. E questo anche per scongiurare il rischio che la II Guerra Mondiale, conclusa la fase contro il nazismo, passasse senza mezzi termini a una guerra contro l'Unione Sovietica (cosa che molti paventavano).

In tutto questo, ovviamente, gli scienziati c'entrano assai poco.
Anzi, sarebbe da ricordare che molti di quelli implicati più o meno direttamente nello sviluppo dell'atomica (Einstein in primis) in seguito si batterono con tutte le loro forze per il disarmo atomico.

Anonimo ha detto...

Heideggerismi da quattro soldi...